(Sergio Briguglio 10/7/1994)

 

OSSERVAZIONI SULLA COMUNICAZIONE FLYNN

(VERSIONE SINTETICA PRELIMINARE)

- Corretta l'impostazione del problema (tre fattori: pressione migratoria, controllo dei flussi, integrazione).

- Azione sulla pressione migratoria: corretta l'analisi; importante l'osservazione relativa alla necessita' di tempi lunghi. Dovrebbe esser chiarito che, con la possibile eccezione del problema della fuga dei cervelli e degli oppositori politici, l'azione sull'immigrazione non interferisce negativamente con la cooperazione: l'immigrazione di oggi puo' essere correlata con quanto si e' fatto o non si e' fatto nel passato nel passato; e la cooperazione di oggi puo' quindi dare effetti sull'immigrazione di domani, non su quella di oggi.

- Corretta l'impostazione relativa all'integrazione, strettamente correlata ad una progressione dei diritti.

- Il ponte tra una politica di azione sulla pressione migratoria dai risultati non immediati e una politica di integrazione non puo' che essere rappresentato da una efficace politica di controllo dei flussi: un'immigrazione che avvenga in modo incontrollato o costringe alla resa le istituzioni (senza che si possa procedere ad una politica di integrazione accompagnata da largo consenso), o e' destinata a rimanere relegata in condizioni di illegalita' (senza poter accedere alla progressione dei diritti, ma neanche al godimento di diritti fondamentali). Giusto, quindi, che al controllo dei flussi sia dedicata una speciale attenzione.

- Una politica non troppo restrittiva, oltre che dal rispetto degli impegni assunti e dalle tradizioni umanitarie e' motivata dalla necessita' di evitare che l'immigrazione illegale risulti, per il migrante, da preferire ad una immigrazione legale inaccessibile.

- L'ammissione per lavoro non puo' essere trattata come un argomento di portata minore, da trattare facoltativamente a valle dei problemi dell'asilo e del ricongiungimento familiare. L'immigrazione per lavoro non e' infatti fenomeno marginale e anzi, in molti paesi, e' il fenomeno principale. Trascurandola, si sposta artificiosamente il baricentro dell'immigrazione verso l'asilo.

- Che l'ammissione di quote (nel caso di immigrazione per lavoro) debba essere subordinata all'andamento del mercato del lavoro e della crisi occupazionale comunitaria e' corretto. L'affermazione, pero', secondo la quale l'attuale crisi impedisce l'attuazione di una politica di quote non sembra condivisibile: esistono settori del mercato del lavoro non comunicanti; disoccupazione e fabbisogno di manodopera non saturato possono quindi coesistere. La programmazione dovrebbe essere quindi lasciata ai singoli governi (con obbligo di verifica comunitaria ogni cinque anni). La tutela dei diritti del disoccupato comunitario (o regolarmente residente) otrebbe essere garantita dall'istituzione di liste differenziate: di disoccupazione per i lavoratori comunitari (o regolarmente residenti) e di prenotazione per l'immigrazione per i lavoratori extracomunitari. Gli iscritti alle prime avrebbero un diritto di precedenza per l'ingresso, all'interno delle quote ammesse, da far valere entro un limite di tempo prefissato.

- E' fondamentale chiarire che l'ingresso "per quote" non deve essere ulteriormente condizionato alla preventiva autorizzazione al lavoro relativa ad un determinato posto di lavoro. Per la maggior parte delle mansioni per le quali oggi si rende necessario l'ingresso di lavoratori extracomunitari, l'incontro diretto tra datore di lavoro e lavoratore e' indispensabile perche' si costituisca un rapporto di lavoro. Il requisito di una preventiva autorizzazione al lavoro, richiedendo che tale rapporto sia in qualche modo costituito prima dell'ingresso dell'immigrato, rende impraticabile nei fatti l'immigrazione legale in corrispondenza alle mansioni di cui si e' detto: risulterebbe, anche in questo caso, incentivata l'immigrazione illegale, consentendo questa l'incontro diretto tra le parti.

- A differenza della risoluzione di Lussemburgo, la Comunicazione Flynn non fa menzione della necessita' di tale autorizzazione preventiva e anzi, in altro punto(paragrafo 126), mette in guardia dalla tendenza alla duplicazione degli adempimenti amministrativi. Dovrebbe essere affermato esplicitamente che programmazione governativa e autorizzazione al lavoro quale requisito per l'ingresso costituiscono una forma di dannosa duplicazione.

- L'ipotesi opposta (quella, cioe', di praticare una politica restrittiva) finisce, come si e' detto, per appesantire il problema dell'asilo ovvero per spostare le difficolta' su controllo e repressione delle forme di immigrazione illegale (di fatto incentivata), come osservato opportunamente al paragrafo 102.

- Vi sono validi motivi per ritenere che, laddove non si intraprenda una politica di ammissione "per quote", non esistano forme efficaci di prevenzione e di repressione dell'immigrazione illegale, i costi delle quali si mantengano entro limiti tollerabili.

- E' forse possibile prevenire gli ingressi clandestini ed e' certamente doveroso combattere le organizzazioni di trafficanti. Di fronte al problema, pero', degli ingressi regolari destinati a dar luogo a prolungamenti illegali del soggiorno si puo' fare ben poco: per quanto rigorosamente si applichi una politica dei visti, se non si vuole deprimere l'attivita' legata al turismo, non e' possibile portare i requisiti per l'ingresso al di la' di un livello che difficilmente puo' risultare insormontabile per chi voglia comunque immigrare. La possibilita' di una valutazione discrezionale delle intenzioni del turista offre spazio a pericolosi arbitrii e non sembra comunque caratterizzarsi per una apprezzabile efficacia.

- Un'opera di dissuasione dal soggiorno illegale e' praticabile solo in presenza di una via legale di immigrazione (quale quella associata ad una amissione "per quote"): l'aspirante imigrato e' infatti motivato, nell'astenersi da forme di immigrazione illegale, dalla prospettiva di una chance di immigrazione legale. In assenza di tale via, o in condizioni di eccessiva restrizione di essa, la valutazione operata dal potenziale migrante si basa su un confronto tra le condizioni di inserimento da immigrato illegale e quelle che caratterizzano la sua vita nel paese di origine. Stante il basso livello di queste, per risultare di una qualche efficacia un'azione di dissuasione dovrebbe corrispondere a livelli di tutela dei diritti del migrante inaccettabilmente bassi. Ne risulterebbero contraddetti i principi enunciati nella Convenzione ONU e, ancora piu' drammaticamente, si demanderebbe il controllo dell'immigrazione a meccanismi fondati, piuttosto che sul divieto, sull'impossibilita' di vivere in condizioni di illegalita'. Non si puo', poi, omettere di osservare come l'assistenza prestata spesso anche all'immigrato in condizioni illegali e' motivata dalla gravita' di queste condizioni e costituisce risposta a bisogni fondamentali della persona, ma anche all'esigenza di allentare tensioni che mettono a repentaglio il buon andamento della convivenza sociale.

- Una politica di inasprimento delle sanzioni contro il lavoro nero e l'individuazione di misure che ne favoriscano la prevenzione e' senz'altro da perseguire. Tuttavia, se tale politica e' realizzabile con riferimento a settori del mercato del lavoro caratterizzati da visibilita' (nella Comunicazione si considera giustamente il caso degli appalti pubblici), molto meno lo e' in corrispondenza a settori per i quali l'inserimento e' diffuso, di carattere interstiziale e poco visibile, quali la collaborazione domestica o l'assistenza domiciliare ad anziani e portatori di handicap.

- E' assolutamente condivisibile l'impostazione data al problema del rimpatrio degli immigrati in condizioni illegali. Giustamente si afferma che il rimpatrio volontario e' la forma di gran lunga preferibile e che, in ogni caso, deve essere usata la massima cautela per evitare violazioni dei diritti fondamentali della persona. E' evidente, pero', come questa attenzione al rispetto dei diritti della persona sia compatibile con un'applicazione efficace delle misure relative all'espulsione solo quando tali misure non finiscano per rappresentare l'unico strumento per contrastare in modo sostanziale il fenomeno dell'illegalita'. In altri termini: una politica di ammissione eccessivamente restrittiva accentua il fenomeno dell'immigrazione illegale; il controllo di questo diventa allora proibitivo e si diffonde la convinzione impropria che l'ostacolo principale da rimuovere consista nei meccanismi di tutela giuridica dell'immigrato illegale in fase di espulsione; si tende, cosi', a giustificare o addirittura ad invocare una applicazione sommaria e frettolosa delle sanzioni, con trascurabile vantaggio per la societa', ma gravissimo danno per le persone.