BOZZA DI DOCUMENTO DEI GRUPPI ECCLESIALI

Premessa

E' costatazione comune che in questi ultimi tempi in Italia, come in altre parti d'Europa, agli immigrati e' riservata una vita sempre piu' difficile, e non per sole ragioni economiche. Si vanno raffreddando la comprensione e la solidarieta' degli anni recenti, cresce intorno a loro un diffuso senso di diffidenza e di sospetto, di intolleranza e di rifiuto anche in forme violente e xenofobe, che fanno ampiamente notizia. Strati sempre piu' larghi della pubblica opinione tendono ad attribuire la responsabilita' di molti dei disagi che si vanno dilatando nella nostra societa' a questi "diversi". Pesa anche sulle pubbliche istituzioni una specifica responsabilita' per ritardi e inadempienze, per la mancanza di una seria politica annuale dei flussi, per non aver saputo gestire, come avrebbe richiesto la sua gravita', questo fenomeno delle migrazioni.

Di fronte a questo stato di cose le Chiese non possono rimanere indifferenti, ne' possono limitare il proprio contributo ad un'attivita' di supplenza di quanto dovrebbe essere correttamente assicurato dall'intervento pubblico, rischiando cosi' di rendere meno visibile l'urgenza di un riconoscimento sostanziale dei diritti dell'immigrato. Esse devono levare la propria voce in difesa di tali diritti per coerenza con il messaggio di tutta la Bibbia. Per le Chiese, la motivazione piu' autorevole per chiedere la tutela del diritto degli immigrati e dei rifugiati e' costituita da precise affermazioni contenute nella Bibbia, in particolare nell'Antico Testamento. "Non sfruttate ne' opprimete lo straniero, perche' voi stessi siete stati stranieri in Egitto" (Es 22, 20). La memoria della propria liberazione e, quindi, il godimento della propria liberta' sfociano in un appello in favore della parita' di diritti dello straniero immigrato: "Non deviate il corso della giustizia a danno di uno straniero o di un orfano ... non dimenticatevi che anche voi siete stati schiavi in Egitto, e il Signore, vostro Dio, vi ha liberati di la'" (Deut. 24, 17s). Dalla coscienza del fatto che Dio "ama gli stranieri che vivono con voi e procura loro cibo e vestiti" (Deut. 10, 18) discende l'invito ad amare lo straniero: "Quando uno straniero si stabilira' nella vostra terra, non opprimetelo; al contrario, trattandolo come se fosse uno dei vostri connazionali, dovete amarlo come voi stessi. Ricordatevi che anche voi siete stati stranieri in Egitto. Io sono il Signore vostro Dio" (Lev. 19, 33s).

Di fronte ad affermazioni come queste, siamo, come Chiese, chiamati a riconoscere il nostro peccato. Sebbene le norme in favore dello straniero costituiscano una linea non marginale dell'etica biblica, esse hanno avuto scarsa applicazione nella catechesi e nella prassi. Si puo' addirittura ravvisare nella rimozione di questi testi biblici una delle ragioni per cui l'Europa "cristiana" e' stata ed e' cosi' cedevole ai nazionalismi ed alla xenofobia. La presenza di immigrati in mezzo a noi ci ricorda che, dal punto di vista biblico, la liberta' e il benessere (esodo, terra promessa) sono doni e come tali possono essere mantenuti solo se condivisi con chi ne e' privo.

La luce di questo messaggio si fa strada fra le nebbie di una situazione complessa e confusa e di non facile lettura, e induce il cristiano a riconoscere che gli immigrati costituiscono una delle fasce piu' deboli della nostra societa'. Si impone un problema di carita' cristiana, ma ancor prima di equita' e di giustizia, laddove vengono disattesi diritti fondamentali della persona umana, il cui rispetto e' presupposto irrinunciabile del vivere civile.

Le conseguenze gravose della crisi economica non possono essere scaricate unilateralmente sugli immigrati, quali corpi estranei e ingombranti da mettere da parte. E' giusto riconoscere che essi, pur costretti ad occupare attualmente gli ultimi posti della scala sociale, hanno dato e continuano a dare un contributo importante allo sviluppo della societa' europea e di quella italiana in particolare.

Anche nell'ipotesi che nell'attuale congiuntura economica l'Italia e l'Europa non siano in grado di assorbire tutti coloro che sono spinti ad emigrare e sia comprensibile, pertanto, un ridimensionamento dei flussi di immigrazione, tuttavia il criterio per determinare l'entita' di tali flussi non puo' essere quello di una mera difesa del livello di benessere gia' acquisito o progettato che non tenga conto delle necessita' di chi e' drammaticamente costretto ad uscire dal proprio paese.

Di fronte alla tragica portata del fenomeno del sottosviluppo economico e alle tante responsabilita' accumulate in proposito dal mondo industrializzato va certamente incrementata la cooperazione ai programmi di sviluppo dei paesi piu' bisognosi, dove la pressione ad emigrare si fa piu' sentire, cosi' da rimuovere o almeno ridurre le cause stesse delle migrazioni. Ma a questa progettazione di politica solidale a lungo termine deve accompagnarsi l'attenzione ai problemi immediati dei migranti che chiedono inserimento nei paesi ad alto sviluppo industriale. Non e' quindi in alcun modo giustificabile una negazione di tale inserimento che non sia motivata da una effettiva impossibilita' di ricezione.

Tanto meno e' giustificabile la politica rigidamente restrittiva verso la quale vanno orientandosi i paesi della CEE nei confronti dei rifugiati che fuggono persecuzioni personali, conflitti armati o disastri naturali.

E' necessario che l'Europa, mentre costruisce la propria unita' interna, si impegni in una politica dell'immigrazione coraggiosa e di largo respiro.

La situazione italiana

Nel 1990, con la legge 39 (nota come Legge Martelli), sono state poste le basi per una corretta gestione del problema dell'immigrazione, evidenziando come, per poter definire il quadro di diritti e di doveri dell'immigrato, sia indispensabile che la sua presenza sia conosciuta e riconosciuta dallo Stato.

A questo scopo la legge 39 stabiliva un provvedimento di sanatoria delle situazioni di irregolarita' venutesi a creare entro la fine del 1989, ed istituiva un canale permanente di accesso regolare al lavoro, prevedendo l'emanazione, alla fine di ogni anno, di un decreto governativo per la determinazione dei flussi di immigrazione per l'anno seguente. Si dispone quindi di uno strumento legislativo potenzialmente in grado di individuare, anno per anno, un punto di incontro equilibrato tra la domanda di inserimento lavorativo e l'effettiva ricettivita' del nostro mercato del lavoro.

Tra gli elementi da valutare nella determinazione dei flussi, la legge 39 annovera il numero delle richieste dei permessi di soggiorno per lavoro avanzate da stranieri gia' presenti in Italia con permesso ad altro titolo. Si riconosce, cioe', come l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, quand'anche avvenga al di fuori di una rigida programmazione, debba essere considerato positivamente, in quanto esso facilita, piuttosto che intralciare, il confronto tra immigrazione e mercato del lavoro. Rientra, quindi, nello spirito della legge il tener conto di quanti, avendo trovato possibilita' di inserimento lavorativo, aspirano alla regolarizzazione della propria posizione, e il subordinare al soddisfacimento di tali richieste l'autorizzazione di ulteriori flussi in ingresso.

I decreti sui flussi per i primi tre anni di applicazione della Martelli hanno invece limitato, in sostanza, al meccanismo della chiamata nominativa le possibilita' di accesso regolare al lavoro per gli stranieri extracomunitari. La chiamata nominativa, riguardando a rigore lavoratori residenti all'estero, vede, di fatto, limitata la propria efficacia alle attivita' lavorative del settore dell'industria medio-grande, ovvero a quelle ad alto contenuto tecnico, per le quali l'incontro tra domanda e offerta puo' prescindere dall'instaurarsi di un rapporto fiduciale tra lavoratore e datore di lavoro. Tali attivita' non coprono che una parte, in molte regioni italiane invero trascurabile, delle reali possibilita' di impiego di mano d'opera immigrata.

L'esistenza di queste possibilita', unitamente all'improponibilita' di un'effettiva chiusura delle frontiere, ha fatto si' che il processo di immigrazione-inserimento continuasse senza flessioni, ma anche senza conseguenze traumatiche sul mercato del lavoro.

Le limitazioni imposte dal decreto sui flussi hanno cosi' relegato in condizioni di irregolarita' un gran numero di immigrati, entrati formalmente per motivi di turismo e trattenutisi in Italia una volta trovato inserimento nel mondo del lavoro sommerso.

Con l'eccezione di coloro che, alle dipendenze di datori di lavoro scrupolosi, hanno potuto trovare regolarizzazione, seppure in modo improprio, intraprendendo l'inutilmente complesso iter burocratico della chiamata nominativa (che richiede un temporaneo ritorno del lavoratore nel paese d'origine), questi lavoratori, pur contribuendo allo sviluppo economico del paese, restano totalmente esposti allo sfruttamento e privi delle piu' elementari forme di protezione.

Il fenomeno assume connotazioni ancora piu' preoccupanti laddove l'assorbimento di mano d'opera e' affidato ad attivita' di lavoro stagionale, dal momento che le condizioni di irregolarita' frenano la mobilita' territoriale dei lavoratori e per lunghi periodi congelano forza lavoro in condizioni di scarsa produttivita' e di esposizione alla contaminazione criminale.

E' evidente come l'incancrenirsi di situazioni di irregolarita', in un contesto di inattuabilita' e inaccettabilita' di qualunque provvedimento generalizzato di espulsione, renda in pratica irrealizzabile la tutela di diritti fondamentali della persona in fatto di condizioni di lavoro, salute e integrita' del nucleo familiare; tutela che non puo' essere subordinata alla regolarita' della posizione a riguardo del soggiorno.

Va tenuto nella debita considerazione, poi, il fatto che il mancato rispetto dei minimi salariali e delle disposizioni in materia fiscale e contributiva, oltre a costituire un danno economico palese per il lavoratore e per lo Stato, finisce per rappresentare un fattore di concorrenza sleale ai danni dei lavoratori regolari, italiani o stranieri che siano.

Provvedimenti legislativi che favoriscano nel modo piu' ampio l'emersione dalle condizioni di irregolarita' e diano assetto normativo al lavoro stagionale, oltre a costituire una giusta risposta ad esigenze di carattere fondamentale del lavoratore immigrato, si muoverebbero sulla linea di un piu' efficace governo del fenomeno. La concessione di un permesso di soggiorno consegna infatti all'immigrato un patrimonio di diritti la cui conservazione e' strettamente associata al perdurare dell'inserimento nel mondo del lavoro e all'osservanza di un preciso quadro di doveri. Costituisce quindi un efficace deterrente, ove ve ne sia bisogno, contro il ricorso a scorciatoie prive di qualsiasi rilevanza per l'economia nazionale o, peggio, estranee ad un ambito di legalita'.

Accanto al fenomeno dell'immigrazione irregolare per motivi di lavoro e' cresciuto in questi anni anche quello dell'immigrazione irregolare per motivi di famiglia. Molti cittadini stranieri, familiari di immigrati regolari, aventi percio' diritto per legge al cosiddetto ricongiungimento familiare, hanno proceduto a tale ricongiungimento sottraendosi, talvolta per mancanza di informazione, talvolta per la comprensibile esigenza di abbreviare tempi altrimenti irragionevolmente lunghi, alle procedure regolari. Sebbene il fenomeno risulti di portata numerica inferiore a quello precedentemente descritto, la sua rilevanza non puo' essere trascurata in considerazione della delicatissima situazione in cui vengono cosi' a trovarsi molti nuclei familiari, con particolare riferimento al problema della maternita' e della tutela dei minori. Provvedimenti che consentano l'emersione di queste forme di irregolarita' non possono che essere giudicati positivamente, giacche' restituiscono alla convivenza civile soggetti che da tale convivenza finirebbero, altrimenti, col restare inevitabilmente e dannosamente esclusi.

Preoccupazione desta anche la situazione dei molti studenti stranieri che, dovendo dedicare gran parte del loro tempo e delle loro energie ad attivita' lavorative che assicurino loro i mezzi di sostentamento, vedono compromesse le possibilita' di conseguire in tempo utile il titolo di studio. Accanto al dramma personale e familiare che deriva da fallimenti del genere, non puo' non essere considerato lo spreco di risorse umane che viene cosi' consumato a danno delle prospettive di sviluppo dei paesi d'origine.

Analogo spreco ha luogo per la mancata realizzazione di iniziative di cooperazione che consentano, ove ne esista la volonta', il reinserimento in patria di lavoratori che abbiano maturato nel nostro paese adeguate competenze tecniche.

Non va dimenticato infine il problema della disponibilita' di alloggi e della vigilanza sul mercato degli affitti. E' certamente un problema che investe in pieno tutte le fasce meno protette della societa' italiana, ma nel caso degli immigrati assume connotazioni ancora piu' drammatiche per via dello sradicamento dal tessuto familiare e della comprensibile difficolta' che il cittadino straniero incontra nel tentativo di far valere i propri diritti e nell'accedere agli organismi deputati alla tutela di essi.

Conclusioni

Alla luce della parola della Bibbia, le Chiese ritengono che da queste considerazioni discenda la necessita' di adottare le misure che seguono.

- A tutti i cittadini stranieri, prescindendo dal loro status giuridico, siano riconosciuti i diritti fondamentali, non legati alla cittadinanza, ma alla dignita' della persona, con particolare riguardo al tema della salute, della tutela giuridica, dell'istruzione dei minorenni.

- Si consenta di regolarizzare la posizione relativa al soggiorno e al lavoro agli immigrati che esercitano un'attivita' lavorativa in condizioni irregolari.

- Si provveda con sollecitudine a regolamentare il lavoro stagionale, dando transitoriamente precedenza nell'assegnazione dei permessi di soggiorno a chi e' gia' presente sul territorio nazionale e chiede di regolarizzare la propria posizione.

- Si dia riconoscimento formale ai ricongiungimenti familiari, per i quali sussistano i presupposti di legge, avvenuti al di fuori delle procedure ordinarie.

- Si rivedano le procedure di accesso all'alloggio per gli immigrati e si incoraggino, anche con sostegno finanziario, le cooperative edilizie e le altre iniziative in materia degli organismi di volontariato.

- Si riveda la politica nazionale di cooperazione allo sviluppo e ci si adoperi perche' nell'ambito della CEE venga elevata l'esigua percentuale del prodotto interno lordo oggi riservato a questo capitolo di spese. Vengano, in questo ambito, favoriti i programmi mirati di rientro volontario degli immigrati, anche irregolarmente presenti, che hanno acquisito capacita' tecniche e disponibilita' economiche per avviare nel proprio paese attivita' produttive.

- Si incrementino le forme di sostegno economico ai cittadini stranieri impegnati in Italia in attivita' di studio e di formazione professionale.

Tutti i credenti sono chiamati a vigilare sulla sollecita ed efficace adozione di tali misure da parte delle istituzioni politiche competenti, e, ciascuno per la propria parte, a cooperare alla loro attuazione.