ANCORA SULLA QUESTIONE IMMIGRAZIONE

 

In un articolo su Avvenire di Sabato 20 gennaio, don Vinicio Albanesi stigmatizza la posizione di chi plaude ai tentativi di introdurre nel nostro ordinamento sanzioni penali contro l'ingresso o il soggiorno irregolare degli immigrati. Giorgio Paolucci, chiamato in causa da don Albanesi, ribatte rivendicando il diritto di ragionare laicamente sull'argomento, ed esprime un'opinione che può essere - mi sembra - così sintetizzata:

a) va intrapresa una seria cooperazione con i paesi dai quali provengono i principali flussi di immigrazione, allo scopo di ridurre la pressione migratoria;

b) devono essere pienamente garantiti i diritti degli immigrati regolari;

c) è opportuno consentire la regolarizzazione di quanti si trovino già in Italia condannati alla clandestinità da una normativa inadeguata, ma per il futuro devono essere adottate norme severe sugli ingressi e il fenomeno dell'irregolarità va contrastato con rigore, non escluso - sembra di capire dalle parole di Paolucci - il ricorso alle sanzioni penali.

Ho l'impressione che questa impostazione sia astrattamente corretta; così astrattamente, però, da sfiorare solo in modo marginale la questione dibattuta con tanta veemenza in queste settimane in Senato. Provo a chiarire perché, analizzando, con spirito ugualmente laico, le tesi di Paolucci.

1) Richiamare l'attenzione sulla necessità di una buona politica di cooperazione allo sviluppo è cosa ottima e condivisa da tutti. Il problema è che quando si parla di cooperazione allo sviluppo si fa riferimento a mutamenti che possono aver luogo in un arco di tempo dell'ordine dei decenni. E' giusto che si riapra seriamente un capitolo troppo spesso associato, per il passato, alle vicende di Tangentopoli, ma ad apprezzarne gli effetti potranno essere solo i figli o i nipoti di chi oggi è immigrato o aspira ad immigrare in Italia. Scarsa quindi appare, nel breve periodo, la correlazione tra le scelte operate in questo campo e i problemi posti dall'immigrazione.

2) La piena tutela degli immigrati regolari è cosa non meno buona della precedente, ed altrettanto largamente condivisa. Perchè la cosa non resti confinata in quello che Paolucci chiama il recinto dei princìpi è però evidentemente necessario che una possibilità di migrare regolarmente in Italia per lavoro esista, giacché, in caso contrario, è la stessa nozione di immigrato regolare ad essere svuotata di significato. Si tratta naturalmente di tenere nella giusta considerazione la realtà del nostro mercato del lavoro, ma anche di garantire meccanismi che consentano un incontro tra l'offerta di manodopera straniera e la domanda di lavoro non saturata dalla disponibilità di lavoratori residenti. Fino ad oggi invece si è stabilito - con i miopi decreti annuali di programmazione dei flussi - che in Italia potesse immigrare per lavoro solo lo straniero chiamato nominativamente da un datore di lavoro. Vi chiederete: ma chi chiamerebbe una lavoratrice - poniamo - capoverdiana mai conosciuta prima per mettersela in casa come colf? e, se mai si trovasse qualcuno disposto a farlo, come potrebbe chiamarla, dal momento che non esiste nei nostri consolati uno straccio di lista di prenotazione in cui la capoverdiana possa iscriversi per segnalare il suo desiderio di migrare in Italia? Avete centrato il problema: oggi, se un immigrato su tre è irregolare (ancorché generalmente inserito nella società), lo si deve al fatto che l'unica possibilità di accedere ad una occupazione in Italia è stata rappresentata per lui da un ingresso per turismo cui far seguire una ricerca di occupazione sul posto, un incontro diretto col datore di lavoro, un permanenza irregolare in Italia. Solo i fortunati che hanno incontrato un datore di lavoro scrupoloso, hanno potuto utilizzare il meccanismo della chiamata nominativa quale escamotage per pervenire alla regolarità: richiesta di autorizzazione come se il lavoratore fosse ancora all'estero, viaggio di ritorno nel paese d'origine, rientro in Italia con visto per lavoro. E che l'economia italiana avesse necessità di lavoratori stranieri è testimoniato dal fatto che di questi datori di lavoro scrupolosi se ne son contati circa venticinquemila ogni anno; è azzardato ritenere che, inclusi nel conto i datori di lavoro "meno scrupolosi", il totale di inserimenti lavorativi ammonti a ottanta-centomila unità all'anno?

3) Una razionalizzazione del processo migratorio deve passare, sì, attraverso una regolarizzazione di chi alla clandestinità sia stato condannato dalla scarsa lungimiranza delle nostre politiche; e deve trattarsi di una regolarizzazione ben più ampia ed efficace di quella consentita dal decreto Dini. Ma è altrettanto necessaria una revisione dei meccanismi di programmazione dei flussi. Molte delle associazioni del volontariato e degli organismi sociali impegnati nel settore sostengono, da anni, questa proposta: il Governo stimi, all'atto della programmazione dei flussi, quale sia il fabbisogno di manodopera immigrata per le mansioni non coperte da manodopera nazionale. Si istituiscano liste di prenotazione nei consolati, con graduatoria definita in base all'anzianità di iscrizione. Il Governo individui, tra le varie mansioni, quelle per cui è indispensabile questo benedetto incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro. Per tali mansioni entrino a cercare lavoro in Italia, scaglionati nel corso dell'anno, gli iscritti nelle liste, fino a completamento della quota fissata; per le altre, si utilizzi pure il meccanismo della chiamata numerica o nominativa. E' rischioso questo ingresso "per ricerca di lavoro"? No: è quello che è successo, di fatto, in questi anni. Con una differenza: piuttosto che accorgerci del fenomeno periodicamente e dover sanare il sanabile, lo lasceremmo avvenire alla luce del sole, conservandone il controllo.

In mancanza di questa revisione o di altre più valide (se ve ne sono), un inasprimento delle norme che colpiscono l'ingresso clandestino o il soggiorno irregolare è ingiusto, inefficace e dannoso. Ingiusto, perché colpisce la violazione di disposizioni - quelle sull'accesso regolare al lavoro - cui è oggettivamente impossibile ottemperare. Inefficace, perché, a meno di prevedere sanzioni di sproporzionata gravità, ben difficilmente si riuscirà a scoraggiare la migrazione di chi fugge da condizioni di miseria. Dannoso, perché per reprimere un fenomeno che riguarda decine di migliaia di nuovi casi ogni anno si finirebbe col procedere in modo sommario nei confronti dei presunti responsabili delle irregolarità, spazzando via princìpi di tutela giurisdizionale che sono cardine del nostro ordinamento costituzionale.

 

 

 

 

 

Roma, 22 gennaio 1996 Sergio Briguglio

Caritas Diocesana di Roma