NOTA PER IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

IN OCCASIONE DEL SUMMIT DI CORFU'

1. I movimenti migratori, conseguenza dell'impressionante divario tra le condizioni economico-sociali dei paesi industrializzati e quelle dei paesi in via di sviluppo, sono considerati con preoccupazione da molti dei governi europei, anche alla luce delle condizioni di crescente disoccupazione dei lavoratori residenti.

E' generalmente avvertita la necessita' di individuare risposte politiche che concilino l'esigenza di un controllo dei flussi in ingresso con quella, altrettanto importante, di non assecondare, con scelte drasticamente restrittive, il diffondersi di pregiudizi razzisti e xenofobi.

2. Una rigorosa politica di cooperazione allo sviluppo economico e di sostegno ai processi di democratizzazione nei paesi ad alto tasso di emigrazione puo', sul medio o sul lungo periodo, contribuire ad una rilevante attenuazione dei fattori che spingono i migranti a lasciare il proprio paese.

Sul breve periodo, pero', non e' pensabile che abbiano luogo, spontaneamente, significativi ridimensionamenti dei flussi. Si rende allora necessaria l'individuazione di ulteriori meccanismi di controllo.

3. Una strategia europea per la determinazione dei flussi che sia principalmente fondata sul controllo delle frontiere e sulla repressione delle forme di immigrazione irregolare e' destinata al fallimento.

In primo luogo, infatti, se anche fosse possibile contrastare efficacemente gli ingressi clandestini, ben poco si potrebbe fare per prevenire la permanenza irregolare di immigrati, in prosecuzione di un periodo di soggiorno regolare per motivi (formali) di turismo. Si pensi che, in un paese come l'Italia, questo richiederebbe la capacita' di individuare, ogni anno, alcune decine di migliaia di potenziali immigrati irregolari tra parecchi milioni di effettivi turisti: l'intensificazione dei controlli rischierebbe di compromettere, prima ancora che i progetti di immigrazione irregolare, l'immagine turistica del Paese.

In secondo luogo, non sembra praticabile la prospettiva di un inasprimento delle sanzioni che funga da fattore deterrente contro l'immigrazione irregolare. Appare infatti ripugnante qualunque forma di accanimento, da parte di societa' a sviluppo avanzato, nei confronti di chi e' mosso in primo luogo dal bisogno economico o dalla necessita' di mettere in salvo la propria vita. Nell'ipotesi, invece, di contenere entro limiti accettabili l'entita' delle sanzioni, non si vede, stante la grande diffusione del fenomeno, come si possa pensare ad una applicazione di esse di carattere non meramente simbolico.

4. La politica di controllo dei flussi puo' essere invece efficacemente realizzata, in Europa, attivando meccanismi di autoregolazione. E' possibile, cioe', creare le condizioni perche' sia l'immigrato stesso a scegliere la via regolare, sulla base dei vantaggi che gliene derivano, piuttosto che nel timore di improbabili svantaggi legati alla repressione dell'irregolarita'. E' necessario, a questo scopo, che la via regolare costituisca il percorso decisamente piu' efficace per l'inserimento lavorativo e che, al contempo, sia caratterizzata da forme concrete e visibili di accoglienza e da una rapida progressione dei diritti dell'immigrato, che ne favorisca l'integrazione sociale.

5. Alla luce dell'esperienza di questi anni, si puo' affermare con certezza che il problema centrale cui la politica dell'immigrazione deve dare risposta e' quello dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Per consentire l'emersione dell'offerta di manodopera, l'istituzione di liste di prenotazione presso le sedi consolari potrebbe rappresentare lo strumento piu' adeguato.

E' ben difficile, invece, che un analogo censimento della domanda di manodopera possa risultare altrettanto efficace. La maggior parte delle mansioni per le quali la situazione del mercato del lavoro rende auspicabile l'ingresso di lavoratori immigrati e' infatti di natura tale da non potersi prescindere, per la costituzione di un rapporto di lavoro, dall'incontro diretto tra datore di lavoro e lavoratore (si pensi, ad esempio, alla collaborazione domestica e all'assistenza di persone anziane o ammalate).

6. Condizionare, allora, l'ingresso dell'immigrato all'esistenza di una precisa richiesta di autorizzazione al lavoro, significa costringere il datore di lavoro ad avanzare tale richiesta "al buio": in mancanza, cioe', di una adeguata conoscenza del lavoratore. Nella maggior parte dei casi questo fa si' che il potenziale datore di lavoro desista dall'avviare la procedura di assunzione.

E' invece opportuno che, almeno per le mansioni per le quali l'incontro diretto e' necessario, gli ingressi siano consentiti fino al raggiungimento di quote da determinarsi, con cadenza annuale o pluriennale, sulla base di stime, piuttosto che di dettagliati censimenti, della effettiva capacita' di assorbimento del mercato del lavoro.

In caso contrario, si finirebbe per lasciare scoperta una porzione rilevante della domanda di lavoro, rendendo cosi', paradossalmente, piu' conveniente un'immigrazione irregolare che a tale domanda potrebbe facilmente offrire risposta. L'allargamento della gia' vasta sacca di irregolarita' corrisponderebbe, per definizione, al fallimento del controllo dei flussi.

7. Non si puo' non tener presente che il relegare l'immigrazione in condizioni di irregolarita' accentua la piaga del lavoro nero, esponendo l'immigrato allo sfruttamento e producendo condizioni di concorrenza sleale a danno del lavoratore regolare. Ne' si puo' trascurare che la persistenza di tali condizioni aumenta il rischio di reclutamento malavitoso, rende vana qualunque misura orientata a favorire l'integrazione e fornisce pretesti alla diffusione di reazioni di stampo xenofobo e razzista.