(Sergio Briguglio 9/2/1994)

 

CONSIDERAZIONI SULLA POLITICA DELL'IMMIGRAZIONE IN ITALIA

 

Uno dei principali obiettivi della legge Martelli e' quello di porre sotto il controllo dello Stato l'immigrazione nella sua totalita', e di evitare cosi' la formazione di un'area di irregolarita'. A questo scopo, oltre a stabilire un provvedimento di sanatoria delle situazioni di irregolarita' pregresse, essa prevede l'emanazione di un decreto governativo annuale (il cosiddetto decreto sui flussi) per la definizione dei criteri di ammissione dei lavoratori immigrati e delle misure atte al loro inserimento sociale. Si dispone quindi di uno strumento legislativo potenzialmente in grado di individuare, anno per anno, un punto di incontro equilibrato tra la domanda di inserimento lavorativo e l'effettiva ricettivita' del nostro mercato del lavoro.

Tra gli elementi da valutare nel determinare i flussi per l'anno seguente, la legge Martelli annovera, al quarto comma dell'articolo 2, il numero delle richieste dei permessi di soggiorno per lavoro avanzate da stranieri gia' presenti in Italia con permesso ad altro titolo. Si riconosce, cioe', come l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, quand'anche avvenga al di fuori di una rigida programmazione, debba essere considerato positivamente, in quanto esso facilita, piuttosto che intralciare, il confronto tra immigrazione e mercato del lavoro. Rientra, quindi, nello spirito della legge il tener conto di quanti, avendo trovato possibilita' di inserimento lavorativo, aspirano alla regolarizzazione della propria posizione, e il subordinare al soddisfacimento di tali richieste l'autorizzazione di ulteriori flussi in ingresso.

I decreti sui flussi per i primi quattro anni di applicazione della Martelli hanno invece limitato, in sostanza, al meccanismo della chiamata nominativa le possibilita' di accesso regolare al lavoro per gli stranieri extracomunitari. La chiamata nominativa, riguardando a rigore lavoratori residenti all'estero, vede, di fatto, limitata la propria efficacia alle attivita' lavorative del settore dell'industria medio-grande, ovvero a quelle ad alto contenuto tecnico, per le quali l'incontro tra domanda e offerta puo' prescindere dall'instaurarsi di un rapporto fiduciale tra lavoratore e datore di lavoro. Tali attivita' non coprono che una parte, in molte regioni italiane invero trascurabile, delle reali possibilita' di impiego di manodopera immigrata.

Le limitazioni imposte dal decreto sui flussi hanno cosi' relegato in condizioni di irregolarita' un gran numero di immigrati, entrati formalmente per motivi di turismo e trattenutisi in Italia una volta trovato inserimento nel mondo del lavoro sommerso.

Con l'eccezione di coloro che, alle dipendenze di datori di lavoro scrupolosi, hanno potuto trovare regolarizzazione intraprendendo l'inutilmente complesso iter burocratico della chiamata nominativa (che richiede un temporaneo ritorno del lavoratore nel paese d'origine), questi lavoratori, pur contribuendo allo sviluppo economico del paese, restano totalmente esposti allo sfruttamento e privi delle piu' elementari forme di protezione.

Il fenomeno assume connotazioni ancora piu' preoccupanti laddove l'assorbimento di manodopera e' affidato ad attivita' di lavoro stagionale, dal momento che le condizioni di irregolarita' frenano la mobilita' territoriale dei lavoratori, ne scoraggiano il rientro in patria a stagione conclusa e per lunghi periodi congelano forza lavoro in condizioni di scarsa produttivita' e di esposizione alla contaminazione criminale.

E' evidente come l'incancrenirsi di situazioni di irregolarita', in un contesto di inattuabilita' e inaccettabilita' di qualunque provvedimento generalizzato di espulsione, renda in pratica irrealizzabile la tutela di diritti fondamentali della persona in fatto di condizioni di lavoro, salute e integrita' del nucleo familiare; tutela che non puo' essere subordinata alla regolarita' della posizione a riguardo del soggiorno.

Va tenuto nella debita considerazione, poi, il fatto che il mancato rispetto dei minimi salariali e delle disposizioni in materia fiscale e contributiva, oltre a costituire un danno economico palese per il lavoratore e per lo Stato, finisce per rappresentare un fattore di concorrenza sleale ai danni dei lavoratori regolari, italiani o stranieri che siano.

Da quanto detto risulta evidente come una revisione della politica italiana dell'immigrazione debba essere caratterizzata da due punti qualificanti: l'individuazione di meccanismi che favoriscano un adeguato incontro tra domanda e offerta di lavoro e l'adozione di provvedimenti legislativi o amministrativi che, consentendo la regolarizzazione degli immigrati irregolari inseriti nel mercato del lavoro, contribuisca efficacemente allo svuotamento di quel bacino di irregolarita' concorrenziale capace, da solo, di vanificare qualunque forma di programmazione dell'inserimento regolare.

Nel corso del 1993 ha avuto luogo un vivace dibattito politico, che ha visto su posizioni contrapposte Governo e Parlamento, riguardo ad alcune proposte legislative, strettamente correlate a questi punti, concernenti la regolamentazione del lavoro stagionale e, appunto, la possibilita' di regolarizzazione di lavoratori immigrati irregolari. I contrasti evidenziatisi, unitamente al clima politico che ha condotto allo scioglimento anticipato delle camere, hanno impedito che tali proposte giungessero a compimento. Regolarizzazione e revisione dei meccanismi di accesso al lavoro regolare (tanto per l'immigrazione stagionale, quanto per quella stanziale) conservano quindi inalterato il carattere di urgenza e meritano una considerazione approfondita.

 

Regolarizzazione

Provvedimenti atti a produrre l'emersione dalle condizioni di irregolarita', oltre a costituire una giusta risposta ad esigenze di carattere fondamentale del lavoratore immigrato, si muoverebbero sulla linea di un piu' efficace governo del fenomeno. La concessione di un permesso di soggiorno consegna infatti all'immigrato un patrimonio di diritti la cui conservazione e' strettamente associata al perdurare dell'inserimento nel mondo del lavoro e all'osservanza di un preciso quadro di doveri. Costituisce quindi un efficace deterrente, ove ve ne sia bisogno, contro il ricorso a scorciatoie prive di qualsiasi rilevanza per l'economia nazionale o, peggio, estranee ad un ambito di legalita'.

Conviene rilevare come, contrariamente a quanto si teme da piu' parti, l'effetto di richiamo indotto da un provvedimento di regolarizzazione ha dimensioni trascurabili se riferito al dato complessivo sull'immigrazione in Italia.

A sostegno di questa tesi possono essere considerati i dati forniti dal Centro Accoglienza Stranieri della Caritas di Roma, che, non avendo vincoli giuridici che lo costringano a discriminare tra immigrati regolari e irregolari, ha a disposizione un campione sufficientemente rappresentativo dell'effettiva situazione italiana. L'afflusso di nuovi utenti per gli anni '89-'92 (prima, durante e dopo l'ultima sanatoria) si e' mantenuto pressocche' costante, con fluttuazioni modeste e comunque non correlate alle scadenze legislative: si sono registrate, infatti, approssimativamente 9.200 presenze nel 1989, 10.400 nel '90, 9.000 nel '91, 11.300 nel '92.

Autocertificazione

Tenendo presente il carattere fondamentale dei diritti messi a repentaglio dal perdurare di condizioni di irregolarita', e' auspicabile che, tra le condizioni sufficienti per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, i provvedimenti in questione annoverino, accanto alla dimostrazione di disponibilita' di regolare occupazione, l'autocertificazione attestante l'esistenza di un rapporto di lavoro irregolare.

In favore di questa affermazione militano le considerazioni seguenti.

a) La limitazione alla sola disponibilita' di regolare occupazione consentirebbe la regolarizzazione di quanti lavorano alle dipendenze di datori di lavoro scrupolosi: quegli stessi, in buona sostanza, che oggi intraprendono il complesso e costoso iter della chiamata nominativa dall'estero.

Se e' innegabile che questo produrrebbe un'utile semplificazione delle attuali procedure, e' altresi' vero che resterebbero irrimediabilmente esclusi tutti coloro che dipendono da datori di lavoro disonesti o, quanto meno, poco sensibili. E' da ritenersi infatti che, essendo lasciata all'arbitrio del datore di lavoro la dimostrazione richiesta, il lavoratore irregolare non soltanto non avrebbe alcun modo di far valere le proprie ragioni, ma potrebbe addirittura ricavare un danno dal semplice avanzamento della richiesta. Il datore di lavoro potrebbe, infatti, non limitarsi a negare la propria disponibilita' all'assunzione, ma procedere al licenziamento del lavoratore, preferendogli un sostituto meno esigente. Si creerebbe cosi' una condizione di concorrenza in favore di quanti rinuncino all'emersione dall'irregolarita'.

b) Il comprendere l'autocertificazione tra le condizioni sufficienti rappresenta un'adeguata soluzione del problema. In questo caso, infatti, il lavoratore puo' esplorare l'effettiva disponibilita' all'assunzione in modo molto piu' prudente, ben sapendo che, in caso di risposta negativa, potra' comunque procedere autonomamente all'autocertificazione.

A condizione che il rilascio del permesso di soggiorno avvenga contestualmente alla presentazione dell'autocertificazione, il lavoratore puo', se lo ritiene opportuno, intraprendere una vertenza sindacale o, comunque, raccogliere elementi testimoniali a sostegno della propria autocertificazione.

Affidando, poi, il controllo della veridicita' dell'autocertificazione agli ispettorati provinciali del lavoro e alle sedi zonali dell'INPS, nell'ambito delle rispettive funzioni istituzionali, risulterebbe adeguatamente tutelata la posizione del lavoratore, giacche' esiste l'interesse, da parte di questi enti, a colpire l'evasione fiscale e contributiva che il rapporto di lavoro irregolare comporta. E' da notare che l'INPS, una volta accertata la fondatezza dell'autocertificazione, ha facolta' di procedere all'applicazione di sanzioni amministrative dotate di immediata esecutorieta' nei confronti del datore di lavoro (salvo l'esperimento, da parte di quest'ultimo, del giudizio di opposizione all'ordinanza-ingiunzione di pagamento), ai sensi dell'articolo 35 e seguenti della Legge 689/1981.

E' da aspettarsi che l'esistenza di condizioni cosi' favorevoli per il lavoratore induca molti datori di lavoro a dare la propria disponibilita' alla regolarizzazione del rapporto di lavoro, stante il rischio che un'autocertificazione di cui essi non avrebbero immediata contezza inneschi procedure che si concluderebbero con sanzioni a loro carico.

c) Disposizioni nel senso ora descritto (possibilita' di autocertificazione, rilascio contestuale del permesso di soggiorno, verifica ad opera dell'Ispettorato del Lavoro e dell'INPS) sono state adottate con successo dal Ministero dell'Interno in occasione dell'operazione di rinnovo dei permessi di soggiorno rilasciati nel corso della sanatoria del '90 (Circolari del Ministero dell'Interno del 2.12.1991 e del 8.1.1992).

d) Il permesso di soggiorno rilasciato dietro presentazione di autocertificazione verrebbe revocato, qualora le affermazioni contenute nell'autocertificazione dovessero risultare non vere, a seguito del controllo da parte degli organismi competenti.

E' da notare come, ai sensi dell'articolo 26 della Legge 15/1968, il lavoratore che produca autocertificazione non veritiera sia perseguibile penalmente.

Risulta cosi' drasticamente ridotto il rischio che lo strumento dell'autocertificazione venga utilizzato impropriamente da immigrati che non ne avrebbero titolo. La condizione di nascondimento nell'irregolarita' risulterebbe infatti preferibile ad una emersione temporanea, sostanzialmente priva di vantaggi se destinata a concludersi con la revoca del permesso e con possibili conseguenze sul piano penale.

Ancora piu' ridotto e', poi, il rischio che all'autocertificazione fraudolenta ricorrano soggetti dediti in realta' ad attivita' illegali. L'emersione dall'irregolarita' (ma in questo caso sarebbe forse piu' appropriato parlare di clandestinita') avrebbe infatti, per costoro, come unica conseguenza quella di palesarne agli uffici della Questura la presenza sul territorio nazionale, con l'individuazione di un domicilio: circostanza, questa, certamente non auspicabile per chi si dedichi ad attivita' criminose.

D'altronde, quand'anche soggetti del genere ottenessero un permesso di soggiorno, non verrebbe minimamente alterata la possibilita' per lo Stato di garantire la propria sicurezza e il proprio ordine, dovendosi considerare la semplice irregolarita' riguardo al soggiorno come la piu' debole (e, in questo caso, la meno significativa) tra le condizioni per l'espulsione. In altri termini, ove ricorrano le circostanze che richiedono l'applicazione del quinto comma dell'articolo 7 della Legge 39/1990 sull'espulsione dello straniero con accompagnamento alla frontiera, il fatto che questi sia o meno titolare di un permesso di soggiorno e' del tutto irrilevante.

Compatibilita' con le politiche comunitarie

Si afferma da piu' parti che l'adozione di misure intese a consentire la regolarizzazione di immigrati irregolarmente presenti sul territorio italiano contrasterebbe con gli impegni che l'Italia potrebbe, a breve, assumere nei confronti degli altri partners della Comunita' Europea con l'eventuale ratifica dell'Accordo di Schengen. Si sostiene infatti che l'effetto combinato della libera circolazione intra-europea, che l'Accordo e la relativa Convenzione di Applicazione mirano a realizzare, e di una regolarizzazione di immigrati sottratta ad una preventiva programmazione permetterebbe flussi indesiderati di lavoratori extracomunitari verso paesi gia' caratterizzati da alta densita' di popolazione immigrata.

E' possibile confutare questa tesi considerando che, per quanto concerne i cittadini extracomunitari, la suddetta Convenzione di Applicazione prevede che la libera circolazione sia limitata a periodi di durata non superiore a tre mesi. Non si tratta quindi di una liberalizzazione delle migrazioni per lavoro interne ai territori della Comunita', non essendo di per se' legittimato lo stabilimento del lavoratore extracomunitario in un paese della Comunita' diverso da quello nel quale gli e' stato rilasciato il titolo di soggiorno.

Ne segue che il fatto di riportare lavoratori extracomunitari in condizioni di regolarita' rispetto al soggiorno in Italia non incide minimamente sui tassi di immigrazione dei partners europei: laddove i lavoratori in questione tentassero di stabilire la propria attivita' lavorativa in altro paese della Comunita', potrebbero a buon diritto essere espulsi non dissimilmente dal caso di lavoratori originariamente irregolari.

Sempre in riferimento al quadro delle politiche comunitarie potrebbe essere sollevato, in linea di principio, un problema di carattere piu' generale: il fatto, cioe', che un provvedimento di regolarizzazione contrasti con obiettivi e principi fondamentali del Trattato CEE. Se cosi' fosse, pur essendo considerati, a tutt'oggi, di competenza degli stati membri i settori concernenti accesso, soggiorno e occupazione dei lavoratori extracomunitari (v. risoluzione del Consiglio, giugno 1985, in Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee, 26 luglio 1985, n.C 186), il Consiglio sarebbe legittimato, dall'articolo 100 del Trattato ad adottare direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni vigenti in materia negli stati membri. Potrebbe emergere, cosi', un imbarazzante contrasto tra l'indirizzo comunitario e quello assunto dal Legislatore italiano.

Sembrano rilevanti, in proposito,

- il principio della libera circolazione delle persone;

- il principio della libera circolazione dei lavoratori comunitari;

- l'obiettivo della tutela dell'occupazione dei lavoratori comunitari.

Riguardo al primo di questi punti valgono le considerazioni svolte a proposito dell'Accordo di Schengen, confortate dall'affermazione, contenuta nel rapporto della Commissione sull'atttuazione del mercato interno (23 novembre 1990) secondo la quale "il beneficio concesso ad un cittadino extracomunitario di potersi muovere liberamente tra stati membri non comporta alcun diritto di residenza o lavoro nell'ambito della Comunita', perfino per quei cittadini extracomunitari cui e' stato riconosciuto tale diritto in un particolare stato membro".

Riguardo ai punti successivi sembra evidente come tanto l'occupazione quanto la libera circolazione dei lavoratori comunitari possano risultare danneggiate dalle condizioni di concorrenza sleale ai danni del lavoratore regolare che accompagnano il formarsi ed il persistere di aree di occupazione irregolare. Disposizioni che mirino al rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne rispetto all'immigrazione clandestina possono parzialmente contrastare la tendenza all'accrescimento di tali aree, ma non danno, di per se', un contributo al loro risanamento. Provvedimenti che favoriscano la regolarizzazione delle situazioni di lavoro nero incidono invece direttamente sul fenomeno e, lungi dal porsi in contrasto con i principi del Trattato CEE, sono quindi auspicabili nella prospettiva di una sua piena attuazione. Essi appaiono, anzi, come l'unica via percorribile laddove (ed e' il caso italiano) provvedimenti di espulsione di dimensioni proporzionate al bacino di irregolarita' risultino improponibili.

 

Lavoro stagionale

L'introduzione di una normativa sul lavoro stagionale e' motivata da due principali obiettivi:

a) favorire la mobilita' degli immigrati da paesi vicini per i quali risulti economicamente vantaggioso un soggiorno temporaneo in Italia, evitando cosi' un dannoso prolungamento della permanenza, nei periodi di scarsa attivita' lavorativa, in regioni spesso tormentate dal fenomeno della criminalita' organizzata;

b) costituire, in congiunzione con la programmazione annuale dei flussi, un ulteriore canale di emersione dall'irregolarita'.

A riguardo di quest'ultimo obiettivo, e' necessario quindi che si preveda la possibilita' di indirizzare al lavoro stagionale lavoratori irregolarmente presenti in Italia e attualmente privi di occupazione, oltreche', naturalmente, i lavoratori in regola con le norme sul soggiorno e tuttora iscritti alle liste di collocamento.

E' bene comunque sottolineare come l'ipotesi di limitare un provvedimento legislativo alla definizione di disposizioni sul lavoro stagionale darebbe luogo ad una risposta solo parzialmente adeguata al problema dell'irregolarita'. Riguarderebbe, infatti, efficacemente solo i lavoratori provenienti dall'Africa Settentrionale, dal Vicino Oriente e dall'Europa dell'Est, per i quali il ritorno in patria a stagione conclusa comporta una spesa accettabile. Con riferimento al campione esaminato dalla Caritas di Roma, il numero complessivo di immigrati provenienti da queste tre aree (da considerarsi certamente in eccesso rispetto a quello degli effettivi lavoratori stagionali) ammonta al 39% del totale per il '90, al 33% per il '91, al 34% per il '92.

Circa il primo obiettivo, e' opportuno che il permesso di soggiorno per lavoro stagionale si configuri in modo chiaramente distinto da quello per lavoro subordinato a carattere continuativo, e che abbia, d'altra parte, durata sufficientemente lunga (ad esempio: sei mesi), in modo da risultare economicamente vantaggioso per il lavoratore, a fronte delle spese da sostenere per il viaggio di ritorno nel paese d'origine.

E' utile che si faccia valere un diritto di precedenza, in fase di concessione dei permessi, per chi e' reduce da precedenti esperienze di lavoro stagionale in Italia.

Tale diritto, infatti, se opportunamente condizionato al rispetto delle norme sul soggiorno, puo' costituire il fattore di incentivazione della regolarita' di cui si e' detto in precedenza.

Sembra importante, infine, allo scopo di favorire ulteriormente l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevedere la possibilita' per il lavoratore stagionale di ottenere, in presenza di un'offerta di lavoro regolare, l'usuale permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.

 

L'emendamento 9-ter e il disegno di legge sul lavoro stagionale

Le istanze fin qui discusse avrebbero trovato adeguata risposta nelle disposizioni contenute nell'emendamento (art.9-ter) apportato dalla Camera al decreto-legge in sostegno dell'occupazione, emendamento in seguito approvato in forma lievemente modificata anche dalla Commissione Lavoro del Senato.

Obiettivo principale dell'emendamento era infatti quello di favorire al massimo grado l'emersione dalle condizioni di irregolarita' dei cittadini stranieri extracomunitari di fatto inseriti nel mercato del lavoro, allo scopo di evitare lo sfruttamento di tali lavoratori e di impedire il mantenimento di condizioni di concorrenza sleale ai danni dei lavoratori regolari. L'emendamento prevedeva cosi' la possibilita' di regolarizzazione con rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato della durata di due anni per quanti dimostrassero la disponibilita' di un'offerta di lavoro, come pure per coloro che fossero in grado di autocertificare lo svolgimento di attivita' di lavoro subordinato. Era previsto anche che quanti, avanzando richiesta di regolarizzazione, non rientrassero nelle categorie per le quali e' contemplato il rilascio di un permesso di lunga durata, potessero tuttavia ottenere un permesso di soggiorno temporaneo per lavori a carattere stagionale della durata di sei mesi. Le modalita' di assegnazione e le caratteristiche di tale permesso, previsto dalla legge 39/1990, erano definite dall'emendamento in modo tale da dare al Governo anno per anno, in sede di programmazione dei flussi, uno strumento efficace per combattere la stagnazione delle sacche di irregolarita'.

Inadeguato appare invece il disegno di legge recante "Norme in materia di lavoro stagionale dei cittadini extracomunitari sul territorio nazionale", che riprende, con modificazioni, i contenuti del decaduto decreto-legge 22 giugno 1993, n.200.

Tale disegno di legge trascura infatti completamente il problema dell'immigrazione irregolare a carattere stanziale, non consentendo alcuna possibilita' di regolarizzazione del soggiorno per motivi di lavoro subordinato. Quanto all'immigrazione irregolare a carattere stagionale, poi, e' stata eliminata, nel passaggio dal testo del decreto n.200 a quello del disegno di legge, la previsione di un diritto di precedenza per i lavoratori stagionali, irregolarmente presenti sul territorio italiano, che avessero fatto ritorno in patria entro il 30 ottobre 1993. Tale previsione, pur risultando, per ragioni tecniche, di improbabile attuazione, avrebbe testimoniato, quanto meno, l'esistenza di una qualche attenzione al problema dell'irregolarita'.

La concessione del permesso per lavoro stagionale e' prevista, infine, dal disegno di legge, solo nell'ambito di accordi bilaterali che il Governo e' autorizzato a stipulare con governi di paesi interessati: si introduce cosi' una clausola inutile, con il risultato di rinviare sine die l'applicazione del provvedimento e di escludere dal circuito di regolarita' buona parte del possibile bacino di utenza (si pensi agli immigrati provenienti da paesi caratterizzati da forte instabilita' politica, con i quali e' assolutamente improbabile che vengano, in tempi brevi, stipulati accordi).

 

Accesso regolare al lavoro: il permesso per ricerca di lavoro e l'agenzia per l'immigrazione

Si e' detto in precedenza come una revisione dei meccanismi di accesso regolare al lavoro debba favorire l'incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro. Non sembra sufficiente, a questo scopo, l'ipotesi di dare attuazione al dettato della legge n.943 del 1986, riguardo all'istituzione di liste di collocamento speciali, per lavoratori extracomunitari, presso le sedi consolari. Infatti, se e' innegabile che l'esistenza di tali liste consentirebbe di stabilire dei criteri oggettivi di precedenza per l'ingresso in Italia, e' pur vero che scarsi sarebbero i benefici rispetto al problema dell'incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro. L'esperimento di un simile meccanismo potrebbe invece essere dotato di reale efficacia qualora si riconoscesse contemporaneamente la legittimita' dell'ingresso in Italia per la ricerca di lavoro.

L'istituzione di un permesso per motivi di ricerca di lavoro subordinato porrebbe le basi per una regolamentazione di questa fase del processo migratorio che consenta di renderla compatibile con la politica di programmazione dei flussi.

Superando il principio rigido di corrispondenza biunivoca tra individuazione del posto di lavoro ed ingresso dell'immigrato, alla base del meccanismo della chiamata nominativa dall'estero, l'ammissione sul territorio nazionale per ricerca di lavoro apporterebbe alla soluzione del difficile problema del combaciamento tra richiesta e disponibilita' di manodopera il contributo determinante della partecipazione attiva dell'immigrato stesso. Allo stesso tempo, pero', dando luogo ad una forma di immigrazione precaria, renderebbe necessaria l'adozione di misure atte ad impedire che anche questo meccanismo finisca per generare irregolarita'.

Possono essere distinte tre fasi rispetto alle quali la gestione di questo processo dovrebbe trovare precise determinazioni legislative: la programmazione degli ingressi, il sostegno alla ricerca del lavoro, la conclusione di tale ricerca.

Per quanto riguarda la programmazione degli ingressi, e' necessario che il dimensionamento dei flussi sia strettamente correlato ad indicatori oggettivi della disponibilita' di opportunita' di lavoro non saturate dai lavoratori gia' presenti sul territorio nazionale, quali, ad esempio, il numero di richieste di manodopera rimaste inevase presso gli uffici di collocamento nel corso dei dodici mesi precedenti la data di programmazione. La quota di immigrati ammessi per ricerca di lavoro nei dodici mesi successivi potrebbe essere fissata pari ad una frazione tra il cinquanta e il novanta per cento di tale numero, a seconda della affidabilita' che si ritiene di poter attribuire all'indicatore. L'istituzione di liste speciali presso i consolati consentirebbe poi, come detto, la selezione dei candidati all'immigrazione sulla base di criteri oggettivi, il piu' immediato dei quali essendo rappresentato certamente dall'anzianita' di iscrizione alle liste.

Una notevole attenuazione del grado di precarieta' delle esperienze migratorie che cosi' verrebbero a realizzarsi sarebbe prodotta dall'istituzione di una sorta di agenzia per l'immigrazione, con il compito di creare il raccordo tra flussi migratori e mercato del lavoro. L'agenzia dovrebbe avere filiali in ogni regione italiana e nei paesi di provenienza delle principali componenti di tali flussi: sul territorio nazionale, con funzione di osservatorio del mercato del lavoro, contribuendo a quantificare e qualificare, con la migliore approssimazione possibile, le richieste di manodopera dall'estero; nei paesi dove maggiore e' la spinta alla migrazione, con funzione di filtro e di correzione rispetto a progetti migratori erroneamente impostati, e di orientamento dei potenziali migranti sulla base dei dati raccolti in Italia (aree di maggiore o minore ricettivita', tipologia del possibile inserimento lavorativo, qualificazioni professionali richieste). In un contesto del genere, i criteri per la selezione dei flussi potrebbero essere resi piu' flessibili, con una attenzione privilegiata alle esigenze dei soggetti piu' deboli. Si potrebbe, cioe', tenere conto di fattori quali le condizioni economiche e familiari del migrante, come pure dell'esigenza di non disperdere il patrimonio culturale accumulato in eventuali attivita' di studio o di formazione professionale.

Riguardo alla fase di ricerca del lavoro, ad immigrazione avvenuta, deve essere resa sostanzialmente automatica la concessione dell'ordinario permesso per lavoro subordinato, ogni qual volta la ricerca sia coronata da successo: e' proprio l'associare al reperimento di una occupazione il diritto al prolungamento del soggiorno che incoraggia l'immigrato a fare quanto e' nelle sue possibilita' per ottenere la regolarizzazione del rapporto di lavoro. E' di importanza fondamentale che le disposizioni di legge lo agevolino al massimo in questa procedura, rimuovendo vincoli inutili, quali il preventivo rientro in patria, e consentendogli la possibilita' di autocertificazione, nel caso che il datore di lavoro si rifiuti di acconsentire alla richiesta di regolarizzazione.

Anche in questa fase le unita' periferiche di una agenzia per l'immigrazione potrebbero dare un rilevante contributo al buon esito del progetto migratorio, col curare la tutela dell'immigrato sotto il profilo giuridico, sanitario, alloggiativo, con interventi diretti o, piu' efficacemente, indirizzandolo alle strutture competenti.

Potrebbe sembrare che l'oggettiva debolezza della categoria degli immigrati in cerca di lavoro richieda forme di assistenza tali da comportare un eccessivo onere finanziario per la comunita'. Osservando, pero', come le stime piu' allarmistiche a riguardo dell'immigrazione effettiva nel nostro paese non indichino mai cifre superiori alle centomila unita' per anno, e che una durata ragionevole per il periodo di ricerca di lavoro potrebbe essere di quattro mesi, si vede che, anche nell'ipotesi, certamente eccessiva, di garantire a tutti un sussidio in grado di coprire le spese di alloggio (quantificabili oggi in circa duecentomila lire mensili pro-capite), la cifra necessaria risulterebbe dello stesso ordine di grandezza di quella prevista dal Governo per i centri di prima accoglienza. Naturalmente, l'effettiva realizzazione di tali centri costituirebbe, di per se', una adeguata risposta al problema. Val la pena poi di rilevare come qualunque aggravio della spesa pubblica verrebbe ammortizzato dal gettito contributivo derivante dal maggior tasso di regolarita' dell'inserimento lavorativo degli immigrati.

La terza fase, quella cioe' che conclude il periodo di ricerca di lavoro, e' certamente la piu' delicata in tutti quei casi in cui la ricerca non abbia avuto buon esito. Devono essere elaborate misure atte a scoraggiare, in tali casi, la permanenza irregolare dell'immigrato o il suo inserimento nel mercato del lavoro sommerso. Le possibilita' di successo in tal senso sono strettamente legate alla capacita' di rendere decisamente preferibile, per l'immigrato che non abbia avuto successo nella ricerca di lavoro, il rientro nel paese di origine piuttosto che il passaggio a condizioni di irregolarita'. Se oggi questo in Italia non si verifica e' perche' l'immigrato si trova a scegliere tra un ritorno spontaneo in patria, sostanzialmente privo di speranze di reingresso nel nostro paese, e un prolungamento della permanenza, con una speranza di maggior successo nella ricerca del lavoro scarsamente contrastata dalla minaccia di una sanzione (l'espulsione) esattamente equivalente, negli effetti, al ritorno spontaneo: e' ovvio che la scelta cada sulla seconda opzione.

E' necessario allora far si' che le due alternative comportino conseguenze ben differenziate. Una possibile soluzione e' quella di concedere un diritto di precedenza, o analoghe agevolazioni, per il reingresso nell'anno successivo a chi lasci regolarmente il paese ospitante alla scadenza del permesso per ricerca lavoro. Contemporaneamente, la permanenza irregolare dovrebbe essere sanzionata opponendo il diniego, per un periodo prolungato, alla richiesta di reingresso. Una norma di questo genere puo' sembrare eccessivamente punitiva per l'immigrato, ma, in realta', risulta esserlo solo nelle situazioni, come quella italiana attuale, in cui una forma di accesso regolare al lavoro e' comunque negata. In altre parole: la sanzione contro la violazione della legge ha efficacia ed e' moralmente accettabile a condizione che la legge stessa indichi una strada concretamente percorribile.

E' possibile che provvedimenti del genere non siano comunque sufficienti. Per gli immigrati dai paesi non immediatamente vicini le spese affrontate per arrivare nel paese ospitante sono infatti di entita' tale da comportare situazioni di indebitamento o, quanto meno, di partecipazione economica dell'intera comunita' familiare. Il rientro immediato, come conseguenza di un esito negativo della ricerca di lavoro sarebbe percepito dall'immigrato come un intollerabile fallimento e finirebbe con l'indurlo alla scelta di una permanenza irregolare.

Di fronte a questa eventualita' possono prospettarsi almeno due soluzioni.

La prima prevede l'indirizzamento al lavoro stagionale per coloro che si trovino nella situazione descritta: questo consentirebbe una conclusione in attivo, seppure in misura piu' ridotta rispetto a quanto preventivato, dell'esperienza di migrazione e, ancora una volta, costituirebbe un incentivo alla scelta del circuito regolare.

La seconda comporta il sostegno al reinserimento lavorativo nel paese di provenienza; andrebbe coordinata con i progetti di cooperazione allo sviluppo e di questa potrebbe rappresentare una delle forme piu' dirette ed efficaci.

L'agenzia per l'immigrazione potrebbe offrire il necessario sostegno all'orientamento dell'immigrato tra le diverse opzioni possibili.