(Sergio Briguglio 13/12/1997)

Mentre scrivo queste note il disegno di legge (ddl) sull'immigrazione e' all'esame della Commissione affari costituzionali del Senato. Ha gia' ricevuto l'approvazione, con importanti modifiche, della Camera, ed e' possibile che sia licenziato definitivamente prima della fine dell'anno. L'iter del ddl e' stato piuttosto travagliato, alla Camera, non tanto per gli atteggiamenti assunti dall'opposizione (in realta' sostanzialmente disinteressata ai contenuti del provvedimento), quanto per i conflitti interni alla maggioranza o, meglio, tra maggioranza e Governo. E' difficile naturalmente trovare traccia ufficiale di questi conflitti nei resoconti delle sedute parlamentari, ma chi a seguito i lavori non ufficiali in preparazione di quelle sedute sa che il confronto tra il Ministro Napolitano e il sottosegretario Sinisi da una parte, e i deputati esperti del problema (Moroni, Jervolino, Maselli, Gardiol e Masi) dall'altra e' stato spesso estremamente aspro. Il frutto di questo confronto e' una prima parte del ddl (quella su rilascio, rinnovo e revoche dei permessi di soggiorno, respingimenti alla frontiera ed espulsioni) all'insegna di uno strano compromesso: mancato riconoscimento del diritto alla effettiva tutela giurisdizionale di fronte a molti dei provvedimenti negativi assunti a carico dello straniero, temperato da qualche limitazione atta a spuntare le armi di un approccio poliziesco al problema. La seconda parte, invece, evidentemente improntata ad una visione piu' complessiva del fenomeno, presenta aspetti di grande apertura in merito ai meccanismi di ingresso in Italia (per lavoro, per studio, per motivi familiari), alle condizioni di inserimento degli stranieri, alle misure per la tutela delle fasce deboli.

Conviene partire da questi aspetti nel tentare di offrire un quadro sintetico di come cambiera' la condizione giuridica dello straniero con la nuova legge. Fino ad oggi, il problema di base nella gestione dell'immigrazione e' consistito nella incapacita' di riconoscere - da parte degli esecutivi, piu' che da parte del legislatore - la necessita' di valorizzare il carattere precario dell'inserimento del lavoratore straniero nel nostro tessuto sociale e lavorativo. Intendo dire che, da un punto di vista strettamente economico, l'immigrazione porta con se' un'immensa ricchezza non certo sotto la forma di specifiche competenze tecniche, ma piuttosto per la capacita' di colmare, con duttilita' e rapidita', il deficit di offerta di manodopera nazionale in particolari settori. Una delle condizioni principali perche' questa azione si possa esplicare e' appunto la presenza sul territorio di un bacino di manodopera immigrata mobile, proprio perche' precaria. L'applicazione miope della legge Martelli ha fatto si' che venisse consentito l'ingresso in Italia solo ai lavoratori chiamati nominativamente da un datore di lavoro. L'impossibilita' di dare, in un modo cosi' rigido, risposta alla domanda del mercato del lavoro italiano (quale datore di lavoro chiamerebbe un lavoratore ancora residente all'estero senza averlo mai visto prima?) ha indotto l'immigrazione "vera" a scorrere per canali irregolari: un ingresso per turismo (o clandestino, se necessario), l'incontro sul posto tra datore di lavoro e lavoratore, l'inserimento irregolare nel mercato del lavoro. In queste condizioni, non sorprende che in Italia non abbiano trovato spazio le politiche per l'integrazione dei cittadini stranieri, l'unica preoccupazione essendo quella di far emergere periodicamente con provvedimenti di sanatoria quelle porzioni di immigrazione che una politica insensata degli accessi al mercato del lavoro costringeva a restare confinata nell'irregolarita'. Il ddl, cosi' come approvato dalla Camera, segna in proposito un deciso progresso rispetto al quadro vigente e alle stesse tendenze generali dell'Unione europea. Rispetto agli ingressi per lavoro subordinato e' previsto infatti che, accanto a quelli motivati dalla chiamata di un datore di lavoro, siano consentiti anche quelli sostenuti da uno sponsor (un garante, cioe', del sostentamento del lavoratore nella fase precaria di ricerca dell'occupazione); qualora poi - ed e' l'aspetto piu' innovativo - non siano raggiunti con tali ingressi i limiti fissati dalla programmazione governativa, e' consentito anche l'ingresso dei lavoratori iscritti in liste di prenotazione da tenersi nei consolati italiani: viene cioe' portato alla luce del sole il meccanismo - l'unico veramente efficace per l'inserimento nel mercato del lavoro - della ricerca di lavoro sul posto. A condizione, poi, che lo straniero dimostri di sapersi autonomamente mantenere o di poter fuire di una sponsorizzazione, e' permesso anche l'ingresso per svolgimento di attivita' di lavoro autonomo, finalmente sottratto alla condizione di reciprocita' - la condizione per la quale l'italiano sia legittimato a svolgere la medesima attivita' nel paese di appartenenza dello straniero -, che finora l'aveva precluso alla maggioranza degli immigrati.

Anche la disciplina del ricongiungimento familiare presenta sensibili miglioramenti rispetto a quella vigente, per altro gia' piuttosto avanzata. In particolare, risulta ampliato il novero dei familiari ammissibili in Italia e, quando siano presenti figli minori, sono riconosciute anche le unioni di fatto; sono definiti tempi certi per il rilascio del nulla-osta da parte dell'amministrazione; e' consentita la coesione familiare sul posto (il familiare regolarmente presente in Italia ad altro titolo puo' cioe' ottenere il permesso per motivi familiari senza che debba preventivamente - e assurdamente - tornare in patria). La posizione dei minori e' tutelata come interesse primario, anche in deroga alle altre disposizioni della legge, tanto in relazione al ricongiungimento familiare, quanto, ad esempio, in relazione al diritto all'istruzione.

Una adeguata considerazione riceve poi la condizione degli studenti universitari. E' previsto che possano fruire delle provvidenze per il diritto allo studio, anche in assenza di reciprocita', e che possano essere erogate borse di studio anche a partire da anni di corso successivi al primo; questo, sottraendo la materia al controllo delle autorita' dei paesi di appartenenza, evita che da tale beneficio siano esclusi, di fatto, quanti siano invisi a tali autorita'. E' previsto altresi' che quanti conseguono la laurea in Italia possano accedere all'iscrizione agli albi professionali, in deroga alle disposizioni che richiedono il possesso della cittadinanza, seppure nei limiti fissati da una programmazione annuale.

Un giudizio assolutamente positivo meritano infine le norme che equiparano stranieri e italiani ai fini dell'assistenza sanitaria, estendendone le prestazioni anche agli stranieri irregolarmente soggiornanti, e dell'assistenza sociale.

Non altrettanto si puo' dire per le disposizioni relative al rilascio e al mantenimento del permesso di soggiorno e alle azioni di contrasto dell'immigrazione irregolare. Quanto alle prime, due sembrano i criteri - entrambi criticabilissimi - alla base dell'articolato: allo straniero viene negata la facolta' di soggiornare in Italia (rifiutando, non rinnovando o revocando il permesso) quando non sia in possesso dei requisiti previsti per il soggiorno in altro paese contraente l'Accordo di Schengen, ovvero - salvo casi particolari - quando non sia in grado di dimostrare la disponibilita' di mezzi di sostentamento adeguati. Il primo di questi criteri e' legato a una lettura scorretta del dettato della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, che prescrive quella condizione solo per i soggiorni di tipo "turistico", e non per i soggiorni di lunga durata, per i quali e' lasciata piena liberta' di gestione ai singoli Stati contraenti. Il secondo e' in linea con una concezione dell'immigrato come fonte di pericolo, non in quanto straniero - si badi -, che' anzi sono durissime le sanzioni contro la discriminazione previste dal ddl, ma in quanto povero. La definizione dei requisiti precisi per il rilascio e il rinnovo del permesso resta poi in molti casi demandata al regolamento di attuazione e sottratta,quindi, ad un adeguato controllo da parte del Parlamento. Di rilievo potrebbe essere l'istituzione della carta di soggiorno (un permesso di durata illimitata), che pero' risulta revocabile anche in seguito a condanne non definitive di entita' trascurabile.

Quanto ai provvedimenti repressivi nei confronti dell'immigrazione irregolare, la disciplina del respingimento alla frontiera non subisce modifiche significative rispetto alla normativa attuale. Il respingimento resta cosi', pericolosamente, un provvedimento immediato e difficilmente ricorribile (un ricorso dall'estero e' nei fatti irrealizzabile). C'e' da aspettarsi che, al di la' dell'esplicita affermazione del principio di non refoulement (il divieto di respingere lo straniero verso un paese nel quale possa essere soggetto a persecuzione), si continui a registrare una tremenda sproporzione tra il numero di respingimenti adottati in un anno (circa sessantamila) e il numero di domande di asilo presentate (circa mille). C'e' anche da immaginare che tra gli stranieri respinti molti saranno quelli che avrebbero meritato protezione, e che solo a causa di una procedura troppo rapida e sottratta ai controlli non ne hanno potuto fruire (si pensi, ad esempio, a quanti non possono formalmente chiedere asilo per il fondato timore che i familiari, ancora in patria, possano subire ritorsioni). La previsione esplicita di una assistenza degli stranieri respinti da parte di centri alla frontiera, affidati alle organizzazioni per la tutela dei diritti umani permetterebbe di porre riparo ad eventuali errori di valutazione della polizia di frontiera.

La disciplina delle espulsioni, invece, esce da questa riforma profondamente alterata. In particolare, e' stabilito che lo straniero cui sia stato intimato di lasciare l'Italia possa essere trattenuto, in attesa che l'allontanamento abbia effettivamente luogo, e per un massimo di trenta giorni, in appositi centri di custodia. In tali casi, il provvedimento di trattenimento deve essere convalidato da un giudice, che, contestualmente decide anche sull'eventuale ricorso, presentato dallo straniero, contro il provvedimento di espulsione. L'obiettivo di una misura del genere, la cui applicazione, nei casi concreti, destera' non poche perplessita' e, comunque, risultera' gravosissima per la pubblica amministrazione, e' quello di non lasciare che le espulsioni restino di fatto ineseguite. La sua efficacia appare molto discutibile, giacche' il principale impedimento fino ad oggi incontrato nell'esecuzione delle espulsioni consiste nell'occultamento, da parte del cittadino straniero, dei documenti di identita', a fronte del quale l'individuazione del paese di destinazione diventa impossibile. In tali casi il ddl prevede, formalmente, che l'espulsione possa essere eseguita con accompagnamento immediato alla frontiera, ma si tratta evidentemente dell'abbaiare di un cane da salotto: qualunque fosse il paese di destinazione scelto, questo sarebbe legittimato, non riconoscendo gli espulsi come suoi cittadini, a rinviarli in Italia. Inutile dire che, posti di fronte alla scelta tra l'esibire i documenti, risultando cosi' facilmente espellibili, e l'occultarli, diventando di fatto inespellibili, gli stranieri in posizione irregolare opteranno per questa seconda possibilita'.

L'accompagnamento immediato alla frontiera, con possibilita' di presentare un ricorso dall'estero del tutto inefficace, puo' colpire pero' - ed e' una previsione assolutamente inaccettabile - anche lo straniero in regola con le norme sul soggiorno, che rientri in una delle categorie per le quali e' possibile applicare misure di prevenzione (ad esempio, i soggetti presumibilmente dediti ad attivita' malavitose). L'attribuzione di una simile appartenenza puo' essere operata, dalle autorita' di polizia, sulla base di un semplice sospetto, senza che un magistrato sia chiamato a convalidare il provvedimento. In un momento in cui si sta procedendo a una riforma della Costituzione che prevede la possibilita' di ricorrere contro ogni comportamento della pubblica amministrazione, resta cosi' paradossalmente aperto un canale di espulsione sbrigativa che non fa onore al legislatore. Una riequilibratura delle esigenze di efficacia dei provvedimenti e di quelle della civilta' giuridica del nostro paese richiederebbe il riconoscimento del diritto al ricorso "sul posto" (prima cioe' che l'allontanamento abbia avuto luogo) per qualunque straniero sottoposto ad espulsione, e la possibilita' di far valere, tra gli elementi ostativi all'espulsione, le condizioni di effettivo inserimento sociale dell'interessato.

E' da augurarsi - benche' appaia improbabile - che il Senato provveda a modificare su questi punti il disegno di legge, ma e' senza dubbio da esigere che, anche in considerazione del maggior rigore intodotto dalle nuove disposizioni, si proceda ad una sanatoria di tutte le situazioni di irregolarita' attualmente presenti in Italia.