L'IMMIGRAZIONE PER LAVORO E I PROVVEDIMENTI

DI ESPULSIONE

Alcune indicazioni per una riforma efficace

 

In vista della definizione di un quadro normativo organico sulla condizione dello straniero in Italia una schematizzazione delle tematiche da affrontare puo' essere utilmente riportata alla seguente classificazione:

- controllo degli ingressi;

- misure per l'integrazione degli immigrati;

- criteri e misure per l'allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero indesiderato.

Mentre la definizione delle misure per l'integrazione, ancorche' impegnativa, puo' avvalersi del principio-guida di una progressiva parificazione del cittadino straniero con il cittadino italiano, non presentando quindi particolari difficolta' concettuali, gli altri due punti meritano un esame particolarmente attento.

In questi anni, si e' sviluppato un dibattito estremamente vivace sul tema dell'allontanamento dal territorio dello Stato, mentre minor considerazione e' stata riservata alla regolamentazione degli ingressi. Se pero', per un verso, si comprende come l'opinione pubblica sia attenta al problema delle espulsioni, associandolo a quello della sicurezza della vita nelle citta', per l'altro non puo' essere trascurato come, da un punto di vista quantitativo, la stragrande maggioranza dei provvedimenti di espulsione finisca per riguardare soggetti in posizione di semplice irregolarita' amministrativa. E' quindi assolutamente necessario verificare se non sia proprio una errata impostazione della politica degli ingressi a generare irregolarita' e clandestinita' e a fare apparire come formalmente indesiderabili cittadini stranieri di fatto radicati nel tessuto sociale. In tal caso, infatti, sarebbe proprio l'innaturale allargamento del bacino di irregolarita' a impedire l'individuazione di meccanismi di allontanamento che siano al contempo efficaci e rispettosi dei diritti fondamentali della persona.

In queste note, la stretta connessione tra politiche di ingresso e politiche di espusione e' affrontato con riferimento alla sola immigrazione per lavoro, dal momento che questa costituisce la porzione piu' rilevante del fenomeno, e al problema dell'espulsione "amministrativa" (motivata cioe' dalla violazione delle norme su ingresso e soggiorno). Altri aspetti relativi agli ingressi ad altro titolo (richiesta di asilo, motivi familiari, studio), alle espulsioni motivate da commissione di reati e alle misure per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri potranno, all'occorrenza, essere affrontati in successive note di carattere piu' specifico.

 

La situazione attuale

Il quadro normativo attualmente in vigore per l'ingresso di lavoratori immigrati (o, piu' in generale, per la loro ammissione al mercato del lavoro) e per l'allontanamento dal territorio dello Stato puo' essere schematicamente descritto come segue.

I - Il lavoro subordinato. La legge 943/1986 prevede che siano istituite speciali liste per il collocamento dei lavoratori stranieri. In esse trovano posto, sia pure in posizione subalterna, anche coloro che, risiedendo ancora all'estero, aspirino a migrare in Italia per ragioni di lavoro. Il datore di lavoro che voglia attingere a queste liste speciali avanza una richiesta di autorizzazione al lavoro, che viene accolta una volta accertata l'indisponibilita' di manodopera italiana o comunitaria. Per l'assunzione si applica di norma la chiamata numerica. Tuttavia, per lavori che necessitino di un particolare rapporto fiduciale tra datore di lavoro e lavoratore (la collaborazione familiare, ad esempio), e' consentita l'assunzione con chiamata nominativa; in tal caso la richiesta di autorizzazione al lavoro puo' riguardare anche soggetti in posizione arretrata in graduatoria o, addirittura, non iscritti nelle liste.

Il meccanismo di ammissione all'immigrazione per lavoro appena descritto e' palesemente claudicante. Infatti, mentre l'ipotesi di chiamata numerica da una lista nella quale possano iscriversi gli aspiranti immigrati e' in grado di dare risposta alle eventuali necessita' del mercato del lavoro nel settore - poniamo - dell'industria, la semplice previsione della possibilita' di una chiamata nominativa non e' sufficiente a garantire un efficiente incontro tra domanda e offerta di lavoro in un settore quale quello dei servizi alla persona. E' del tutto irrilevante, infatti, che il datore di lavoro possa scegliere liberamente il lavoratore da adibire alla collaborazione familiare o all'assistenza domiciliare ad un anziano, se non ha modo di conoscere preventivamente e direttamente il lavoratore stesso; ed e' difficilmente ipotizzabile, quando si tratti di un lavoratore che aspiri a migrare trovandosi ancora nel proprio paese d'origine, che tale conoscenza possa aver luogo. Se si tiene conto, poi, del fatto che i lavori per i quali in Italia e' accertabile l'indisponibilita' di manodopera nazionale afferiscono prevalentemente al settore dei servizi, piuttosto che a quello dell'industria, si comprende come le carenze della 943 non siano di modesto rilievo.

La legge 39/1990 apporta alcune importanti modifiche alla normativa, pur lasciando in vigore l'impianto della legge 943. Stabilisce infatti che, piuttosto che far riferimento ad un criterio predefinito, si ricorra ad una programmazione annuale ad opera del Governo, che e' tenuto cioe' a definire, alla fine di ogni anno, l'entita' e la composizione dei flussi di immigrazione per lavoro per l'anno successivo. Nel programmare i flussi, il Governo deve tener conto, tra le altre cose, del numero di richieste di permesso di soggiorno per lavoro avanzate da cittadini stranieri in possesso di permesso di soggiorno ad altro titolo (turismo, ad esempio).

Queste disposizioni costituiscono un indubbio avanzamento, in termini di efficienza, rispetto al quadro definito dalla legge 943. In primo luogo, perche' e' prevista la possibilita' di correggere periodicamente i criteri di accesso, qualora quelli precedentemente adottati si rivelino inadeguati. In secondo luogo, perche' si riconosce come, laddove una seria programmazione sia ostacolata dalla difficolta' di censire nel dettaglio una domanda di lavoro capillarmente diffusa (si pensi alla collaborazione familiare), debba essere visto con favore il processo di autonoma ricerca di lavoro da parte dell'immigrato, quand'anche questo avvenga nell'ambito di un soggiorno - quello per turismo - che, di per se', non abilita al lavoro.

Disgraziatamente l'attuazione data a queste norme e' estremamente miope: tutti i decreti di programmazione dal '90 ad oggi non vanno oltre uno stanco riferimento alle preesistenti disposizioni (sono ammessi in Italia, cioe', solo quei lavoratori autorizzati ai sensi della legge 943). Per di piu', essendo state nel frattempo improvvidamente soppresse - dalla circolare 37/1989 del Ministero del lavoro - le liste speciali previste dalla legge (peraltro mai rese effettive per la parte relativa agli stranieri residenti all'estero), ed essendo diventata cosi' impraticabile qualunque forma di chiamata numerica, l'unica possibilita' di accesso al lavoro resta quella della chiamata nominativa.

In presenza di una notevole capacita' di assorbimento da parte del mercato del lavoro italiano - almeno per il citato settore dei servizi - e in assenza di una normativa che consenta ai lavoratori stranieri di dare regolarmente risposta al fabbisogno di manodopera, il concorso di interessi tra datori di lavoro e lavoratori crea una via di immigrazione per lavoro percorribile, sebbene irregolare: il meccanismo tipico per l'accesso ad una posizione lavorativa diventa quello di un ingresso regolare per turismo con reperimento sul posto di una opportunita' di lavoro (si noti: a valle di un incontro diretto col datore di lavoro) e prolungamento irregolare del soggiorno. Gli immigrati, pur raggiungendo cosi' un inserimento relativamente stabile in Italia, restano relegati in condizioni di irregolarita' - tanto riguardo al soggiorno, quanto rispetto alla posizione lavorativa -, da cui emergono solo grazie a provvedimenti di sanatoria.

II - Il lavoro autonomo. Per quanto riguarda lo svolgimento di attivita' di lavoro autonomo, benche' la legge 39 lo contempli tra i possibili motivi di ingresso in Italia, di fatto e' reso generalmente inaccessibile da una formulazione ambigua delle norme relative e da un'interpretazione restrittiva di esse. La legge infatti nulla stabilisce riguardo alle condizioni per il rilascio del visto di ingresso per lavoro autonomo, e si limita a prevedere il rilascio del corrispondente permesso di soggiorno per coloro che ne facciano richiesta nell'ambito della sanatoria transitoriamente disposta nell'ambito dello stesso provvedimento.

Oltre al silenzio della legge in materia di ingresso, lo straniero che voglia svolgere attivita' di lavoro autonomo in Italia trova un piu' fondamentale ostacolo nel disposto dell'articolo 16 delle Preleggi, che ne assoggetta l'ammissione al godimento dei diritti civili alla sussistenza di una condizione di reciprocita' con il paese di appartenenza. La legge 39 prevede che si deroghi da tale norma in relazione all'iscrizione ad albi e registri per lo svolgimento di attivita' artigianali e commerciali, come pure in relazione all'ammissione agli esami di abilitazione e all'iscrizione negli albi professionali per coloro che abbiano conseguito il titolo di studio in Italia o che abbiano ottenuto il riconoscimento di questo. Tuttavia, la previsione ha carattere meramente transitorio, riguardando solo quanti siano gia' presenti in Italia alla data del 31 dicembre 1989. Nell'ambito delle norme a regime, resta cosi' sostanzialmente precluso l'accesso a un intero settore dell'attivita' lavorativa anche a quanti, trovandosi gia' in Italia ad altro titolo, non siano ostacolati dalla lacunosita' della legge in materia di ingresso.

E' raro che questi impedimenti corrispondano a una effettiva tutela del cittadino italiano, dal momento che e' assai improbabile che questi possa avere un reale interesse a svolgere attivita' di lavoro autonomo in alcuno dei paesi di provenienza degli immigrati presenti in Italia. Il risultato piu' tipico e', piuttosto, per un verso lo spreco di risorse umane associato alla progressiva dequalificazione di quanti, laureati in Italia, sono costretti a ripiegare su attivita' che non hanno alcuna relazione con le loro competenze professionali, per l'altro la costrizione nell'irregolarita' di quanti siano dediti al piccolo commercio e, piu' in generale, di tutti quei lavoratori la cui attivita' non rientri nella categoria, oggi troppo rigida, del lavoro dipendente.

III - Le espulsioni. In presenza di un quadro normativo e applicativo che concorre ad alimentare innaturalmente il bacino di irregolarita', difficilmente allo svuotamento di questo puo' contribuire la parte repressiva della legge - quella cioe' riguardante il provvedimento di espulsione. Sotto questo aspetto, infatti, la legge 39 e' giustamente garantista: l'espulsione e' vista come un provvedimento di gravita' eccezionale e non come uno strumento che sopperisca alla mancanza di una politica di immigrazione. E di fronte ad un provvedimento eccezionale sono salvaguardati tutti i necessari spazi di tutela dei diritti dell'espulso - primo fra tutti, il diritto al ricorso contro il provvedimento. La legge 39 stabilisce in proposito che l'espulsione consista nell'intimazione di lasciare il territorio dello Stato entro quindici giorni; qualora pero' lo straniero presenti ricorso davanti al Tribunale amministrativo regionale, l'espulsione e' sospesa fino a decisione definitiva sulla contestuale istanza cautelare.

E' ovvio come nel tutelare i diritti dello straniero - conformemente, si badi, alle norme dei trattati internazionali - si finisca per negare al meccanismo repressivo l'efficacia abusivamente richiesta dall'evitabile diffusione delle condizioni di irregolarita'. La permanenza nel territorio dello Stato dello straniero colpito da espulsione puo' infatti prolungarsi legittimamente per anni, dati i tempi richiesti dall'amministrazione della giustizia. Si deve comunque notare come questo fatto abbia poco o nulla da spartire con i problemi della sicurezza urbana. I provvedimenti di espulsione assunti in seguito a condanna per reati gravi o per motivi di ordine pubblico sono immediatamente eseguiti con accompagnamento dell'espulso alla frontiera, e non vengono sopesi per la presentazione di un ricorso. Per contro, un'ulteriore diminuzione dell'efficacia dello strumento dell'espulsione e' data dalla difficolta' di procedere al rimpatrio dello straniero espulso quando questi non sia in possesso di un documento di viaggio che ne certifichi la provenienza. La chiara percezione di questa circostanza ha indotto molti degli stranieri presenti irregolarmente nel nostro paese a distruggere o, piu' semplicemente, ad occultare il proprio documento di viaggio. Il tentativo di sanzionare penalmente questo comportamento difficilmente potra' incontrare grande fortuna, data la difficolta' di distinguerlo nei fatti dal semplice - e certamente non perseguibile - smarrimento del documento.

 

Le riforme necessarie

Se la descrizione fatta rappresenta in modo appropriato il quadro attuale dell'immigrazione in Italia, e' bene che l'annunciata riforma legislativa tenga nel dovuto conto le proposte seguenti.

I - Lavoro subordinato. Tre sembrano gli elementi irrinunciabili in una prospettiva di superamento delle attuali strozzature del canale di accesso regolare al lavoro subordinato. Il primo e' costituito dall'istituzione - effettiva! - di liste di prenotazione, eventualmente suddivise per qualificazioni professionali, presso i consolati italiani all'estero, iscrivendosi nelle quali il lavoratore possa segnalare la propria volonta' di migrare. E' opportuno che la graduatoria sia basata sull'anzianita' di iscrizione, allo scopo di non rendere vana la speranza di un percorso di migrazione regolare in tempi ragionevoli. L'eventuale adozione di diversi criteri nella definizione della graduatoria - sulla base, ad esempio, di accordi internazionali - non deve tradursi, nei fatti, in una drastica chiusura delle frontiere nei confronti di particolari gruppi di aspiranti migranti. Ne risulterebbe infatti nuovamente incentivata la migrazione illegale.

Il Governo dovrebbe poi determinare, con cadenza annuale o - piu' realisticamente - pluriennale, le quote di immigrazione necessarie a colmare il fabbisogno di manodopera prevedibilmente non saturato dalla manodopera residente per ciascuna attivita' lavorativa, ovvero, qualora questa specificazione risulti problematica o inutile, un'unica quota complessiva. E' di fondamentale importanza che l'ingresso degli iscritti nelle liste sia consentito, con eventuale contingentamento temporale, fino al raggiungimento delle quote programmate, a seguito di semplice richiesta di visto, piuttosto che a fronte del rilascio di una autorizzazione al lavoro. A tale rilascio, invece, continuerebbe ad essere subordinato l'ingresso per eventuali chiamate fuori quota o fuori lista, non dissimilmente da quanto finora sperimentato.

Una volta entrati in Italia, i lavoratori stranieri dovrebbero ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato della durata di due anni. Si noti come, pur venendosi cosi' a trovare il lavoratore in una condizione - certamente precaria - di ricerca di lavoro (piuttosto che nella titolarita' di una posizione lavorativa), tale condizione sarebbe comunque piu' solida di quella nella quale gli immigrati si sono trovati in questi anni nel tentativo di pervenire all'incontro sul posto con un datore di lavoro intenzionato ad assumerli. La sostanziale differenza risiede nella regolarita' che, sulla base di queste disposizioni, caratterizzerebbe lo status dell'immigrato in cerca di lavoro. La previsione di rilascio di un permesso ordinario (di due anni, piuttosto che di breve durata) ha, coerentemente con questa osservazione, lo scopo di rafforzare tale regolarita'.

II - Lavoro autonomo. E' necessario che, accanto al canale di ingresso per lavoro subordinato, ne sia previsto uno per lo svolgimento di attivita' di lavoro autonomo. L'ingresso dovrebbe essere autorizzato, su richiesta dell'interessato, sulla base dell'accertamento della capacita' del lavoratore autonomo di provvedere al proprio sostentamento.

Un drastico ridimensionamento delle disposizioni relative alla condizione di reciprocita' dovrebbe accompagnare, per i motivi detti, questa previsione. In particolare, andrebbe sottratto al previo accertamento della sussistenza di tale condizione il diritto di svolgere attivita' artigianali e commerciali, il diritto di costituire cooperative e, per chi in Italia abbia conseguito il titolo di studio o ne abbia ottenuto il riconoscimento, quello di iscriversi negli albi professionali. Piu' in generale, con riferimento al generico diritto civile, la condizione di reciprocita' dovrebbe ritenersi soddisfatta qualora nel paese di provenienza dello straniero non risulti esplicitamente impedito agli italiani il godimento del diritto in questione. Riguardo all'iscrizione negli albi professionali, andrebbe poi rimosso anche il requisito relativo al possesso della cittadinanza italiana, salvo eventualmente il caso di particolarissime professioni.

E' infine opportuno che, di norma, tanto l'iscrizione nelle liste di collocamento e l'accesso al lavoro subordinato quanto lo svolgimento di attivita' di lavoro autonomo siano consentiti anche nei casi in cui lo straniero sia titolare di un permesso di soggiorno di lunga durata (esclusi cioe' i permessi per turismo, per visita ai familiari, e simili), sebbene diverso da quello immediatamente corrispondente alla specifica attivita' lavorativa, ovvero quando ricorrano condizioni particolari (attesa di riconoscimento dello status di rifugiato, attesa di giudizio, pendenza di un ricorso, etc.). In tutte queste situazioni, infatti, la frapposizione di ostacoli alla costituzione di rapporti e di attivita' di lavoro regolari finisce, in presenza dell'oggettiva necessita' di provvedere al proprio sostentamento, per incentivare forme di sfruttamento dello straniero, senza - per altro - che il mantenimento di una distinzione netta tra le diverse forme di immigrazione si traduca in un vantaggio per alcuno.

Il quadro derivante, riguardo all'immigrazione per lavoro, da disposizioni di questo genere, risulterebbe in definitiva grandemente semplificato: ingresso in Italia sulla base di una oggettiva necessita' del mercato del lavoro italiano (le quote per lavoro subordinato) ovvero sulla base di una capacita' soggettiva di migrazione (l'ingresso per lavoro autonomo); sostanziale liberta' di inserimento nel tessuto economico degli stranieri ammessi; subordinazione del rinnovo del permesso alla dimostrazione della capacita' del titolare di provvedere lecitamente al proprio mantenimento. Rinunciando a un controllo sistematico (e velleitario) di ciascun passo del percorso dell'immigrato, lo Stato si limiterebbe a vigilare sul corretto andamento complessivo del fenomeno, evitando di etichettare come irregolari situazioni di sano inserimento sociale, colpevoli solo di non soddisfare reqisiti di rilevanza puramente teorica.

III - Allontanamento dal territorio dello Stato. La determinazione, sulla base dei criteri fin qui esposti, di canali di immigrazione legale opportunamente dimensionati, unitamente a una intensa lotta contro i trafficanti di immigrazione clandestina, puo' far si' che i provvedimenti di allontanamento debbano essere adottati in un numero di casi non eccessivo e che quindi possano essere accompagnati da tutte le misure necessarie a rendere salve le esigenze di tutela dei diritti della persona, come pure quelle relative all'effettivita' delle misure e alla certezza del diritto.

Riguardo alla tutela dei diritti fondamentali, e' opportuno innanzi tutto individuare alcune categorie per le quali non si possa procedere ad allontanamento. Devono in tal modo essere protetti - quanto meno - i minori, coloro che necessitino di cure mediche urgenti o comunque essenziali, le donne incinte o che abbiano partorito di recente, i rifugiati e i richiedenti asilo, quanti soggiornino da lungo tempo in Italia.

Deve essere poi prevista la possibilita' che non si dia corso all'allontanamento dello straniero laddove sussistano circostanze - in relazione all'incongruita' del provvedimento rispetto all'infrazione commessa, al livello di inserimento sociale dell'interessato, alla presenza di familiari o ad altre ragioni umanitarie - che lo rendano inappropriato. La valutazione di tali circostanze dovrebbe essere, nei limiti del possibile, riferita a criteri oggettivi; uno spazio adeguato tuttavia dovrebbe essere lasciato alla discrezionalita' dell'autorita' chiamata a giudicare, in vista della possibilita' che le specifiche situazioni rilevanti in materia sfuggano ad ogni tentativo di codificazione.

Per quel che concerne le modalita' di esecuzione del provvedimento, e' opportuno, intanto, distinguere tra irregolarita' grave - a seguito, per esempio, di ingresso clandestino - e irregolarita' veniale - sopravvenuta cioe' ad una originaria condizione di regolarita' di non trascurabile durata. In quest'ultimo caso dovrebbe essere mantenuta la struttura attuale del provvedimento (ingiunzione di lasciare il territorio dello Stato, salvo il caso di presentazione di un ricorso al TAR), modificata dall'estensione a trenta giorni del limite di tempo, e soprattutto dalla possibilita' di riacquistare regolarita' in caso di possesso effettivo dei requisiti sostanziali per il rilascio di un permesso di soggiorno. Scaduti i trenta giorni senza che sia stata avviata alcuna di queste procedure, la condizione dello straniero ancora presente in Italia rientrerebbe nel caso di irregolarita' grave.

Anche in caso di irregolarita' grave, allo straniero da allontanare deve essere comunque garantita l'assistenza da parte di persona di fiducia e la presenza dell'interprete. Deve essergli inoltre consentito di prendere contatto con la rappresentanza diplomatica o consolare del proprio paese e con i familiari, e di procedere al recupero dei beni e delle somme di denaro di proprieta', incluse quelle somme spettanti per lavoro svolto, anche irregolarmente.

Fatte salve queste garanzie minimali, sembra difficile ipotizzare una modalita' di esecuzione dell'allontanamento diversa dall'accompagnamento alla frontiera. Al fine di tutelare ugualmente i diritti, e' necessario pero' che il provvedimento possa essere riesaminato, alla luce delle argomentazioni addotte dall'interessato, da un'autorita' diversa da quella che lo ha adottato, con riferimento alla sua legittimita' e - soprattutto - alla sussistenza di alcuna delle circostanze ostative di cui si e' detto. Questo comporta un differimento dell'esecuzione dell'accompagnamento alla frontiera.

Perche' tale differimento non vanifichi - come e' successo fino ad oggi - l'efficacia del provvedimento possono essere adottate forme di limitazione della liberta' personale dell'interessato, quale la custodia in strutture apposite. L'adozione di misure alternative (l'obbligo di dimora, ad esempio) puo' comunque risultare altrettanto adeguata e lascia certamente meno spazio a sospetti di illegittimita' costituzionale. L'efficacia di tali misure e' tuttavia subordinata all'individuazione di strumenti idonei all'identificazione di quanti, contravvenendo agli obblighi, si rendano irreperibili.

Il completamento del quadro normativo fin qui delineato richiede l'individuazione dell'autorita' preposta al riesame del provvedimento. Una possibile opzione consiste nell'attribuirne la responsabilita' al pretore o, quando siano coinvolti anche indirettamente minori, al Tribunale dei minorenni. Alternativamente, si potrebbe optare per l'istituzione di una sezione speciale presso un organo giudiziario ordinario. Il vantaggio consisterebbe nell'avere un organo esperto - capace quindi di eseguire valutazioni rapide -, del quale potrebbero far parte, in base all'art. 102 della Costituzione, quali cittadini idonei estranei alla magistratura, rappresentanti di organismi di tutela dei diritti umani. Infine, ove si ritenesse inaccettabile il rischio di un sovraccarico di lavoro per la magistratura, si potrebbe affidare il compito dell'esame delle ragioni che militano in favore dello straniero ad un apposito organismo amministrativo - una commissione analoga a quella prevista per la tutela del diritto di asilo - che intervenga prima dell'adozione del provvedimento. A formale tutela del diritto al ricorso andrebbe mantenuta in questo caso la possibilita' di presentazione di un ricorso al TAR, privo, tuttavia, di effetti sospensivi automatici.

Quanto alla necessita' di garantire certezza del diritto, il punto piu' spinoso concerne ovviamente le situazioni di mancanza - vera o presunta - di documenti di viaggio e di identita'. Il rischio e', per un verso, che l'intera impalcatura venga minata, quanto a efficacia, dalla possibilita' di occultare il passaporto (pratica oggi comprensibilmente diffusa); per l'altro, quello di sfavorire ingiustamente lo straniero che non occulti il passaporto, rispetto a colui che lo occulti. Una possibile soluzione - proponibile pero' solo all'interno di un quadro che tuteli il rispetto pieno dei diritti dello straniero da allontanare - e' quella della stipula di accordi bilaterali con i principali paesi di emigrazione finalizzati alla ammissione in condizione di sicurezza degli stranieri espulsi dall'Italia. Tali accordi dovrebbero prevedere da un lato l'impegno dell'Italia a sostenere, anche indirettamente, l'inserimento sociale nel paese di destinazione dello straniero espulso, dall'altro l'impegno dei paesi contraenti ad ammettere non solo i propri cittadini allontanati dall'Italia, ma, piu' in generale, qualunque straniero per il quale non si riesca a determinare in modo certo il paese di appartenenza. In presenza di tali accordi, si potrebbe prevedere che lo straniero che non sia in grado di certificare la propria provenienza possa scegliere come paese di destinazione uno di quelli con cui siano stati stipulati accordi.

Si tratta naturalmente di una materia estremamente delicata, e non dovrebbe essere trascurata alcuna forma di controllo sulla effettiva realizzazione dei progetti di inserimento degli stranieri ammessi dagli Stati contraenti in forza degli accordi. La proposta qui avanzata, tuttavia, potrebbe garantire che in materia di espulsione l'ultima parola resti comunque allo Stato ed evitare che un eventuale atteggiamento fraudolento si trasformi automaticamente in un effettivo vantaggio per chi lo adotta.

Va sottolineato infine come un notevole beneficio complessivo possa essere ottenuto incentivando - sia con forme di assistenza, sia con un'opportuna graduazione delle disposizioni relative al divieto di reingresso - il rimpatrio volontario dello straniero da allontanare, e come, quando per qualunque motivo il provvedimento di allontanamento risulti non eseguibile, all'interessato debba essere rilasciato un permesso di soggiorno che gli consenta lo svolgimento di attivita' lavorativa, con la quale possa provvedere legittimamente al proprio sostentamento.