NOTA SUI PROVVEDIMENTI URGENTI IN MATERIA DI CITTADINI STRANIERI EXTRACOMUNITARI

Sono riportate, in questa nota, alcune delle considerazioni che costituiscono i presupposti della proposta di legge Tanzarella-Lumia recante "Disposizioni in materia di soggiorno dei cittadini stranieri extracomunitari nel territorio dello Stato".

 

La politica dei flussi

Uno dei principali obiettivi del decreto-legge 30 dicembre 1989, n.416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n.39, noto come "legge Martelli", e' quello di porre sotto il controllo dello Stato l'immigrazione nella sua totalita', e di evitare cosi' la formazione di un'area di irregolarita'. A questo scopo, oltre a stabilire un provvedimento di sanatoria delle situazioni di irregolarita' pregresse, esso prevede l'emanazione annuale di un decreto ministeriale (il cosiddetto decreto sui flussi) per la definizione dei criteri di ammissione dei lavoratori immigrati e delle misure atte al loro inserimento sociale. Si dispone quindi di uno strumento legislativo potenzialmente in grado di individuare, anno per anno, un punto di incontro equilibrato tra la domanda di inserimento lavorativo e l'effettiva ricettivita' del mercato del lavoro nazionale.

Tra gli elementi da valutare nel determinare i flussi per l'anno seguente, la legge Martelli annovera, al quarto comma dell'articolo 2, il numero delle richieste dei permessi di soggiorno per lavoro avanzate da stranieri gia' presenti in Italia con permesso ad altro titolo. Si riconosce, cioe', come l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, quand'anche avvenga al di fuori di una rigida programmazione, debba essere considerato positivamente, in quanto esso facilita, piuttosto che intralciare, il confronto tra immigrazione e mercato del lavoro. Rientra, quindi, nello spirito della legge il tener conto di quanti, avendo trovato possibilita' di inserimento lavorativo, aspirano alla regolarizzazione della propria posizione, e il subordinare al soddisfacimento di tali richieste l'autorizzazione di ulteriori flussi in ingresso.

 

La crescita del bacino di irregolarita'

Fino ad oggi, invece, i decreti sui flussi hanno limitato, in sostanza, al meccanismo della chiamata nominativa le possibilita' di accesso regolare al lavoro per i cittadini stranieri extracomunitari. La chiamata nominativa, riguardando a rigore lavoratori residenti all'estero, vede, di fatto, limitata la propria efficacia alle attivita' lavorative ad alto contenuto tecnico, per le quali l'incontro tra domanda e offerta puo' prescindere dall'instaurarsi di un rapporto fiduciale tra lavoratore e datore di lavoro. Risulta invece del tutto inappropriata per la maggior parte delle attivita' lavorative per le quali e' accertata l'indisponibilita' di manodopera italiana, che rappresentano le principali possibilita' di impiego dei lavoratori immigrati.

L'esistenza di queste possibilita', unitamente all'improponibilita' di un'effettiva chiusura delle frontiere, ha fatto si' che il processo di immigrazione-inserimento continuasse senza flessioni. Le limitazioni imposte dal decreto sui flussi hanno pero' condannato all'irregolarita' un gran numero di immigrati, entrati formalmente per motivi di turismo e trattenutisi in Italia una volta trovato inserimento nel mondo del lavoro sommerso.

Con l'eccezione di coloro che, alle dipendenze di datori di lavoro scrupolosi, hanno potuto trovare regolarizzazione, seppure in modo improprio, intraprendendo l'inutilmente complesso iter burocratico della chiamata nominativa (che richiede un temporaneo ritorno del lavoratore nel paese d'origine), questi lavoratori, pur contribuendo allo sviluppo economico del paese, restano totalmente esposti allo sfruttamento e privi delle piu' elementari forme di protezione.

Il fenomeno assume connotazioni ancora piu' preoccupanti laddove l'assorbimento di mano d'opera e' affidato ad attivita' di lavoro stagionale, dal momento che lo stato di irregolarita' induce i lavoratori a non fare ritorno in patria a stagione conclusa, ne frena la mobilita' territoriale e per lunghi periodi congela forza lavoro in condizioni di scarsa produttivita' e di esposizione alla contaminazione criminale.

E' evidente come l'incancrenirsi di situazioni di irregolarita', in un contesto di inattuabilita' di qualunque provvedimento generalizzato di espulsione, renda in pratica irrealizzabile la tutela di diritti fondamentali della persona in fatto di condizioni di lavoro, salute e integrita' del nucleo familiare; tutela che non puo' essere subordinata alla regolarita' della posizione relativa al soggiorno.

Va tenuto nella debita considerazione, poi, il fatto che il mancato rispetto dei minimi salariali e delle disposizioni in materia fiscale e contributiva, oltre a costituire un danno economico palese per il lavoratore e per lo Stato, finisce per rappresentare un fattore di concorrenza sleale ai danni dei lavoratori regolari, italiani o stranieri che siano.

 

Regolarizzazione degli immigrati inseriti nel mercato del lavoro

La proposta di legge Tanzarella-Lumia intende favorire l'emersione degli immigrati inseriti nel mercato del lavoro dalle condizioni di irregolarita', consentendone la regolarizzazione della posizione relativamente al soggiorno e al lavoro. Oltre a costituire una giusta risposta ad esigenze di carattere fondamentale del lavoratore immigrato, essa si muove sulla linea di un piu' efficace governo del fenomeno. La concessione di un permesso di soggiorno consegna infatti all'immigrato un patrimonio di diritti la cui conservazione e' strettamente associata al perdurare dell'inserimento nel mondo del lavoro e all'osservanza di un preciso quadro di doveri. Costituisce quindi un efficace deterrente, ove ve ne sia bisogno, contro il ricorso a scorciatoie prive di qualsiasi rilevanza per l'economia nazionale o, peggio, estranee ad un ambito di legalita'.

Conviene rilevare come, contrariamente a quanto si teme da piu' parti, l'effetto di richiamo indotto da un provvedimento di regolarizzazione abbia dimensioni trascurabili se riferito al dato complessivo sull'immigrazione in Italia.

A sostegno di questa tesi possono essere considerati i dati forniti dal Centro Accoglienza Stranieri della Caritas di Roma, che, non avendo vincoli giuridici che lo costringano a discriminare tra immigrati regolari e irregolari, ha a disposizione un campione sufficientemente rappresentativo dell'effettiva situazione italiana. L'afflusso di nuovi utenti per gli anni '89-'92 (prima, durante e dopo la sanatoria stabilita dalla legge Martelli) si e' mantenuto pressocche' costante, con fluttuazioni relative dell'ordine del 10%: si sono registrate, infatti, approssimativamente 9.200 presenze nel 1989, 10.400 nel '90, 9.000 nel '91, 10.400 nel '92.

 

Reglarizzazione dei lavoratori per i quali un datore di lavoro si dichiari disposto a procedere all'assunzione e di quelli che dichiarino di svolgere attivita' lavorativa a tempo indeterminato o di aver svolto attivita' lavorativa di durata rilevante

Tenendo presente il carattere fondamentale dei diritti messi a repentaglio dal perdurare di condizioni di irregolarita', la proposta di legge Tanzarella-Lumia annovera, tra le condizioni sufficienti per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, accanto alla dimostrazione di disponibilita' di regolare occupazione, la dichiarazione da parte del lavoratore immigrato attestante l'esistenza di un rapporto di lavoro irregolare in corso, ovvero l'avvenuta effettuazione di prestazioni lavorative irregolari di durata rilevante. A sostegno di siffatte disposizioni militano le considerazioni seguenti.

a) La limitazione alla sola disponibilita' di regolare occupazione consentirebbe la regolarizzazione di quanti lavorano alle dipendenze di datori di lavoro scrupolosi: quegli stessi, in buona sostanza, che oggi intraprendono il complesso e costoso iter della chiamata nominativa dall'estero.

Se, sotto certi aspetti, e' innegabile che questo produrrebbe un'utile semplificazione delle attuali procedure, e' altresi' vero che resterebbero irrimediabilmente esclusi tutti coloro che dipendono da datori di lavoro spregiudicati o, quanto meno, poco sensibili. E' da ritenersi infatti che, essendo lasciata all'arbitrio del datore di lavoro la dimostrazione richiesta, il lavoratore irregolare non soltanto non avrebbe alcun modo di far valere le proprie ragioni, ma potrebbe addirittura ricavare un danno dal semplice avanzamento della richiesta. Il datore di lavoro potrebbe, infatti, non limitarsi a negare la propria disponibilita' all'assunzione, ma procedere al licenziamento del lavoratore, preferendogli un sostituto meno esigente. Si creerebbe cosi' una condizione di concorrenza tale da favorire quanti rinuncino all'emersione dall'irregolarita'.

b) Il comprendere la dichiarazione del lavoratore tra le condizioni sufficienti rappresenta un'adeguata soluzione del problema. In tal caso, infatti, questi puo' esplorare l'effettiva disponibilita' all'assunzione in modo molto piu' prudente, ben sapendo che, in caso di risposta negativa, potra' comunque procedere autonomamente alla suddetta dichiarazione.

A condizione che il rilascio del permesso di soggiorno avvenga contestualmente alla presentazione della dichiarazione, il lavoratore puo', se lo ritiene opportuno, intraprendere una vertenza sindacale o, comunque, raccogliere elementi testimoniali a sostegno della dichiarazione stessa.

Affidando, poi, il controllo della veridicita' della dichiarazione agli ispettorati provinciali del lavoro e all'istituto nazionale della previdenza sociale, nell'ambito delle rispettive funzioni istituzionali, risulta adeguatamente tutelata la posizione del lavoratore, giacche' esiste l'interesse, da parte di questi enti, a colpire l'evasione fiscale e contributiva che il rapporto di lavoro irregolare comporta. E' da notare che l'istituto nazionale della previdenza sociale, una volta accertata la fondatezza della dichiarazione, ha facolta' di procedere all'applicazione di sanzioni amministrative dotate di immediata esecutorieta' nei confronti del datore di lavoro (salvo l'esperimento, da parte di quest'ultimo, del giudizio di opposizione all'ordinanza-ingiunzione di pagamento), ai sensi dell'articolo 35 e seguenti della legge 689/1981.

E' da aspettarsi che l'esistenza di condizioni cosi' favorevoli per il lavoratore induca molti datori di lavoro a dare la propria disponibilita' alla regolarizzazione del rapporto di lavoro, stante il rischio che una dichiarazione di cui essi non avrebbero immediata contezza inneschi procedure che si concluderebbero con sanzioni a loro carico.

c) Disposizioni nel senso ora descritto (possibilita' di autocertificazione, rilascio contestuale del permesso di soggiorno, verifica ad opera dell'ispettorato provinciale del lavoro e dell'istituto nazionale della previdenza sociale) sono state adottate con successo dal ministero dell'Interno in occasione dell'operazione di rinnovo dei permessi di soggiorno rilasciati nel corso della sanatoria del '90 (Circolari del ministero dell'Interno del 2.12.1991 e del 8.1.1992).

d) Il permesso di soggiorno rilasciato dietro presentazione di dichiarazione e' revocato, qualora le affermazioni contenute nella dichiarazione stessa risultino non vere, a seguito del controllo da parte degli organismi competenti.

E' da notare come, ai sensi dell'articolo 26 della legge 15/1968, il lavoratore che produca dichiarazione non veritiera sia perseguibile penalmente.

Risulta cosi' drasticamente ridotto il rischio che lo strumento adottato venga utilizzato impropriamente da immigrati che non ne avrebbero titolo. La condizione di nascondimento nell'irregolarita' risulterebbe infatti preferibile ad una emersione temporanea, sostanzialmente priva di vantaggi se destinata a concludersi con la revoca del permesso e con possibili conseguenze sul piano penale.

Ancora piu' ridotto e', poi, il rischio che ad una dichiarazione mendace ricorrano soggetti dediti in realta' ad attivita' illegali. L'emersione dall'irregolarita' avrebbe infatti, per costoro, come unica conseguenza quella di palesarne agli uffici della questura la presenza sul territorio nazionale, con l'individuazione di un domicilio: circostanza, questa, certamente non auspicabile per chi si dedichi ad attivita' criminose.

D'altronde, quand'anche soggetti del genere ottenessero un permesso di soggiorno, non verrebbe minimamente alterata la possibilita' per lo Stato di garantire la propria sicurezza e l'ordine pubblico, dovendosi considerare la semplice irregolarita' riguardo al soggiorno come la piu' debole (e, in questo caso, la meno significativa) tra le condizioni per l'espulsione. In altri termini, ove ricorrano le circostanze che richiedono l'applicazione del quinto comma dell'articolo 7 del decreto-legge 30 dicembre 1989, n.416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n.39, sull'espulsione dello straniero con accompagnamento alla frontiera, il fatto che questi sia o meno titolare di un permesso di soggiorno e' del tutto irrilevante.

 

Compatibilita' con le politiche comunitarie

Si obietta da parte di alcuni che l'adozione di misure intese a consentire la regolarizzazione di immigrati irregolarmente presenti sul territorio italiano contrasterebbe con gli impegni assunti dall'Italia nei confronti degli altri Stati membri della Comunita' Europea. E' possibile confutare questa tesi mostrando come non vi sia contrasto con gli obiettivi e i principi fondamentali del Trattato CEE.

Sembrano rilevanti, in proposito, il principio della libera circolazione delle persone, il principio della libera circolazione dei lavoratori comunitari, l'obiettivo della tutela dell'occupazione dei lavoratori comunitari.

Riguardo al primo di questi punti, contrariamente a quanto spesso superficialmente si afferma, non vi e' rischio che l'effetto combinato della libera circolazione intra-europea e di una regolarizzazione di immigrati sottratta ad una preventiva programmazione possa dar luogo a flussi indesiderati di lavoratori extracomunitari verso paesi gia' caratterizzati da alta densita' di popolazione immigrata. Vale infatti l'affermazione, contenuta nel rapporto della Commissione sull'atttuazione del mercato interno (23 novembre 1990), secondo la quale "il beneficio concesso ad un cittadino extracomunitario di potersi muovere liberamente tra stati membri non comporta alcun diritto di residenza o lavoro nell'ambito della Comunita', perfino per quei cittadini extracomunitari cui e' stato riconosciuto tale diritto in un particolare Stato membro".

La libera circolazione delle persone non corrisponde quindi ad una liberalizzazione delle migrazioni per lavoro interne ai territori della Comunita', non essendo di per se' legittimato lo stabilimento del lavoratore extracomunitario in un paese della Comunita' diverso da quello nel quale gli e' stato rilasciato il titolo di soggiorno.

Ne segue che il fatto di riportare lavoratori extracomunitari in condizioni di regolarita' rispetto al soggiorno in Italia non incide minimamente sui tassi di immigrazione dei partners europei: laddove i lavoratori in questione tentassero di stabilire la propria attivita' lavorativa in altro paese della Comunita', potrebbero a buon diritto essere espulsi non dissimilmente dal caso di lavoratori originariamente irregolari.

Riguardo ai punti successivi sembra evidente come tanto l'occupazione quanto la libera circolazione dei lavoratori comunitari possano risultare danneggiate dalle condizioni di concorrenza sleale ai danni del lavoratore regolare che accompagnano il formarsi ed il persistere di aree di occupazione irregolare. Disposizioni che mirino al rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne rispetto all'immigrazione clandestina possono parzialmente contrastare la tendenza all'accrescimento di tali aree, ma non danno, di per se', un contributo al loro risanamento. Provvedimenti che favoriscano la regolarizzazione delle situazioni di lavoro nero incidono invece direttamente sul fenomeno e, lungi dal porsi in contrasto con i principi del Trattato CEE, sono quindi auspicabili nella prospettiva di una sua piena attuazione. Essi appaiono, anzi, come l'unica via percorribile laddove (ed e' il caso italiano) provvedimenti di espulsione di dimensioni proporzionate al bacino di irregolarita' risultino improponibili.

 

Regolarizzazione di coloro che abbiano effettuato il cosiddetto "ricongiungimento familiare di fatto"

Accanto al fenomeno dell'immigrazione irregolare per motivi di lavoro e' cresciuto in questi anni anche quello dell'immigrazione irregolare per motivi di famiglia. Molti cittadini stranieri, familiari di lavoratori immigrati regolarmente occupati, aventi percio' diritto per legge all'ingresso in Italia per ricongiungimento familiare, hanno proceduto a tale ricongiungimento sottraendosi, talvolta per mancanza di informazione, talvolta per la comprensibile esigenza di abbreviare tempi altrimenti irragionevolmente lunghi, alle procedure regolari. Sebbene il fenomeno risulti di portata numerica inferiore a quello precedentemente descritto, la sua rilevanza non puo' essere trascurata in considerazione della delicatissima situazione in cui vengono cosi' a trovarsi molti nuclei familiari, con particolare riferimento al problema della maternita' e della tutela dei minori. La proposta di legge Tanzarella-Lumia consente l'emersione di queste situazioni irregolari, con l'obiettivo di restituire alla convivenza civile soggetti che da tale convivenza finirebbero, altrimenti, col restare inevitabilmente e dannosamente esclusi.

 

Regolamentazione del lavoro stagionale

L'altro aspetto principale della proposta di legge Tanzarella-Lumia e' costituito dalla definizione di una normativa sul lavoro stagionale. Essa tiene conto di due principali obiettivi:

a) favorire la mobilita' degli immigrati da paesi vicini per i quali risulti economicamente vantaggioso un soggiorno temporaneo in Italia, evitando cosi' un dannoso prolungamento della permanenza, nei periodi di scarsa attivita' lavorativa;

b) consegnare al Governo uno strumento efficace per la soluzione di situazioni di emergenza, dovute a condizioni di irregolarita' diffuse, ovvero per la prevenzione di simili situazioni.

 

Il diritto di reingresso e il carattere non necessario degli accordi bilaterali

Circa il primo obiettivo, il permesso di soggiorno per lavoro stagionale deve configurarsi in modo chiaramente distinto da quello per lavoro subordinato, ed avere, d'altra parte, durata sufficientemente lunga (sei mesi), in modo da risultare economicamente vantaggioso per il lavoratore, a fronte delle spese da sostenere per il viaggio di ritorno nel paese d'origine. La stipula di accordi bilaterali con Paesi di invio, invece, benche' auspicabile, non deve essere considerata condizione necessaria per l'attribuzione di permessi di soggiorno per lavoro stagionale. Questo infatti finirebbe col limitare i benefici della regolamentazione a una modesta porzione del potenziale bacino di utenza, costringendo all'irregolarita' tutti gli immigrati provenienti da Paesi con i quali non e' pensabile che tali accordi possano essere stipulati in tempi ragionevolmente brevi.

Il far valere un diritto di reingresso, opportunamente condizionato al rispetto delle norme sul soggiorno, per chi e' reduce da precedenti esperienze di lavoro stagionale in Italia puo' costituire un rilevante fattore di incentivazione della regolarita'.

Allo scopo, infine, di evitare che l'incontro tra domanda e offerta di lavoro diventi causa di insorgenza di condizioni irregolari, si prevede la possibilita' per il lavoratore stagionale di ottenere, in presenza di un'offerta di lavoro regolare, l'usuale permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.

 

L'utilizzo del permesso stagionale per situazioni di emergenza. Considerazione, in fase di avvio del circuito stagionale, dei lavoratori stagionali gia' presenti in Italia: regolarizzazione degli immigrati privi di inserimento stanziale

Riguardo al secondo obiettivo, la proposta di legge Tanzarella-Lumia consente al Governo di indirizzare al lavoro stagionale, anche al di fuori della programmazione annuale dei flussi, lavoratori irregolarmente presenti in Italia e privi di stabile occupazione, ovvero lavoratori che per l'impossibilita' di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno finirebbero per trovarsi in condizioni irregolari.

Di particolare rilievo viene ad essere l'estensione di questo principio al regime transitorio, dal momento che esso consente di avviare al circuito del lavoro stagionale gli immigrati irregolari che non possano vantare un inserimento a carattere stanziale: sarebbe del tutto privo di utilita' ammettere, in fase di avvio, un flusso di lavoratori stagionali al loro primo ingresso in Italia che si sovrapponga alla fascia di lavoratori gia' presenti in condizioni irregolari e precarie.