GRUPPO DI RIFLESSIONE

di organismi - associazioni di ispirazione religiosa

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GRUPPO MARTIN BUBER EBREI PER LA PACE

JESUIT REFUGEE SERVICE

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OSSERVAZIONI relative alla COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO SULLE POLITICHE DI IMMIGRAZIONE E DI ASILO del 23.02.1994

La Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo sulle Politiche di Immigrazione e di Asilo e' da considerarsi con estremo interesse per l'analisi svolta a riguardo dei passi gia' compiuti nel processo di integrazione europea e per le proposte concernenti possibili passi futuri, ma soprattutto per l'impostazione complessiva data all'analisi del problema. L'individuazione dell'alleggerimento della pressione migratoria, del controllo dei flussi e delle iniziative per l'integrazione dell'immigrato quali elementi cardine di una politica di immigrazione fornisce un quadro di riferimento di estrema chiarezza, al quale e' conveniente far riferimento allo scopo di valutare l'opportunita' delle singole scelte.

In questa nota ci si limitera' ad evidenziare alcuni punti sui quali, alla luce dell'esperienza italiana, sembra possibile apportare miglioramenti - talvolta formali, talvolta sostanziali - al testo in esame, ma e' doveroso precisare che il giudizio complessivo sui contenuti della Comunicazione e' decisamente positivo e che le stesse argomentazioni che seguono traggono vantaggio dalla lucidita' con cui i diversi temi sono ivi affrontati.

 

I. Centralita' del controllo dei flussi migratori

1. Compatibilita' tra politica di immigrazione e politica di cooperazione allo sviluppo.

E' assolutamente condivisibile l'analisi riguardante gli interventi mirati ad attenuare la pressione migratoria. Ed e' importante l'osservazione (paragrafo 69) relativa al carattere di lungo periodo di tali interventi e alla conseguente necessita' di non trascurare la politica di immigrazione propriamente detta. Sarebbe forse opportuno rinforzare questa osservazione - da piu' parti oggi sottovalutata - evidenziando come, essendo l'immigrazione effetto e non causa del sottosviluppo, non sussista la possibilita' che la politica di immigrazione interferisca in modo indesiderato con la politica di cooperazione. Non e', in altri termini, ipotizzabile, in generale, ne' che impedendo l'immigrazione si favorisca automaticamente lo sviluppo dei paesi d'origine, ne' che una politica di maggior apertura possa ritardare o indebolire il processo di sviluppo.

Esistono, naturalmente, alcune eccezioni a questa regola. E' il caso degli studenti universitari e delle persone bisognose di protezione internazionale a causa di situazioni di violenza generalizzata. Una sottrazione definitiva delle loro risorse al patrimonio del paese di origine puo' risolversi in un danno grave, rispettivamente, per lo sviluppo scientifico e sociale di questo. Le indicazioni contenute nel paragrafo 75 sembrano adeguate al problema rappresentato dalla prima di questa categorie; si dovrebbe pero' puntare all'incentivazione del rimpatrio dopo il conseguimento della laurea, piu' che alla dissuasione dal prolungamento della permanenza. Quanto alla seconda categoria, la previsione di un'accoglienza temporanea, pur con la cautela raccomandata nei paragrafi 96 e 97, dovrebbe mettere al riparo da conseguenze deleterie per i paesi di origine.

2. Opportunita' di una rapida progressione dei diritti dell'immigrato per una efficace politica di integrazione.

Appaiono condivisibili anche le linee tracciate riguardo al rafforzamento delle politiche di integrazione per gli immigrati regolarmente residenti. Di particolare rilievo sembrano le indicazioni circa l'opportunita' di prevedere, a valle di un periodo prestabilito, un diritto di soggiorno permanente per il migrante (paragrafo 124) e un diritto di soggiorno autonomo per il familiare ricongiunto (paragrafo 125). Giustamente viene poi sottolineata la necessita' di conseguire l'obiettivo della effettiva parita' di trattamento per i lavoratori immigrati in materie come retribuzione, condizione di lavoro e sicurezza sociale (paragrafo 131), e si indica la naturalizzazione (paragrafo 133) come il punto di arrivo di una progressione dei diritti mirante a dare stabilita' e sicurezza all'immigrato e a favorirne il pieno inserimento sociale.

Sarebbe opportuno, a questo proposito, che si raccomandasse, accanto alla ratifica della Convenzione ONU del 18.12.1990 (paragrafo 132), anche quella delle Convenzioni OIL n.97, 118, 143 e 157, come segno concreto della volonta' dell'Unione Europea di pervenire ad un sensibile miglioramento delle condizioni di integrazione dei lavoratori immigrati.

Andrebbe inoltre sottolineato come la rapidita' della progressione dei diritti sia elemento irrinunciabile per garantire e stimolare la mobilita' sociale dell'immigrato. Dato, infatti, il prevalente carattere di bassa qualificazione delle attivita' lavorative che consentono oggi l'ingresso di immigrati negli Stati membri, e' fondato il rischio che l'intera categoria risulti socialmente compressa e che vadano in breve tempo dispersi, perche' inadeguatamente utilizzati, rilevanti patrimoni individuali di cultura e competenza professionale. Una condizione di svantaggio, inizialmente tollerabile e, forse, ineliminabile, finirebbe per assumere carattere cronico, protraendosi dannosamente nelle generazioni successive.

3. Necessita' di azioni per il controllo dei flussi migratori.

Il ponte tra una politica di azione sulla pressione migratoria dai risultati non immediati e una politica di integrazione dell'immigrato regolare non puo' che essere rappresentato da una efficace politica di controllo dei flussi. Un'immigrazione, infatti, che avvenga in modo incontrollato e' incompatibile con l'attuazione del principio di progressivita' dei diritti preposto alla politica di integrazione, sia nell'ipotesi che detta immigrazione rimanga relegata in condizioni di illegalita', sia laddove le istituzioni ne prendano pragmaticamente atto, mandando pero', in tal modo, un messaggio che si presta ad essere interpretato come un segnale di resa. Nel primo caso, infatti, il migrante non solo non vede progredire il proprio livello di cittadinanza, ma e' perfino impossibilitato a godere di diritti fondamentali; nel secondo, rischia di mancare, intorno alla politica di integrazione, il consenso generale della popolazione residente: la maturazione di diritti da parte di persone formalmente non legittimate ad accedervi puo' essere percepita, a torto o a ragione, in modo negativo, con una conseguente recrudescenza di tendenze xenofobe e razziste.

Giusto, quindi, che al problema del controllo dei flussi sia dedicata una particolare attenzione.

 

II. La politica delle quote di immigrazione per lavoro

4. Necessita' di non sottovalutare il problema dell'ammissione per lavoro.

Rischia di risultare ambigua l'affermazione (paragrafo 70) secondo la quale le politiche di ammissione non potranno essere puramente restrittive "stante l'obbligo di rispettare gli impegni internazionali e le tradizioni umanitarie in generale". Si intravede, infatti, la possibilita', anche alla luce delle considerazioni svolte nei successivi paragrafi della Comunicazione, che queste parole siano interpretate come una indicazione della necessita' di praticare una politica di apertura riguardo al problema dell'asilo (o della protezione internazionale) e a quello del ricongiungimento familiare, limitando invece l'ammissione per lavoro ai casi previsti da accordi bilaterali precedentemente assunti con Paesi terzi. Che questo timore non sia infondato e' confermato dalla Risoluzione adottata il 20.06.1994 dal Consiglio dei Ministri degli Affari Interni e di Giustizia, che prospetta appunto misure fortemente restrittive circa l'ammissione per lavoro con l'eccezione delle situazioni previste da accordi bilaterali vigenti.

E' necessario, in contrasto con questa tendenza, sottolineare come l'ammissione per lavoro non possa essere trattata quale aspetto di portata minore, da prendere in esame, facoltativamente, solo dopo aver affrontato i problemi dell'asilo e del ricongiungimento familiare. L'immigrazione per lavoro non e', infatti, fenomeno marginale e, anzi, in molti paesi - l'Italia tra questi - costituisce la componente principale dei movimenti migratori. Trascurandola, si sbilancia artificiosamente e pericolosamente la distribuzione della pressione migratoria, sovraccaricando il ramo dei rifugiati: l'eccessivo numero di domande di asilo che ne consegue rischia di snaturare le procedure di riconoscimento, in contrasto con l'esigenza, opportunamente richiamata nella Comunicazione (paragrafi 84-90), di stabilire standard minimi di tutela in relazione a tali procedure, e con grave danno potenziale per coloro che sono effettivamente in possesso dei requisiti necessari.

Dovrebbe essere quindi affermato esplicitamente che una politica non puramente restrittiva, oltre che dal rispetto degli impegni assunti e delle tradizioni umanitarie, e' motivata dall'esigenza di evitare che l'immigrazione illegale risulti, per il migrante, da preferire ad una immigrazione legale nei fatti inaccessibile.

5. Opportunita' di una politica di quote compatibile con la situazione occupazionale interna.

Quanto alla individuazione dei criteri di ammissione per lavoro, nei paragrafi 77 e 78 e' indicata la necessita' di subordinare l'ammissione di quote di immigrazione per lavoro all'andamento dell'economia e della crisi occupazionale comunitaria. Tale indicazione e' naturalmente condivisibile, essendo opportuno evitare conflitti tra categorie, entrambe svantaggiate, quali quella dei lavoratori immigrati e quella dei cittadini di Stati membri in condizioni di disoccupazione. L'affermazione, pero', secondo la quale l'attuale crisi impedisce l'attuazione di una politica di quote (paragrafo 77) non sembra condivisibile, dal momento che esistono settori del mercato del lavoro non comunicanti; situazioni di disoccupazione e domanda di manodopera non saturata possono cosi' coesistere senza mutua elisione. In Italia, ad esempio, settori quali la collaborazione domestica e l'assistenza domiciliare a persone non autosufficienti risultano, a dispetto dell'elevato tasso di disoccupazione, cronicamente scoperti.

Sembra invece opportuno che, pur vincolata a precise regole e soggetta ad adeguate forme di verifica comunitaria, una periodica determinazione delle quote da ammettere per lavoro abbia luogo, affidata ai governi dei singoli Stati membri, che avrebbero cosi' il compito di valutare responsabilmente l'entita' dell'ulteriore flusso di lavoratori immigrati del quale le specifiche caratteristiche dei mercati del lavoro nazionali rendano auspicabile l'ingresso. Il ricorso ad una ripartizione delle quote rispetto ai Paesi terzi consentirebbe anche di curare eventuali rapporti preferenziali con paesi di emigrazione, che derivino da particolari situazioni storiche o geografiche o siano resi necessari dal verificarsi di determinate condizioni internazionali. Laddove, poi, si ritenesse fondato il timore che una programmazione affidata a ciascun governo non sia in grado di tenere nel dovuto conto le disponibilita', e quindi gli interessi, dei disoccupati degli altri Stati membri (o, piu' in generale, dei disoccupati regolarmente residenti negli altri Stati membri), la tutela di tali interessi potrebbe essere garantita dall'istituzione di liste differenziate alle quali riferirsi per l'individuazione dei lavoratori ammessi: liste di disoccupazione, per i lavoratori comunitari (o regolarmente residenti); liste di prenotazione per l'immigrazione, per i lavoratori provenienti da Paesi terzi. Gli iscritti alle prime avrebbero un diritto di precedenza ai fini dell'inserimento nelle quote ammesse, da far valere entro un limite di tempo prefissato. Naturalmente, mentre il far valere questo diritto ridurrebbe la porzione della quota ammessa effettivamente destinata a lavoratori provenienti da Paesi terzi, il non avvalersene non pregiudicherebbe le possibilita' di ingresso del lavoratore proveniente da altro Stato membro, stante il diritto di libera circolazione per i lavoratori comunitari.

6. Indipendenza dell'ammissione per asilo e ricongiungimento familiare da criteri economici.

Sembra opportuno che i criteri di ammissione per asilo, protezione internazionale e ricongiungimento familiare prescindano dalla situazione del mercato del lavoro. Non sembra accettabile, infatti, che gli ingressi per questi motivi siano subordinati a considerazioni di carattere meramente economico, dal momento che una tale subordinazione interferirebbe pericolosamente con la tutela di diritti fondamentali della persona. E' pero' da tener presente come queste categorie di immigrazione possano contribuire ulteriormente all'offerta di manodopera sul mercato del lavoro comunitario. Sara' bene, allora, che nella determinazione delle quote da ammettere per lavoro si tenga conto, tra gli altri elementi, delle previsioni relative all'immissione nel mercato del lavoro di persone originariamente ammesse, negli anni precedenti, per uno dei motivi qui considerati.

7. Importanza dell'incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro.

E' fondamentale chiarire che gli ingressi nell'ambito della programmazione "per quote" non devono essere ulteriormente subordinati al rilascio di una preventiva autorizzazione al lavoro relativa ad un determinato posto di lavoro - un'autorizzazione, cioe', che si configuri come la prova documentale dell'esistenza di un'occupazione disponibile. Diversamente dal caso dell'immigrazione degli anni '50 e '60, destinata primariamente ad un inserimento nell'industria, per la maggior parte delle mansioni per le quali oggi si rende necessario l'ingresso di lavoratori provenienti da Paesi terzi - si pensi appunto alla collaborazione domestica e all'assistenza domiciliare - l'incontro diretto tra datore di lavoro e lavoratore e' infatti indispensabile per la costituzione di un rapporto di lavoro. Il requisito di una preventiva autorizzazione al lavoro, richiedendo che tale rapporto sia in qualche modo costituito prima dell'ingresso dell'immigrato, rende impraticabile nei fatti l'immigrazione legale in corrispondenza alle mansioni di cui si e' detto. Il migrante avrebbe allora vantaggio ad immigrare illegalmente allo scopo di realizzare quell'incontro diretto dal quale potrebbe derivargli, successivamente, l'autorizzazione necessaria per ripercorrere legalmente la via dell'immigrazione.

Positivamente, la Comunicazione non fa menzione della necessita' di tale autorizzazione preventiva e anzi, in altro punto (paragrafo 126), mette in guardia dalla tendenza alla duplicazione degli adempimenti amministrativi. Il fatto, pero', che la citata Risoluzione del Consiglio dei Ministri degli Affari Interni e della Giustizia dia indicazioni opposte a questo riguardo - dichiarando, cioe', necessaria l'autorizzazione preventiva - fa ritenere opportuno che si affermi esplicitamente che programmazione governativa e autorizzazione al lavoro (o qualunque altro tipo di prova della disponibilita' di occupazione) quale requisito per l'ingresso costituiscono una forma dannosa di duplicazione, dal momento che obiettivo della programmazione e' proprio quello di determinare il flusso di immigrazione necessario a coprire l'effettivo fabbisogno di manodopera.

 

III. Effetti di una politica restrittiva sul controllo dell'immigrazione illegale

8. Fallimento delle strategie di contenimento dell'immigrazione illegale in assenza di una via di immigrazione legale percorribile.

Sussistono validi motivi per ritenere che, laddove non si dia attuazione ad una politica di ammissione per lavoro efficace nel realizzare un canale di immigrazione regolare adeguato alle esigenze del mercato del lavoro, oltre alla menzionata proliferazione artificiosa delle richieste di ammissione per asilo sia anche da attendersi il fallimento delle strategie mirate a contrastare l'immigrazione illegale. Una restrizione dei criteri di ammissione che non sia strettamente correlata ad una effettiva impossibilita' di inserimento del migrante nel mercato del lavoro costituisce infatti un elemento capace, per i motivi esposti, di incentivare l'immigrazione non autorizzata. E quando, in conseguenza di questa incentivazione, i movimenti migratori illegali assumono proporzioni comparabili con quelle della migrazione regolare, non esistono misure di contenimento che possano essere applicate senza risultare viziate da sostanziale inefficacia o da costi sociali inaccettabilmente elevati. Per provare questa asserzione conviene attenersi alle linee tracciate in proposito dalla Comunicazione ed esaminare gli interventi, in essa individuati, di prevenzione dell'immigrazione illegale (paragrafi 105 e 106), dissuasione dal soggiorno illegale (paragrafo 108), identificazione (paragrafo 107) e rimpatrio (paragrafi 111 e 112) degli immigrati illegalmente soggiornanti, alla luce dell'esigenza, opportunamente sottolineata, di contemperare tali interventi con il rispetto di standard minimi di trattamento del migrante in condizioni illegali (paragrafi 109, 110 e 117).

9. Misure di prevenzione.

E' forse possibile, almeno in parte, prevenire gli ingressi clandestini ed e' certamente doveroso combattere le organizzazioni di trafficanti (paragrafo 105). Di fronte al problema, pero', degli ingressi regolari - in particolare quelli per turismo - destinati a dar luogo a prolungamenti illegali del soggiorno si puo' fare ben poco: per quanto rigorosamente si applichi una politica dei visti (paragrafo 106), non e' possibile, se non si vuol deprimere l'attivita' legata al turismo, portare i requisiti per l'ingresso ad un livello tale da risultare insormontabile per chi sia comunque determinato ad immigrare. La possibilita', poi, di una valutazione discrezionale delle "vere" intenzioni del turista offre spazio a pericolose forme di arbitrio e non sembra comunque caratterizzarsi per una apprezzabile efficacia, data la sproporzione esistente tra l'enorme numero di turisti effettivi e quello, assai piu' modesto, di coloro che sotto le apparenze del turismo dissimulano l'immigrazione.

10. Misure di dissuasione.

Un'opera di dissuasione dal soggiorno illegale (paragrafo 108) e' praticabile solo in presenza di una via legale di immigrazione sufficientemente ampia: l'aspirante immigrato e' infatti motivato, nell'astenersi da forme di immigrazione illegale, dalla prospettiva di una chance di immigrazione legale. In assenza di tale via, o in condizioni di eccessiva restrizione di essa, la valutazione operata dal potenziale migrante si basa su un confronto tra le condizioni di inserimento da immigrato illegale e quelle che caratterizzano la sua vita nel paese di origine. Stante il livello drammaticamente basso di queste ultime, per risultare di una qualche efficacia un'azione di dissuasione dovrebbe portare il grado di tutela dei diritti del migrante al di sotto di limiti accettabili. Ne risulterebbero contraddetti i principi enunciati nella Convenzione ONU - della quale invece, giustamente, al paragrafo 110 si auspica la ratifica - e, fatto ancor piu' preoccupante, si finirebbe con l'avvalersi dell'intollerabile degrado delle condizioni di vita dell'immigrato illegale per costruire un meccanismo di repulsione capace di supplire alle carenze dell'azione di controllo esercitata dalle istituzioni. Non si puo' omettere, infine, di osservare come l'assistenza prestata, spesso, anche all'immigrato in situazione illegale e' motivata dalla gravita' di queste condizioni di vita e costituisce risposta a bisogni fondamentali della persona, come pure all'esigenza di allentare tensioni che mettono a repentaglio il buon andamento della convivenza sociale.

L'inasprimento delle sanzioni contro il lavoro nero, poi, e l'individuazione di misure che ne favoriscano la prevenzione sono senz'altro obiettivi da perseguire. Tuttavia, se una politica fondata sull'intensificazione dei controlli puo' essere efficace in relazione a settori del mercato del lavoro caratterizzati da visibilita' (nella Comunicazione del 1991 si considerava appunto il caso degli appalti pubblici), molto meno puo' esserlo in settori per i quali l'inserimento e' diffuso, di carattere interstiziale e poco evidente, come nel caso delle mansioni precedentemente menzionate e del lavoro in agricoltura. Difficilmente, in queste condizioni, si possono raggiungere risultati significativi, a meno di introdurre forme di incentivazione che inducano l'immigrato stesso a far emergere la propria posizione lavorativa, dandogli in cambio la possibilita' di recuperare la condizione di legalita'. Anche in questo caso, cioe', la chiave di funzionamento dei meccanismi mirati a rendere non appetibile, per l'immigrato, la condizione illegale risiede nella presenza di una via legale percorribile.

11. Misure per l'identificazione e il rimpatrio.

L'identificazione degli immigrati soggiornanti illegalmente e' affidata alle forze di polizia che, come osservato al paragrafo 107, sono occupate in modo prioritario in attivita' affatto diverse, non ultima la lotta alla criminalita' organizzata. Laddove il fenomeno dell'immigrazione illegale si estenda al di la' di certe dimensioni, e' quindi assai improbabile che forze di polizia con organici significativamente meno robusti della categoria degli immigrati da individuare possano esercitare un'azione di controllo piu' che simbolica, stante l'impegno loro richiesto su altri e piu' importanti fronti.

E' assolutamente condivisibile, infine, l'impostazione data al problema del rimpatrio degli immigrati in condizioni illegali. Giustamente si afferma (paragrafo 111) che il rimpatrio volontario e' la forma di gran lunga preferibile e che, laddove siano coinvolte categorie particolari di immigrati (al paragrafo 117 si considera il caso dei minori non accompagnati e quello delle vittime di violenze sessuali), deve essere usata la massima cautela per evitare violazioni di diritti fondamentali. E' evidente, pero', come un'applicazione efficace delle misure relative all'espulsione sia compatibile con questa attenzione ai diritti della persona solo quando l'irregolarita' che si vuol contrastare non abbia diffusione tale da rendere impossibile una gestione del fenomeno basata su categorie quali devianza e repressione. In altri termini: laddove si accentui oltre misura il fenomeno dell'immigrazione illegale, il controllo di questo diventa proibitivo e si diffonde la convinzione impropria che l'ostacolo principale da rimuovere risieda nei meccanismi di tutela giurisdizionale dell'immigrato illegale in fase di espulsione. Si tende cosi' a giustificare o addirittura ad invocare una applicazione sommaria e frettolosa delle sanzioni, o un incongruo inasprimento di esse. Il vantaggio che ne consegue, dal punto di vista del ripristino delle condizioni di legalita' riguardo al soggiorno degli immigrati, e' trascurabile, dal momento che la correzione finisce per riguardare le modalita' procedurali o l'intensita' della singola applicazione, piuttosto che il dimensionamento complessivo, di un meccanismo sanzionatorio che resta, cosi', comunque inadeguato al fenomeno. Il danno per le persone coinvolte e' invece - inutile dirlo - gravissimo.

 

IV. Lotta contro l'esclusione sociale e diritti di cittadinanza:

un problema aperto

Fin qui si e' esaminato il problema della individuazione di misure atte a regolare il fenomeno migratorio, adottando il punto di vista del Paese di accoglienza. L'aver messo in rilievo, pero', il ruolo giocato dalla percezione soggettiva del migrante nel determinare l'effettivo mantenimento dei movimenti migratori in un ambito di regolarita' induce, anche quando si prescinda da considerazioni di carattere umanitario, a considerare con maggiore attenzione come certi elementi di politica sociale necessitino, in presenza di una pressione migratoria, di una revisione che tenga conto del punto di vista del migrante.

Il quadro di riferimento per il progresso sociale di un paese che non sia meta di migrazione puo' consistere nella definizione e nel periodico aggiornamento dei livelli minimi di risorse e servizi che devono essere garantiti ad ogni cittadino. In questo contesto, la lotta contro il fenomeno dell'esclusione sociale consiste nella continua verifica delle effettive possibilita' di fruizione di tali risorse da parte di ciascuno e nella adozione dei meccanismi di redistribuzione eventualmente necessari. Diverse concezioni dell'ordinamento della societa' possono certamente implicare diverse definizioni dei livelli minimi di risorse e servizi pro-capite, ma non possono, in uno Stato moderno, mettere in discussione questo impianto generale, che e' strettamente collegato con la stessa nozione di cittadinanza.

In un sistema, invece, che sia soggetto ad una pressione migratoria dall'esterno, l'impianto in questione puo' essere messo drammaticamente in crisi. La possibilita' di un ingresso di migranti ne fa, infatti, un sistema aperto per il quale la nozione di "livello minimo" perde il proprio significato. Provenendo da paesi a bassi tenore di vita, il migrante percepisce come vantaggioso un inserimento nel paese d'arrivo, perfino quando esso sia caratterizzato da livelli di benessere che in tale paese siano comunemente considerati inaccettabilmente bassi. Mentre, quindi, la condizione di esclusione sociale del cittadino si configura come una situazione intollerabile, quale che sia il punto di vista da cui la si guardi, quella del migrante puo' ancora configurarsi come soggettivamente conveniente.

Questa differenza sostanziale e' all'origine di un dilemma che rischia di paralizzare le politiche di accoglienza nei paesi sviluppati. Data l'iniziale difficolta' di inserimento produttivo dell'immigrato, il paese di immigrazione si presenta, nella fase di arrivo del migrante, come un sistema a risorse limitate (un sistema, cioe', alle cui risorse l'immigrato non puo' dare, fino ad inserimento avvenuto, contributo). Parimenti limitate risultano cosi' le risorse complessivamente disponibili per la popolazione immigrata. In questa situazione, la societa' di accoglienza puo' mirare a salvaguardare la nozione di livello minimo accettabile, imponendo che tali risorse siano destinate ad un numero opportunamente limitato di cittadini stranieri e negando agli altri il diritto di soggiornare sul proprio territorio; ovvero, puo' autorizzare il soggiorno anche per quegli stranieri che non riescono a pervenire ad un inserimento sufficientemente protetto, in nome del vantaggio che essi comunque conseguono rispetto alle condizioni di origine. La prima di queste opzioni rischia evidentemente di trasformare, per la politica di respingimento che essa comporta, la lotta contro l'esclusione sociale in una lotta contro gli esclusi; la seconda rischia di provocare un arretramento rispetto alla linea di conquiste sociali raggiunta in decenni di conflitti e concertazioni tra le parti sociali.

E' necessario che l'Unione Europea prenda atto del conflitto esistente, in un sistema aperto a risorse limitate, tra la difesa dei diritti di cittadinanza e la lotta contro l'esclusione sociale. Tale conflitto puo' essere positivamente risolto trasformando il gradino oggi costituito, nei paesi dell'Unione, da quello che si e' indicato come livello minimo accettabile in una successione di livelli progressivi che possa essere percorsa dal cittadino immigrato. Il parametro per misurare l'efficacia di questo processo diventa naturalmente il tempo necessario all'immigrato per colmare il divario tra la propria condizione di ingresso e quella del cosiddetto livello minimo. In quest'ottica, la societa' europea deve resistere alla tentazione - oggi particolarmente insistente - di esorcizzare la paura della poverta' negando il diritto stesso di essere poveri; la condizione di poverta' deve anzi essere vista come una possibile tappa - dolorosa, ma in molti casi necessaria - del pieno inserimento nel tessuto sociale per chi vi faccia ingresso dall'esterno. A costituire motivo di allarme deve invece restare, in questa visione dinamica del problema, il dato relativo ad una permanenza eccessivamente prolungata del singolo individuo o del singolo nucleo familiare in tali condizioni di precarieta'.

 

V. Conclusioni

Sembra, in definitiva, debba essere sottolineata la necessita' di adottare criteri di ammissione per motivi di lavoro che non portino ad una eccessiva restrizione del canale di immigrazione legale. Data infatti la scarsa probabilita' che le misure orientate ad una attenuazione della pressione migratoria sortiscano in tempi brevi risultati di un qualche rilievo, un dimensionamento di questo canale che non sappia tenere effettivamente conto della domanda di manodopera non coperta dalla forza-lavoro residente negli Stati membri alimenta nei fatti le forme di immigrazione illegale. Vengono cosi' a determinarsi condizioni in cui, per l'estensione del bacino di irregolarita' e per la mancanza di una via legale percorribile, risultano inefficaci o carichi di un costo eccessivo tutti i meccanismi di prevenzione, controllo, dissuasione e repressione del fenomeno dell'immigrazione illegale.

Una politica fondata sulla determinazione periodica di quote di immigrazione ammesse per lavoro puo' essere in grado di conciliare l'attenzione ai problemi dell'occupazione e del mercato del lavoro degli Stati membri con l'esigenza di garantire l'esistenza di un alveo di immigrazione legale non inutilmente ristretto. E' pero' indispensabile che non si impongano eccessivi vincoli burocratici - quale la preventiva dimostrazione dell'esistenza di un determinato posto di lavoro disponibile - sull'ingresso dei lavoratori immigrati ammessi nell'ambito della programmazione "per quote". Tali vincoli, infatti, rischiano di rendere inaccessibile l'immigrazione legale, senza peraltro produrre livelli di tutela del lavoratore residente disoccupato che non possano essere raggiunti, in modo privo di effetti indesiderati, da un'attenta programmazione governativa.

E' altrettanto importante che la programmazione per quote, relativa all'ammissione per lavoro, non interferisca con le politiche di ammissione per asilo, protezione internazionale e ricongiungimento familiare, dovendosi evitare che diritti fondamentali della persona siano subordinati a criteri di mera opportunita' economica.

E' poi necessario, avvalendosi di una politica di integrazione fondata su una rapida progressione dei diritti, impedire che le iniziali condizioni di svantaggio dell'immigrato si cronicizzino, protraendo in modo innaturale una dannosa situazione di compressione sociale.

Non puo' essere trascurato, infine, come in presenza di flussi di immigrazione si renda necessaria una revisione delle linee-guida per la lotta contro l'esclusione sociale. Tale lotta rischia infatti di risolversi, semplicisticamente, in una politica di respingimento di quanti, immigrati nei paesi dell'Unione, non riescano a pervenire ad un inserimento sufficientemente garantito. Una soluzione del genere, seppure apparentemente in linea con la difesa delle conquiste sociali delle societa' economicamente avanzate, non tiene in realta' nel giusto conto la profonda diversita' tra le nozioni di livello minimo di protezione sociale oggi presenti in paesi posti in comunicazione dai flussi migratori e come, di conseguenza, un inserimento sub-minimale nel paese di immigrazione possa comunque risultare vantaggioso per l'immigrato.

Una rinnovata lotta contro l'esclusione sociale deve fondarsi su un recupero del riconoscimento, nelle societa' ad economia avanzata, del diritto di vivere in poverta', ferma restando l'attenzione a che la condizione di precarieta' non si cronicizzi ne' si prolunghi oltre misura.