GRUPPO DI RIFLESSIONE

di organismi ed associazioni di ispirazione religiosa

attivi nel campo delle migrazioni

ACLI

ACSE

AGESCI

CARITAS ITALIANA Segreteria: Via Firenze, 38 - 00184 ROMA

COMUNITA' DI S.EGIDIO Tel. 06/4890.5101 - Fax 48.28.728

CSER

FEDERAZIONE DELLE CHIESE EVANGELICHE IN ITALIA

FONDAZIONE MIGRANTES DELLA CEI

GRUPPO MARTIN BUBER EBREI PER LA PACE

JESUIT REFUGEE SERVICE

OSA

UCSEI

YWCA-UCDG

 

 

NOTA SULLA POLITICA DELL'UNIONE EUROPEA

IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE

I problemi associati al fenomeno dell'immigrazione e, in una certa misura, a quello dell'asilo occupano una posizione di rilievo, in Europa, nell'agenda dei lavori sulle politiche sociali delle istituzioni comunitarie, come pure dei governi nazionali e delle forze sociali. E' infatti largamente riconosciuto come scelte inadeguate riguardo a tali problemi per un verso releghino immigrati e rifugiati in una condizione di insanabile marginalita', per l'altro finiscano con l'aggravare la stessa situazione dei cittadini socialmente piu' deboli dei Paesi ospitanti, che vengono posti in condizioni di dannosa concorrenza con gli immigrati per l'accesso a beni e servizi essenziali. La ricerca tra gli Stati membri dell'Unione Europea di una base comune per le politiche di immigrazione e asilo e' quindi elemento indispensabile per una gestione del fenomeno che consenta di esaltarne la valenza positiva, contenendone allo stesso tempo i costi sociali. Tale ricerca e' tenuta nella massima considerazione dalla Commissione delle Comunita' Europee, che ne ha fatto l'oggetto della propria Comunicazione al Consiglio e al Parlamento Europeo sulle Politiche di Immigrazione e Asilo del 23 febbraio 1994.

Intendimento di questa nota e' di offrire, a conclusione del semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea, alcune riflessioni in materia, maturate da organizzazioni non governative impegnate in Italia nel campo dell'immigrazione. La nota riprende, aggiornandole alla luce dell'esperienza di questi ultimi anni, considerazioni gia' presentate in diversi documenti dalle stesse organizzazioni.

 

 

I. Elementi essenziali della politica migratoria

E' opinione generalmente condivisa che la definizione di una politica di immigrazione necessiti di un approccio globale imperniato su tre principali obiettivi: l'alleggerimento della pressione migratoria, la progressiva integrazione sociale dell'immigrato e il controllo dei flussi migratori in ingresso. A un simile inquadramento del problema, che e' alla base della Comunicazione della Commissione, conviene fare riferimento allo scopo di valutare l'opportunita' delle singole scelte in materia.

I.1 - Alleggerimento della pressione migratoria.

L'individuazione di misure orientate ad una riduzione della pressione migratoria alle frontiere degli Stati dell'Unione Europea richiede la comprensione e la progressiva rimozione delle principali cause dei movimenti migratori verso l'Europa. La prima di queste cause certamente risiede nelle intollerabili disparita' economiche tra i cosiddetti paesi in via di sviluppo e i paesi industrializzati. Non possono pero' essere trascurati fattori quali gli squilibri demografici e ambientali, i conflitti armati, le guerre civili, la mancanza di democrazia e le violazioni dei diritti fondamentali dell'uomo che costringono molti abitanti di paesi in via di sviluppo ad abbandonare la propria terra in cerca di piu' accettabili condizioni di vita.

Allo scopo di attenuare la pressione migratoria e' quindi necessario rinforzare e coordinare le politiche di cooperazione allo sviluppo economico, di liberalizzazione dei commerci e di riduzione del debito e dei servizi del debito, le azioni orientate a ristabilire o mantenere la pace, i meccanismi di tutela ambientale, il sostegno ai processi di democratizzazione nei paesi di emigrazione, il controllo internazionale sul rispetto dei diritti dell'uomo.

E' tuttavia importante tener presente come, stante il loro carattere di lungo periodo, questi interventi non possano in alcun modo far passare in secondo piano le politiche piu' specifiche di immigrazione. Ben difficilmente, infatti, un'accelerazione dello sviluppo dei paesi di emigrazione potrebbe tradursi in un consistente beneficio per coloro che hanno gia' lasciato la propria terra o che si apprestano a lasciarla.

Politiche a riguardo dei paesi di emigrazione e politiche di immigrazione devono allora porsi in rapporto di reciproco stimolo, piuttosto che di mutua esclusione. In particolare devono essere curati quegli aspetti comuni che concernono le rimesse dei lavoratori immigrati, i progetti di formazione mirata al reinserimento qualificato nei paesi di origine, gli accordi per la riammissione in condizioni dignitose dei cittadini stranieri allontanati dagli Stati membri dell'Unione Europea e quelli per la tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori.

I.2 - Progressione dei diritti e integrazione dell'immigrato.

Riguardo al rafforzamento delle politiche di integrazione per gli immigrati regolarmente residenti, e' opportuno osservare come una progressione dei diritti dell'immigrato che gli consenta di raggiungere, con gradualita' ma anche con rapidita', condizioni paritarie rispetto alla popolazione nazionale sia elemento irrinunciabile per garantirne e stimolarne la promozione sociale. Dato, infatti, il prevalente carattere di bassa qualificazione delle attivita' lavorative che consentono oggi l'ingresso di immigrati nei paesi industrializzati, e' fondato il rischio che l'intera categoria risulti socialmente compressa e che vadano in breve tempo dispersi, perche' inadeguatamente utilizzati, rilevanti patrimoni individuali di cultura e competenza professionale. Una condizione di svantaggio, inizialmente tollerabile e, forse, ineliminabile, finirebbe per assumere carattere cronico, protraendosi dannosamente nelle generazioni successive.

Accanto alla tutela di diritti fondamentali, relativi al rispetto della vita familiare, alla condizione dei minori, alla difesa in giudizio, sembrano particolarmente rilevanti, in proposito, le possibilita' di accesso ai servizi socio-sanitari, all'istruzione e alla formazione professionale, nonche' la parita' di trattamento, rispetto ai cittadini autoctoni, in materia di condizioni di lavoro, retribuzione e sicurezza sociale. La ratifica, da parte di tutti gli Stati membri dell'Unione, della Convenzione ONU del 18.12.1990 sulla Protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, come pure delle Convenzioni OIL nn. 97, 118, 143 e 157, oltre a fornire l'appropriato contesto giuridico per il pieno riconoscimento di tale rilevanza, costituirebbe un segno concreto della volonta' dell'Unione Europea di pervenire ad un sensibile miglioramento delle condizioni di integrazione dei lavoratori immigrati.

Altrettanto importante e', poi, certamente la possibilita' - per l'immigrato - di maturare, a valle di un determinato periodo di residenza, un diritto di soggiorno permanente che lo affranchi da una difficile condizione di precarieta'. Nello stesso spirito, superata una determinata eta' o trascorso un tempo prefissato, dovrebbe essere riconosciuto a ciascun membro della famiglia di un immigrato residente un diritto di soggiorno indipendente dalla permanenza dei legami familiari e dallo status giuridico dell'immigrato in questione.

Lo strumento giuridico della naturalizzazione dovrebbe infine dare compimento a questa fase di promozione sociale dell'immigrato, consentendogli il pieno godimento dei diritti civili e politici.

I.3 - Controllo dei flussi migratori in ingresso nei paesi di immigrazione.

Il ponte tra una politica di azione sulla pressione migratoria dai risultati non immediati e una politica di integrazione dell'immigrato regolare non puo' che essere rappresentato da una efficace politica di controllo dei flussi. Un'immigrazione, infatti, che avvenga in modo incontrollato e' incompatibile con l'attuazione del principio di progressivita' dei diritti preposto alla politica di integrazione, sia nell'ipotesi che detta immigrazione rimanga relegata in condizioni di illegalita', sia laddove le istituzioni ne prendano pragmaticamente atto, mandando pero', in tal modo, un messaggio che si presta ad essere interpretato come un segnale di resa. Nel primo caso, infatti, il migrante non solo non vede progredire il proprio livello di cittadinanza, ma e' perfino impossibilitato a godere di diritti fondamentali; nel secondo, rischia di mancare, intorno alla politica di integrazione, il consenso generale della popolazione residente: la maturazione di diritti da parte di persone formalmente non legittimate ad accedervi puo' essere percepita - a torto o a ragione - in modo negativo, con una conseguente recrudescenza di tendenze xenofobe e razziste.

E' necessario, quindi, che al problema del controllo dei flussi sia dedicata una particolare attenzione.

 

II. La politica delle quote di immigrazione per lavoro

E' utile classificare i movimenti migratori in base ai motivi di ammissione nel paese di immigrazione. E' cosi' possibile distinguere alcune delle componenti piu' rilevanti del flusso migratorio: i rifugiati, le persone bisognose di tutela internazionale, i familiari di immigrati gia' stabilmente inseriti che attuano il ricongiungimento familiare, gli immigrati per motivi di lavoro.

II.1 - Necessita' di non sottovalutare il problema dell'ammissione per lavoro.

Non e' difficile raccogliere un generale consenso intorno all'affermazione - contenuta nella Comunicazione della Commissione - secondo la quale i criteri di ammissione negli Stati membri dell'Unione Europea debbano tenere nel giusto conto gli impegni internazionali precedentemente assunti e le tradizioni umanitarie in generale. E' pero' della massima importanza che questa giusta sottolineatura non venga interpretata come una indicazione della necessita' di praticare una politica di apertura riguardo a soli problemi dell'asilo (o della protezione internazionale) e del ricongiungimento familiare, limitando invece l'ammissione per lavoro ai casi previsti da accordi bilaterali precedentemente assunti con paesi terzi. Che questo timore non sia infondato e' confermato dalla Risoluzione adottata il 20.06.1994 dal Consiglio dei Ministri degli Affari Interni e di Giustizia dell'Unione Europea, che prospetta appunto misure fortemente restrittive circa l'ammissione per lavoro con l'eccezione delle situazioni previste da accordi bilaterali vigenti.

E' necessario, in contrasto con questa tendenza, sottolineare come l'ammissione per lavoro non possa essere trattata quale aspetto di portata minore. L'immigrazione per lavoro non e', infatti, fenomeno marginale e, anzi, in molti paesi costituisce la componente principale dei movimenti migratori. Trascurandola, per un verso si rende l'immigrazione illegale preferibile, per il migrante, rispetto ad una immigrazione legale nei fatti inaccessibile; per l'altro, si sbilancia artificiosamente e pericolosamente la distribuzione della pressione migratoria legale, sovraccaricando il ramo dei rifugiati: l'eccessivo numero di domande di asilo che ne consegue rischia di snaturare le procedure di riconoscimento, mettendo a rischio gli standard minimi di tutela in relazione a tali procedure, con grave danno potenziale per coloro che sono effettivamente in possesso dei requisiti necessari.

E' quindi opportuno sottolineare che una politica non puramente restrittiva, oltre che dal rispetto degli impegni assunti e delle tradizioni umanitarie, e' motivata dall'esigenza di evitare l'incentivazione delle forme illegali di ingresso o soggiorno e lo stravolgimento della politica di asilo.

II.2 - Opportunita' di una politica di quote compatibile con la situazione occupazionale interna.

Quanto alla individuazione dei criteri di ammissione per lavoro, e' da piu' parti indicata la necessita' di subordinare l'ammissione di quote di immigrazione per lavoro all'andamento dell'economia e della crisi occupazionale comunitaria. Tale indicazione e' naturalmente condivisibile, essendo opportuno evitare conflitti tra categorie entrambe svantaggiate - quella dei lavoratori immigrati e quella dei cittadini degli Stati membri dell'Unione Europea in condizioni di disoccupazione. L'affermazione, pero', secondo la quale la crisi attualmente attraversata da molti di questi Stati impedirebbe l'attuazione di una politica di quote non sembra condivisibile, dal momento che esistono settori del mercato del lavoro non comunicanti; situazioni di disoccupazione e domanda di manodopera non saturata possono cosi' coesistere senza mutua elisione. In Italia, ad esempio, settori quali la collaborazione domestica e l'assistenza domiciliare a persone non autosufficienti risultano, a dispetto dell'elevato tasso di disoccupazione, cronicamente scoperti.

Sembra invece opportuno che, pur vincolata a precise regole e soggetta ad adeguate forme di verifica comunitaria, una periodica determinazione delle quote da ammettere per lavoro abbia luogo, affidata ai governi dei singoli Stati membri, che avrebbero cosi' il compito di valutare responsabilmente l'entita' dell'ulteriore flusso di lavoratori immigrati del quale le specifiche caratteristiche dei mercati del lavoro nazionali rendano auspicabile l'ingresso.

II.3 - Indipendenza dell'ammissione per asilo e ricongiungimento familiare da criteri economici.

E' necessario che i criteri di ammissione per asilo, protezione internazionale e ricongiungimento familiare prescindano dalla situazione del mercato del lavoro. Non sembra accettabile, infatti, che gli ingressi per questi motivi siano subordinati a considerazioni di carattere meramente economico, dal momento che una tale subordinazione interferirebbe pericolosamente con la tutela di diritti fondamentali della persona. E' pero' da tener presente come queste categorie di immigrazione possano contribuire ulteriormente all'offerta di manodopera sul mercato del lavoro comunitario. Sara' bene, allora, che nella determinazione delle quote da ammettere per lavoro si tenga conto, tra gli altri elementi, delle previsioni relative all'immissione nel mercato del lavoro di persone originariamente ammesse, negli anni precedenti, per uno dei motivi qui considerati.

II.4 - Importanza dell'incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro.

E' fondamentale osservare come diversamente dal caso dell'immigrazione nell'Europa degli anni '50 e '60, destinata primariamente ad un inserimento nell'industria, oggi la porzione piu' rilevante del flusso di immigrazione per lavoro trova inserimento nel settore dei servizi (si pensi appunto alla collaborazione domestica e all'assistenza domiciliare). E' bene sottolineare che, almeno per mansioni di questo genere, gli ingressi nell'ambito della programmazione "per quote" non devono essere ulteriormente subordinati al rilascio di una preventiva autorizzazione relativa ad un determinato posto di lavoro - un'autorizzazione, cioe', che si configuri come la prova documentale dell'esistenza di un'occupazione disponibile. Per esse, infatti, l'incontro diretto e lo stabilirsi di una relazione di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore e' indispensabile per la costituzione di un rapporto di lavoro. Il requisito di una preventiva autorizzazione al lavoro, richiedendo che tale rapporto sia in qualche modo costituito prima dell'ingresso dell'immigrato, rende impraticabile nei fatti l'immigrazione legale in corrispondenza alle mansioni considerate. Il migrante avrebbe allora vantaggio ad immigrare illegalmente allo scopo di realizzare quell'incontro diretto dal quale potrebbe derivargli, successivamente, l'autorizzazione necessaria per ripercorrere legalmente la via dell'immigrazione.

 

III. Effetti negativi di una politica restrittiva sul controllo

dell'immigrazione illegale

Si e' detto come, laddove non si dia attuazione ad una politica di ammissione per lavoro efficace nel realizzare un canale di immigrazione regolare adeguato alle esigenze del mercato del lavoro, oltre alla proliferazione artificiosa delle richieste di ammissione per asilo sia anche da attendersi il fallimento delle strategie mirate a contrastare l'immigrazione illegale. Una restrizione dei criteri di ammissione che non sia strettamente correlata ad una effettiva impossibilita' di inserimento del migrante nel mercato del lavoro costituisce infatti un elemento capace, per i motivi esposti, di incentivare l'immigrazione non autorizzata. E quando, in conseguenza di questa incentivazione, i movimenti migratori illegali assumono proporzioni cospicue, non esistono misure di contenimento che possano essere applicate senza risultare viziate da sostanziale inefficacia o da costi sociali inaccettabilmente elevati.

Per provare questa asserzione conviene esaminare i possibili interventi di prevenzione dell'immigrazione illegale, dissuasione del soggiorno illegale, identificazione e rimpatrio degli immigrati illegalmente soggiornanti, alla luce dell'esigenza, opportunamente sottolineata dalla citata Comunicazione della Commissione, di contemperare tali interventi con il rispetto di standard minimi di trattamento del migrante in condizioni illegali.

III.1 - Misure di prevenzione.

Un importante contributo alla prevenzione dell'immigrazione illegale puo' essere ottenuto dall'adozione di misure atte a contrastare efficacemente gli ingressi clandestini. Fino ad oggi l'attenzione e' stata tipicamente rivolta alla figura dell'immigrato clandestino, che rappresenta certamente l'anello piu' debole e meno pericoloso della catena di illegalita' connessa con tali ingressi. E' invece indispensabile che l'azione di contrasto si concentri, anche mediante forme di cooperazione intergovernativa, sulle organizzazioni malavitose, che sui traffici clandestini di manodopera fondano intollerabili speculazioni.

Non si deve pero' trascurare come, a fronte degli apprezzabili risultati che per tale via possono essere raggiunti, ben poco puo' essere fatto riguardo al fenomeno, in molti paesi numericamente assai piu' rilevante, degli ingressi regolari - tipicamente per motivi di turismo - destinati a dar luogo a prolungamenti illegali del soggiorno. Per quanto rigorosamente si applichi una politica dei visti, non e' infatti possibile, se non si vuol deprimere l'attivita' legata al turismo, portare i requisiti per l'ingresso ad un livello tale da risultare insormontabile per chi sia comunque determinato ad immigrare. La possibilita', poi, di una valutazione discrezionale delle "vere" intenzioni del turista offre spazio a pericolose forme di arbitrio e non sembra comunque caratterizzarsi per una apprezzabile efficacia, data la sproporzione esistente tra l'enorme numero di turisti effettivi e quello, assai piu' modesto, di coloro che sotto le apparenze del turismo dissimulano l'immigrazione.

III.2 - Misure di dissuasione.

Un'opera di dissuasione del soggiorno illegale e' praticabile solo in presenza di una via legale di immigrazione sufficientemente ampia: l'aspirante immigrato e' infatti motivato, nell'astenersi da forme di immigrazione illegale, dalla prospettiva di una chance di immigrazione legale. In assenza di tale via, o in condizioni di eccessiva restrizione di essa, la valutazione operata dal potenziale migrante si basa su un confronto tra le condizioni di inserimento da immigrato illegale e quelle che caratterizzano la sua vita nel paese di origine. Stante il livello spesso drammaticamente basso di queste ultime, per risultare di una qualche efficacia un'azione di dissuasione dovrebbe portare il grado di tutela dei diritti del migrante al di sotto di limiti accettabili. Si finirebbe cosi' con l'utilizzare, in modo inaccettabile, un intollerabile degrado delle condizioni di vita dell'immigrato illegale per costruire un meccanismo di repulsione capace di supplire alle carenze dell'azione di controllo esercitata dalle istituzioni. Un simile meccanismo dovrebbe poi, per risultare efficace, essere accompagnato dall'esplicito divieto per gli organismi sociali di prestare assistenza all'immigrato in situazione illegale. Tale assistenza, che puo' certamente costituire una indesiderabile forma di incentivazione del soggiorno non autorizzato, e' pero' profondamente motivata dalla drammaticita' delle condizioni di vita di molti immigrati irregolari e costituisce un'improcrastinabile risposta a bisogni fondamentali della persona, come pure all'esigenza di allentare tensioni che mettono a repentaglio il buon andamento della convivenza sociale.

Sono infine certamente da perseguire obiettivi quali l'inasprimento delle sanzioni contro il lavoro nero e l'individuazione di misure che ne favoriscano la prevenzione (a maggior ragione laddove la normativa vigente o la prassi applicativa presentino carenze al riguardo). Tuttavia, se una politica fondata sull'intensificazione dei controlli puo' essere efficace in relazione a settori del mercato del lavoro caratterizzati da visibilita', come quelli relativi ad attivita' industriali, molto meno puo' esserlo in settori per i quali l'inserimento e' diffuso, a carattere interstiziale, e scarsamente evidente, come nel caso della collaborazione domestica, dell'assistenza domiciliare o delle attivita' in agricoltura.

III.3 - Misure per l'identificazione e il rimpatrio.

In una situazione in cui il fenomeno dell'immigrazione illegale si estenda al di la' di certe dimensioni, l'obiettivo di una sistematica ed efficace identificazione delle posizioni irregolari risulta nei fatti di realizzazione palesemente ardua. Nei casi in cui, cio' nonostante, si riesca a pervenire all'individuazione dell'immigrato in condizione illegale, non possono comunque essere trascurati i problemi connessi con le modalita' di rimpatrio. La citata Comunicazione della Commissione indica giustamente nel rimpatrio volontario la forma meno costosa e piu' rispettosa della condizione di speciale vulnerabilita' del cittadino da rimpatriare. E' bene anche considerare come, quando siano coinvolte categorie particolari di immigrati (e' il caso dei minori non accompagnati, di coloro che dall'espulsione sarebbero strappati al proprio nucleo familiare e di quanti avrebbero titolo a richiedere asilo), deve essere usata la massima cautela per evitare violazioni di diritti fondamentali. E' evidente pero' come un'applicazione efficace delle misure relative all'espulsione sia compatibile con questa attenzione ai diritti della persona solo quando l'irregolarita' che si vuol contrastare non abbia diffusione tale da rendere impossibile una gestione del fenomeno basata su categorie quali devianza e repressione. In altri termini: laddove si accentui oltre misura il fenomeno dell'immigrazione illegale, il controllo di questo diventa proibitivo e si diffonde la convinzione impropria che l'ostacolo principale da rimuovere risieda nei meccanismi di tutela giurisdizionale dell'immigrato illegale in fase di espulsione. Si tende cosi' a giustificare o addirittura ad invocare una applicazione sommaria e frettolosa delle sanzioni, o un incongruo inasprimento di esse. Il vantaggio che ne consegue, dal punto di vista del ripristino delle condizioni di legalita' riguardo al soggiorno degli immigrati, e' trascurabile, dal momento che la correzione finisce per riguardare le modalita' procedurali o l'intensita' della singola applicazione - piuttosto che il dimensionamento complessivo - di un meccanismo sanzionatorio che resta, cosi', comunque inadeguato al fenomeno. Il danno per le persone coinvolte e' invece - inutile dirlo - gravissimo.

 

 

IV. Lotta contro l'esclusione sociale e salvaguardia dei diritti

di cittadinanza: un problema aperto

L'aver fin qui sottolineato la rilevanza di un contollo lungimirante dei flussi che consenta uno svolgimento regolare dei movimenti migratori non significa che tale controllo possa automaticamente evitare che i paesi di immigrazione siano chiamati a fronteggiare, a causa di tali movimenti, problematiche nuove e complesse; l'immigrazione anzi, mettendo in comunicazione culture e ordinamenti sociali diversi, e' fenomeno che naturalmente porta a riesaminare criticamente sistemi di funzionamento della societa' nati e consolidatisi in condizioni di maggior isolamento.

Una di queste problematiche, di cui e' bene che le istituzioni dell'Unione Europea prendano atto, e' rappresentata dal conflitto esistente, in un sistema aperto a risorse limitate - quale un'Europa soggetta a pressione migratoria e alle prese con problemi di disoccupazione interna appare essere -, tra la difesa dei diritti di cittadinanza e la lotta contro l'esclusione sociale.

IV.1 - Necessita' di revisione dell'impostazione della politica sociale in presenza di immigrazione.

Il quadro di riferimento per il progresso sociale di un paese che non sia meta di migrazione puo' consistere, infatti, nella definizione e nel periodico aggiornamento dei livelli minimi di risorse e servizi che devono essere garantiti ad ogni cittadino. In questo contesto, la lotta contro il fenomeno dell'esclusione sociale consiste nella continua verifica delle effettive possibilita' di fruizione di tali risorse da parte di ciascuno e nella adozione dei meccanismi di redistribuzione eventualmente necessari. Diverse concezioni dell'ordinamento della societa' possono certamente implicare definizioni diverse dei livelli minimi di risorse e servizi pro capite, ma non possono, in uno Stato moderno, mettere in discussione questo impianto generale, che e' strettamente collegato con la stessa nozione di cittadinanza.

In un sistema, invece, che sia soggetto ad una pressione migratoria dall'esterno, l'impianto in questione rischia di vacillare vistosamente. La possibilita' di un ingresso di individui stranieri ne fa infatti un sistema aperto per il quale la nozione di "livello minimo" perde il proprio significato: provenendo da paesi ad economia arretrata, il migrante puo' percepire come vantaggioso un inserimento nel paese d'arrivo, perfino quando esso risulti caratterizzato da livelli di benessere comunemente considerati, in tale paese, inaccettabilmente bassi. Mentre, quindi, la condizione di esclusione sociale del cittadino si configura come una situazione intollerabile, quale che sia il punto di vista da cui la si guardi, quella del migrante puo' ancora configurarsi come soggettivamente conveniente.

Questa differenza sostanziale e' all'origine di un dilemma che rischia di paralizzare le politiche di accoglienza nei paesi sviluppati. Data l'iniziale difficolta' di inserimento produttivo dell'immigrato, il paese di immigrazione si presenta, nella fase di arrivo del migrante, come un sistema a risorse limitate (un sistema, cioe', alle cui risorse l'immigrato non puo' dare, fino ad inserimento avvenuto, contributi significativi). Parimenti limitate risultano, di conseguenza, le risorse complessivamente disponibili per la popolazione immigrata. In questa situazione, la societa' di accoglienza

a) puo' mirare a salvaguardare la nozione di livello minimo accettabile (salvaguardare, cioe', la qualita' dei "diritti di cittadinanza"), imponendo che tali risorse siano destinate ad un numero opportunamente limitato di cittadini stranieri e negando agli altri il diritto di soggiornare sul proprio territorio; ovvero,

b) puo' autorizzare il soggiorno anche per quegli stranieri che non riescano a pervenire ad un inserimento sufficientemente protetto, in nome del vantaggio che essi comunque conseguono rispetto alle condizioni di origine.

La prima di queste opzioni rischia evidentemente, per la politica di respingimento che essa comporta, di snaturare la lotta contro l'esclusione sociale, trasformandola in una lotta contro gli esclusi; la seconda rischia di provocare un arretramento rispetto alle conquiste raggiunte in decenni di contrasti e concertazioni tra le parti sociali.

IV.2 - Riconsiderazione della condizione di poverta'.

La lotta contro l'esclusione e la difesa dei diritti di cittadinanza, originariamente aspetti complementari di un'unica politica sociale, vengono cosi' a trovarsi - quasi paradossalmente - in conflitto.

Tale conflitto puo' essere positivamente risolto trasformando, nei paesi dell'Unione, il divario tra le condizioni di provenienza dell'immigrato e quello che si e' indicato come livello minimo accettabile in una successione di livelli che possa essere progressivamente percorsa dal cittadino straniero. Il parametro per misurare l'efficacia di questo processo diventa naturalmente il tempo necessario all'immigrato per colmare il dislivello complessivo. In quest'ottica, la societa' europea deve resistere alla tentazione - oggi particolarmente insistente - di esorcizzare la paura della poverta' negando il diritto stesso di essere poveri. La condizione di poverta' puo' infatti in molti casi costituire una tappa necessaria - seppure dolorosa - del pieno inserimento nel tessuto sociale per chi vi faccia ingresso dall'esterno in condizioni di disagio economico. A costituire motivo di allarme deve invece restare, in questa visione dinamica del problema, il dato relativo ad una permanenza eccessivamente prolungata del singolo individuo o del singolo nucleo familiare in tali condizioni disagiate, e alle forme di discriminazione che nella precarieta' dell'immigrato trovino pretesto e alimento.

 

V. Conclusioni

E' opportuno che la politica di immigrazione sia fondata su tre elementi principali:

1) una progressiva rimozione delle cause che inducono i movimenti migratori finalizzata all'alleggerimento della pressione migratoria;

2) il controllo dei flussi di immigrazione;

3) l'integrazione sociale dell'immigrato.

Con riferimento al primo di questi elementi, sono da rinforzare le azioni orientate alla creazione di condizioni di vita accettabili - sotto il profilo economico, politico e sociale - nei paesi di emigrazione. Vanno quindi perseguite efficaci politiche di cooperazione allo sviluppo, di risoluzione dei conflitti armati e di tutela dei diritti dell'uomo.

Riguardo al problema del controllo dei flussi conviene sottolineare la necessita' di adottare criteri di ammissione per motivi di lavoro che non portino ad una eccessiva restrizione del canale di immigrazione legale. Data infatti la scarsa probabilita' che le misure orientate ad una attenuazione della pressione migratoria sortiscano in tempi brevi risultati di un qualche rilievo, un dimensionamento di questo canale che non sappia tenere effettivamente conto della domanda di manodopera non coperta dalla forza-lavoro residente nei paesi industrializzati alimenta nei fatti le forme di immigrazione illegale. Vengono cosi' a determinarsi condizioni in cui, per l'estensione del bacino di irregolarita' e per la mancanza di una via legale percorribile, risultano inefficaci o carichi di un costo eccessivo tutti i meccanismi di prevenzione, controllo, dissuasione e repressione del fenomeno dell'immigrazione illegale.

Una politica fondata sulla determinazione periodica di quote di immigrazione ammesse per lavoro puo' essere in grado di conciliare l'attenzione ai problemi dell'occupazione e del mercato del lavoro dei paesi industrializzati con l'esigenza di garantire l'esistenza di un alveo di immigrazione legale non inutilmente ristretto. E' pero' indispensabile che non si impongano eccessivi vincoli burocratici - quale la preventiva dimostrazione dell'esistenza di un determinato posto di lavoro disponibile - sull'ingresso dei lavoratori immigrati ammessi nell'ambito della programmazione "per quote". Tali vincoli, infatti, rischiano di rendere inaccessibile l'immigrazione legale, senza peraltro produrre livelli di tutela del lavoratore residente disoccupato che non possano essere raggiunti, in modo privo di effetti indesiderati, da un'attenta programmazione governativa.

E' altrettanto importante che la programmazione per quote, relativa all'ammissione per lavoro, non interferisca con le politiche di ammissione per asilo, protezione internazionale e ricongiungimento familiare, dovendosi evitare che diritti fondamentali della persona siano subordinati a criteri di mera opportunita' economica.

Infine, in relazione al problema dell'integrazione, non puo' essere trascurato come in presenza di flussi di immigrazione si renda necessaria una revisione delle linee-guida per la lotta contro l'esclusione sociale. Tale lotta rischia infatti di risolversi, semplicisticamente, in una politica di respingimento di quanti, immigrati nei paesi dell'Unione, non riescano a pervenire ad un inserimento sufficientemente garantito. Una soluzione del genere, seppure apparentemente in linea con la difesa delle conquiste sociali delle societa' economicamente avanzate, non tiene in realta' nel giusto conto la profonda diversita' tra le nozioni di livello minimo di protezione sociale oggi vigenti in paesi posti in mutua comunicazione dai flussi migratori, e come, di conseguenza, un inserimento al di sotto degli standard minimi nel paese di immigrazione possa comunque essere considerato vantaggioso dall'immigrato.

Una rinnovata lotta contro l'esclusione sociale deve basarsi su un recupero del riconoscimento, nelle societa' ad economia avanzata, del diritto di vivere in poverta', ferma restando la necessita' di una politica di integrazione sociale fondata su una rapida progressione dei diritti, atta ad impedire che l'iniziale condizione di precarieta' si cronicizzi o si prolunghi oltre misura. La possibilita' di accesso ai servizi socio-sanitari e all'istruzione, la parita' di trattamento con i cittadini nazionali in materia di condizioni di lavoro, retribuzione e sicurezza sociale, il godimento di diritti politici, il diritto di soggiorno permanente e la concessione della cittadinanza costituiscono altrettante tappe di tale progressione.

 

Associazioni firmatarie:

ACLI

ACSE Padri Comboniani

Caritas Italiana

Comunita' di S.Egidio

CSER (Scalabriniani)

Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia

Fondazione Migrantes della CEI

Jesuit Refugee Service (Centro Astalli)

Opera Sociale Avventista

UCSEI (Studenti Esteri)