(Sergio Briguglio 4/5/1994)

 

LA POLITICA DI IMMIGRAZIONE IN FASE DI RECESSIONE

ECONOMICA: MECCANISMI DI REGOLAZIONE DEI FLUSSI

 

Il problema dell'immigrazione e' certamente complesso e non puo' essere ridotto a mero problema economico. Tuttavia, troppo spesso il dibattito sulla politica di immigrazione e' condotto agitando di fronte all'opinione pubblica aspetti, tipicamente legati a comportamenti devianti, che, se colpiscono efficacemente l'immaginario collettivo, difficilmente possono offrire chiavi di interpretazione del fenomeno. La sottolineatura, ad esempio, degli episodi di intolleranza razzista nei confronti di immigrati, ovvero di microcriminalita' di cui immigrati si rendano protagonisti, pur essendo rilevante al fine di isolare e contrastare forme di degenerazione della convivenza civile, ben poco offre alla comprensione di un mondo che nella quasi totalita' vive di un inserimento silenzioso ed e' mosso da fattori che nulla hanno a che vedere con progetti criminali o con le reazioni patologiche di minoranze esagitate.

La definizione dell'ossatura di una strategia politica per l'immigrazione richiede, invece, che si tenti di ridurre la descrizione del problema ai suoi aspetti essenziali, fermo restando che, nel momento di tradurre questa strategia in scelte operative, occorre prestare adeguata attenzione anche alle caratteristiche, per cosi' dire, minori del fenomeno.

Nelle note che seguono, allo scopo di pervenire a questa descrizione semplificata, si considerera' solo l'immigrazione per motivi di lavoro e, piu' in particolare, quella orientata ad un inserimento in attivita' di lavoro subordinato, tenuto conto del fatto che questa rappresenta certamente la componente preponderante, capace, oltre tutto, di trainare un'altra componente rilevante, quale l'immigrazione per ricongiungimento familiare.

 

Dinamica dei flussi di immigrazione

Si puo' ritenere, con buona approssimazione, che le dimensioni del flusso migratorio che si stabilisce tra un paese in via di sviluppo ed un paese ad economia avanzata come l'Italia siano determinate da tre principali fattori:

- le condizioni di vita nel paese di origine;

- il livello di chiusura delle frontiere del paese di immigrazione;

- le condizioni di inserimento dell'immigrato.

Se le condizioni dell'economia del paese di immigrazione rendono auspicabile l'ingresso di lavoratori immigrati, la gestione politica del fenomeno puo' essere concentrata sui soli problemi relativi all'accoglienza e all'inserimento sociale dell'immigrato. Se, pero', l'assorbimento di manodopera straniera e' reso problematico dal verificarsi di condizioni di recessione, uno degli obiettivi principali di una politica dell'immigrazione diventa quello di controllare ed eventualmente ridurre il flusso in ingresso, compatibilmente con un contenimento dei costi sociali di questa operazione entro limiti tollerabili.

E' necessario allora investigare su quali dei fattori appena indicati convenga agire, e in quale modo, al fine di realizzare interventi ad alta efficacia e bassi costi.

Allo scopo di ridurre la spinta all'emigrazione dai paesi d'origine si tratta, evidentemente, di impostare politiche di cooperazione allo sviluppo dei paesi ad economia arretrata, di favorire i processi di democratizzazione nei paesi in cui e' diffusa la violazione di diritti umani, e di pacificazione laddove la guerra impedisce normali condizioni di vita.

E' facile pero' riconoscere come politiche di questo genere, per quanto ben condotte, difficilmente possano produrre significative alterazioni degli standard di vita nei paesi di emigrazione in un arco di tempo di durata inferiore al decennio. Pur conservando intatto il suo valore in un'ottica di lungo periodo, l'azione politica sul versante del miglioramento delle condizioni di tali paesi risulta quindi del tutto inefficace ai fini di un ridimensionamento dei flussi, associato al sopravvenire di una fase di crisi congiunturale, da operarsi nel giro di pochi anni o addirittura di mesi.

Il generale consenso che si raccoglie, piu' o meno indipendentemente dalla connotazione ideologica delle varie parti politiche, intorno alla prospettiva di dar vita a politiche di sostegno dei paesi in via di sviluppo va quindi certamente capitalizzato in un'ottica di lungo periodo, ma non deve nascondere le differenze piu' significative tra le parti a riguardo del problema immediato.

Per quanto concerne il grado di chiusura delle frontiere, e' bene richiamarsi ad una classificazione dell'immigrazione secondo tre categorie: immigrazione regolare, irregolare e clandestina. Indichiamo qui come regolare l'immigrato il cui ingresso nel paese che lo ospita e' avvenuto regolarmente e per espliciti motivi di lavoro; come irregolare quello che, entrato formalmente per altri motivi (tipicamente per turismo), si e' trattenuto irregolarmente nel paese di immigrazione allo scopo di trovare inserimento nel mercato del lavoro; come clandestino quello che ha fatto ingresso illegalmente, eludendo i controlli di frontiera.

L'accentuazione del grado di chiusura delle frontiere rispetto all'immigrazione regolare passa allora attraverso l'adozione di misure che limitino la possibilita' di accesso regolare per motivi di lavoro. Per esercitare, invece, una sensibile influenza sull'ingresso della componente irregolare e' necessario intensificare i controlli sull'accesso per motivi diversi dal lavoro e, in particolare, sull'ingresso per turismo. Una efficace prevenzione degli ingressi clandestini non puo' che richiedere, infine, una sorta di militarizzazione delle frontiere, dovendo queste essere controllate in tutti i valichi accessibili e non solo in corrispondenza a quelli regolari.

Tanto l'inasprimento dei controlli sugli ingressi per turismo, quanto la militarizzazione delle frontiere, quand'anche non dovessero essere avvertiti dall'opinione pubblica come inaccettabili, risulterebbero pero' assolutamente impraticabili in paesi, come l'Italia, per i quali il turismo rappresenta una voce rilevante dell'attivita' economica, e che sono caratterizzati da frontiere facilmente valicabili.

Di fatto, l'unica concreta possibilita' di intervento legislativo o amministrativo riguardo al grado di chiusura delle frontiere e' quella relativa alla possibilita' di accesso regolare per lavoro. Si puo', in altri termini, decidere di accentuare o ridurre la chiusura delle frontiere solo rispetto alla componente regolare del flusso migratorio.

Si vede allora come la speranza di raggiungere l'obiettivo di una riduzione del flusso agendo solo sui criteri di ammissione regolare per lavoro sia illusoria. Una restrizione di questi, infatti, potrebbe non avere altro effetto che quello di spostare una certa quota di flusso dalla componente regolare a quella irregolare o clandestina.

Sarebbe pero' affrettato concludere che le scelte adottate a questo riguardo siano del tutto ininfluenti sul dimensionamento del flusso. Esse, infatti, possono concorrere indirettamente a determinare il terzo dei fattori che contribuiscono a tale dimensionamento; possono, cioe', avere effetti non trascurabili sulle condizioni di inserimento dell'immigrato.

L'analisi deve quindi focalizzarsi su quali siano questi effetti e su come le condizioni di inserimento, o, piu' in generale, le aspettative dell'immigrato rispetto al proprio inserimento, influenzino l'entita' del flusso.

 

La strategia tradizionale

Non e' difficile riconoscere, al di la' delle sottolineature e dei toni adoperati, l'esistenza di una sostanziale identita' tra le strategie cui molte forze politiche, per altro assai diverse fra loro, fanno riferimento nel perseguire l'obiettivo di una riduzione del flusso. Cardini di questa impostazione condivisa sono la limitazione degli ingressi regolari per lavoro ai casi per i quali esista la comprovata disponibilita' all'assunzione da parte di un datore di lavoro, e il sanzionamento delle forme di immigrazione irregolare e clandestina.

La grande maggioranza delle possibilita' di assorbimento di manodopera immigrata e' pero' associata, specie in fase di recessione, ad attivita' lavorative, quali la collaborazione domestica e l'assistenza domiciliare ad invalidi, per le quali l'esistenza di un rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore e' condizione imprescindibile.

Il richiedere come condizione necessaria per l'ingresso dell'immigrato sul territorio nazionale la previa costituzione di un rapporto di lavoro, come avviene, per esempio, nel caso della cosiddetta chiamata nominativa dall'estero, rende, nei fatti, assai remota la possibilita' che un tale rapporto si instauri e fa si' che solo una modesta frazione delle effettive disponibilita' del mercato del lavoro sia saturata dall'immigrazione regolare.

Riguardo, poi, alle sanzioni a carico di chi viola le norme sul soggiorno, esistono, in sostanza, due possibili alternative: considerare tali violazioni alla stregua di contravvenzioni amministrative, ovvero farle assurgere al rango di reato. Nel primo caso la sanzione e' costituita, al piu', dall'espulsione dell'immigrato in posizione irregolare; nel secondo possono prevedersi sanzioni penali piu' severe.

Di fatto, l'adozione di sanzioni penali a carico degli immigrati irregolari risulta, in Italia, difficilmente praticabile, e perche' chiaramente in contrasto con la consolidata tendenza alla depenalizzazione dei reati minori, e per le gravissime conseguenze che avrebbe sulla qualita' della convivenza civile. Apparati giudiziari e carcerari gia' oberati da compiti di repressione delle forme di criminalita' organizzata dovrebbero, infatti, dedicare una parte cospicua delle loro risorse al perseguimento di trasgressioni che certamente non mettono a repentaglio la sicurezza dello Stato e che sono, molto spesso, motivate da condizioni di necessita'.

Accantonata la possibilita' di ricorrere a sanzioni di carattere penale, si vede come, prospettandosi l'espulsione come la piu' aspra tra le possibili sanzioni, non vi siano apprezzabili differenze, dal punto di vista del potenziale immigrato irregolare, tra le peggiori conseguenze di una violazione delle norme sul soggiorno e le migliori conseguenze di una rinuncia all'intero progetto migratorio.

Per di piu', con un mercato del lavoro non saturato dall'immigrazione regolare, esistono concrete possibilita' di pervenire alla condizione regolare, usando come trampolino la permanenza irregolare o clandestina. Non e' raro, infatti, che ad un incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro, avvenuta nell'irregolarita', faccia seguito la regolarizzazione del rapporto di lavoro, mediante un uso improprio, per esempio, della chiamata nominativa: il datore di lavoro avanza formale richiesta di autorizzazione al lavoro per un lavoratore ufficialmente ancora all'estero; una volta ottenuta tale autorizzazione, il lavoratore, dopo un temporaneo ritorno nel paese d'origine, puo' finalmente accedere ad un visto di ingresso per motivi di lavoro.

In definitiva, l'aspirante immigrato si trova a dover scegliere tra una condizione di regolarita', che ben difficilmente puo' tradursi in un ingresso per lavoro, e una di irregolarita', inefficacemente sanzionata e tale da offrire una prospettiva di raggiungimento dello status di lavoratore immigrato regolare. E' ovvio che la scelta cada, senza esitazione, sulla condizione irregolare.

Naturalmente, il fatto che l'immigrato irregolare arrivi ad usufruire dell'escamotage della chiamata nominativa non e' automaticamente garantito dall'esistenza di un mercato del lavoro insaturo, essendo anche richiesto un alto grado di onesta' nel comportamento del datore di lavoro. Questi, infatti, a fronte di una bassissima probabilita' di incorrere in controlli e sanzioni, deve sobbarcarsi un impegno non trascurabile per condurre in porto la procedura di regolarizzazione. La percentuale di immigrati irregolari che riescono a regolarizzare in tal modo la loro condizione, a dispetto delle aspettative di molti di essi, e' cosi' piuttosto modesta.

L'impossibilita', per i meno fortunati, di emergere dalla condizione di irregolarita', e quindi, di fatto, di avvalersi delle norme a tutela del lavoratore, altera profondamente il rapporto tra domanda e offerta di lavoro. Venendo a cadere, infatti, il vincolo costituito dal rispetto dei minimi salariali, l'eventuale condizione di saturazione del mercato del lavoro perde, di fatto, gran parte della sua rigidita'. Gli immigrati in soprannumero, che in un contesto di regolarita' del mercato, vedrebbero chiusa ogni possibilita' di accesso all'occupazione, vanno, cioe', ad alimentare l'offerta di lavoro, in condizioni paritarie con gli immigrati gia' occupati. Privi delle pur precarie forme di protezione di cui puo' usufruire il lavoratore residente disoccupato, essi non esitano ad accettare condizioni di lavoro via via piu' inique, costringendo i lavoratori gia' occupati ad abbassare il livello delle proprie richieste, e consentendo a datori di lavoro privi di scrupoli di disporre di un piu' cospicuo apporto di manodopera senza incremento dei costi.

Invece di tradursi in un fattore di repulsione nei confronti di un'immigrazione in eccesso e in una conseguente riduzione del flusso, la saturazione del mercato del lavoro diventa, quindi, solo causa di un degrado distribuito delle condizioni di inserimento.

Tale processo non puo' naturalmente continuare in modo indefinito giacche' esiste una soglia salariale al di sotto della quale nessun lavoratore immigrato accetterebbe di esercitare un'attivita' lavorativa. Raggiunte queste condizioni limite, si innesca effettivamente il meccanismo di ridimensionamento del flusso. Tenendo pero' presenti le condizioni di vita che spingono il migrante a lasciare il paese di origine, si comprende come la soglia per l'innesco di un adeguato fattore di dissuasione corrisponda a degli standard che la societa' ad economia avanzata non puo' che giudicare inammissibili. L'enorme divario e la contiguita' tra questi standard e le condizioni economiche della popolazione residente, pur nelle sue componenti piu' disagiate, inducono tensioni sociali gravissime fondate su pulsioni di tipo classista piuttosto che razzista. Inoltre le condizioni di concorrenza "sleale" associate all'esistenza di un vasto bacino di irregolarita' finiscono col perturbare anche alcuni settori del mercato del lavoro normalmente riservati ai lavoratori residenti, aggravando cosi' la condizione di quanti, tra questi, sono privi di occupazione.

Molto prima, quindi, che questo processo si traduca in un efficace meccanismo di regolazione del flusso, si perviene a dei costi sociali intollerabilmente alti. Questa soglia viene raggiunta quando il numero di immigrati irregolari rappresenta una frazione considerevole del numero di lavoratori residenti disoccupati. In un paese come l'Italia questo corrisponde, verosimilmente, ad avere alcune centinaia di migliaia di presenze irregolari.

Non potendosi pensare, in queste condizioni, di procedere efficacemente ad una campagna di espulsioni, l'unica possibile via d'uscita e' rappresentata dal ricorso allo strumento della sanatoria, che, se gestita in modo intelligente, solleva lo Stato dal proibitivo compito di scovare le situazioni di lavoro irregolare, dando agli immigrati, che ne hanno pieno interesse, il compito di segnalare tali situazioni. Potendosi cosi' forzare la regolarizzazione dei rapporti di lavoro, si contribuisce al rilassamento delle principali cause di tensione - l'immiserimento dei lavoratori irregolari e la concorrenza sleale nei confronti di quelli regolari - che alla sanatoria hanno dato origine.

Di per se', il ricorso a sanatorie non e' un fatto catastrofico, ma soltanto la diretta conseguenza di una politica che, di fatto, e' incapace di contrastare la crescita della sacca di irregolarita'. Il suo carattere di necessita' ne fa un elemento stabilmente presente nella valutazione che l'immigrato fa delle proprie condizioni di inserimento. Va, in altre parole, a sommarsi, nella stima delle probabilita' di pervenire a condizioni di regolarita', all'eventuale possibilita' di procedere all'escamotage della chiamata nominativa e costituisce quindi un'ulteriore ragione per scegliere di migrare, seppure attraverso il canale irregolare.

Vale anche la pena di sottolineare come un eventuale restringimento del canale di passaggio dall'irregolarita' alla regolarita' rappresentato dalla chiamata nominativa non fa che accelerare la crescita della sacca di irregolarita' ed accorciare i tempi necessari a quel superamento del livello di guardia che rende necessaria la sanatoria.

Si vede, in definitiva, come il mancato funzionamento di questa politica, che si risolve nel rinunciare all'obiettivo di una riduzione del flusso, dipenda essenzialmente dal far assurgere l'immigrazione irregolare ad anticamera di quella, propriamente appetibile, regolare.

 

Una strategia alternativa

Se una strategia fondata su chiusura e repressione finisce col sortire effetti contrari a quelli auspicati, e' necessario elaborarne una piu' idonea che faccia leva proprio sull'analisi soggettiva costi-benefici del potenziale immigrato; su quella variabile del problema, cioe', che, nel contesto appena esaminato, vanifica l'adozione degli strumenti coercitivi.

Per quanto detto, tale strategia deve essere incentrata sul mantenimento di un adeguato canale di accesso diretto alla condizione regolare, opportunamente tutelato e incentivato, e su un sistema di sanzioni che consistano essenzialmente nella esclusione, per un cospicuo intervallo di tempo, dell'immigrato irregolare dal godimento degli incentivi. Si deve, cioe', produrre un forte squilibrio in fatto di vantaggi, nel sistema di riferimento dell'immigrato, tra la via regolare all'immigrazione e quella irregolare, in favore - inutile dirlo - della prima.

Gli incentivi riguarderanno tanto i bisogni di carattere immediato dell'immigrato, quanto quelli relativi al suo inserimento nel tessuto sociale. Con riferimento ai primi, potranno allora prevedersi, ad esempio, corsi di alfabetizzazione, forme di prima accoglienza, di tutela giuridica, di assistenza sanitaria, etc. Riguardo ai secondi, dovra' essere prevista una rapida progressione della condizione dell'immigrato in fatto di protezione del nucleo familiare, accesso all'edilizia pubblica popolare, diritti politici, affrancamento dalle restrizioni sul soggiorno, fino alla concessione della cittadinanza.

In queste condizioni e' il lavoratore stesso a scegliere di mantenersi in un alveo di regolarita', a costo, eventualmente, di un certo procrastinamento del progetto migratorio, contribuendo a riportare il flusso entro i limiti voluti.

Perche' questo si verifichi e' fondamentale che siano osservate alcune precauzioni.

In primo luogo, il meccanismo di accesso al lavoro regolare deve essere efficace; deve consentire, cioe', l'incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro, laddove questo si renda necessario. Si tratta quindi di sancire la regolarita' della fase di ricerca del lavoro, piuttosto che imporre, come condizione necessaria per l'ingresso dell'immigrato, l'accertata disponibilita' di una precisa occupazione. Si evita cosi' che tale fase possa essere vissuta solo in un ambito di immigrazione irregolare.

In secondo luogo, il canale regolare deve essere opportunamente dimensionato allo scopo di privare di qualunque forma di incentivazione il canale irregolare. Si e' visto, infatti, come sia proprio la politica di chiusura accentuata del canale regolare a provocare la mancata saturazione del mercato del lavoro e a lasciare una rilevante disponibilita' di posti di lavoro all'immigrazione irregolare. E' necessario allora che il numero di ingressi consentito per motivi di lavoro o di ricerca di lavoro non risulti sensibilmente inferiore al numero complessivo di posti disponibili. Considerando, poi, la difficolta' insita in un censimento dettagliato di disponibilita' associate, come detto, per lo piu' ad attivita' lavorative di carattere interstiziale, e, quindi, la ridotta probabilita' che si stabilisca una corrispondenza "uno-a-uno" tra immigrati e posti di lavoro, si riconosce come, allo scopo di consentire quella saturazione, sia opportuno consentire addirittura un numero di ingressi in eccesso rispetto alla ricettivita' stimata del mercato. Va, cioe', in tutti i modi, evitato il rischio che una quota residua di possibilita' di occupazione eserciti un potente fattore di richiamo capace di rialzare le quotazioni dell'immigrazione irregolare.

Non e' tuttavia sufficiente ad impedire la crescita di una sacca di irregolarita' che il flusso regolare sia potenzialmente in grado di saturare le richieste del mercato del lavoro. E' anche necessario che sia scongiurata l'eventualita' che sia proprio la costituzione del rapporto di lavoro a far scivolare l'immigrato nella condizione irregolare; eventualita', questa, tutt'altro che remota, per il vantaggio che ne ottiene il datore di lavoro. Un tale scivolamento contribuisce infatti a produrre quelle condizioni che richiedono il ricorso alla sanatoria e a riportare la situazione a quella, negativa, esaminata in precedenza.

Stante la facilita' con la quale rapporti di lavoro scarsamente localizzabili possono sfuggire al controllo dello Stato, e' indispensabile dare al lavoratore facolta' di sottrarsi al ricatto cui lo espone la propria condizione di debolezza. Il modo piu' adeguato e' rappresentato dal rendere l'autocertificazione dello svolgimento di un'attivita' lavorativa requisito sufficiente per la contestuale trasformazione del permesso di soggiorno temporaneo per ricerca di lavoro in permesso di lunga durata (salva, naturalmente, la revoca di questo in caso di accertata mendacia della dichiarazione). E', cosi', il traguardo di una condizione stabile a indurre l'immigrato a non accettare supinamente l'irregolarita' del lavoro, e la possibilita', quindi, che questa emerga inopinatamente a dissuadere il datore di lavoro dall'avvalersene.

Si tratta cioe' di assicurare immediatamente all'immigrato la forza della regolarita', laddove si sospetti l'esistenza di una condizione di sfruttamento.

Deve essere, infine, prestata la massima cura all'individuazione di meccanismi che impediscano una transizione all'irregolarita' in quei casi in cui la ricerca di lavoro non abbia avuto buon esito. Tali meccanismi devono contribuire a rendere la prospettiva di un ritorno nel paese di origine preferibile, dal punto di vista dell'immigrato, rispetto a quella di un prolungamento irregolare del soggiorno e dell'inserimento nel mercato del lavoro sommerso.

Si puo' pensare allora di far valere un diritto di precedenza per il reingresso nell'anno successivo a chi, non avendo trovato occupazione, lasci regolarmente il territorio nazionale alla scadenza del permesso di soggiorno. La permanenza irregolare, all'opposto, dovrebbe essere sanzionata con l'esclusione, per un congruo numero di anni, dalla possibilita' di reingresso.

Tenendo conto, pero', del fatto che, soprattutto nel caso di immigrazione da paesi lontani, le spese affrontate per realizzare il progetto migratorio sono spesso di entita' tale da comportare l'indebitamento dell'immigrato o, quanto meno, la partecipazione dell'intera sua comunita' familiare, si vede come un rientro in patria immediato, come conseguenza di un esito negativo della ricerca di lavoro, possa essere percepito come un intollerabile fallimento ed indurre quindi alla scelta di un prolungamento irregolare del soggiorno.

Per ovviare a questa eventualita', e' opportuno che si preveda la possibilita' di accedere, a valle del periodo di ricerca di lavoro, ad un permesso di soggiorno temporaneo per lavoro stagionale. Questo consentirebbe una conclusione in attivo, seppure in misura piu' ridotta rispetto a quanto preventivato, dell'esperienza di migrazione e, ancora una volta, costituirebbe un incentivo alla scelta del circuito regolare.

Nello stesso spirito possono essere previste forme di copertura delle spese sostenute dall'immigrato nella fase di rientro o, ancora piu' efficacemente, forme di sostegno alla formazione tecnico-professionale e al reinserimento lavorativo nel paese di origine, nell'ambito di progetti di cooperazione allo sviluppo.

Le possibilita' di successo di questa politica sono in larga parte associate al buon funzionamento della fase di ricerca di lavoro nel consentire un'adeguata risposta alla domanda di lavoro presentata dal mercato. Si e' detto come, allo scopo di evitare che una porzione rilevante di tale domanda resti scoperta, esercitando cosi' un richiamo nei confronti dell'immigrazione irregolare, convenga dimensionare i flussi di immigrazione per ricerca di lavoro in eccesso rispetto alla effettiva ricettivita' del mercato stesso. E' ovvio, pero', che tanto meno e' efficace la ricerca di lavoro, tanto piu' ampia e' la quota in esubero che deve essere ammessa; tanto piu' difficile e', allora, che i meccanismi adottati per favorire il rientro di tale quota risultino adeguati.

Un notevole incremento dell'efficacia della fase di ricerca di lavoro puo' essere ottenuto con l'istituzione di una agenzia per l'immigrazione, atta a creare un raccordo tra il flusso migratorio e il mercato del lavoro.

L'agenzia dovrebbe essere dotata di una struttura capillarmente diffusa sul territorio nazionale e provvista di sedi nei paesi di origine delle principali componenti del flusso migratorio: sul territorio nazionale, con funzioni di osservatorio del mercato del lavoro, per quantificare e qualificare con la migliore approssimazione possibile la domanda di manodopera immigrata; nei paesi di emigrazione, con funzione di filtro e di correzione rispetto a progetti migratori erroneamente impostati, e di orientamento dei potenziali migranti sulla base dei dati raccolti (aree di maggiore o minore ricettivita', tipologia del possibile inserimento lavorativo, qualificazioni professionali richieste).

L'agenzia dovrebbe inoltre contribuire, nella fase di ricerca del lavoro, alla tutela dell'immigrato sotto il profilo giuridico, sanitario, alloggiativo, con interventi diretti o, piu' efficacemente, indirizzandolo alle strutture competenti.

Nei casi, poi, di esito negativo della fase di ricerca, l'agenzia avrebbe il compito di offrire il necessario sostegno all'orientamento dell'immigrato tra le diverse opzioni possibili relativamente al rientro nel paese di origine.

Val la pena di rilevare come qualunque aggravio della spesa pubblica, causato dalle forme di assistenza che l'agenzia dovrebbe attuare nei confronti dell'immigrato nella fase certamente piu' precaria del suo soggiorno, sarebbe largamente sopravanzato dal gettito contributivo associato al maggior tasso di regolarita' dell'inserimento lavorativo degli immigrati e dalla riduzione dei costi ritardati derivanti dall'esplosione del problema dell'irregolarita'.

E' utile sottolineare come una politica quale quella delineata, fondata sull'osservazione che e' la costituzione di un bacino di irregolarita' a contrastare qualunque tentativo di controllo e di ridimensionamento dei flussi, non possa essere avviata in presenza di un simile bacino. Il meccanismo atto a scongiurare la transizione all'irregolarita' dell'immigrato regolare, garantendogli una posizione "forte" nei confronti di un datore di lavoro comunque interessato alla costituzione di un rapporto di lavoro, risulterebbe inceppato dalla maggior convenienza, per il datore di lavoro, di un ricorso a manodopera irregolare, in posizione "debole". L'immigrato regolare finirebbe cosi', con alta probabilita', col confluire nel bacino irregolare, ovvero con l'essere sconfitto dalla concorrenza irregolare, ingrossando la quota in esubero rispetto alla ricettivita' del mercato del lavoro; comunque, con il contribuire, involontariamente, al fallimento dell'intera strategia.

E' necessario allora procedere, nel modo piu' efficace, a un preventivo svuotamento della sacca di irregolarita', consentendo la regolarizzazione degli irregolari in grado di dimostrare l'esistenza di un rapporto di lavoro, e l'accesso ad un permesso di soggiorno temporaneo per lavoro stagionale a coloro che tale dimostrazione non possono produrre. In ciascuno dei due casi deve essere massimamente agevolata e incentivata l'emersione dall'irregolarita'; non sembrano quindi opportune misure che pongano, come condizione per l'ingresso in un circuito regolare, un previo rientro nel paese di origine non altrimenti incentivato.

Non e' del tutto superfluo, infine, osservare come qualunque politica dell'immigrazione necessita di un continuo confronto con le reali modalita' di evoluzione del fenomeno e possa richiedere, in virtu' di queste, correzioni di rotta o anche radicali revisioni. Un carattere eccessivamente repressivo dell'intervento statale spinge l'immigrato irregolare in una condizione di nascondimento che lo rende invisibile agli osservatorii ufficiali. Lo Stato perde cosi' contezza delle caratteristiche e delle dimensioni del fenomeno.

L'agenzia per l'immigrazione, avendo primariamente compiti di tutela e sostegno nei confronti dell'immigrato, puo' svolgere un ruolo prezioso di rilevamento sul campo.

Altrettanto preziosa puo' risultare, poi, una completa registrazione, ai valichi di frontiera, dei dati relativi ad ingressi e uscite dal territorio nazionale che consenta una valutazione accurata del flusso netto complessivo (seppure con l'eccezione della componente clandestina). Una misura del genere consentirebbe, oltre tutto, di individuare automaticamente gran parte delle violazioni delle norme sul soggiorno, dando origine a un potente elemento di dissuasione, stante l'esclusione, che di tali violazioni e' sanzione, dai benefici previsti per gli immigrati regolari.