Roma, 16 Ottobre 1995

 

 

Caro Direttore,

l'Unita' ha ospitato, lunedi' 16 Ottobre, un autorevole intervento di Piero Fassino sul delicatissimo tema della riforma della legge Martelli. Provando a sintetizzare le opinioni di Fassino, e in questo certamente facendo torto alla ricchezza delle sue argomentazioni, mi sembra che da esse emerga la seguente posizione:

a) i flussi devono essere regolamentati tenendo conto dell'andamento del mercato del lavoro e della disponibilita' di strutture di accoglienza;

b) agli immigrati irregolari (trattenutisi cioe' irregolarmente in Italia, dopo un ingresso regolare) che possono sanare la propria posizione va data la possibilita' di emergere, mentre i clandestini (entrati in Italia eludendo i controlli) vanno espulsi con accompagnamento immediato alla frontiera;

c) va favorita l'integrazione degli immigrati regolari;

d) va intrapresa una seria cooperazione con i paesi dai quali provengono i principali flussi di immigrazione, allo scopo di ridurre la pressione migratoria.

Ho l'impressione che questa posizione sia corretta. Talmente corretta, pero', da sfiorare solo marginalmente - Fassino non me ne voglia - la questione dibattuta con tanta veemenza in queste settimane. Provo a chiarire perche' ripercorrendo a ritroso le tesi di Fassino.

1) Richiamare l'attenzione sulla necessita' di una buona politica di cooperazione e' cosa ottima e condivisa da tutti. Il problema e' che quando si parla di cooperazione allo sviluppo si fa riferimento a mutamenti che possono aver luogo in un arco di tempo dell'ordine dei decenni. E' giusto che si riapra seriamente un capitolo oggi dramaticamente associato a Tangentopoli, ma gli effetti potranno essere apprezzati solo dai figli di chi oggi sfila a Torino o in altre citta'.

2) Favorire il pieno inserimento degli immigrati irregolari e' cosa non meno buona della precedente. Ed altrettanto largamente condivisa. E' addirittura uno dei cavalli di battaglia di Gasparri. Il problema pero' e': si favorisce l'integrazione prevedendo, come il mondo dell'associazionismo, le Chiese e alcuni parlamentari propongono, un diritto di soggiorno permanente (la carta di soggiorno) che scatti, ad esempio, dopo cinque anni di soggiorno regolare e che faccia premio all'osservanza delle nostre leggi da parte dell'immigrato, ovvero rendendo quasi impraticabile il ricongiungimento familiare, come il testo approntato dal buon Nespoli vorrebbe stabilire? E ancora: abbiamo in Italia gli strumenti per garantire che l'immigrazione fluisca di norma nella regolarita', di modo che risulti risolutiva l'attenzione dedicata all'integrazione degli immigrati regolari? Questo interrogativo rimanda al punto seguente.

3) Una soluzione ai problemi posti dal bacino di immigrazione irregolare o clandestina potrebbe essere, in linea di principio, del tipo: saniamo chi e' sanabile, sbattiamo via gli altri. Il problema sorge quando si cerchi di stabilire chi afferisca alla prima categoria e chi alla seconda. Quello che quasi tutti gli interventi sui mass media (e con essi, di riflesso, alcune decine di milioni di italiani) sembrano trascurare e' che tra la posizione di chi ha un datore di lavoro pronto all'assunzione regolare e quella di chi passa il suo tempo a spacciare eroina o sfruttare prostitute ci sono molte posizioni intermedie. E mentre su cosa fare delle posizioni estreme si trovano d'accordo forse anche Bertinotti e uno skin-head, su cosa fare di quelle intermedie ci si divide aspramente. Da una parte, Nespoli e i suoi supporters suggeriscono agli immigrati irregolari: uscite dall'Italia entro trenta giorni ed avrete diritto di precedenza per la conquista di un permesso di soggiorno stagionale per il prossimo anno nella remota ipotesi che l'Italia faccia a tempo a definire un accordo bilaterale con il vostro Paese. E senno', pazienza: abbiamo scherzato. Dall'altra parte il solito mondo dell'associazionismo, le solite Chiese e i soliti parlamentari propongono: diamo un permesso di soggiorno di due anni a chi dimostri di essere inserito nel mercato del lavoro (a prescindere dalla concorde dichiarazione del datore di lavoro) o a chi abbia effettuato il ricongiungimento familiare al di fuori delle procedure formali; diamone uno stagionale (di sei mesi) sùbito a chi voglia emergere dall'irregolarita' senza poter vantare un inserimento stabile, stabilendo che al termine dei sei mesi potra' convertirlo in un permesso di due anni se avra' trovato un lavoro stabile, o, altrimenti, dovra' andarsene, con la certezza pero' di poter rientrare il prossimo anno.

4) Altra questione della massima delicatezza: l'accompagnamento immediato alla frontiera dell'espulso. Nel testo Nespoli si vuol riservare questo trattamento a qualunque immigrato il cui permesso di soggiorno sia scaduto da piu' di quarantacinque giorni (cioe', praticamente, a tutti gli immigrati oggi irregolarmente presenti in Italia). Fassino sembra voler limitare il campo di applicazione agli immigrati clandestini. E' gia' un passo in avanti. Il punto e' pero': chi stabilisce che l'immigrato espulso e' effettivamente clandestino o, nell'ipotesi di Nespoli, irregolare? Il poliziotto che l'ha fermato? Di norma potrebbe funzionare, ma come ci si cautela dagli eventuali errori o, piu' seriamente, dagli abusi? E che abusi vi possano essere, seppure eccezionalmente, non e' una mia invenzione: i processi sulla Uno Bianca o sulla Guardia di Finanza non li ho istruiti io. Un modo per cautelarsi c'e', ed e' il prevedere per l'espulso il diritto di far riesaminare il proprio caso da una Autorita' diversa da quella che ha adottato il provvedimento: ad esempio, dal Pretore. Si obietta, nel concitatissimo dibattito che ha luogo in questi giorni e del quale difficilmente si riesce a dar conto sugli organi di informazione: se lasciamo che l'espulsione sia immediatamente sospesa dalla presentazione di un ricorso, lo straniero si sottrae di fatto definitivamente al provvedimento. Si risponde, da associazioni, Chiese, parlamentari, etc. etc.: disponiamo che lo straniero espulso sia sottoposto a custodia in centri appositamente attrezzati (che puo' lasciare se decide di ritirare il ricorso e farsi accompagnare alla frontiera), e prevediamo anche che l'Autorita' in questione provveda a esaminare non soltanto la legittimita' del provvedimento, ma anche se esso e' proporzionato all'entita' dell'infrazione commessa e compatibile con la tutela dei diritti inviolabili della persona.

5) L'adozione di una normativa piu' severa riguardo all'espulsione degli immigrati irregolari o clandestini ha, rispetto ai problemi sollevati dalle manifestazioni di Torino e delle altre citta', scarsa efficacia e scarsissima efficienza. Mi spiego: la correlazione tra condizione di irregolarita' o clandestinita' e grado di pericolosita' sociale e' trascurabile, non piu' significativa di quanto non sia la correlazione tra l'avere gli occhi neri e l'essere criminali. Se stabilissimo di espellere gli stranieri con gli occhi neri per liberarci dai criminali, finiremmo per espellere un altissimo numero di occhi-neri onesti, una percentuale modesta degli occhi-neri disonesti (molto piu' bravi dei primi a sottrarsi ai controlli), nessun occhi-azzurri disonesto. Risultato: benefici modesti, costi enormi. Si tratta allora di colpire piu' efficacemente, e in modo selettivo, lo straniero criminale, non tanto quello irregolare o clandestino. Ma su questo punto il Parlamento sta sui carboni ardenti: per un verso, infatti, in nome di un garantismo piu' attuale che mai, riduce gli spazi per il provvedimento di custodia cautelare a costo di lasciare in circolazione lo spacciatore italiano, per l'altro gli si chiede di scoprire che lo spacciatore straniero in circolazione costituisce una minaccia insopportabile per la nostra sicurezza. Si puo' dire: i soliti sofismi dei buonisti... Bene: decidiamo pure di espellere anche prima della sentenza definitiva il sospetto spacciatore. Ma cerchiamo di trovare dei buoni argomenti per spiegare a quelli di Torino e delle altre citta' che dallo spacciatore italiano non hanno nulla da temere; perche' altrimenti, fra qualche mese, Vattimo e' di nuovo in corteo.

6) E veniamo all'ultimo punto - il primo dei punti di Fassino: i flussi migratori vanno regolamentati. Giusto, non c'e' dubbio. Lo dice anche la legge Martelli. Sostenere il contrario sarebbe da irresponsabili e velleitari. Il fatto e' che nessuno - dico nessuno - sostiene il contrario; non e' su questo che ci si divide. Ci si divide sul come vanno regolamentati i flussi. Fino ad oggi si e' stabilito, con i decreti sui flussi, che potesse entrare regolarmente in Italia per lavoro solo lo straniero chiamato nominativamente da un datore di lavoro. Vi chiederete: ma chi chiamerebbe una capoverdiana mai conosciuta prima per mettersela in casa come colf? e soprattutto: come la chiamerebbe, dal momento che non esiste nei nostri consolati uno straccio di lista di prenotazione in cui la capoverdiana possa iscriversi per segnalare il suo desiderio di migrare in Italia? Avete centrato il problema. Oggi, se un immigrato su tre e' irregolare (ancorche' generalmente inserito nella societa'), lo si deve al fatto che l'unica possibilita' di accedere ad una occupazione in Italia e' stata rappresentata per lui da un ingresso per turismo cui far seguire una ricerca di occupazione sul posto, un incontro diretto col datore di lavoro, un permanenza irregolare in Italia. Solo i fortunati che hanno incontrato un datore di lavoro scrupoloso, hanno potuto utilizzare il meccanismo della chiamata nominativa quale escamotage per pervenire alla regolarita': richiesta di autorizzazione come se il lavoratore fosse ancora all'estero, viaggio di ritorno nel paese d'origine, rientro in Italia con visto per lavoro. C'e' modo di modificare questa situazione? Secondo le associazioni, le Chiese e tutti quegli altri (giuro che non li cito piu'), si'. La proposta e' questa: il Governo stimi, all'atto della programmazione dei flussi, quale sia il fabbisogno di manodopera immigrata per le mansioni non coperte da manodopera nazionale. Si istituiscano liste di prenotazione nei consolati, suddivise per mansione, con graduatoria definita in base all'anzianita' di iscrizione. Il Governo individui, tra le varie mansioni, quelle per cui e' indispensabile questo benedetto incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro. Per quelle mansioni entrino in Italia, scaglionati nel corso dell'anno, gli iscritti nelle liste, fino a completamento della quota fissata. Per le altre mansioni, si utilizzi pure il meccanismo della chiamata numerica o nominativa. E' rischioso? No, e' quello che e' successo in questi anni. Con una differenza: piuttosto che accorgercene periodicamente e dover sanare il sanabile, lo lasceremmo avvenire alla luce del sole. Conservandone il controllo.

 

Con i migliori saluti

 

Sergio Briguglio

(Caritas Diocesana di Roma)