GRUPPO DI RIFLESSIONE

di organismi ed associazioni di ispirazione religiosa

attivi nel campo delle migrazioni

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FEDERAZIONE DELLE CHIESE EVANGELICHE IN ITALIA

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NOTA SULLA POLITICA DI IMMIGRAZIONE IN OCCASIONE DEL VERTICE MONDIALE DI COPENHAGEN PER LO SVILUPPO SOCIALE

I problemi associati al fenomeno dell'immigrazione e, in certa misura, a quello dell'asilo occupano una posizione di rilievo, in Europa, nell'agenda dei lavori sulle politiche sociali delle istituzioni comunitarie, come pure dei governi nazionali e delle forze sociali. E' infatti largamente riconosciuto come scelte inadeguate riguardo a tali problemi per un verso releghino immigrati e rifugiati in una condizione di insanabile marginalita', per l'altro finiscano con l'aggravare la stessa situazione dei cittadini socialmente piu' deboli dei Paesi ospitanti, che vengono posti in condizioni di dannosa concorrenza con gli immigrati per l'accesso a beni e servizi essenziali. La ricerca tra gli Stati Membri dell'Unione Europea di una base comune per le politiche di immigrazione e asilo e' quindi elemento indispensabile per una gestione del fenomeno che consenta di esaltarne la valenza positiva, contenendone allo stesso tempo i costi sociali. Tale ricerca e' tenuta nella massima considerazione dalla Commissione delle Comunita' Europee, che ne ha fatto l'oggetto della propria Comunicazione al Consiglio e al Parlamento Europeo sulle Politiche di Immigrazione e Asilo del 23 febbraio 1994.

Intendimento di questa nota e' di offrire, in occasione del Vertice Mondiale per lo Sviluppo Sociale, alcune riflessioni in materia, maturate, alla luce dell'esperienza italiana, da organizzazioni non governative impegnate nel campo dell'immigrazione.

E' opinione generalmente condivisa che la definizione di una politica di immigrazione necessiti di un approccio globale imperniato su tre principali obiettivi: l'alleggerimento della pressione migratoria, la progressiva integrazione sociale dell'immigrato e il controllo dei flussi migratori in ingresso. A un simile inquadramento del problema, che e' alla base della Comunicazione della Commissione, conviene fare riferimento allo scopo di valutare l'opportunita' delle singole scelte in materia.

 

I. Elementi essenziali della politica migratoria

1. Alleggerimento della pressione migratoria.

L'individuazione di misure orientate ad una riduzione della pressione migratoria alle frontiere degli Stati dell'Unione Europea richiede la comprensione e la progressiva rimozione delle principali cause dei movimenti migratori verso l'Europa. La prima di queste cause certamente risiede nelle intollerabili disparita' economiche tra i cosiddetti Paesi in via di sviluppo e i Paesi industrializzati. Non possono pero' essere trascurati fattori quali gli squilibri demografici e ambientali, i conflitti armati, le guerre civili, la mancanza di democrazia e le violazioni dei diritti fondamentali dell'uomo che costringono molti abitanti di Paesi in via di sviluppo ad abbandonare la propria terra in cerca di piu' accettabili condizioni di vita.

Allo scopo di attenuare la pressione migratoria e' quindi necessario rinforzare e coordinare le politiche di cooperazione allo sviluppo economico, di liberalizzazione dei commerci e di riduzione del debito e dei servizi del debito, le azioni orientate a ristabilire o mantenere la pace, i meccanismi di tutela ambientale, il sostegno ai processi di democratizzazione nei Paesi di emigrazione, il controllo internazionale sul rispetto dei diritti dell'uomo.

E' tuttavia importante tener presente il carattere di lungo periodo di tali interventi e la conseguente necessita' di non trascurare la politica di immigrazione propriamente detta. Ben difficilmente, infatti, un'accelerazione dello sviluppo dei Paesi di emigrazione potrebbe tradursi in un consistente beneficio per coloro che hanno gia' lasciato la propria terra e proteggerli quindi, ipso facto, dal rischio di esclusione sociale nel Paese di immigrazione.

2. Progressione dei diritti e integrazione dell'immigrato.

Riguardo al rafforzamento delle politiche di integrazione per gli immigrati regolarmente residenti, e' opportuno osservare come una progressione dei diritti dell'immigrato che gli consenta di raggiungere, con gradualita' ma anche con rapidita', condizioni paritarie rispetto alla popolazione nazionale sia elemento irrinunciabile per garantire e stimolare la promozione sociale dell'immigrato. Dato, infatti, il prevalente carattere di bassa qualificazione delle attivita' lavorative che consentono oggi l'ingresso di immigrati nei Paesi industrializzati, e' fondato il rischio che l'intera categoria risulti socialmente compressa e che vadano in breve tempo dispersi, perche' inadeguatamente utilizzati, rilevanti patrimoni individuali di cultura e competenza professionale. Una condizione di svantaggio, inizialmente tollerabile e, forse, ineliminabile, finirebbe per assumere carattere cronico, protraendosi dannosamente nelle generazioni successive.

Accanto alla tutela di diritti fondamentali, relativi al rispetto della vita familiare, alla condizione dei minori, alla difesa in giudizio, sembrano particolarmente rilevanti, in proposito, le possibilita' di accesso ai servizi socio-sanitari, all'istruzione e alla formazione professionale, nonche' la parita' di trattamento, rispetto ai cittadini autoctoni, in materia di condizioni di lavoro, retribuzione e sicurezza sociale. La Convenzione ONU del 18.12.1990 sulla Protezione dei Diritti di Tutti i Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie e le Convenzioni OIL n.97, 118, 143 e 157, se ratificate da un numero sufficiente di Paesi di immigrazione, potrebbero costituire l'appropriato contesto giuridico per il pieno riconoscimento di tale rilevanza.

Altrettanto importante e' poi certamente la possibilita', per l'immigrato, di maturare, a valle di un determinato periodo di residenza, un diritto di soggiorno permanente che lo affranchi da una difficile condizione di precarieta'. Nello stesso spirito, superata una determinata eta' o trascorso un tempo prefissato, dovrebbe essere riconosciuto a ciascun membro della famiglia di un immigrato residente un diritto di soggiorno indipendente dalla permanenza dei legami familiari e dallo status giuridico dell'immigrato in questione.

Lo strumento giuridico della naturalizzazione dovrebbe infine dare compimento a questa fase di promozione sociale dell'immigrato, consentendogli il pieno godimento dei diritti civili e politici.

3. Controllo dei flussi migratori in ingresso nei Paesi di immigrazione.

Il ponte tra una politica di azione sulla pressione migratoria dai risultati non immediati e una politica di integrazione dell'immigrato regolare non puo' che essere rappresentato da una efficace politica di controllo dei flussi. Un'immigrazione, infatti, che avvenga in modo incontrollato e' incompatibile con l'attuazione del principio di progressivita' dei diritti preposto alla politica di integrazione, sia nell'ipotesi che detta immigrazione rimanga relegata in condizioni di illegalita', sia laddove le istituzioni ne prendano pragmaticamente atto, mandando pero', in tal modo, un messaggio che si presta ad essere interpretato come un segnale di resa. Nel primo caso, infatti, il migrante non solo non vede progredire il proprio livello di cittadinanza, ma e' perfino impossibilitato a godere di diritti fondamentali; nel secondo, rischia di mancare, intorno alla politica di integrazione, il consenso generale della popolazione residente: la maturazione di diritti da parte di persone formalmente non legittimate ad accedervi puo' essere percepita, a torto o a ragione, in modo negativo, con una conseguente recrudescenza di tendenze xenofobe e razziste.

E' necessario, quindi, che al problema del controllo dei flussi sia dedicata una particolare attenzione.

 

II. La politica delle quote di immigrazione per lavoro

4. Necessita' di non sottovalutare il problema dell'ammissione per lavoro.

E' utile classificare i movimenti migratori in base ai motivi di ammissione nel Paese di immigrazione. E' cosi' possibile distinguere alcune delle componenti piu' rilevanti del flusso migratorio: i rifugiati, le persone bisognose di tutela internazionale, i familiari di immigrati gia' stabilmente inseriti che attuano il ricongiungimento familiare, gli immigrati per motivi di lavoro.

Non e' difficile raccogliere un generale consenso intorno all'affermazione secondo la quale i criteri di ammissione nei Paesi di immigrazione debbano tenere nel giusto conto gli impegni internazionali precedentemente assunti e le tradizioni umanitarie in generale. E' pero' della massima importanza che questa giusta sottolineatura non venga interpretata come una indicazione della necessita' di praticare una politica di apertura riguardo a soli problemi dell'asilo (o della protezione internazionale) e del ricongiungimento familiare, limitando invece l'ammissione per lavoro ai casi previsti da accordi bilaterali precedentemente assunti con Paesi terzi. Che questo timore non sia infondato e' confermato dalla Risoluzione adottata il 20.06.1994 dal Consiglio dei Ministri degli Affari Interni e di Giustizia dell'Unione Europea, che prospetta appunto misure fortemente restrittive circa l'ammissione per lavoro con l'eccezione delle situazioni previste da accordi bilaterali vigenti.

E' necessario, in contrasto con questa tendenza, sottolineare come l'ammissione per lavoro non possa essere trattata quale aspetto di portata minore. L'immigrazione per lavoro non e', infatti, fenomeno marginale e, anzi, in molti paesi - l'Italia tra questi - costituisce la componente principale dei movimenti migratori. Trascurandola, si sbilancia artificiosamente e pericolosamente la distribuzione della pressione migratoria, sovraccaricando il ramo dei rifugiati: l'eccessivo numero di domande di asilo che ne consegue rischia di snaturare le procedure di riconoscimento, mettendo a rischio gli standard minimi di tutela in relazione a tali procedure, con grave danno potenziale per coloro che sono effettivamente in possesso dei requisiti necessari.

E' quindi opportuno sottolineare che una politica non puramente restrittiva, oltre che dal rispetto degli impegni assunti e delle tradizioni umanitarie, e' motivata dall'esigenza di evitare che l'immigrazione illegale risulti, per il migrante, da preferire ad una immigrazione legale nei fatti inaccessibile.

5. Opportunita' di una politica di quote compatibile con la situazione occupazionale interna.

Quanto alla individuazione dei criteri di ammissione per lavoro, e' da piu' parti indicata la necessita' di subordinare l'ammissione di quote di immigrazione per lavoro all'andamento dell'economia e della crisi occupazionale comunitaria. Tale indicazione e' naturalmente condivisibile, essendo opportuno evitare conflitti tra categorie, entrambe svantaggiate, quali quella dei lavoratori immigrati e quella dei cittadini di Paesi di immigrazione in condizioni di disoccupazione. L'affermazione, pero', secondo la quale la crisi attualmente attraversata da molti Paesi industrializzati impedirebbe l'attuazione di una politica di quote non sembra condivisibile, dal momento che esistono settori del mercato del lavoro non comunicanti; situazioni di disoccupazione e domanda di manodopera non saturata possono cosi' coesistere senza mutua elisione. In Italia, ad esempio, settori quali la collaborazione domestica e l'assistenza domiciliare a persone non autosufficienti risultano, a dispetto dell'elevato tasso di disoccupazione, cronicamente scoperti.

Sembra invece opportuno che, pur vincolata a precise regole e soggetta ad adeguate forme di verifica multilaterale, una periodica determinazione delle quote da ammettere per lavoro abbia luogo, affidata ai governi dei singoli Stati, che avrebbero cosi' il compito di valutare responsabilmente l'entita' dell'ulteriore flusso di lavoratori immigrati del quale le specifiche caratteristiche dei mercati del lavoro nazionali rendano auspicabile l'ingresso.

6. Indipendenza dell'ammissione per asilo e ricongiungimento familiare da criteri economici.

Sembra opportuno che i criteri di ammissione per asilo, protezione internazionale e ricongiungimento familiare prescindano dalla situazione del mercato del lavoro. Non sembra accettabile, infatti, che gli ingressi per questi motivi siano subordinati a considerazioni di carattere meramente economico, dal momento che una tale subordinazione interferirebbe pericolosamente con la tutela di diritti fondamentali della persona. E' pero' da tener presente come queste categorie di immigrazione possano contribuire ulteriormente all'offerta di manodopera sul mercato del lavoro comunitario. Sara' bene, allora, che nella determinazione delle quote da ammettere per lavoro si tenga conto, tra gli altri elementi, delle previsioni relative all'immissione nel mercato del lavoro di persone originariamente ammesse, negli anni precedenti, per uno dei motivi qui considerati.

7. Importanza dell'incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro.

E' fondamentale osservare come diversamente dal caso dell'immigrazione nell'Europa degli anni '50 e '60, destinata primariamente ad un inserimento nell'industria, oggi la porzione piu' rilevante del flusso di immigrazione per lavoro trova inserimento nel settore dei servizi - si pensi appunto alla collaborazione domestica e all'assistenza domiciliare. E' bene sottolineare che, almeno per mansioni di questo genere, gli ingressi nell'ambito della programmazione "per quote" non devono essere ulteriormente subordinati al rilascio di una preventiva autorizzazione al lavoro relativa ad un determinato posto di lavoro - un'autorizzazione, cioe', che si configuri come la prova documentale dell'esistenza di un'occupazione disponibile. Per esse, infatti, l'incontro diretto e lo stabilirsi di una relazione di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore e' infatti indispensabile per la costituzione di un rapporto di lavoro. Il requisito di una preventiva autorizzazione al lavoro, richiedendo che tale rapporto sia in qualche modo costituito prima dell'ingresso dell'immigrato, rende impraticabile nei fatti l'immigrazione legale in corrispondenza alle mansioni considerate. Il migrante avrebbe allora vantaggio ad immigrare illegalmente allo scopo di realizzare quell'incontro diretto dal quale potrebbe derivargli, successivamente, l'autorizzazione necessaria per ripercorrere legalmente la via dell'immigrazione.

 

III. Effetti di una politica restrittiva sul controllo dell'immigrazione illegale

8. Fallimento delle strategie di contenimento dell'immigrazione illegale in assenza di una via di immigrazione legale percorribile.

Sussistono validi motivi per ritenere che, laddove non si dia attuazione ad una politica di ammissione per lavoro efficace nel realizzare un canale di immigrazione regolare adeguato alle esigenze del mercato del lavoro, oltre alla menzionata proliferazione artificiosa delle richieste di ammissione per asilo sia anche da attendersi il fallimento delle strategie mirate a contrastare l'immigrazione illegale. Una restrizione dei criteri di ammissione che non sia strettamente correlata ad una effettiva impossibilita' di inserimento del migrante nel mercato del lavoro costituisce infatti un elemento capace, per i motivi esposti, di incentivare l'immigrazione non autorizzata. E quando, in conseguenza di questa incentivazione, i movimenti migratori illegali assumono proporzioni cospicue, fino a diventare comparabili per entita' con la migrazione regolare, non esistono misure di contenimento che possano essere applicate senza risultare viziate da sostanziale inefficacia o da costi sociali inaccettabilmente elevati. Per provare questa asserzione conviene esaminare i possibili interventi di prevenzione dell'immigrazione illegale, dissuasione dal soggiorno illegale, identificazione e rimpatrio degli immigrati illegalmente soggiornanti, alla luce dell'esigenza, opportunamente sottolineata dalla citata Comunicazione della Commissione, di contemperare tali interventi con il rispetto di standard minimi di trattamento del migrante in condizioni illegali.

9. Misure di prevenzione.

Un importante contributo alla prevenzione dell'immigrazione illegale puo' essere ottenuto dall'adozione di misure atte a contrastare efficacemente gli ingressi clandestini. Fino ad oggi l'attenzione e' stata tipicamente rivolta alla figura dell'immigrato clandestino, che rappresenta certamente l'anello piu' debole e meno pericoloso della catena di illegalita' connessa con tali ingressi. E' invece indispensabile che l'azione di contrasto si concentri, anche mediante forme di cooperazione intergovernativa, sulle organizzazioni malavitose che sui traffici clandestini di manodopera fondano intollerabili speculazioni.

Non si deve pero' trascurare come, a fronte degli apprezzabili risultati che per tale via possono essere raggiunti, ben poco puo' essere fatto riguardo al fenomeno, in molti paesi numericamente assai piu' rilevante, degli ingressi regolari - tipicamente per motivi di turismo - destinati a dar luogo a prolungamenti illegali del soggiorno. Per quanto rigorosamente si applichi una politica dei visti, non e' infatti possibile, se non si vuol deprimere l'attivita' legata al turismo, portare i requisiti per l'ingresso ad un livello tale da risultare insormontabile per chi sia comunque determinato ad immigrare. La possibilita', poi, di una valutazione discrezionale delle "vere" intenzioni del turista offre spazio a pericolose forme di arbitrio e non sembra comunque caratterizzarsi per una apprezzabile efficacia, data la sproporzione esistente tra l'enorme numero di turisti effettivi e quello, assai piu' modesto, di coloro che sotto le apparenze del turismo dissimulano l'immigrazione.

10. Misure di dissuasione.

Un'opera di dissuasione dal soggiorno illegale e' praticabile solo in presenza di una via legale di immigrazione sufficientemente ampia: l'aspirante immigrato e' infatti motivato, nell'astenersi da forme di immigrazione illegale, dalla prospettiva di una chance di immigrazione legale. In assenza di tale via, o in condizioni di eccessiva restrizione di essa, la valutazione operata dal potenziale migrante si basa su un confronto tra le condizioni di inserimento da immigrato illegale e quelle che caratterizzano la sua vita nel Paese di origine. Stante il livello drammaticamente basso di queste ultime, per risultare di una qualche efficacia un'azione di dissuasione dovrebbe portare il grado di tutela dei diritti del migrante al di sotto di limiti accettabili. Si finirebbe cosi' con l'utilizzare, in modo inaccettabile, l'intollerabile degrado delle condizioni di vita dell'immigrato illegale per costruire un meccanismo di repulsione capace di supplire alle carenze dell'azione di controllo esercitata dalle istituzioni. Un simile meccanismo dovrebbe poi, per risultare efficace, essere accompagnato dall'esplicito divieto per le forze sociali di prestare assistenza all'immigrato in situazione illegale. Tale assistenza, che puo' certamente costituire una indesiderabile forma di incentivazione del soggiorno non autorizzato, e' pero' profondamente motivata dalla drammaticita' delle condizioni di vita di molti immigrati irregolari e costituisce un'improcrastinabile risposta a bisogni fondamentali della persona, come pure all'esigenza di allentare tensioni che mettono a repentaglio il buon andamento della convivenza sociale.

Sono infine certamente da perseguire obiettivi quali l'inasprimento delle sanzioni contro il lavoro nero e l'individuazione di misure che ne favoriscano la prevenzione (a maggior ragione laddove la normativa vigente o la prassi applicativa presentino carenze al riguardo). Tuttavia, se una politica fondata sull'intensificazione dei controlli puo' essere efficace in relazione a settori del mercato del lavoro caratterizzati da visibilita', quali quelli relativi ad attivita' industriali, molto meno puo' esserlo in settori per i quali l'inserimento e' diffuso, di carattere interstiziale e poco evidente, come nel caso della collaborazione domestica, dell'assistenza domiciliare o delle attivita' in agricoltura.

11. Misure per l'identificazione e il rimpatrio.

Laddove il fenomeno dell'immigrazione illegale si estenda al di la' di certe dimensioni, l'obiettivo di una sistematica ed efficace identificazione delle situazioni irregolari risulta nei fatti di realizzazione palesemente ardua.

In quei casi in cui, comunque, si riuscisse a pervenire all'individuazione dell'immigrato in posizione illegale, non possono comunque essere trascurati i problemi connessi con le modalita' di rimpatrio. La citata Comunicazione della Commissione indica giustamente nel rimpatrio volontario la forma meno costosa e piu' rispettosa della condizione di speciale vulnerabilita' del cittadino da rimpatriare. E' bene anche considerare come, quando siano coinvolte categorie particolari di immigrati (e' il caso dei minori non accompagnati e di coloro che dall'espulsione sarebbero strappati al proprio nucleo familiare), deve essere usata la massima cautela per evitare violazioni di diritti fondamentali. E' evidente, pero', come un'applicazione efficace delle misure relative all'espulsione sia compatibile con questa attenzione ai diritti della persona solo quando l'irregolarita' che si vuol contrastare non abbia diffusione tale da rendere impossibile una gestione del fenomeno basata su categorie quali devianza e repressione. In altri termini: laddove si accentui oltre misura il fenomeno dell'immigrazione illegale, il controllo di questo diventa proibitivo e si diffonde la convinzione impropria che l'ostacolo principale da rimuovere risieda nei meccanismi di tutela giurisdizionale dell'immigrato illegale in fase di espulsione. Si tende cosi' a giustificare o addirittura ad invocare una applicazione sommaria e frettolosa delle sanzioni, o un incongruo inasprimento di esse. Il vantaggio che ne consegue, dal punto di vista del ripristino delle condizioni di legalita' riguardo al soggiorno degli immigrati, e' trascurabile, dal momento che la correzione finisce per riguardare le modalita' procedurali o l'intensita' della singola applicazione, piuttosto che il dimensionamento complessivo, di un meccanismo sanzionatorio che resta, cosi', comunque inadeguato al fenomeno. Il danno per le persone coinvolte e' invece - inutile dirlo - gravissimo.

 

IV. Conclusioni

E' opportuno che la politica di immigrazione sia fondata su tre elementi principali: una progressiva rimozione delle cause che inducono i movimenti migratori finalizzata all'alleggerimento della pressione migratoria, l'integrazione sociale dell'immigrato, il controllo dei flussi di immigrazione.

Con riferimento al primo di questi elementi, sono da rinforzare le azioni orientate alla creazione di condizioni di vita accettabili - sotto il profilo economico, politico, sociale - nei Paesi di emigrazione. Vanno quindi perseguite efficaci politiche di cooperazione allo sviluppo, di risoluzione dei conflitti armati e di tutela dei diritti dell'uomo.

Quanto al secondo elemento, e' necessario, favorendo una rapida progressione dei diritti dell'immigrato, impedire che le iniziali condizioni di svantaggio in cui questi viene tipicamente a trovarsi si cronicizzino, protraendo in modo innaturale una dannosa situazione di esclusione sociale. La possibilita' di accesso ai servizi socio-sanitari e all'istruzione, la parita' di trattamento con i cittadini nazionali in materia di condizioni di lavoro, retribuzione e sicurezza sociale, il godimento di diritti politici, il diritto di soggiorno permanente e la concessione della cittadinanza costituiscono altrettante tappe di tale progressione. La ratifica da parte di un alto numero di Paesi di immigrazione della Convenzione ONU del 18.12.1990 e delle Convenzioni OIL n.97, 118, 143 e 157 potrebbe dare solidita' giuridica al riconoscimento di alcuni dei principali diritti qui considerati.

In relazione al problema del controllo dei flussi conviene sottolineare la necessita' di adottare criteri di ammissione per motivi di lavoro che non portino ad una eccessiva restrizione del canale di immigrazione legale. Data infatti la scarsa probabilita' che le misure orientate ad una attenuazione della pressione migratoria sortiscano in tempi brevi risultati di un qualche rilievo, un dimensionamento di questo canale che non sappia tenere effettivamente conto della domanda di manodopera non coperta dalla forza-lavoro residente nei Paesi industrializzati alimenta nei fatti le forme di immigrazione illegale. Vengono cosi' a determinarsi condizioni in cui, per l'estensione del bacino di irregolarita' e per la mancanza di una via legale percorribile, risultano inefficaci o carichi di un costo eccessivo tutti i meccanismi di prevenzione, controllo, dissuasione e repressione del fenomeno dell'immigrazione illegale.

Una politica fondata sulla determinazione periodica di quote di immigrazione ammesse per lavoro puo' essere in grado di conciliare l'attenzione ai problemi dell'occupazione e del mercato del lavoro dei Paesi industrializzati con l'esigenza di garantire l'esistenza di un alveo di immigrazione legale non inutilmente ristretto. E' pero' indispensabile che non si impongano eccessivi vincoli burocratici - quale la preventiva dimostrazione dell'esistenza di un determinato posto di lavoro disponibile - sull'ingresso dei lavoratori immigrati ammessi nell'ambito della programmazione "per quote". Tali vincoli, infatti, rischiano di rendere inaccessibile l'immigrazione legale, senza peraltro produrre livelli di tutela del lavoratore residente disoccupato che non possano essere raggiunti, in modo privo di effetti indesiderati, da un'attenta programmazione governativa.

E' altrettanto importante che la programmazione per quote, relativa all'ammissione per lavoro, non interferisca con le politiche di ammissione per asilo, protezione internazionale e ricongiungimento familiare, dovendosi evitare che diritti fondamentali della persona siano subordinati a criteri di mera opportunita' economica.

 

V. Proposta di emendamento

E' doveroso segnalare come il testo del "RAPPORTO DELL'ITALIA" (21 giugno 1994) rischi di risultare, almeno per quanto concerne il problema dell'immigrazione, vago e scarsamente adeguato a raprresentare la realta' italiana. E' auspicabile che, anche sulla base degli elementi esposti nella presente Nota, a tale testo siano apportate sostanziali modifiche o almeno, in via subordinata, il seguente emendamento:

Al paragrafo 3 ("Politiche migratorie"), le parole

"In questa ottica si pone anche l'ipotesi di una politica di ingressi per quote. Essa potrebbe consentire infatti di ancorare i progetti migratori a programmi di cooperazione allo sviluppo tra Paesi e quindi a programmi di sviluppo dei Paesi del Sud del mondo rispetto ai quali l'esperienza migratoria costituisca uno dei fattori di crescita del capitale umano.

Cio' avrebbe effetti positivi anche sull'immagine collettiva dell'immigrazione diffusa nelle societa' occidentali e sulla determinazione di un clima di tolleranza."

sono sostituite dalle parole

"In quest'ottica si pone anche l'ipotesi di una politica di ingressi per quote. Tale politica, lasciando inalterati i criteri di ammissione per asilo e ricongiungimento familiare, dovrebbe consentire l'ingresso di immigrati per ragioni di lavoro fino a completamento di contingenti ("quote") fissati periodicamente sulla base di stime del fabbisogno di manodopera non coperto dai lavoratori residenti. Potrebbe cosi' essere facilitato l'incontro diretto tra datore di lavoro e lavoratore, indispensabile, per la maggior parte delle mansioni, perche' si costituisca un rapporto di lavoro, e difficilmente realizzabile laddove si richieda una preventiva autorizzazione al lavoro (e quindi un formale impegno all'assunzione da parte del datore di lavoro) per l'ammissione dell'immigrato.

Risulterebbero, in definitiva, fortemente indeboliti i fattori che incentivano l'immigrazione illegale. La conseguente riduzione del bacino di situazioni irregolari permetterebbe di contrastare piu' efficacemente i processi di esclusione sociale cui gli immigrati illegali sono piu' degli altri esposti e avrebbe anche effetti positivi sull'immagine collettiva dell'immigrazione diffusa nelle societa' occidentali e sulla determinazione di un clima di tolleranza."

 

ACLI

ACSE

Caritas Italiana

Comunita' di S.Egidio

CSER

Roma, 3 gennaio 1995 Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia

Fondazione Migrantes della CEI

Jesuit Refugee Service

OSA

UCSEI

YWCA-UCDG