(20/2/1997)

 

PUNTI CRITICI DEL DISEGNO DI LEGGE SULL'IMMIGRAZIONE

 

E' da considerare sicuramente con favore l'intendimento del Governo di procedere ad una riforma complessiva del quadro normativo sulla condizione dei cittadini stranieri in Italia. Ed appare condivisibile la scelta di fondare tale riforma su tre elementi principali: il controllo degli ingressi; l'adozione di misure per l'integrazione degli immigrati; la definizione di criteri e modalita' di allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero pericoloso per la societa' o comunque non legittimato a soggiornarvi.

In questa nota si intende fornire un'esame degli elementi essenziali del disegno di legge, e porre all'attenzione dei gruppi parlamentari gli elementi per i quali, alla luce dell'esperienza maturata in questi anni, si auspica una profonda revisione in sede di approvazione.

Riguardo alle misure per l'integrazione, i contenuti del disegno di legge possono essere valutati alla luce del principio-guida di una progressiva parificazione del cittadino straniero con il cittadino italiano. Il testo approntato dal Governo presenta, in proposito, molti elementi positivi, quali il riconoscimento dei diritti in materia di assistenza sanitaria, unita' familiare, condizione dei minori, studio e partecipazione democratica, e la rimozione dei requisiti di cittadinanza e reciprocita' con i paesi di appartenenza per l'esercizio di alcune attivita' di lavoro autonomo. Miglioramenti possono certamente essere apportati alle disposizioni proposte, specialmente riguardo alle condizioni per il rinnovo e la conversione dei permessi di soggiorno e per il rilascio della carta di soggiorno, e allo svolgimento delle professioni per gli stranieri laureati in Italia, allo scopo di sostenere - anziche' ostacolare - il processo di inserimento sociale dello straniero. L'impianto generale del testo appare comunque sostanzialmente condivisibile.

Piu' complessa appare la valutazione del testo con riferimento agli altri due elementi - il controllo dei flussi e i criteri di allontanamento. La massima attenzione va adoperata nella elaborazione delle norme ad essi relative, dal momento che da queste dipende il mantenimento delle condizioni di regolarita' del fenomeno migratorio, senza le quali qualunque misura per l'integrazione dei cittadini stranieri diventa inattuabile o resta comunque oscurata dal prevalere degli aspetti emergenziali del problema.

In questi anni, si e' sviluppato un dibattito estremamente vivace sul tema dell'allontanamento dal territorio dello Stato, sia perche' l'opinione pubblica tende ad associarlo a quello della sicurezza della vita nelle citta', sia perche' si percepisce chiaramente come, non potendosi derogare al rispetto dei diritti fondamentali della persona da allontanare, sia difficile garantire efficacia ai provvedimenti assunti. Tuttavia, e' proprio sul tema della regolamentazione degli ingressi - e principalmente degli ingressi per lavoro - che dovrebbe, nel rispetto di un ordine logico, appuntarsi la riflessione. Non si puo' infatti disconoscere come la stragrande maggioranza dei provvedimenti di espulsione finisca per riguardare soggetti in posizione di semplice irregolarita' amministrativa, generalmente privi di qualunque carattere di pericolosita' sociale. E' necessario allora chiedersi se non sia proprio una errata impostazione della politica degli ingressi a generare irregolarita' e clandestinita', e a fare apparire come formalmente indesiderabili cittadini stranieri di fatto radicati nel tessuto sociale. In tal caso, infatti, sarebbe proprio l'innaturale allargamento del bacino di irregolarita' a impedire l'individuazione di meccanismi di allontanamento che siano nel contempo efficaci e rispettosi dei diritti fondamentali della persona.

Questa indagine deve interessare tanto le disposizioni che hanno determinato la politica dell'immigrazione in questi anni, quanto le norme che il Governo propone all'approvazione delle Camere.

 

Regolamentazione degli ingressi

Una applicazione miope della normativa fino ad oggi in vigore (leggi 943/1986 e 39/1990) ha consentito l'ingresso in Italia per lavoro subordinato ai soli lavoratori che fossero chiamati nominativamente da un datore di lavoro disposto ad assumerli. La legge 943, a rigore, avrebbe consentito anche l'ingresso per chiamata numerica sulla base di liste speciali "di prenotazione" nelle quali gli aspiranti migranti avrebbero dovuto iscriversi; tuttavia, la mancata costituzione di queste liste ha vanificato questa ulteriore possibilita' di ingresso.

In tal modo e' risultato nei fatti impedito tanto l'ingresso legale di lavoratori da adibire al settore industriale o agricolo, quanto quello dei lavoratori - assai piu' numerosi - da destinare al settore dei servizi. Per i primi l'ostacolo principale e' stato rappresentato dalla mancanza di liste di prenotazione; per i secondi, dall'impossibilita' di pervenire ad un incontro diretto con il potenziale datore di lavoro, indispensabile perche' si costituisca il rapporto di lavoro (pochissimi, infatti, sarebbero disposti ad assumere un lavoratore da impiegare - ad esempio - nella collaborazione familiare o nell'assistenza ad anziani o invalidi, senza prima averne fatto diretta conoscenza).

Non sorprende allora che, in presenza di una notevole capacita' di assorbimento da parte del mercato del lavoro italiano - almeno per il citato settore dei servizi - e in assenza di disposizioni che consentano ai lavoratori stranieri di dare regolarmente risposta al fabbisogno di manodopera, il concorso di interessi tra datori di lavoro e lavoratori abbia creato una via di immigrazione per lavoro percorribile, sebbene irregolare; con un meccanismo tipico di accesso alla posizione lavorativa costituito da ingresso regolare per turismo, reperimento sul posto di una opportunita' di lavoro (a valle, cioe', di un incontro diretto col datore di lavoro) e prolungamento irregolare del soggiorno. Gli immigrati, pur raggiungendo cosi' un inserimento relativamente stabile in Italia, sono rimasti relegati in condizioni di irregolarita' - tanto riguardo al soggiorno, quanto rispetto al lavoro -, da cui sono emersi solo grazie a provvedimenti di sanatoria.

Il disegno di legge in esame prevede che l'ingresso per lavoro subordinato avvenga nell'ambito delle quote programmate. Quote riservate possono essere assegnate a paesi con i quali siano conclusi accordi bilaterali finalizzati al controllo dei flussi e alla riammissione in patria degli stranieri allontanati o respinti. Tali accordi possono prevedere che i lavoratori che aspirino a migrare in Italia per lavoro si iscrivano in liste di prenotazione tenute con modalita' da definirsi nel regolamento di attuazione, e periodicamente raccolte dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane.

Sebbene appaiano alcuni elementi migliorativi rispetto alla situazione odierna - frutto, come si e' detto, di una incompleta attuazione delle norme esistenti -, queste disposizioni appaiono insufficienti a garantire un efficace censimento dell'offerta di manodopera. E' necessario completarle stabilendo esplicitamente che le liste di prenotazione siano tenute dalle rappresentanze diplomatiche o consolari - piuttosto che, ad esempio, dalle autorita' del paese straniero -, per evitare che una gestione non trasparente delle liste e delle graduatorie danneggi ingiustamente persone che aspirino a migrare legalmente in Italia.

Si deve inoltre stabilire che le liste siano tenute in tutti i paesi di emigrazione, e non solo in quelli con cui sono stati stipulati accordi. Non va dimenticato, infatti, come la conclusione di ciascuno di questi accordi comporti il superamento di non poche difficolta' e richieda quindi tempi non irrilevanti. Ne' va trascurato il fatto che l'Italia sia meta di una immigrazione estremamente variegata quanto a provenienza geografica: quand'anche si desse vita ad accordi - poniamo - con il Marocco, la Tunisia, l'Albania, le Filippine, i Paesi della ex-Jugoslavia, la Romania e il Senegal, non risulterebbe coperto che il sessanta per cento del movimento migratorio verso l'Italia. La mancanza di uno strumento per segnalare perfino la propria volonta' di migrare porrebbe gli stranieri provenienti dai paesi esclusi nella medesima situazione in cui essi si sono trovati in questi anni, e li indurrebbe a intraprendere l'unico percorso migratorio di fatto possibile: quello irregolare.

Riguardo alle condizioni per l'ingresso in Italia del lavoratore straniero, il disegno di legge prevede che esso sia autorizzato esclusivamente sulla base di una chiamata nominativa o numerica da parte di un datore di lavoro, o in seguito alla presentazione - da parte di uno sponsor (privato o associazione) - di garanzia relativa al sostentamento e all'alloggio. Solo in quest'ultimo caso lo straniero e' legittimato a cercare da se', in Italia, la propria opportunita' di occupazione.

Queste limitazioni appaiono come il punto piu' debole dell'intero impianto del disegno di legge. Si discostano infatti in modo trascurabile dal quadro - sopra delineato - nel quale si e' tentato di costringere l'immigrazione per lavoro negli ultimi dieci anni. L'unica sostanziale differenza e' costituita dall'introduzione della possibilita' di sponsorizzazione, che sembra pero' poter interessare - ancora una volta - solo i lavoratori stranieri che godano di qualche legame con soggetti gia' presenti sul territorio italiano, a meno di non prevederne forme organizzate, che andrebbero pero' sottoposte a rigorosi controlli. Per il resto, resta ancora in larga misura negato il riconoscimento della modalita' naturale di immigrazione lavorativa: quello, cioe', dell'ingresso per ricerca di lavoro.

E' assolutamente necessario che le disposizioni siano modificate in modo da prevedere che, una volta determinata dal Governo la quota di ingressi per lavoro, questi possano essere autorizzati - fino a completamento della quota - sulla base della semplice richiesta di visto di ingresso da parte degli iscritti nelle liste di prenotazione, nell'ordine corrispondente a una graduatoria fondata sull'anzianita' di iscrizione. Si otterrebbe in tal modo il duplice risultato di garantire significativamente l'incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro e di incentivare il rispetto delle condizioni di immigrazione legale. Il fatto che ogni anno venga attinta dalle liste di prenotazione la quota programmata dal Governo, permette infatti anche all'iscritto in posizione arretrata di vedere approssimarsi progressivamente la propria occasione di migrazione regolare, e lo dissuade dal tentare vie alternative, illegali e gravate da costi e rischi non indifferenti.

 

Espulsioni

Una adeguata regolamentazione degli ingressi consente di ridurre drasticamente il bacino di irregolarita' e, limitando a un numero di casi sensibilmente piu' basso l'applicazione del provvedimento di espulsione per soggiorno illegale, lo riconduce alla sua piu' genuina natura di misura a difesa della sicurezza della collettivita'. L'individuazione, allora, dei meccanismi di tutela dei diritti fondamentali della persona da espellere non si scontra piu' con l'esigenza di efficacia abusivamente richiesta dal dilagare delle condizioni di irregolarita'.

Il disegno di legge prevede, riguardo ai criteri e alle modalita' di applicazione del provvedimento di espulsione, che questa possa aver luogo, oltre che in corrispondenza a condanne penali o a gravi rischi per l'ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato, quale misura di prevenzione di comportamenti delittuosi o per soggiorno illegale.

In questi ultimi casi (prevenzione e soggiorno illegale) l'espulsione e' disposta dal prefetto, e di norma consiste nell'intimazione a lasciare il territorio dello stato entro quindici giorni. Entro cinque giorni il cittadino straniero puo' presentare ricorso davanti al pretore, che decide entro i restanti dieci giorni. Qualora pero' il prefetto ritenga che vi sia il rischio che lo straniero non ottemperi all'obbligo di allontanamento, puo' disporre l'accompagnamento immediato alla frontiera. In questo caso lo straniero espulso puo' presentare ricorso dall'estero entro trenta giorni.

Quando non sia possibile l'accompagnamento immediato alla frontiera (per esempio, per la mancanza di documenti di viaggio da parte dell'interessato), lo straniero e' posto sotto custodia in centri appositi, per un tempo che non puo' in alcun caso superare i trenta giorni. Il pretore interviene per la convalida del provvedimento entro quarantotto ore e, contestualmente, esamina anche l'eventuale ricorso dell'espellendo.

E' previsto infine che non si possa procedere a espulsione nei casi in cui lo straniero appartenga ad una delle categorie protette (minori, donne in gravidanza o che abbiano partorito di recente, titolari di carta di soggiorno, familiari di cittadini italiani), ovvero rischi di subire persecuzioni nel paese di destinazione.

E' evidente come l'intendimento di queste norme sia quello di rendere piu' spedita ed efficace di quanto non sia risultata finora l'esecuzione del provvedimento, evitando che la presentazione del ricorso comporti una sospensione automatica e prolungata dell'allontanamento, e di impedire che lo straniero da espellere, approfittando della mancanza di particolari vincoli, si sottragga all'obbligo di lasciare il territorio dello Stato. Un simile inasprimento delle norme deve pero' essere accompagnato da una decisa riduzione degli spazi di discrezionalita' dell'Amministrazione. Non puo' quindi ritenersi accettabile il mantenimento nella casistica prevista dalla normativa dell'espulsione quale misura di prevenzione, che sembra difficilmente conciliabile con il principio costituzionale di presunzione di innocenza e che non risulta bilanciata, in questo contesto, da efficaci strumenti di ricorso. Allo stesso modo, e salvo il caso di grave pericolo per l'ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato, non appare compatibile con il diritto al ricorso effettivo, tutelato dalle convenzioni internazionali, la previsione di un accompagnamento immediato alla frontiera, adottato sulla base di valutazioni discrezionali del prefetto e contestabile solo con un ricorso dall'estero, ad allontanamento irreparabilmente avvenuto.

Tali disposizioni devono quindi essere corrette, stabilendo - quanto meno - che anche il provvedimento di accompagnamento immediato alla frontiera necessiti della convalida da parte del pretore, e che questi proceda contestualmente, come gia' previsto per il caso di custodia, all'esame dell'eventuale ricorso dello straniero.

Piu' in generale, e allo scopo di limitare ai casi di effettiva necessita' l'esecuzione del provvedimento di espulsione, e' necessario prevedere che il pretore, nell'esame del ricorso, valuti non soltanto la legittimita' del provvedimento, ma anche la congruita' e l'opportunita' di esso, tenendo nel giusto conto il rischio di violazione di diritti fondamentali (in relazione ad asilo, unita' familiare, salute, condizione dei minori), come pure il grado di inserimento sociale effettivo dello straniero.

Quanto, poi, all'adozione di misure custodiali per cittadini stranieri da espellere, la materia appare estremamente delicata, e si rende necessaria una chiara delimitazione dei casi in cui tali misure possano essere effettivamente adottate. Va escluso, in primo luogo, che si possa utilizzare la custodia quale mezzo per sopperire a ritardi di cui l'Amministrazione si renda responsabile. La custodia dovrebbe essere adottata solo quando questo sia imperiosamente richiesto dall'esigenza di tutelare i diritti dello straniero da espellere, ovvero il diritto dello Stato di procedere all'identificazione dello straniero stesso. In secondo luogo, deve essere previsto che si ricorra alla custodia solo nei casi in cui, sulla base di criteri certi, si possa escludere che gli stessi risultati siano ottenibili mediante l'adozione di ordinarie misure di pubblica sicurezza.

Infine, in caso di annullamento o di sospensione del provvedimento, e in tutti gli altri casi in cui lo straniero risulti non espellibile, dovrebbe essere previsto esplicitamente il rilascio di un permesso di soggiorno per i motivi appropriati.