GRUPPO DI RIFLESSIONE

di organismi ed associazioni di ispirazione religiosa

attivi nel campo delle migrazioni

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FEDERAZIONE DELLE CHIESE EVANGELICHE IN ITALIA

FONDAZIONE MIGRANTES DELLA CEI

GRUPPO MARTIN BUBER EBREI PER LA PACE

JESUIT REFUGEE SERVICE

OSA

UCSEI

YWCA-UCDG

 

 

 

BOZZA DI DOCUMENTO PER LA CONFERENZA MONDIALE

DI COPENHAGEN SULLE POLITICHE SOCIALI

I problemi associati al fenomeno dell'immigrazione e, in certa misura, a quello dell'asilo occupano una posizione di rilievo nell'agenda dei lavori dell'Unione Europea sulle politiche sociali. E' infatti largamente riconosciuto come scelte inadeguate riguardo a tali problemi per un verso releghino immigrati e rifugiati in una condizione di insanabile marginalita', per l'altro finiscano con l'aggravare la stessa situazione di quei cittadini dell'Unione socialmente piu' deboli che vengono posti in condizioni di dannosa concorrenza con gli immigrati per l'accesso a beni e servizi essenziali. La ricerca tra gli Stati Membri di una base comune per le politiche di immigrazione e asilo e' quindi elemento indispensabile per una gestione del fenomeno che consenta di esaltarne la valenza positiva, contenendone allo stesso tempo i costi sociali.

Intendimento di questa nota e' di sottoporre all'attenzione delle Istituzioni competenti dell'Unione Europea e dei Governi degli Stati Membri alcune considerazioni a riguardo della politica di immigrazione che, maturate alla luce dell'esperienza italiana, possono pero' risultare rilevanti in riferimento all'intera Unione Europea e, mutatis mutandis, alle altre aree caratterizzate da alti tassi di immigrazione.

E' opinione generalmente condivisa che la definizione di una politica di immigrazione necessiti di un approccio globale imperniato su tre principali obiettivi: l'alleggerimento della pressione migratoria, il controllo dei flussi in ingresso e la progressiva integrazione sociale dell'immigrato. Un simile inquadramento del problema, in particolare, e' alla base della Comunicazione della Commissione delle Comunita' Europee al Consiglio e al Parlamento Europeo sulle Politiche di Immigrazione e Asilo del 23 febbraio 1994 e ad esso conviene fare riferimento allo scopo di valutare l'opportunita' delle singole scelte in materia.

 

I. Centralita' del controllo dei flussi migratori

1. Compatibilita' tra politica di immigrazione e politica di cooperazione allo sviluppo.

L'individuazione di misure orientate ad una riduzione della pressione migratoria alle frontiere degli Stati dell'Unione Europea richiede la comprensione e la progressiva rimozione delle principali cause dei movimenti migratori verso l'Europa. La prima di queste cause certamente risiede nelle intollerabili disparita' economiche tra i cosiddetti Paesi in via di sviluppo e i Paesi industrializzati. Non possono pero' essere trascurati fattori quali gli squilibri demografici e ambientali, i conflitti armati, le guerre civili, la mancanza di democrazia e le violazioni dei diritti fondamentali dell'uomo che costringono molti abitanti di Paesi in via di sviluppo ad abbandonare la propria terra in cerca di piu' accettabili condizioni di vita.

Allo scopo di attenuare la pressione migratoria e' quindi necessario rinforzare e coordinare le politiche di cooperazione allo sviluppo economico e di liberalizzazione dei commerci, le azioni orientate a ristabilire o mantenere la pace, i meccanismi di tutela ambientale, il sostegno ai processi di democratizzazione nei Paesi di emigrazione, il controllo internazionale sul rispetto dei diritti dell'uomo.

E' tuttavia importante tener presente il carattere di lungo periodo di tali interventi e la conseguente necessita' di non trascurare la politica di immigrazione propriamente detta. E' utile osservare in proposito come, nella grande maggioranza dei casi, non esista il rischio che una politica che affronti con spirito di solidarieta' gli effetti dei movimenti migratori possa ritardare o contrastare la rimozione delle cause di tali movimenti; esistono pero' specifiche situazioni per le quali si rende necessaria l'adozione di particolari misure. E' il caso degli studenti universitari e delle persone bisognose di protezione internazionale a causa di situazioni di violenza generalizzata o di catastrofi ambientali. Una sottrazione definitiva delle loro risorse al patrimonio del paese di origine puo' risolversi in un danno grave, rispettivamente, per lo sviluppo scientifico e sociale di questo. Forme di incentivzione del rimpatrio dopo il conseguimento della laurea potrebbero essere adeguate a risolvere il problema rappresentato dalla prima di questa categorie. Quanto alla seconda categoria, la previsione di un'accoglienza temporanea, di durata dipendente dall'evoluzione della situazione che l'ha resa necessaria, dovrebbe generalmente mettere al riparo da conseguenze deleterie per i paesi di origine.

2. Opportunita' di una rapida progressione dei diritti dell'immigrato per una efficace politica di integrazione.

Riguardo al rafforzamento delle politiche di integrazione per gli immigrati regolarmente residenti, e' opportuno osservare come una progressione dei diritti dell'immigrato che gli consenta di raggiungere, con gradualita' ma anche con rapidita', condizioni paritarie rispetto alla popolazione nazionale sia elemento irrinunciabile per garantire e stimolare la mobilita' sociale dell'immigrato. Dato, infatti, il prevalente carattere di bassa qualificazione delle attivita' lavorative che consentono oggi l'ingresso di immigrati negli Stati membri, e' fondato il rischio che l'intera categoria risulti socialmente compressa e che vadano in breve tempo dispersi, perche' inadeguatamente utilizzati, rilevanti patrimoni individuali di cultura e competenza professionale. Una condizione di svantaggio, inizialmente tollerabile e, forse, ineliminabile, finirebbe per assumere carattere cronico, protraendosi dannosamente nelle generazioni successive.

Di particolare rilievo sembrano, in proposito, le possibilita' di accesso ai servizi socio-sanitari, all'istruzione e alla formazione professionale, nonche' la parita' di trattamento, rispetto ai cittadini autoctoni, in materia di condizioni di lavoro, retribuzione e sicurazza sociale.

Altrettanto importante e' poi certamente la possibbilita', per l'immigrato, di maturare, a valle di un determinato periodo di residenza, un diritto di soggiorno permanente che lo affranchi da una difficile condizione di precarieta'. Nello stesso spirito, superata una determinata eta' o trascorso un tempo prefissato, dovrebbe essere riconosciuto a ciascun membro della famiglia di un immigrato residente un diritto di soggiorno indipendente dalla permanenza dei legami familiari e dallo status giuridico dell'immigrato in questione.

Lo strumento giuridico della naturalizzazione dovrebbe infine dare compimento a questa fase di promozione sociale dell'immigrato, consentendogli il pieno godimento dei diritti civili e politici.

3. Necessita' di azioni per il controllo dei flussi migratori.

Il ponte tra una politica di azione sulla pressione migratoria dai risultati non immediati e una politica di integrazione dell'immigrato regolare non puo' che essere rappresentato da una efficace politica di controllo dei flussi. Un'immigrazione, infatti, che avvenga in modo incontrollato e' incompatibile con l'attuazione del principio di progressivita' dei diritti preposto alla politica di integrazione, sia nell'ipotesi che detta immigrazione rimanga relegata in condizioni di illegalita', sia laddove le istituzioni ne prendano pragmaticamente atto, mandando pero', in tal modo, un messaggio che si presta ad essere interpretato come un segnale di resa. Nel primo caso, infatti, il migrante non solo non vede progredire il proprio livello di cittadinanza, ma e' perfino impossibilitato a godere di diritti fondamentali; nel secondo, rischia di mancare, intorno alla politica di integrazione, il consenso generale della popolazione residente: la maturazione di diritti da parte di persone formalmente non legittimate ad accedervi puo' essere percepita, a torto o a ragione, in modo negativo, con una conseguente recrudescenza di tendenze xenofobe e razziste.

E' necessario, quindi, che al problema del controllo dei flussi sia dedicata una particolare attenzione.

 

II. La politica delle quote di immigrazione per lavoro

4. Necessita' di non sottovalutare il problema dell'ammissione per lavoro.

E' importante che una giusta sottolineatura della necessita' di rispettare gli impegni internazionali e le tradizioni umanitarie in generale non venga interpretata come una indicazione della necessita' di praticare una politica di apertura riguardo a soli problemi dell'asilo (o della protezione internazionale) e del ricongiungimento familiare, limitando invece l'ammissione per lavoro ai casi previsti da accordi bilaterali precedentemente assunti con Paesi terzi. Che questo timore non sia infondato e' confermato dalla Risoluzione adottata il 20.06.1994 dal Consiglio dei Ministri degli Affari Interni e di Giustizia dell'Unione Europea, che prospetta appunto misure fortemente restrittive circa l'ammissione per lavoro con l'eccezione delle situazioni previste da accordi bilaterali vigenti.

E' necessario, in contrasto con questa tendenza, sottolineare come l'ammissione per lavoro non possa essere trattata quale aspetto di portata minore, da prendere in esame, facoltativamente, solo dopo aver affrontato i problemi dell'asilo e del ricongiungimento familiare. L'immigrazione per lavoro non e', infatti, fenomeno marginale e, anzi, in molti paesi - l'Italia tra questi - costituisce la componente principale dei movimenti migratori. Trascurandola, si sbilancia artificiosamente e pericolosamente la distribuzione della pressione migratoria, sovraccaricando il ramo dei rifugiati: l'eccessivo numero di domande di asilo che ne consegue rischia di snaturare le procedure di riconoscimento, in contrasto con l'obiettivo, piu' volte giustamente prospettato, di stabilire standard minimi di tutela in relazione a tali procedure, e con grave danno potenziale per coloro che sono effettivamente in possesso dei requisiti necessari.

E' quindi opportuno sottolineare che una politica non puramente restrittiva, oltre che dal rispetto degli impegni assunti e delle tradizioni umanitarie, e' motivata dall'esigenza di evitare che l'immigrazione illegale risulti, per il migrante, da preferire ad una immigrazione legale nei fatti inaccessibile.

5. Opportunita' di una politica di quote compatibile con la situazione occupazionale interna.

Quanto alla individuazione dei criteri di ammissione per lavoro, e' da piu' parti indicata la necessita' di subordinare l'ammissione di quote di immigrazione per lavoro all'andamento dell'economia e della crisi occupazionale comunitaria. Tale indicazione e' naturalmente condivisibile, essendo opportuno evitare conflitti tra categorie, entrambe svantaggiate, quali quella dei lavoratori immigrati e quella dei cittadini di Stati membri in condizioni di disoccupazione. L'affermazione, pero', secondo la quale l'attuale crisi impedirebbe l'attuazione di una politica di quote non sembra condivisibile, dal momento che esistono settori del mercato del lavoro non comunicanti; situazioni di disoccupazione e domanda di manodopera non saturata possono cosi' coesistere senza mutua elisione. In Italia, ad esempio, settori quali la collaborazione domestica e l'assistenza domiciliare a persone non autosufficienti risultano, a dispetto dell'elevato tasso di disoccupazione, cronicamente scoperti.

Sembra invece opportuno che, pur vincolata a precise regole e soggetta ad adeguate forme di verifica comunitaria, una periodica determinazione delle quote da ammettere per lavoro abbia luogo, affidata ai governi dei singoli Stati membri, che avrebbero cosi' il compito di valutare responsabilmente l'entita' dell'ulteriore flusso di lavoratori immigrati del quale le specifiche caratteristiche dei mercati del lavoro nazionali rendano auspicabile l'ingresso. Il ricorso ad una ripartizione delle quote rispetto ai Paesi terzi consentirebbe anche di curare eventuali rapporti preferenziali con paesi di emigrazione, che derivino da particolari situazioni storiche o geografiche o siano resi necessari dal verificarsi di determinate condizioni internazionali. Laddove, poi, si ritenesse fondato il timore che una programmazione affidata a ciascun governo non sia in grado di tenere nel dovuto conto le disponibilita', e quindi gli interessi, dei disoccupati degli altri Stati membri (o, piu' in generale, dei disoccupati regolarmente residenti negli altri Stati membri), la tutela di tali interessi potrebbe essere garantita dall'istituzione di liste differenziate alle quali riferirsi per l'individuazione dei lavoratori ammessi: liste di disoccupazione, per i lavoratori comunitari (o regolarmente residenti); liste di prenotazione per l'immigrazione, per i lavoratori provenienti da Paesi terzi. Gli iscritti alle prime avrebbero un diritto di precedenza ai fini dell'inserimento nelle quote ammesse, da far valere entro un limite di tempo prefissato. Naturalmente, mentre il far valere questo diritto ridurrebbe la porzione della quota ammessa effettivamente destinata a lavoratori provenienti da Paesi terzi, il non avvalersene non pregiudicherebbe le possibilita' di ingresso del lavoratore proveniente da altro Stato membro, stante il diritto di libera circolazione per i lavoratori comunitari.

6. Indipendenza dell'ammissione per asilo e ricongiungimento familiare da criteri economici.

Sembra opportuno che i criteri di ammissione per asilo, protezione internazionale e ricongiungimento familiare prescindano dalla situazione del mercato del lavoro. Non sembra accettabile, infatti, che gli ingressi per questi motivi siano subordinati a considerazioni di carattere meramente economico, dal momento che una tale subordinazione interferirebbe pericolosamente con la tutela di diritti fondamentali della persona. E' pero' da tener presente come queste categorie di immigrazione possano contribuire ulteriormente all'offerta di manodopera sul mercato del lavoro comunitario. Sara' bene, allora, che nella determinazione delle quote da ammettere per lavoro si tenga conto, tra gli altri elementi, delle previsioni relative all'immissione nel mercato del lavoro di persone originariamente ammesse, negli anni precedenti, per uno dei motivi qui considerati.

7. Importanza dell'incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro.

E' fondamentale chiarire che gli ingressi nell'ambito della programmazione "per quote" non devono essere ulteriormente subordinati al rilascio di una preventiva autorizzazione al lavoro relativa ad un determinato posto di lavoro - un'autorizzazione, cioe', che si configuri come la prova documentale dell'esistenza di un'occupazione disponibile. Diversamente dal caso dell'immigrazione degli anni '50 e '60, destinata primariamente ad un inserimento nell'industria, per la maggior parte delle mansioni per le quali oggi si rende necessario l'ingresso di lavoratori provenienti da Paesi terzi - si pensi appunto alla collaborazione domestica e all'assistenza domiciliare - l'incontro diretto tra datore di lavoro e lavoratore e' infatti indispensabile per la costituzione di un rapporto di lavoro. Il requisito di una preventiva autorizzazione al lavoro, richiedendo che tale rapporto sia in qualche modo costituito prima dell'ingresso dell'immigrato, rende impraticabile nei fatti l'immigrazione legale in corrispondenza alle mansioni di cui si e' detto. Il migrante avrebbe allora vantaggio ad immigrare illegalmente allo scopo di realizzare quell'incontro diretto dal quale potrebbe derivargli, successivamente, l'autorizzazione necessaria per ripercorrere legalmente la via dell'immigrazione.

 

 

III. Effetti di una politica restrittiva sul controllo dell'immigrazione illegale

8. Fallimento delle strategie di contenimento dell'immigrazione illegale in assenza di una via di immigrazione legale percorribile.

Sussistono validi motivi per ritenere che, laddove non si dia attuazione ad una politica di ammissione per lavoro efficace nel realizzare un canale di immigrazione regolare adeguato alle esigenze del mercato del lavoro, oltre alla menzionata proliferazione artificiosa delle richieste di ammissione per asilo sia anche da attendersi il fallimento delle strategie mirate a contrastare l'immigrazione illegale. Una restrizione dei criteri di ammissione che non sia strettamente correlata ad una effettiva impossibilita' di inserimento del migrante nel mercato del lavoro costituisce infatti un elemento capace, per i motivi esposti, di incentivare l'immigrazione non autorizzata. E quando, in conseguenza di questa incentivazione, i movimenti migratori illegali assumono proporzioni comparabili con quelle della migrazione regolare, non esistono misure di contenimento che possano essere applicate senza risultare viziate da sostanziale inefficacia o da costi sociali inaccettabilmente elevati. Per provare questa asserzione conviene esaminare i possibili interventi di prevenzione dell'immigrazione illegale, dissuasione dal soggiorno illegale, identificazione e rimpatrio degli immigrati illegalmente soggiornanti, alla luce dell'esigenza, opportunamente sottolineata dalla citata Comunicazione della Commissione, di contemperare tali interventi con il rispetto di standard minimi di trattamento del migrante in condizioni illegali.

9. Misure di prevenzione.

E' forse possibile, almeno in parte, prevenire gli ingressi clandestini ed e' certamente doveroso combattere le organizzazioni di trafficanti che su tali ingressi fondano intollerabili speculazioni. Di fronte al problema, pero', degli ingressi regolari - in particolare quelli per turismo - destinati a dar luogo a prolungamenti illegali del soggiorno si puo' fare ben poco: per quanto rigorosamente si applichi una politica dei visti, non e' possibile, se non si vuol deprimere l'attivita' legata al turismo, portare i requisiti per l'ingresso ad un livello tale da risultare insormontabile per chi sia comunque determinato ad immigrare. La possibilita', poi, di una valutazione discrezionale delle "vere" intenzioni del turista offre spazio a pericolose forme di arbitrio e non sembra comunque caratterizzarsi per una apprezzabile efficacia, data la sproporzione esistente tra l'enorme numero di turisti effettivi e quello, assai piu' modesto, di coloro che sotto le apparenze del turismo dissimulano l'immigrazione.

10. Misure di dissuasione.

Un'opera di dissuasione dal soggiorno illegale e' praticabile solo in presenza di una via legale di immigrazione sufficientemente ampia: l'aspirante immigrato e' infatti motivato, nell'astenersi da forme di immigrazione illegale, dalla prospettiva di una chance di immigrazione legale. In assenza di tale via, o in condizioni di eccessiva restrizione di essa, la valutazione operata dal potenziale migrante si basa su un confronto tra le condizioni di inserimento da immigrato illegale e quelle che caratterizzano la sua vita nel paese di origine. Stante il livello drammaticamente basso di queste ultime, per risultare di una qualche efficacia un'azione di dissuasione dovrebbe portare il grado di tutela dei diritti del migrante al di sotto di limiti accettabili. Ne risulterebbero contraddetti i principi enunciati nella Convenzione ONU - della quale invece dovrebbe essere accelerata la ratifica - e, fatto ancor piu' preoccupante, si finirebbe con l'avvalersi dell'intollerabile degrado delle condizioni di vita dell'immigrato illegale per costruire un meccanismo di repulsione capace di supplire alle carenze dell'azione di controllo esercitata dalle istituzioni. Non si puo' omettere, infine, di osservare come l'assistenza prestata, spesso, anche all'immigrato in situazione illegale - che potrebbe inopinatamente costituire una forma di incentivazione del soggiorno non autorizzato - e' motivata dalla gravita' di queste condizioni di vita e costituisce risposta a bisogni fondamentali della persona, come pure all'esigenza di allentare tensioni che mettono a repentaglio il buon andamento della convivenza sociale.

Sono infine certamente da perseguire obiettivi quali l'inasprimento delle sanzioni contro il lavoro nero e l'individuazione di misure che ne favoriscano la prevenzione. Tuttavia, se una politica fondata sull'intensificazione dei controlli puo' essere efficace in relazione a settori del mercato del lavoro caratterizzati da visibilita', quali quelli alimentati dagli appalti pubblici, molto meno puo' esserlo in settori per i quali l'inserimento e' diffuso, di carattere interstiziale e poco evidente, come nel caso delle mansioni precedentemente menzionate e del lavoro in agricoltura. Difficilmente, in queste condizioni, si possono raggiungere risultati significativi, a meno di introdurre forme di incentivazione che inducano l'immigrato stesso a far emergere la propria posizione lavorativa, dandogli in cambio la possibilita' di recuperare la condizione di legalita'. Anche in questo caso, cioe', la chiave di funzionamento dei meccanismi mirati a rendere non appetibile, per l'immigrato, la condizione illegale risiede nella presenza di una via legale percorribile.

11. Misure per l'identificazione e il rimpatrio.

L'identificazione degli immigrati soggiornanti illegalmente e' affidata alle forze di polizia, generalmente occupate in modo prioritario in attivita' affatto diverse, non ultima la lotta alla criminalita' organizzata. Laddove il fenomeno dell'immigrazione illegale si estenda al di la' di certe dimensioni, e' quindi assai improbabile che forze di polizia con organici significativamente meno robusti della categoria degli immigrati da individuare possano esercitare un'azione di controllo piu' che simbolica, stante l'impegno loro richiesto su altri e piu' importanti fronti.

In quei casi in cui, comunque, si riuscisse a pervenire all'individuazione dell'immigrato in posizione illegale, non possono comunque essere trascurati i problemi connessi con le modalita' di rimpatrio. La citata Comunicazione della Commissione indica giustamente nel rimpatrio volontario la forma meno costosa e piu' rispettosa della condizione di speciale vulnerabilita' del cittadino da rimpatriare. E' bene anche considerare come, laddove siano coinvolte categorie particolari di immigrati (e' il caso dei minori non accompagnati e di coloro che dall'espulsione sarebbero strappati al proprio nucleo familiare), deve essere usata la massima cautela per evitare violazioni di diritti fondamentali. E' evidente, pero', come un'applicazione efficace delle misure relative all'espulsione sia compatibile con questa attenzione ai diritti della persona solo quando l'irregolarita' che si vuol contrastare non abbia diffusione tale da rendere impossibile una gestione del fenomeno basata su categorie quali devianza e repressione. In altri termini: laddove si accentui oltre misura il fenomeno dell'immigrazione illegale, il controllo di questo diventa proibitivo e si diffonde la convinzione impropria che l'ostacolo principale da rimuovere risieda nei meccanismi di tutela giurisdizionale dell'immigrato illegale in fase di espulsione. Si tende cosi' a giustificare o addirittura ad invocare una applicazione sommaria e frettolosa delle sanzioni, o un incongruo inasprimento di esse. Il vantaggio che ne consegue, dal punto di vista del ripristino delle condizioni di legalita' riguardo al soggiorno degli immigrati, e' trascurabile, dal momento che la correzione finisce per riguardare le modalita' procedurali o l'intensita' della singola applicazione, piuttosto che il dimensionamento complessivo, di un meccanismo sanzionatorio che resta, cosi', comunque inadeguato al fenomeno. Il danno per le persone coinvolte e' invece - inutile dirlo - gravissimo.

 

IV. Conclusioni

Sembra, in definitiva, debba essere sottolineata la necessita' di adottare criteri di ammissione per motivi di lavoro che non portino ad una eccessiva restrizione del canale di immigrazione legale. Data infatti la scarsa probabilita' che le misure orientate ad una attenuazione della pressione migratoria sortiscano in tempi brevi risultati di un qualche rilievo, un dimensionamento di questo canale che non sappia tenere effettivamente conto della domanda di manodopera non coperta dalla forza-lavoro residente negli Stati membri alimenta nei fatti le forme di immigrazione illegale. Vengono cosi' a determinarsi condizioni in cui, per l'estensione del bacino di irregolarita' e per la mancanza di una via legale percorribile, risultano inefficaci o carichi di un costo eccessivo tutti i meccanismi di prevenzione, controllo, dissuasione e repressione del fenomeno dell'immigrazione illegale.

Una politica fondata sulla determinazione periodica di quote di immigrazione ammesse per lavoro puo' essere in grado di conciliare l'attenzione ai problemi dell'occupazione e del mercato del lavoro degli Stati membri con l'esigenza di garantire l'esistenza di un alveo di immigrazione legale non inutilmente ristretto. E' pero' indispensabile che non si impongano eccessivi vincoli burocratici - quale la preventiva dimostrazione dell'esistenza di un determinato posto di lavoro disponibile - sull'ingresso dei lavoratori immigrati ammessi nell'ambito della programmazione "per quote". Tali vincoli, infatti, rischiano di rendere inaccessibile l'immigrazione legale, senza peraltro produrre livelli di tutela del lavoratore residente disoccupato che non possano essere raggiunti, in modo privo di effetti indesiderati, da un'attenta programmazione governativa.

E' altrettanto importante che la programmazione per quote, relativa all'ammissione per lavoro, non interferisca con le politiche di ammissione per asilo, protezione internazionale e ricongiungimento familiare, dovendosi evitare che diritti fondamentali della persona siano subordinati a criteri di mera opportunita' economica.

E' infine necessario, avvalendosi di una politica di integrazione fondata su una rapida progressione dei diritti, impedire che le iniziali condizioni di svantaggio dell'immigrato si cronicizzino, protraendo in modo innaturale una dannosa situazione di compressione sociale.

 

ACLI

ACSE

Caritas Italiana

Comunita' di S.Egidio

CSER

Roma, 7 settembre 1994 Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia

Fondazione Migrantes della CEI

Jesuit Refugee Service

OSA

UCSEI

YWCA-UCDG