(Rosanna Ippedico, Nelly Tang, Sergio Briguglio 23/8/1994)

 

"Forum intercultura" - Caritas di Roma

Laboratorio: IMMIGRATI E CITTADINANZA. I DIRITTI DELL'ALTRO

Perche' abbia senso parlare di societa' interculturale e' necessario che gli individui che la compongono siano visti, prima ancora che in qualita' di portatori di valori culturali, quali depositari di un patrimonio di diritti fondamentali, in assenza dei quali risulta arduo immaginare spazi di confronto culturale.

La possibilita' di accesso ai diritti generalmente riconosciuti al cittadino italiano e', per il cittadino straniero, determinata dalle scelte di politica dell'immigrazione operate tanto sul piano legislativo, quanto su quello amministrativo.

L'esistenza di disposizioni legislative inadeguate o un'applicazione distorta di quelle adeguate puo' ledere gravemente il patrimonio di diritti del cittadino straniero, pregiudicandone irrimediabilmente l'inserimento sociale. Il conseguente crearsi di una condizione di subalternita' su base puramente etnica contribuisce poi a cronicizzare tali lesioni e a generare tensioni sociali nelle fasce piu' deboli della societa'.

Il Laboratorio si proponeva di esaminare la condizione degli immigrati in Italia alla luce di queste premesse, tentando di fornire ai partecipanti elementi utili per analizzare la legislazione vigente in Italia, valutare l'applicazione che del quadro legislativo e' stata fatta negli ultimi anni, esaminare il dibattito politico in corso ed elaborare idee per una piu' adeguata politica dell'immigrazione. Nel seguito vengono esposti alcuni di questi elementi.

 

La legislazione vigente

Il quadro normativo riguardante la condizione dello straniero extracomunitario in Italia e' costituito, a grandi linee, da due leggi, la n.943 del 1986 e la n.39 del 1990, frutto della crescente attenzione riservata dall'opinione pubblica e dal mondo politico a un fenomeno - quello dell'immigrazione - rapidamente evolutosi nel corso degli anni '80.

La legge 943 affronta il problema della condizione del lavoratore subordinato e sancisce il principio dell'eguaglianza di diritti tra lavoratore straniero e lavoratore italiano. In essa sono definite le modalita' di accesso al lavoro per l'immigrato: l'istituzione di liste speciali di collocamento; il rilascio dell'autorizzazione al lavoro, previo accertamento di indisponibilita' di lavoratori iscritti alle liste di collocamento ordinarie; la possibilita' di iscrizione alle liste di collocamento ordinarie anche per l'immigrato, trascorsi due anni dal primo avviamento al lavoro o in caso di licenziamento individuale. Viene anche sancito il diritto di ricongiungimento con i familiari piu' prossimi - coniuge, figli minori, genitori a carico - per il lavoratore immigrato, regolarmente occupato, che possa assicurare loro alloggio e adeguate condizioni di vita; coniugi e figli ricongiunti in eta' lavorativa possono accedere al lavoro dopo un anno di regolare soggiorno in Italia. Da ultimo, prendendo atto di un diffuso fenomeno di soggiorno e lavoro illegale, la legge stabilisce limiti e modalita' di un provvedimento di sanatoria, consentendo una tantum l'emersione dalla condizione di irregolarita'.

La legge 39 - nota come Legge Martelli - tenta di dare un piu' ampio inquadramento del fenomeno, prendendo in esame anche aspetti trascurati dalla legge precedente. Si pone cosi', nelle intenzioni del Legislatore, come legge di riferimento per l'impostazione di una vera e propria politica dell'immigrazione, resa indispensabile in Italia dalla mutata situazione internazionale (la dissoluzione del Blocco dell'Est, la progressiva restrizione nelle politiche migratorie dei partners europei, etc.) e dall'osservazione di fatti (l'uccisione di Jerry Masslo a Villa Literno e il caso Pantanella a Roma) che mettono in luce le preoccupanti condizioni di precariato in cui versa il fenomeno in Italia. Viene cosi' rimossa la limitazione geografica che di fatto consentiva la concessione dello status di rifugiato solo agli stranieri perseguitati da regimi comunisti; si rafforza lo strumento del visto di ingresso quale mezzo di controllo dei movimenti migratori; si introducono norme relative ai provvedimenti di respingimento alla frontiera e di espulsione dal territorio dello Stato, ma viene allo stesso tempo regolamentata la possibilita' di ricorso giurisdizionale, da parte dello straniero, contro questi provvedimenti; e' sancito il diritto di iscrizione anagrafica per lo straniero regolarmente residente; si definiscono, seppure in modo piuttosto impreciso, le possibilita' di utilizzo e le modalita' di rinnovo del permesso di soggiorno; si riconosce la figura del lavoratore autonomo e il diritto, per l'immigrato, di costituire societa' cooperative o di farne parte. Evidenziando poi come, per poter definire il quadro di diritti e di doveri dell'immigrato, sia indispensabile che la sua presenza sia conosciuta e riconosciuta dallo Stato, si stabilisce un ulteriore provvedimento di sanatoria delle situazioni di irregolarita' venutesi a creare entro la fine del 1989, e si istituisce un canale permanente di accesso regolare al lavoro, prevedendo l'emanazione, alla fine di ogni anno, di un decreto governativo per la determinazione dei flussi di immigrazione per l'anno seguente. Si dispone quindi di uno strumento legislativo potenzialmente in grado di individuare, anno per anno, un punto di incontro equilibrato tra la domanda di inserimento lavorativo e l'effettiva ricettivita' del mercato del lavoro nazionale.

 

L'applicazione del quadro legislativo

Tra gli elementi da valutare nella determinazione dei flussi, la legge 39 annovera il numero delle richieste dei permessi di soggiorno per lavoro avanzate da stranieri gia' presenti in Italia con permesso ad altro titolo. Si riconosce, cioe', come l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, quand'anche avvenga al di fuori di una rigida programmazione, debba essere considerato positivamente, in quanto esso facilita, piuttosto che intralciare, il confronto tra immigrazione e mercato del lavoro. Rientra, quindi, nello spirito della legge il tener conto di quanti, avendo trovato possibilita' di inserimento lavorativo, aspirano alla regolarizzazione della propria posizione, e il subordinare al soddisfacimento di tali richieste l'autorizzazione di ulteriori flussi in ingresso.

I decreti sui flussi per questi quattro anni di applicazione della Martelli hanno invece limitato, in sostanza, al meccanismo della chiamata nominativa le possibilita' di accesso regolare al lavoro per gli stranieri extracomunitari. La chiamata nominativa, riguardando a rigore lavoratori residenti all'estero, vede, di fatto, limitata la propria efficacia alle attivita' lavorative del settore dell'industria medio-grande, ovvero a quelle ad alto contenuto tecnico, per le quali l'incontro tra domanda e offerta puo' prescindere dall'instaurarsi di un rapporto fiduciale tra lavoratore e datore di lavoro. Tali attivita' non coprono che una parte, in molte regioni italiane invero trascurabile, delle reali possibilita' di impiego di mano d'opera immigrata.

L'esistenza di queste possibilita', unitamente all'improponibilita' di un'effettiva chiusura delle frontiere, ha fatto si' che il processo di immigrazione-inserimento continuasse senza flessioni, ma anche, almeno in una prima fase, senza conseguenze traumatiche sul mercato del lavoro.

Le limitazioni imposte dal decreto sui flussi hanno cosi' relegato in condizioni di irregolarita' un gran numero di immigrati, entrati formalmente per motivi di turismo e trattenutisi in Italia una volta trovato inserimento nel mondo del lavoro sommerso.

Con l'eccezione di coloro che, alle dipendenze di datori di lavoro scrupolosi, hanno potuto trovare regolarizzazione, seppure in modo improprio, intraprendendo l'inutilmente complesso iter burocratico della chiamata nominativa (che richiede un temporaneo ritorno del lavoratore nel paese d'origine), questi lavoratori, pur contribuendo allo sviluppo economico del paese, restano totalmente esposti allo sfruttamento e privi delle piu' elementari forme di protezione.

Il fenomeno assume connotazioni ancora piu' preoccupanti laddove l'assorbimento di mano d'opera e' affidato ad attivita' di lavoro stagionale, dal momento che le condizioni di irregolarita' frenano la mobilita' territoriale dei lavoratori e per lunghi periodi congelano forza lavoro in condizioni di scarsa produttivita' e di esposizione alla contaminazione criminale.

E' evidente come l'incancrenirsi di situazioni di irregolarita', in un contesto di inattuabilita' e inaccettabilita' di qualunque provvedimento generalizzato di espulsione, renda in pratica irrealizzabile la tutela di diritti fondamentali della persona in fatto di condizioni di lavoro, salute e integrita' del nucleo familiare; tutela che non puo' essere subordinata alla regolarita' della posizione a riguardo del soggiorno.

Va tenuto nella debita considerazione, poi, il fatto che il mancato rispetto dei minimi salariali e delle disposizioni in materia fiscale e contributiva, oltre a costituire un danno economico palese per il lavoratore e per lo Stato, finisce per rappresentare un fattore di concorrenza sleale ai danni dei lavoratori regolari, italiani o stranieri che siano.

Accanto al fenomeno dell'immigrazione irregolare per motivi di lavoro e' cresciuto in questi anni anche quello dell'immigrazione irregolare per motivi di famiglia. Molti cittadini stranieri, familiari di immigrati regolari, aventi percio' diritto per legge al ricongiungimento familiare, hanno proceduto a tale ricongiungimento sottraendosi, talvolta per mancanza di informazione, talvolta per la comprensibile esigenza di abbreviare tempi altrimenti irragionevolmente lunghi, alle procedure regolari. Sebbene il fenomeno risulti di portata numerica inferiore a quello precedentemente descritto, la sua rilevanza non puo' essere trascurata in considerazione della delicatissima situazione in cui vengono cosi' a trovarsi molti nuclei familiari, con particolare riferimento al problema della maternita' e della tutela dei minori.

 

Il dibattito politico

I lavori della passata legislatura sono stati segnati, per quanto riguarda il problema dell'immigrazione, da un vivacissimo contrasto tra Parlamento e Governo, al quale hanno preso parte, dall'esterno, anche molte delle associazioni di volontariato e delle forze sociali impegnate nel settore. Argomento del contendere e' stato un emendamento presentato da parlamentari di diversi partiti in sede di conversione in legge di decreti emanati dal Governo. L'emendamento - sostenuto da gran parte del mondo del volontariato e dalla CGIL, e in parte avversato da CISL e UIL - prevedeva la regolarizzazione del soggiorno per quegli immigrati extracomunitari che fossero in grado di dimostrare l'avvenuto inserimento nel mercato del lavoro (non quindi una sanatoria generalizzata), e l'istituzione di un permesso di soggiorno per lavori a carattere stagionale, dotato di opportune caratteristiche (validita' per un periodo di sei mesi, diritto al reingresso in Italia per l'anno successivo, possibilita' di trasformazione in permesso di lunga durata in presenza di un'offerta di lavoro a tempo indeterminato). Entrambi i rami del Parlamento hanno manifestato consenso intorno a provvedimenti siffatti, la Camera con l'approvazione in aula, il Senato con l'approvazione in Commissione Lavoro. Per evitare che tale consenso desse luogo ad un'approvazione definitiva e completa, il Governo ha adottato tutti i mezzi che procedura e prassi mettono a sua disposizione, fino ad arrivare alla posizione della questione di fiducia.

Ai tentativi del Parlamento di intervenire sul piano legislativo secondo le linee ora tracciate il Governo ha poi risposto con l'emanazione di un decreto-legge, il n.200 del 1993, recante norme in materia di lavoro stagionale di cittadini extracomunitari sul territorio nazionale.

Il decreto, pur contenendo alcuni aspetti ragguardevoli (il diritto di precedenza per il reingresso nell'anno successivo e la possibilita' di trasformazione del permesso stagionale in permesso di lunga durata, sotto determinate condizioni) risultava inadeguato, a giudizio di molte delle associazioni di volontariato, per le ragioni che seguono.

In primo luogo, il problema dell'immigrazione irregolare a carattere stanziale era totalmente trascurato, non essendo prevista alcuna forma di regolarizzazione del soggiorno per motivi di lavoro subordinato.

La concessione del permesso per lavoro stagionale era prevista, poi, solo nell'ambito di accordi bilaterali che il Governo avrebbe potuto stipulare con governi di paesi interessati: si introduceva cosi' una clausola verosimilmente inutile, con il solo risultato di rinviare sine die l'applicazione del provvedimento e di escludere dal circuito di regolarita' gran parte del possibile bacino di utenza (si pensi all'alta percentuale, nelle campagne del casertano e del foggiano, di immigrati provenienti da paesi dell'Africa sub-sahariana con i quali sarebbe stato assolutamente improbabile che venissero, in tempi brevi, stipulati accordi).

Destavano infine perplessita' le misure previste dal decreto in materia previdenziale, e per la dubbia compatibilita' con disposizioni di trattati internazionali e con principi costituzionali e per la scarsa coerenza con altre norme contenute nello stesso decreto (in particolare, il trasferimento obbligatorio dei contributi, a stagione ultimata, all'ente previdenziale del paese d'origine, in evidente contrasto con la possibilita' di trasformare il permesso stagionale in permesso di lunga durata per lavoro subordinato).

L'introduzione dei fattori ritardanti cui si e' accennato e la mancata conversione in legge del decreto hanno fatto si' che nessuna sostanziale modifica venisse apportata al quadro generale dell'immigrazione in Italia, che resta quindi, sotto molti aspetti, drammatico. I contenuti del decreto, opportunamente corretti nella parte concernente le questioni previdenziali, sono stati poi riproposti nella forma di un disegno di legge, la cui sorte e' pero' resa incerta dai sopravvenuti mutamenti del quadro politico italiano.

Di maggior rilievo appare invece la presentazione, anch'essa in chiusura di legislatura, ad opera di una commissione appositamente insediata dal Governo Ciampi, di una bozza di legge organica sulla condizione dello straniero in Italia. E' auspicabile che nei prossimi mesi, tale bozza sia fatta oggetto di una attenta analisi da parte del mondo politico e di quello delle forze sociali.

 

Linee per una nuova politica dell'immigrazione

Quando le condizioni economiche del paese di immigrazione rendono auspicabile l'ingresso di lavoratori immigrati, la gestione politica del fenomeno puo' essere concentrata sui soli problemi relativi all'accoglienza e all'inserimento sociale dell'immigrato. Se, pero', l'assorbimento di manodopera straniera e' reso problematico dal verificarsi di condizioni di recessione e quindi di crescente disoccupazione della forza-lavoro residente, uno degli obiettivi principali di una politica dell'immigrazione diventa quello di controllare ed eventualmente ridurre il flusso in ingresso, compatibilmente con un contenimento dei costi sociali di questa operazione entro limiti tollerabili.

Allo scopo di ridurre la spinta all'emigrazione dai paesi d'origine si tratta, evidentemente, di impostare politiche di cooperazione allo sviluppo dei paesi ad economia arretrata, di favorire i processi di democratizzazione nei paesi in cui e' diffusa la violazione di diritti umani, e di pacificazione laddove la guerra impedisce normali condizioni di vita.

E' facile pero' riconoscere come politiche di questo genere, per quanto ben condotte, difficilmente possano produrre, sul breve periodo, significative alterazioni degli standard di vita nei paesi di emigrazione. Pur conservando intatto il suo valore in un'ottica di lungo periodo, l'azione politica sul versante del miglioramento delle condizioni di tali paesi risulta quindi del tutto inefficace ai fini di un ridimensionamento dei flussi da operarsi, in conseguenza di una crisi congiunturale, nel giro di pochi anni o addirittura di mesi. Si rende allora necessaria l'individuazione di ulteriori meccanismi di controllo.

Una strategia per la determinazione dei flussi che sia principalmente fondata sul controllo delle frontiere e sulla repressione delle forme di immigrazione irregolare e' destinata al fallimento.

In primo luogo, infatti, se anche fosse possibile contrastare efficacemente gli ingressi clandestini, ben poco si potrebbe fare per prevenire la permanenza irregolare di immigrati, in prosecuzione di un periodo di soggiorno regolare per motivi (formali) di turismo. Si pensi che, in un paese come l'Italia, questo richiederebbe la capacita' di individuare, ogni anno, alcune decine di migliaia di potenziali immigrati irregolari tra parecchi milioni di effettivi turisti: l'intensificazione dei controlli rischierebbe di compromettere, prima ancora che i progetti di immigrazione irregolare, l'immagine turistica del Paese.

In secondo luogo, non sembra praticabile la prospettiva di un inasprimento delle sanzioni che funga da fattore deterrente contro l'immigrazione irregolare. Qualunque forma di accanimento, da parte di societa' a sviluppo avanzato, nei confronti di chi e' mosso in primo luogo dal bisogno economico o dalla necessita' di mettere in salvo la propria vita risulta infatti inaccettabile, a meno di favorire la diffusione di elementi di imbarbarimento le cui conseguenze sociali sono ben piu' gravi del problema che si cerca di risolvere. Nell'ipotesi, invece, di contenere entro limiti accettabili l'entita' delle sanzioni, non si vede, data la grande diffusione del fenomeno, come si possa pensare ad una applicazione di esse di carattere non meramente simbolico.

La politica di controllo dei flussi puo' essere invece efficacemente realizzata attivando meccanismi di autoregolazione. E' possibile, cioe', creare le condizioni perche' sia l'immigrato stesso a scegliere la via regolare, sulla base dei vantaggi che gliene derivano, piuttosto che nel timore di improbabili svantaggi legati alla repressione dell'irregolarita'. E' necessario, a questo scopo, che la via regolare costituisca il percorso decisamente piu' efficace per l'inserimento lavorativo e che, al contempo, sia caratterizzata da forme concrete e visibili di accoglienza e da una rapida progressione dei diritti dell'immigrato, che ne favorisca l'integrazione sociale.

Perche' questo si verifichi, il meccanismo di accesso al lavoro regolare deve consentire l'incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro, laddove questo si renda necessario. Si tratta quindi di sancire la regolarita' della fase di ricerca del lavoro, piuttosto che imporre, come condizione necessaria per l'ingresso dell'immigrato, l'accertata disponibilita' di una precisa occupazione. Si evita cosi' che tale fase possa essere vissuta solo in un ambito di immigrazione irregolare.

In secondo luogo, il canale regolare deve essere opportunamente dimensionato allo scopo di privare di qualunque forma di incentivazione il canale irregolare. E' infatti proprio la politica di chiusura accentuata del canale regolare a provocare la mancata saturazione del mercato del lavoro e a lasciare una rilevante disponibilita' di posti di lavoro all'immigrazione irregolare. E' necessario allora che il numero di ingressi consentito per motivi di lavoro non risulti sensibilmente inferiore al numero complessivo di posti disponibili. Considerando, poi, la difficolta' insita in un censimento dettagliato di disponibilita' associate, come detto, per lo piu' ad attivita' lavorative di carattere interstiziale, si riconosce come la determinazione di tale numero debba essere effettuata periodicamente sulla base di stime complessive del fabbisogno di manodopera immigrata. La programmazione annuale dovrebbe allora fondarsi sulla valutazione di tutti gli elementi in grado di determinare questo fabbisogno: necessita' del mercato, andamento del collocamento, flussi recenti di immigrazione ad altro titolo (principalmente asilo e ricongiungimento familiare), che, non risultando per ragioni umanitarie programmabili, danno luogo tuttavia a ulteriore offerta di manodopera. E' fondamentale, in ogni caso, evitare che una valutazione eccessivamente prudenziale lasci di fatto scoperta una considerevole porzione della richiesta di manodopera, facendo si' che la residua possibilita' di occupazione eserciti un potente fattore di richiamo capace di rialzare le quotazioni dell'immigrazione irregolare.

Una volta determinata la quota di immigrazione ammessa per lavoro, l'ingresso degli immigrati dovrebbe essere consentito, fino a raggiungimento di tale quota, con riferimento ad apposite liste di prenotazione allestite presso le sedi consolari.

Non e' tuttavia sufficiente ad impedire la crescita di una sacca di irregolarita' che il flusso regolare sia potenzialmente in grado di saturare le richieste del mercato del lavoro. E' anche necessario che sia scongiurata l'eventualita' che sia proprio la costituzione del rapporto di lavoro a far scivolare l'immigrato nella condizione irregolare; eventualita', questa, tutt'altro che remota, per il vantaggio che ne ottiene il datore di lavoro. Un tale scivolamento contribuisce infatti a produrre quelle condizioni che richiedono il ricorso alla sanatoria e a riportare la situazione a quella, negativa, esaminata in precedenza.

Data la facilita' con cui rapporti di lavoro scarsamente localizzabili possono sfuggire al controllo dello Stato, e' indispensabile dare al lavoratore facolta' di sottrarsi al ricatto cui lo espone la propria condizione di debolezza. Il modo piu' adeguato e' rappresentato dal rendere l'autocertificazione dello svolgimento di un'attivita' lavorativa requisito sufficiente per il rinnovo del permesso di soggiorno (salva, naturalmente, la revoca di questo in caso di accertata mendacia della dichiarazione). E', cosi', il traguardo di una condizione stabile a indurre l'immigrato a non accettare supinamente l'irregolarita' del lavoro, e la possibilita', quindi, che questa emerga inopinatamente a dissuadere il datore di lavoro dall'avvalersene.

Si tratta cioe' di assicurare all'immigrato la forza della regolarita', laddove si sospetti l'esistenza di una condizione di sfruttamento.

Le possibilita' di successo di questa politica sono in larga parte associate al buon funzionamento della fase di ricerca del lavoro nel consentire un'adeguata risposta alla domanda di lavoro presentata dal mercato. Un notevole incremento dell'efficacia di tale fase puo' essere ottenuto con l'istituzione di una sorta di agenzia per l'immigrazione, atta a creare un raccordo tra il flusso migratorio e il mercato del lavoro.

E' utile, infine, sottolineare come una politica quale quella delineata, fondata sull'osservazione che e' la costituzione di un bacino di irregolarita' a contrastare qualunque tentativo di controllo e di ridimensionamento dei flussi, non possa essere avviata in presenza di un simile bacino. Il meccanismo atto a scongiurare la transizione all'irregolarita' dell'immigrato regolare, garantendogli una posizione "forte" nei confronti di un datore di lavoro comunque interessato alla costituzione di un rapporto di lavoro, risulterebbe inceppato dalla maggior convenienza, per il datore di lavoro, di un ricorso a manodopera irregolare, in posizione "debole". L'immigrato regolare finirebbe cosi', con alta probabilita', col confluire nel bacino irregolare, ovvero con l'essere sconfitto dalla concorrenza irregolare, contribuendo entrambe le circostanze al fallimento dell'intera strategia. E' necessario allora procedere, nel modo piu' efficace, a un preventivo svuotamento della sacca di irregolarita', consentendo la regolarizzazione degli irregolari in grado di dimostrare l'esistenza di un rapporto di lavoro, e l'accesso ad un permesso di soggiorno temporaneo per lavoro stagionale a coloro che tale dimostrazione non possano produrre. In ciascuno dei due casi deve essere massimamente agevolata e incentivata l'emersione dall'irregolarita'; non sembrano quindi opportune misure che pongano, come condizione per l'ingresso in un circuito regolare, un previo rientro nel paese di origine non altrimenti incentivato.