NOTE RELATIVE ALLE OSSERVAZIONI DEL CNEL SULLA PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI DI STRANIERI

EXTRACOMUNITARI PER IL 1996

20 dicembre 1995

Sembra opportuno far rilevare, in proposito delle Osservazioni del CNEL sulla Programmazione dei Flussi di Stranieri Extracomunitari per il 1996, le seguenti considerazioni.

1) Al primo paragrafo delle considerazioni introduttive e' detto che "il CNEL ritiene che possa essere sostanzialmente mantenuto il livello degli ingressi previsti nel 1995 per motivi di lavoro, di ricongiungimento familiare, di rifugio per emergenze politiche, di studio, e per le altre specifiche cause gia' indicate nei precedenti provvedimenti secondo quanto stabilito dalla legge".

Questa affermazione appare imprecisa e rischia di avallare una tendenza in contrasto con le leggi vigenti: quella, cioe', di porre tetti annuali agli ingressi per motivi diversi dal lavoro di cittadini provenienti da paesi non appartenenti all'Unione europea. E' opportuno osservare come il comma 3 dell'articolo 2 della legge 39/1990 disponga la programmazione dei flussi limitatamente al caso di ingresso in Italia per ragioni di lavoro.

Non e' quindi accettabile che tale decreto contenga limitazioni sull'ingresso per ricongiungimento familiare, o per studio, o per richiesta di asilo. Una posizione ambigua a tal riguardo, contenuta nel tardivo decreto per i flussi del 1995, e' stata gia' stigmatizzata dalle competenti commissioni parlamentari.

Dal seguito del documento CNEL si evince chiaramente come l'impostazione ivi contenuta sia lodevolmente favorevole ad una politica di apertura riguardo agli ingressi per ricongiungimento familiare e studio, come pure nei confronti dei rifugiati. Nondimeno resta improprio - e quindi criticabile - un riferimento a tali motivi di ingresso nell'ambito di osservazioni sul decreto di programmazione dei flussi.

2) Al secondo paragrafo delle considerazioni introduttive si afferma come il programma di interventi atti a favorire l'inserimento socio-culturale degli stranieri debba costituire l'elemento centrale nella elaborazione del decreto.

Benche' sia largamente condivisibile l'esigenza di sottolineare l'importanza di tali interventi, dovrebbe essere sottolineata con forza ancora maggiore la necessita' di individuare, nell'ambito della programmazione dei flussi, meccanismi di accesso al lavoro che rendano percorribile la via dell'immigrazione regolare.

Nei decreti sui flussi per gli anni dal 1991 al 1995 si e' stabilito che in Italia potesse entrare per lavoro solo lo straniero, ancora residente all'estero, chiamato nominativamente da un datore di lavoro italiano. Se si considera che i lavori che oggi assorbono manodopera immigrata sono per lo piu' nel campo dei servizi alla persona (collaborazione domestica, assistenza agli anziani, etc.) e richiedono quindi, perche' si instauri un rapporto di lavoro, una conoscenza diretta preventiva tra lavoratore e datore di lavoro, si comprende come l'immaginare che una chiamata nominativa possa aver luogo prima dell'ingresso in Italia del lavoratore sia privo di senso.

Conseguenza di questa impostazione e' stata l'incentivazione di un ingresso in Italia mascherato da motivi di turismo e seguìto da un prolungamento irregolare del soggiorno che consentisse una ricerca di occupazione sul posto. A parte i pochi fortunati (forse un venti per cento) che hanno potuto far uso dell'escamotage della chiamata nominativa da parte di un datore di lavoro scrupoloso, ritornando temporaneamente all'estero e rientrando quali lavoratori regolari in Italia, la maggior parte degli immigrati e' rimasta relegata in condizioni di irregolarita' e, tipicamente, condannata allo sfruttamento, senza alcuna tutela da parte dello Stato. Si puo' stimare questo flusso di immigrazione stanziale in circa centomila unita' per anno.

E' evidente come, in presenza di questa progressiva - benche' evitabile - alimentazione del bacino di irregolarita', qualunque misura per l'integrazione socio-culturale rischi di risultare del tutto inapplicabile, non potendo - per definizione - interessare soggetti non autorizzati a soggiornare in Italia.

Sarebbe opportuno che venisse seriamente considerata l'opportunita' di impostare la programmazione dei flussi per lavoro sui seguenti cardini:

a) Istituzione di liste di prenotazione, presso le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero, nelle quali coloro che aspirano a migrare in Italia possano iscriversi. Tali liste sono di fatto gia' previste dall'articolo 5 della legge 943/1986, ma sono state indirettamente soppresse, prima ancora di vedere la luce, dalla circolare 37/1989 del Ministero del lavoro. In assenza di esse, il lavoratore straniero non ha la minima possibilita' di segnalare la propria esistenza, se non intraprendendo il cammino irregolare sopra descritto.

b) Determinazione annuale delle quote di immigrazione necessarie, per ciascuna mansione, a colmare il fabbisogno di manodopera del mercato del lavoro italiano.

c) Individuazione delle particolari mansioni (ad esempio, la collaborazione familiare) per le quali non si puo' prescindere da un incontro diretto preventivo tra datore di lavoro e lavoratore.

d) Rilascio di visti d'ingresso - con eventuale scaglionamento temporale - ai lavoratori iscritti per le mansioni cosi' individuate, fino a completamento della quota programmata, senza bisogno di una preventiva autorizzazione al lavoro.

Lungi dal sottrarre l'immigrazione per lavoro al controllo governativo, un'impostazione del genere consentirebbe di mantenere nell'alveo della legalita' quella rilevante porzione del fenomeno che in questi anni, pur se in sostanziale sintonia con le esigenze della societa' italiana, e' stata dannosamente relegata in condizioni di irregolarita'.

3) Al punto 2 delle Osservazioni si fa riferimento ad una politica di accordi bilaterali con i paesi di emigrazione.

E' certamente condivisibile la tesi, da piu' parti affermata, secondo la quale tali accordi potrebbero dare un contributo positivo alla gestione del fenomeno e, in particolare, alla tutela dei lavoratori immigrati.

Tuttavia e' necessario che si chiarisca come la stipula di accordi bilaterali debba rimanere uno strumento al servizio di una piu' vasta politica di immigrazione e non possa in alcun modo costituire il prerequisito per la realizzazione di questa. Considerare, infatti, la stipula di accordi quale conditio sine qua non per l'ammissione di flussi di immigrazione per lavoro significherebbe rinviare a data indeterminata l'avvio di una risposta efficace alle esigenze del mercato del lavoro, come pure alla pressione migratoria. Significherebbe anche - e ancor piu' dannosamente - restringere la politica di immigrazione italiana al novero dei paesi con i quali sia effettivamente possibile la stipula degli accordi in questione e, in definitiva, mortificare irreparabilmente gli aspetti soggettivi della migrazione.

4) I riferimenti, contenuti nel punto 4 delle Osservazioni, alla necessita' di rendere efficace lo strumento dell'espulsione non possono che essere valutati alla luce di quanto esposto al punto 2 delle presenti note riguardo all'impostazione deficitaria della politica di programmazione dei flussi per lavoro fino ad oggi adottata. L'aver lasciato come unica via di accesso ad una posizione lavorativa quella dell'immigrazione irregolare ha condotto ad una innaturale espansione della categoria di stranieri passibili di espulsione. L'auspicio di una revisione della normativa che renda piu' efficace il provvedimento di allontanamento dal territorio dello Stato e' condivisibile, pertanto, solo a valle della effettiva attuazione di una diversa e piu' lungimirante politica di programmazione. In ogni caso, l'esigenza di un piu' puntuale rispetto delle norme su ingresso e soggiorno non puo' giustificare una riduzione degli spazi di tutela dei diritti della persona assicurati dai trattati internazionali e dalla Costituzione.