Sergio Briguglio Roma, 17 Ottobre 1995

Caritas Diocesana di Roma

Piazza San Giovanni in Laterano 6

00187 Roma On. Walter Veltroni

Direttore de l'Unita'

Via dei Due Macelli 23/13

00187 Roma

 

 

 

 

 

Caro Direttore,

l'Unita' ha ospitato, lunedi' 16 Ottobre, un autorevole intervento di Piero Fassino sul delicatissimo tema della riforma della legge Martelli. Mi sembra che le sue tesi siano sostanzialmente corrette. Talmente corrette, pero', da sfiorare solo marginalmente - Fassino non me ne voglia - la questione dibattuta con tanta veemenza in queste settimane. Provo a chiarire perche'.

1) Una soluzione ai problemi posti dal bacino di immigrazione irregolare o clandestina potrebbe essere, in linea di principio, quella ipotizzata da Fassino: saniamo chi e' sanabile, espelliamo gli altri con accompagnamento immediato alla frontiera. Il problema sorge quando si cerchi di stabilire chi afferisca alla prima categoria e chi alla seconda. Quello che quasi tutti gli interventi sui mass media (e con essi, di riflesso, alcune decine di milioni di italiani) sembrano trascurare e' che tra la posizione di chi ha un datore di lavoro pronto all'assunzione regolare e quella di chi passa il suo tempo a spacciare eroina o sfruttare prostitute ci sono molte posizioni intermedie. E mentre su cosa fare delle posizioni estreme si trovano d'accordo forse anche Bertinotti e uno skin-head, su cosa fare di quelle intermedie ci si divide aspramente. Da una parte, il buon Nespoli suggerisce agli immigrati irregolari: uscite dall'Italia entro trenta giorni ed avrete diritto di precedenza per la conquista di un permesso di soggiorno stagionale per il prossimo anno nella remota ipotesi che l'Italia faccia a tempo a definire un accordo bilaterale con il vostro Paese. E senno', pazienza: abbiamo scherzato. Dall'altra parte un bel po' di associazioni, organismi ecclesiali, sindacati, parlamentari e ministri propongono: diamo un permesso di soggiorno di due anni a chi dimostri di essere inserito nel mercato del lavoro (a prescindere dalla concorde dichiarazione del datore di lavoro) o a chi abbia effettuato il ricongiungimento familiare al di fuori delle procedure formali; diamone uno stagionale (di sei mesi) sùbito a chi voglia emergere dall'irregolarita' senza poter vantare un inserimento stabile, stabilendo che al termine dei sei mesi potra' convertirlo in un permesso di due anni se avra' trovato un lavoro stabile, o, altrimenti, dovra' andarsene, con la certezza pero' di poter rientrare il prossimo anno.

2) Altra questione della massima delicatezza: l'accompagnamento immediato alla frontiera dell'espulso. Nel testo Nespoli si vuol riservare questo trattamento a qualunque immigrato il cui permesso di soggiorno sia scaduto da piu' di quarantacinque giorni (cioe', praticamente, a tutti gli immigrati oggi irregolarmente presenti in Italia). Fassino sembra voler limitare il campo di applicazione agli immigrati clandestini. E' gia' una posizione piu' accettabile. Il punto e' pero': chi stabilisce che l'immigrato espulso e' effettivamente clandestino o, nell'ipotesi di Nespoli, irregolare? Il poliziotto che l'ha fermato? Di norma potrebbe funzionare, ma come ci si cautela dagli eventuali errori o, piu' seriamente, dagli abusi? E che abusi vi possano essere, seppure eccezionalmente, non e' una mia invenzione: i processi sulla Uno Bianca o sulla Guardia di Finanza non li ho istruiti io. Un modo per cautelarsi c'e', ed e' il prevedere per l'espulso il diritto di far riesaminare il proprio caso da una Autorita' diversa da quella che ha adottato il provvedimento: ad esempio, dal Pretore. Si obietta, nel concitatissimo dibattito che ha luogo in questi giorni e del quale difficilmente si riesce a dar conto sugli organi di informazione: se lasciamo che l'espulsione sia immediatamente sospesa dalla presentazione di un ricorso, lo straniero si sottrae di fatto definitivamente al provvedimento. Si risponde, da associazioni, organismi ecclesiali, parlamentari, etc. etc.: disponiamo che lo straniero espulso sia sottoposto a custodia in centri appositamente attrezzati (che egli puo' lasciare se decide di ritirare il ricorso e farsi accompagnare alla frontiera), e prevediamo anche che l'Autorita' in questione provveda a esaminare non soltanto la legittimita' del provvedimento, ma anche se esso e' proporzionato all'entita' dell'infrazione commessa e compatibile con la tutela dei diritti inviolabili della persona.

3) L'adozione di una normativa piu' severa riguardo all'espulsione degli immigrati irregolari o clandestini avrebbe, rispetto ai problemi sollevati dalle manifestazioni di Torino e delle altre citta', scarsa efficacia e bassissima efficienza. Finiremmo infatti per espellere un altissimo numero di irregolari onesti, una percentuale modesta degli irregolari disonesti (molto piu' bravi dei primi a sottrarsi ai controlli), nessuno dei regolari disonesti. Risultato: benefici modesti, costi enormi. Si tratta allora di colpire piu' efficacemente, e in modo selettivo, lo straniero criminale, non tanto quello irregolare o clandestino. Ma su questo punto il Parlamento sta sui carboni ardenti: per un verso, infatti, in nome di un garantismo piu' attuale che mai, riduce gli spazi per il provvedimento di custodia cautelare a costo di lasciare in circolazione il presunto spacciatore italiano, per l'altro gli si chiede di scoprire che il presunto spacciatore straniero in circolazione costituisce una minaccia insopportabile per la nostra sicurezza. Si puo' dire: i soliti sofismi dei buonisti... Bene: decidiamo pure di espellere anche prima della sentenza definitiva, o addirittura sulla base di un semplice sospetto, il presunto spacciatore straniero. Ma cerchiamo di trovare dei buoni argomenti per spiegare a quelli di Torino e delle altre citta' che dal presunto spacciatore italiano non hanno nulla da temere; perche' altrimenti, fra qualche mese, Vattimo sara' di nuovo in corteo e Manconi ci fara' osservare giustamente che abbiamo reintrodotto le leggi razziali.

4) E veniamo all'ultimo punto: i flussi migratori vanno regolamentati. Giusto, non c'e' dubbio. Sostenere il contrario sarebbe da irresponsabili e velleitari. Il fatto e' che nessuno - dico nessuno - sostiene il contrario; non e' su questo che ci si divide. Ci si divide sul come vanno regolamentati i flussi. Fino ad oggi si e' stabilito, con i decreti sui flussi, che potesse entrare regolarmente in Italia per lavoro solo lo straniero chiamato nominativamente da un datore di lavoro. Vi chiederete: ma chi chiamerebbe una capoverdiana mai conosciuta prima per mettersela in casa come colf? e soprattutto: come la chiamerebbe, dal momento che non esiste nei nostri consolati uno straccio di lista di prenotazione in cui la capoverdiana possa iscriversi per segnalare il suo desiderio di migrare in Italia? Avete centrato il problema. Oggi, se un immigrato su tre e' irregolare (ancorche' generalmente inserito nella societa'), lo si deve al fatto che l'unica possibilita' di accedere ad una occupazione in Italia e' stata rappresentata per lui da un ingresso per turismo cui far seguire una ricerca di occupazione sul posto, un incontro diretto col datore di lavoro, una permanenza irregolare in Italia. Solo i fortunati che hanno incontrato un datore di lavoro scrupoloso, hanno potuto utilizzare il meccanismo della chiamata nominativa quale escamotage per pervenire alla regolarita': richiesta di autorizzazione come se il lavoratore fosse ancora all'estero, viaggio di ritorno nel paese d'origine, rientro in Italia con visto per lavoro. C'e' modo di modificare questa situazione? Secondo Nespoli e sostenitori, no (o almeno non propongono nulla). Secondo le associazioni, gli organismi ecclesiali e tutti quegli altri (giuro che non li cito piu'), si'. La proposta e' questa: il Governo stimi, all'atto della programmazione dei flussi, quale sia il fabbisogno di manodopera immigrata per le mansioni non coperte da manodopera nazionale. Si istituiscano liste di prenotazione nei consolati, suddivise per mansione, con graduatoria definita in base all'anzianita' di iscrizione. Il Governo individui, tra le varie mansioni, quelle per cui e' indispensabile questo benedetto incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro. Per quelle mansioni entrino in Italia, scaglionati nel corso dell'anno, gli iscritti nelle liste, fino a completamento della quota fissata. Per le altre mansioni, si utilizzi pure il meccanismo della chiamata numerica o nominativa. E' rischioso? No, e' quello che e' successo in questi anni. Con una differenza: piuttosto che accorgercene periodicamente e dover sanare il sanabile, lo lasceremmo avvenire alla luce del sole. Conservandone il controllo.

 

Cordiali saluti

 

Sergio Briguglio