(Sergio Briguglio 9/6/1997)

 

IL DISEGNO DI LEGGE SULL'IMMIGRAZIONE: UN'ANALISI CRITICA

 

E' da considerare sicuramente con favore l'intendimento del Governo di procedere, con la presentazione del disegno di legge 3240, ad una riforma complessiva del quadro normativo sulla condizione dei cittadini stranieri in Italia. Tuttavia l'analisi del testo governativo ha destato, nel mondo delle associazioni attive nel campo dell'immigrazione, forti perplessita', che hanno finito per oscurare la valutazione positiva certamente meritata da alcuni particolari capitoli della proposta. L'espressione di tali perplessita', pur diversificata nei toni e nelle forme, ha palesato una sostanziale coincidenza di vedute da parte dei soggetti tradizionalmente piu' attenti al problema.

In questa nota si ripercorrono i tratti principali della lettura critica del disegno di legge fornita dalle associazioni, e si tenta di evidenziare, all'interno di un contesto non privo di scelte avanzate, quegli aspetti per i quali si ritiene maggiormente auspicabile una profonda revisione del testo in sede di approvazione parlamentare.

 

I. Considerazioni generali

Una riforma del quadro normativo sulla condizione dello straniero in Italia deve fondarsi su tre elementi principali: il controllo degli ingressi; l'adozione di misure per l'integrazione degli immigrati; la definizione di criteri e modalita' di allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero pericoloso per la societa' o comunque non legittimato a soggiornarvi.

Mentre la definizione delle misure per l'integrazione, ancorche' impegnativa, puo' avvalersi del principio-guida di una progressiva parificazione del cittadino straniero con il cittadino italiano, non presentando quindi particolari difficolta' concettuali, gli altri due punti meritano un esame particolarmente attento.

In questi anni, si e' sviluppato un dibattito estremamente vivace sul tema dell'allontanamento dal territorio dello Stato, mentre in minor considerazione e' stata tenuta la regolamentazione degli ingressi. Se pero', per un verso, si comprende come l'opinione pubblica sia attenta al problema delle espulsioni, associandolo a quello della sicurezza della vita nelle citta', per l'altro non si deve trascurare come, da un punto di vista quantitativo, la stragrande maggioranza dei provvedimenti di espulsione finisca per riguardare soggetti in posizione di semplice irregolarita' amministrativa. E' quindi assolutamente necessario verificare se non sia proprio una errata impostazione della politica degli ingressi a generare irregolarita' e clandestinita' e a fare apparire come formalmente indesiderabili cittadini stranieri di fatto radicati nel tessuto sociale. In tal caso, infatti, sarebbe proprio l'innaturale allargamento del bacino di irregolarita' a impedire l'individuazione di meccanismi di allontanamento che siano al contempo efficaci e rispettosi dei diritti fondamentali della persona.

E' istruttivo, in proposito, esaminare alcuni aspetti del contesto normativo e applicativo relativi all'immigrazione per lavoro - costituendo questa la porzione piu' rilevante del fenomeno - e al problema dell'espulsione "amministrativa" - quella, cioe', motivata dalla violazione delle norme su ingresso e soggiorno in Italia dello straniero. Tale contesto puo' essere schematicamente descritto come segue.

La legge 943/1986 prevede che siano istituite speciali liste per il collocamento dei lavoratori stranieri. In esse trovano posto, sia pure in posizione subalterna, anche coloro che, risiedendo ancora all'estero, aspirino a migrare in Italia per ragioni di lavoro. Il datore di lavoro che voglia attingere a queste liste speciali avanza una richiesta di autorizzazione al lavoro, che viene accolta una volta accertata l'indisponibilita' di manodopera italiana o comunitaria. Per l'assunzione si applica di norma la chiamata numerica. Tuttavia, per lavori che necessitino di un particolare rapporto fiduciale tra datore di lavoro e lavoratore (la collaborazione familiare, ad esempio), e' consentita l'assunzione con chiamata nominativa; in tal caso la richiesta di autorizzazione al lavoro puo' riguardare anche soggetti in posizione arretrata in graduatoria o, addirittura, non iscritti nelle liste.

Il meccanismo di ammissione all'immigrazione per lavoro appena descritto e' palesemente claudicante. Infatti, mentre l'ipotesi di chiamata numerica da una lista nella quale possano iscriversi gli aspiranti immigrati e' in grado di dare risposta alle eventuali necessita' del mercato del lavoro nel settore - poniamo - dell'industria, la semplice previsione della possibilita' di una chiamata nominativa non e' sufficiente a garantire un efficiente incontro tra domanda e offerta di lavoro in un settore quale quello dei servizi alla persona. E' del tutto irrilevante, infatti, che il datore di lavoro possa scegliere liberamente il lavoratore da adibire alla collaborazione familiare o all'assistenza domiciliare di un anziano, se non ha modo di conoscere preventivamente e direttamente il lavoratore stesso; ed e' difficilmente ipotizzabile, quando si tratti di un lavoratore che aspiri a migrare trovandosi ancora nel proprio paese d'origine, che tale conoscenza possa aver luogo. Se si tiene conto, poi, del fatto che i lavori per i quali in Italia e' accertabile l'indisponibilita' di manodopera nazionale afferiscono prevalentemente al settore dei servizi, piuttosto che a quello dell'industria, si comprende come le carenze della 943 non siano di modesto rilievo.

La legge 39/1990 apporta alcune importanti modifiche alla normativa, pur lasciando in vigore l'impianto della legge 943. Stabilisce infatti che, piuttosto che far riferimento ad un criterio predefinito, si ricorra ad una programmazione annuale ad opera del Governo, che e' tenuto cioe' a definire, alla fine di ogni anno, l'entita' e la composizione dei flussi di immigrazione per lavoro per l'anno successivo. Nel programmare i flussi, il Governo deve tener conto, tra le altre cose, del numero di richieste di permesso di soggiorno per lavoro avanzate da cittadini stranieri in possesso di permesso di soggiorno ad altro titolo (turismo, ad esempio).

Queste disposizioni costituiscono un indubbio avanzamento, in termini di efficienza, rispetto al quadro definito dalla legge 943. In primo luogo, perche' e' prevista la possibilita' di correggere periodicamente i criteri di accesso, qualora quelli precedentemente adottati si rivelino inadeguati. In secondo luogo, perche' si riconosce come, laddove una seria programmazione sia ostacolata dalla difficolta' di censire nel dettaglio una domanda di lavoro capillarmente diffusa (si pensi alla collaborazione familiare), debba essere visto con favore il processo di autonoma ricerca di lavoro da parte dell'immigrato, quand'anche questo avvenga nell'ambito di un soggiorno - quello per turismo - che, di per se', non abilita al lavoro.

Sfortunatamente l'attuazione data a queste norme risulta estremamente miope: salvo limitate eccezioni, i decreti di programmazione dal '90 ad oggi non vanno oltre un inefficace riferimento alle preesistenti disposizioni (ammettendo in Italia, quindi, solo quei lavoratori autorizzati ai sensi della legge 943). Per di piu', essendo state nel frattempo improvvidamente soppresse, con semplice circolare, le liste speciali previste dalla legge (peraltro mai rese effettive per la parte relativa agli stranieri residenti all'estero), ed essendo diventata cosi' impraticabile qualunque forma di chiamata numerica, l'unica possibilita' di accesso al lavoro finisce per essere quella della chiamata nominativa.

In presenza di una notevole capacita' di assorbimento da parte del mercato del lavoro italiano - almeno per il citato settore dei servizi - e in assenza di una normativa che consenta ai lavoratori stranieri di dare regolarmente risposta al fabbisogno di manodopera, il concorso di interessi tra datori di lavoro e lavoratori crea una via di immigrazione per lavoro percorribile, sebbene irregolare: il meccanismo tipico per l'accesso ad una posizione lavorativa diventa quello di un ingresso regolare per turismo con reperimento sul posto di una opportunita' di lavoro, a valle - si noti - di un incontro diretto col datore di lavoro, e prolungamento irregolare del soggiorno. Gli immigrati, pur raggiungendo cosi' un inserimento relativamente stabile in Italia, restano relegati in condizioni di irregolarita' - tanto riguardo al soggiorno, quanto rispetto alla posizione lavorativa -, da cui emergono solo grazie a provvedimenti di sanatoria.

Per quanto riguarda lo svolgimento di attivita' di lavoro autonomo, benche' la legge 39 lo contempli tra i possibili motivi di ingresso in Italia, di fatto e' reso generalmente inaccessibile da una formulazione ambigua delle norme relative e da un'interpretazione restrittiva di esse. La legge 39 infatti nulla stabilisce riguardo alle condizioni per il rilascio del visto di ingresso per lavoro autonomo, e si limita a prevedere il rilascio del corrispondente permesso di soggiorno per coloro che ne facciano richiesta nell'ambito della sanatoria transitoriamente disposta dallo stesso provvedimento.

Oltre al silenzio della legge in materia di ingresso, lo straniero che voglia svolgere attivita' di lavoro autonomo in Italia trova un piu' fondamentale ostacolo nel disposto dell'articolo 16 delle Preleggi, che ne condiziona l'ammissione al godimento dei diritti civili alla sussistenza di reciprocita' con il paese di appartenenza. La legge 39 prevede che si deroghi da tale norma in relazione all'iscrizione ad albi e registri per lo svolgimento di attivita' artigianali e commerciali, come pure in relazione all'iscrizione negli albi professionali per coloro che abbiano conseguito il titolo di studio in Italia o che abbiano ottenuto il riconoscimento di questo. Tuttavia, la previsione ha carattere meramente transitorio (esplicito nel caso del commercio, piu' ambiguo in quello delle professioni), riguardando solo quanti siano gia' presenti in Italia alla data del 31 dicembre 1989. Nell'ambito delle norme a regime, resta cosi' sostanzialmente precluso l'accesso a un intero settore dell'attivita' lavorativa anche a quanti, trovandosi gia' in Italia ad altro titolo, non siano ostacolati dalla lacunosita' della legge in materia di ingresso.

E' raro che questi impedimenti producano a una effettiva tutela del cittadino italiano, dal momento che e' assai improbabile che questi possa avere un reale interesse a svolgere attivita' di lavoro autonomo in alcuno dei paesi di provenienza degli immigrati presenti in Italia. Il risultato piu' tipico e', piuttosto, per un verso lo spreco di risorse umane associato alla progressiva dequalificazione di quanti, laureati in Italia, sono costretti a ripiegare su attivita' che non hanno alcuna relazione con le loro competenze professionali, per l'altro la costrizione nell'irregolarita' di quanti siano dediti al piccolo commercio e, piu' in generale, di tutti quei lavoratori la cui attivita' non rientri nella categoria, oggi troppo rigida, del lavoro dipendente.

In presenza di un quadro legislativo e applicativo che concorre ad alimentare innaturalmente il bacino di irregolarita', difficilmente allo svuotamento di questo puo' contribuire la parte repressiva della legge - quella cioe' riguardante il provvedimento di espulsione. Sotto questo aspetto, infatti, la legge 39 e' giustamente garantista: l'espulsione e' vista come un provvedimento di gravita' eccezionale e non come uno strumento che sopperisca alla mancanza di una politica di immigrazione. E di fronte ad un provvedimento eccezionale sono salvaguardati tutti i necessari spazi di tutela dei diritti dell'espulso - primo fra tutti, il diritto al ricorso contro il provvedimento. La legge 39 stabilisce in proposito che l'espulsione consista nell'intimare allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro quindici giorni; qualora pero' l'interessato presenti ricorso davanti al Tribunale amministrativo regionale, l'espulsione e' sospesa fino a decisione definitiva sulla contestuale istanza cautelare.

E' ovvio come nel tutelare i diritti dello straniero - conformemente, si badi, alle norme dei trattati internazionali - si finisca per negare al meccanismo repressivo l'efficacia abusivamente richiesta dall'evitabile diffusione delle condizioni di irregolarita'. La permanenza nel territorio dello Stato dello straniero colpito da espulsione puo' infatti prolungarsi legittimamente per anni, dati i tempi richiesti dall'amministrazione della giustizia. Si deve comunque notare come questo fatto sia scarsamente correlato con i problemi della sicurezza urbana. I provvedimenti di espulsione assunti in seguito a condanna per reati gravi o per motivi di ordine pubblico sono immediatamente eseguiti con accompagnamento dell'espulso alla frontiera, e non vengono sopesi per la presentazione di un ricorso. Per contro, un'ulteriore diminuzione dell'efficacia dello strumento dell'espulsione e' data dalla difficolta' di procedere al rimpatrio dello straniero espulso quando questi non sia in possesso di un documento di viaggio che consenta di individuare lo Stato di appartenenza. La chiara percezione di questa circostanza ha indotto molti stranieri presenti irregolarmente nel nostro paese a distruggere o, piu' semplicemente, ad occultare il proprio documento di viaggio. Il tentativo di sanzionare penalmente questo comportamento difficilmente potra' incontrare grande fortuna, data la difficolta' di distinguerlo nei fatti dal semplice - e certamente non perseguibile - smarrimento del documento.

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte risulta evidente come le innaturali strozzature del canale di accesso regolare al lavoro abbiano dato luogo, in questi anni, ad un tasso assai elevato di irregolarita' nell'immigrazione, che ha finito per guadagnarsi una posizione di preminenza nel dibattito politico sul tema, oscurando inopportunamente tutti gli altri aspetti - non meno rilevanti, seppure di carattere meno emergenziale - connessi con l'inserimento dello straniero nella societa' italiana.

E' necessario, pertanto, che una riforma legislativa sull'immigrazione favorisca una razionalizzazione delle norme sugli ingressi - in primo luogo, per i motivi esposti, quelli per lavoro - capace di risolvere all'origine, almeno nei suoi aspetti essenziali, il problema dell'immigrazione irregolare. E' altresi' necessario che garantisca il rispetto dei diritti fondamentali dello straniero in quanto persona, e ponga le basi per una piena integrazione di quei cittadini stranieri che intendano dare, nel rispetto delle regole della comunita' che li accoglie, stabilita' al proprio soggiorno in Italia. Essa deve, infine, in relazione alle situazioni in cui l'allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato si renda comunque necessario, definire norme che consentano di trovare il giusto punto di incontro tra le esigenze, sovente contrastanti, di efficacia dei provvedimenti e di rispetto dei diritti della persona.

 

II. Il disegno di legge del Governo

E' opportuno tener presenti le considerazioni appena svolte nell'analizzare i contenuti principali della proposta governativa per verificare se le esigenze evidenziate possano trovarvi adeguata risposta.

 

1. La regolamentazione degli ingressi

Il disegno di legge in esame prevede che l'ingresso per lavoro subordinato avvenga nei limiti di quote programmate sulla base dei dati relativi all'andamento dell'occupazione per le diverse qualifiche e mansioni. Quote riservate possono essere assegnate a paesi con i quali siano conclusi accordi bilaterali finalizzati al controllo dei flussi e alla riammissione in patria degli stranieri allontanati o respinti. Tali accordi possono prevedere che i lavoratori che aspirino a migrare in Italia per lavoro si iscrivano in liste di prenotazione tenute con modalita' da definirsi nel regolamento di attuazione, e periodicamente inoltrate agli uffici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

Sebbene appaiano non trascurabili elementi migliorativi rispetto alla situazione odierna - dovuta, come si e' detto, ad una incompleta attuazione delle norme esistenti -, queste disposizioni risultano, nella forma attuale, insufficienti a garantire un efficace censimento dell'offerta di manodopera. E' opportuno rafforzarle stabilendo esplicitamente che le liste di prenotazione siano tenute dalle rappresentanze diplomatiche o consolari - piuttosto che, ad esempio, dalle autorita' del paese straniero -, per evitare che una gestione non trasparente delle liste e delle graduatorie danneggi ingiustamente persone che aspirino a migrare legalmente in Italia.

Sebbene, poi, appaia senz'altro auspicabile la conclusione di accordi bilaterali, sembra necessario stabilire che le liste siano tenute in tutti i paesi di emigrazione, e non solo in quelli con cui siano stati stipulati tali accordi. Non va dimenticato, infatti, come il perfezionamento di ciascuno di questi accordi comporti il superamento di non poche difficolta' e richieda quindi tempi non irrilevanti. L'Italia, inoltre, e' meta di una immigrazione estremamente variegata quanto a provenienza geografica: quand'anche si desse vita ad accordi - poniamo - con il Marocco, la Tunisia, l'Albania, le Filippine, i Paesi della ex-Jugoslavia, la Romania e il Senegal - i paesi, cioe', dai quali provengono i flussi migratori piu' consistenti -, non risulterebbe coperto che il sessanta per cento del movimento migratorio verso l'Italia. La mancanza di uno strumento per segnalare quanto meno la propria volonta' di migrare porrebbe gli stranieri provenienti dai paesi non considerati nella medesima situazione in cui essi si sono trovati in questi anni, e li indurrebbe a intraprendere l'unico percorso migratorio di fatto possibile: quello irregolare.

Riguardo alle condizioni per l'ingresso in Italia del lavoratore straniero, il disegno di legge prevede che esso sia autorizzato esclusivamente sulla base di una chiamata nominativa o numerica da parte di un datore di lavoro, o in seguito alla presentazione da parte di uno sponsor (privato o associazione) di garanzia relativa al sostentamento e all'alloggio. Solo in quest'ultimo caso lo straniero e' legittimato a cercare da se', in Italia, la propria opportunita' di occupazione.

Queste limitazioni appaiono eccessivamente restrittive, discostandosi in modo trascurabile dal quadro - sopra delineato - nel quale si e' tentato di costringere l'immigrazione per lavoro negli ultimi dieci anni. L'unica sostanziale differenza e' costituita dall'introduzione della possibilita' di sponsorizzazione. Questa rappresenta certamente, sul piano concettuale, una novita' di rilievo, e si pone nella giusta linea di sostegno all'incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro; tuttavia, sembra poter interessare - ancora una volta - solo i lavoratori stranieri che godano di qualche legame con soggetti gia' presenti sul territorio italiano, a meno di non prevederne forme organizzate, per le quali andrebbero pero' previsti esplicitamente rigorosi controlli. Per il resto, resta ancora in larga misura negato il riconoscimento della modalita' naturale di immigrazione lavorativa: quello, cioe', dell'ingresso finalizzato alla ricerca di lavoro.

E' necessario che le disposizioni siano modificate in modo da prevedere che, una volta determinata dal Governo la quota di ingressi per lavoro, questi possano essere autorizzati - fino a completamento della quota - sulla base della semplice richiesta di visto di ingresso da parte degli iscritti nelle liste di prenotazione, nell'ordine corrispondente a una graduatoria fondata sull'anzianita' di iscrizione. Si otterrebbe in tal modo il duplice risultato di garantire significativamente l'incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro e di incentivare il rispetto delle condizioni di immigrazione legale. Venendo attinta ogni anno dalle liste di prenotazione la quota programmata dal Governo, infatti, anche l'iscritto in posizione arretrata vedrebbe approssimarsi progressivamente la propria occasione di migrazione regolare, e sarebbe dissuaso dal tentare vie alternative, illegali e gravate da costi e rischi non indifferenti.

In questo contesto, l'ingresso conseguente a chiamata o a presentazione di garanzia potrebbe costituire un canale complementare di accesso al mercato del lavoro italiano, capace di rispondere a esigenze particolari, sia del mercato, sia - soprattutto - della persona, che mal si prestano ad essere inquadrate in una rigida programmazione. E' da osservare comunque che la modifica qui proposta non altera la caratteristica sostanziale di un controllo governativo dei flussi in ingresso. Indica piuttosto - per cosi' dire - nello Stato la principale e piu' affidabile figura di sponsor per immigrati legittimati a cercare efficacemente occupazione in Italia. E in analogia con quanto previsto dal disegno di legge con riferimento all'ingresso in presenza di garanzia, dovrebbe essere prevista un'unica determinazione certa - di due anni - della durata del permesso di soggiorno rilasciato a chi entri in Italia nell'ambito della programmazione. Si eviterebbe in tal modo di aggravare la precarieta' indiscutibilmente associata alla fase di ricerca di lavoro con quella derivante da una scadenza troppo ravvicinata della autorizzazione al soggiorno.

Considerazioni simili potrebbero essere svolte riguardo alle disposizioni proposte in relazione all'ingresso per lavori a carattere stagionale, salvo che in questo caso appare appropriata la previsione relativa ad una durata piu' limitata del permesso di soggiorno. Opportuna sembra poi la previsione, a vantaggio del lavoratore stagionale che lasci l'Italia regolarmente alla scadenza del permesso, di un diritto di precedenza per l'ingresso nell'anno successivo rispetto ai connazionali mai entrati in Italia per lavoro. Tale previsione, mirata evidentemente ad incentivare il rispetto delle norme sul soggiorno, potrebbe essere rafforzata affiancando al semplice diritto di precedenza - il cui godimento resta pur sempre subordinato alla determinazione di una quota di ingressi sufficientemente ampia per l'anno successivo - un vero e proprio diritto di reingresso che faccia premio al rispetto di condizioni piu' stringenti (ad esempio in relazione alla regolarita' dell'attivita' lavorativa svolta).

Di grande rilievo appaiono le innovazioni introdotte in relazione all'ingresso per lavoro autonomo (aspetto - come ricordato in precedenza - insufficientemente considerato dalla normativa vigente). In primo luogo il godimento degli stessi diritti civili attribuiti al cittadino italiano e' garantito allo straniero regolarmente soggiornante, senza che questo sia di norma subordinato alla sussistenza della reciprocita' con il paese di appartenenza dello straniero. Risulta cosi' superato il vincolo imposto dall'articolo 16 delle Preleggi, benche' una esplicita abrogazione di quell'articolo potrebbe proficuamente evitare il rischio di future interpretazioni restrittive. In secondo luogo, e' stabilito che nell'ambito della programmazione siano disciplinati anche i flussi di immigrazione per lavoro autonomo. Entro i limiti stabiliti da tale programmazione, l'ingresso e' consentito, per lo svolgimento di attivita' non espressamente riservate al cittadino italiano o comunitario, a condizione che il richiedente dimostri di possedere i requisiti per l'esercizio dell'attivita' indicata e di disporre "di idonea sistemazione alloggiativa e di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria". La considerazione delle significative disparita' di reddito tra l'Italia e i paesi di provenienza di molti dei potenziali lavoratori autonomi stranieri suggerirebbe una modifica di quest'ultima disposizione orientata a spostare alla fase di rinnovo del permesso la verifica della disponibilita' di mezzi di sostentamento, lasciando che i controlli in fase di rilascio del visto riguardino piuttosto la capacita' di produzione del reddito.

L'ingresso in Italia di studenti universitari stranieri e' autorizzato anch'esso nei limiti fissati annualmente con appositi decreti di programmazione che tengano conto delle disponibilita' comunicate dalle sedi universitarie. Con riferimento a questa importante forma di presenza straniera in Italia va osservato che rispetto al quadro normativo vigente vengono introdotte, dal disegno di legge, importanti novita': la parita' di trattamento con gli studenti italiani per quanto concerne gli interventi per il diritto allo studio e la possibilita' di accedere all'iscrizione negli albi professionali in materie sanitarie, in deroga alle disposizioni che prevedono il requisito di cittadinanza, per quanti siano in possesso dei corrispondenti titoli di studio conseguiti o legalmente riconosciuti in Italia e delle abilitazioni eventualmente richieste. Sono esclusi dalla deroga, salvo che in presenza di autorizzazione del Governo dello Stato di appartenenza, gli stranieri che siano stati ammessi in soprannumero (nell'ambito, cioe', di programmi di cooperazione allo sviluppo) ai corsi di diploma, di laurea o di specializzazione. Tale limitazione impedisce che la norma in esame possa favorie una indesiderabile "fuga di cervelli" dai paesi in via di sviluppo.

Questa disposizione, capace di superare quello che fino ad oggi si e' configurato come un ostacolo insormontabile per il pieno inserimento dei soggetti stranieri culturalmente piu' qualificati, merita di essere ampliata alle altre professioni - estranee, cioe', all'ambito sanitario - e di ottenere il carattere di norma a regime. Nella forma attuale, infatti, l'accesso allo svolgimento delle professioni e' pienamente consentito per il solo primo anno di applicazione della legge, restando, per gli anni successivi, subordinato alla determinazione di quote massime nell'ambito della programmazione.

Particolarmente avanzata risulta la disciplina del ricongiungimento familiare, che adegua la normativa ai principi di rispetto primario del diritto all'unita' familiare e di tutela del minore.

Il diritto di mantenere o ricostituire l'unita' familiare con familiari stranieri e' garantito allo straniero titolare di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno, per lavoro subordinato o autonomo, di durata non inferiore a un anno, ed e' stabilito che ai familiari stranieri di cittadino italiano o comunitario continuino ad applicarsi le disposizioni del D.P.R. 1656/1965, salve quelle piu' favorevoli previste per i familiari dello straniero.

Un carattere di priorita' e' attribuito, in relazione ai procedimenti relativi al ricongiungimento familiare, all'interesse del minore, conformemente a quanto previsto dall'articolo 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989. In particolare, in deroga alle diverse disposizioni della legge, il Tribunale per i minorenni puo' autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare di un minore presente in Italia, per gravi motivi relativi alle condizioni psico-fisiche di questi.

Il novero dei familiari per i quali puo' essere chiesto il ricongiungimento e' giustamente esteso, rispetto al quadro vigente, ai figli minori del coniuge, ai figli - anche del coniuge - nati fuori dal matrimonio (a condizione che l'altro genitore, se esistente, abbia dato il consenso), e ai parenti entro il terzo grado, inabili al lavoro e posti a carico del richiedente. Quest'ultima previsione consente di salvaguardare, in particolare, i soggetti portatori di handicap. Ai fini del ricongiungimento, infine, i minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono opportunamente equiparati ai figli.

Quanto ai requisiti economici necessari per procedere al ricongiugnimento, il disegno di legge prevede che il richiedente, salvo che si tratti di rifugiato, debba disporre di alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica e di reddito commisurato al numero di familiari da ammettere (a partire da una misura minima pari all'importo dell'assegno sociale, e con l'aumento di una misura per ogni ulteriore coppia di familiari ammessi). Ai fini della determinazione del reddito concorrono i redditi da lavoro dei familiari conviventi.

L'ingresso al seguito del cittadino italiano o comunitario e' consentito per quei familiari per i quali potrebbe essere chiesto il ricongiungimento. Lo stesso vale per l'ingresso al seguito del cittadino straniero titolare di carta di soggiorno o di visto di ingresso per lavoro, a condizione che siano soddisfatti i requisiti relativi a reddito e alloggio. E' consentito anche l'ingresso del figlio minore di eta' inferiore a quattordici anni al seguito del genitore straniero, anche prescindendo dalla disponibilita' di alloggio, purche' il titolare dell'abitazione dove il minore dimorera' abbia dato il proprio consenso.

Affinche' il diritto all'unita' familiare non sia messo in pericolo da ritardi della pubblica amministrazione, e' previsto inoltre un limite tassativo di novanta giorni per la concessione o il diniego del nulla-osta al ricongiungimento, trascorsi i quali il nulla-osta si intende concesso.

Gioverebbe alla completezza del quadro normativo il riconoscimento del diritto al ricongiungimento anche per i titolari di permesso per studio (non e' raro, ad esempio, il caso di borsisti universitari stranieri gia' sposati, e non c'e' motivo di impedirne la riunificazione familiare quando la borsa di studio sia di entita' adeguata) e di permesso per motivi religiosi (i pastori protestanti, in primo luogo, ma anche, per i genitori a carico, i religiosi cattolici). Di grande rilevanza pratica risulterebbe, poi, per diverse categorie - prima fra tutte quella dei religiosi - una norma che stabilisca come, in luogo della dimostrazione di disponibilita' di reddito, possa essere prodotta anche garanzia corrispondente da parte di ente o privato.

E' infine previsto che, in occasione di eventi di particolare gravita', il Presidente del Consiglio possa disporre con decreto l'adozione di misure speciali per la protezione temporanea di stranieri, anche in deroga alle altre disposizioni di legge. Sembra pero' difficile valutare la portata di questa previsione separatamente da una riforma complessiva delle norme sul diritto di asilo. Sarebbe stato probabilmente piu' appropriato affrontare i problemi dell'immigrazione e dell'asilo nell'ambito di uno stesso disegno di legge, in sintonia con le raccomandazioni contenute nella Comunicazione della Commissione delle Comunita' europee al Consiglio e al Parlamento europeo del 23-2-1994. Resta in ogni caso l'auspicio che la riforma sull'asilo sia approvata rapidamente, e in forma tale da dare piena attuazione al dettato costituzionale in materia, che non puo' considerarsi certamente recepito da una normativa, quale quella attuale, che riconosce il diritto di asilo solo a chi rientri nella definizione di rifugiato data dalla Convenzione di Ginevra del 1951.

 

2. I provvedimenti di respingimento e di espulsione

Riguardo ai provvedimenti di allontanamento dal territorio dello Stato, il disegno di legge contiene importanti disposizioni sia in materia di respingimento, sia in materia di espulsione.

Ampliando le previsioni della normativa vigente, e' stabilito che siano respinti gli stranieri che si presentino ai valichi di frontiera privi dei requisiti per l'ingresso, quelli che entrino in Italia eludendo i controlli di frontiera e quelli che siano stati momentaneamente ammessi solo al fine di prestare loro soccorso. Con riferimento al caso di elusione dei controlli di frontiera sembra indispensabile, per una corretta applicazione della legge, che sia meglio chiarito entro quali limiti si possa procedere a respingimento e quando invece debba essere adottato un provvedimento di espulsione. Altro infatti e' che lo straniero sia trovato nella situazione immediatamente successiva al superamento della frontiera, altro e' che sia trovato in pieno territorio dello Stato.

Nel rispetto degli obblighi imposti dalle convenzioni internazionali e dalla Costituzione, il disegno di legge esclude che si proceda al respingimento quando questo possa pregiudicare il diritto di asilo o i diritti derivanti da provvedimenti di protezione temporanea per motivi umanitari adottati dal Governo. Allo scopo di non vedere nei fatti vanificata questa giusta clausola di salvaguardia e' necessario prevedere che siano istituiti, presso i valichi di frontiera autorizzati, strutture e servizi di accoglienza finalizzati all'assistenza (anche in termini di informazione e interpretariato) degli stranieri che intendano presentare domanda di asilo o fare comunque ingresso in Italia e di coloro a carico dei quali debba essere adottato un provvedimento di respingimento. Ai valichi aeroportuali, in particolare, occorre che tali servizi siano messi a disposizione all'interno della zona di transito, per evitare che il respingimento possa essere disposto prima che lo straniero sia stato adeguatamente informato degli obblighi e dei diritti che lo riguardano.

Nel tentativo di conformare il quadro legislativo con le disposizioni della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, e' stabilito che il vettore che ha portato uno straniero privo dei documenti necessari per l'ingresso o che comunque debba essere respinto abbia l'obbligo di ricondurlo nello Stato di provenienza o in quello che ha rilasciato il documento di viaggio. Un piu' pieno rispetto del dettato dell'articolo 26 di tale Convenzione impone pero' che tali disposizioni non pregiudichino il diritto di asilo. E' necessario a tal fine introdurre una modifica che limiti le sanzioni e gli obblighi a carico del vettore al solo caso di mancata segnalazione alle autorita' di frontiera della presenza a bordo di straniero privo dei documenti richiesti. In caso contrario, il timore di incorrere in sanzioni o di dover sostenere oneri inaspettati potrebbe indurre i vettori a porre degli ostacoli all'imbarco di stranieri privi dei requisiti ordinari per l'ingresso, ma intenzionati a chiedere asilo. Una simile circostanza corrisponderebbe all'interposizione di un inaccettabile filtro tra il potenziale richiedente e l'organo preposto dalla Legge all'esame delle domande di asilo.

Riguardo ai criteri e alle modalita' di applicazione del provvedimento di espulsione, il disegno di legge prevede che questo possa essere adottato, oltre che in corrispondenza a condanne penali o a gravi rischi per l'ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato, anche quale misura di prevenzione di comportamenti delittuosi o per soggiorno illegale. In questi ultimi casi (prevenzione e soggiorno illegale) l'espulsione e' disposta dal prefetto e di norma consiste nell'intimazione a lasciare il territorio dello stato entro quindici giorni. Entro cinque giorni il cittadino straniero puo' presentare ricorso davanti al pretore, che decide entro i restanti dieci giorni. Qualora pero' il prefetto ritenga che vi sia il rischio che lo straniero non ottemperi all'obbligo di allontanamento, puo' disporre l'accompagnamento immediato alla frontiera. In questo caso lo straniero espulso puo' presentare ricorso dall'estero entro trenta giorni.

Quando non sia possibile l'accompagnamento immediato alla frontiera (ad esempio, per la mancanza di documenti di viaggio da parte dell'interessato), lo straniero e' posto sotto custodia in centri appositi, per un tempo che non puo' in alcun caso superare i trenta giorni. Il pretore interviene per la convalida del provvedimento entro quarantotto ore e, contestualmente, esamina anche l'eventuale ricorso dell'espellendo.

E' stabilito un divieto di reingresso per un periodo di cinque anni per lo straniero espulso, salvo il caso di autorizzazione da parte del Ministro dell'interno o di fissazione di termini ridotti (comunque non inferiori a tre anni) in sede di esame del ricorso. In caso di trasgressione di tale divieto e' disposto l'arresto fino a sei mesi e la successiva espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera.

E' previsto infine che non si possa procedere a espulsione nei casi in cui lo straniero appartenga ad una categoria protetta (minori, donne in gravidanza o che abbiano partorito di recente, titolari di carta di soggiorno, familiari di cittadini italiani) o rischi di subire persecuzioni nel paese di destinazione.

E' evidente come l'intendimento di queste norme sia quello di rendere piu' spedita ed efficace di quanto non sia risultata finora l'esecuzione dell'allontanamento, evitando che la presentazione del ricorso comporti una sospensione automatica e prolungata del provvedimento, e di impedire che lo straniero da espellere, approfittando della mancanza di particolari vincoli, si sottragga all'obbligo di lasciare il territorio dello Stato. Un simile inasprimento delle norme deve pero' essere accompagnato da una decisa riduzione degli spazi di discrezionalita' dell'amministrazione. Non puo' quindi ritenersi accettabile il mantenimento, nella casistica prevista dalla normativa, dell'espulsione quale misura di prevenzione, che sembra difficilmente conciliabile con il principio costituzionale di presunzione di innocenza e che non risulta bilanciata, in questo contesto, da efficaci strumenti di ricorso.

Allo stesso modo, salvo che in caso di grave pericolo per l'ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato, non appare accettabile la previsione di un accompagnamento immediato alla frontiera, adottato sulla base di valutazioni discrezionali del prefetto e contestabile solo con un ricorso dall'estero, ad allontanamento irreparabilmente avvenuto. Il diritto di far riesaminare da un'autorita' terza il provvedimento di espulsione e' sancito infatti dall'articolo 13 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e dall'articolo 1 del Protocollo 7 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (entrambi ratificati dall'Italia), da valutarsi alla luce dell'articolo 13 della stessa Convenzione, che sancisce il diritto al ricorso effettivo. Sebbene tale diritto sia riconosciuto, in linea di principio, solo allo straniero che soggiorni regolarmente nel territorio dello Stato da cui dovrebbe essere allontanato, e' evidente come, quando il provvedimento di allontanamento sia motivato proprio dalla presunta irregolarita' rispetto al soggiorno, il diritto di riesame debba essere riconosciuto a tutti. In caso contrario, lo straniero regolare potrebbe paradossalmente essere espulso con le procedure immediate riservate allo straniero irregolare sulla base di una ingiusta attribuzione di violazioni delle suddette norme, e il suo diritto al riesame potrebbe, con ulteriore aggravio, essere negato sulla base della stessa attribuzione.

Tali disposizioni devono quindi essere migliorate, stabilendo - quanto meno - che anche il provvedimento di accompagnamento immediato alla frontiera necessiti della convalida da parte del pretore, e che questi proceda contestualmente, come gia' previsto per il caso di custodia, all'esame dell'eventuale ricorso dello straniero.

Piu' in generale, e allo scopo di limitare ai casi di effettiva necessita' l'esecuzione del provvedimento di espulsione, e' opportuno prevedere che il pretore, nell'esame del ricorso, valuti non soltanto la legittimita' del provvedimento, ma anche la congruita' e l'opportunita' di esso con riferimento - soprattutto - al rischio di violazione di diritti fondamentali (in relazione ad asilo, salute, unita' familiare e condizione dei minori) e al grado di inserimento sociale effettivo dello straniero. E' altresi' necessario stabilire che, in mancanza del pronunciamento del pretore entro il termine fissato, l'escuzione del provvedimento sia sospesa.

Quanto all'adozione di misure custodiali per cittadini stranieri da espellere, la materia appare estremamente delicata, e si rende necessaria una chiara delimitazione dei casi in cui tali misure possano essere effettivamente adottate. Va escluso, in primo luogo, che si possa utilizzare la custodia quale mezzo per sopperire a ritardi di cui l'amministrazione si renda responsabile. La custodia dovrebbe essere adottata solo quando questo sia imperiosamente richiesto dall'esigenza di tutelare i diritti dello straniero da espellere o il diritto dello Stato di procedere all'identificazione dello straniero stesso. In secondo luogo, deve essere previsto che si ricorra alla custodia solo nei casi in cui, sulla base di criteri certi, si possa escludere che gli stessi risultati siano ottenibili mediante l'adozione di ordinarie misure di pubblica sicurezza (previste dall'ordinamento vigente e - inspiegabilmente - mai utilizzate).

Al fine di evitare, poi, che si producano situazioni pericolosamente indefinite riguardo alle condizioni di soggiorno, in caso di annullamento o di sospensione del provvedimento e in tutti gli altri casi in cui lo straniero risulti non espellibile deve essere previsto esplicitamente il rilascio di un permesso di soggiorno per i motivi appropriati.

Circa il divieto di reingresso in seguito ad espulsione, infine, la previsione di una opportuna graduazione di esso risponderebbe, oltre che a criteri di giustizia, all'esigenza di incentivare il rispetto degli obblighi derivanti dal provvedimento di espulsione. Si dovrebbe prevedere inoltre che il reingresso sia di norma autorizzato per tutelare il diritto all'unita' familiare.

 

3. Le misure per l'integrazione

Riguardo alle misure per l'integrazione, il disegno di legge presenta diversi elementi di assoluta rilevanza - in materia, ad esempio, di tutela della salute, di diritto allo studio, di protezione sociale, di partecipazione alla vita pubblica e di accesso all'abitazione-, alcuni dei quali formulati in modo tale da riguardare lo straniero in generale, a prescindere, cioe', da requisiti relativi alla regolarita' o alla stabilita' del soggiorno. Si da' cosi' sostanza all'affermazione contenuta nel capitolo sui principi generali, secondo la quale "allo straniero comunque presente sul territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana". Piu' incerta appare invece la definizione di quelle facolta' associate alla titolarita' di un permesso di soggiorno che dovrebbero favorire la progressiva stabilizzazione della posizione dello straniero.

Quanto all'assistenza sanitaria, e' prevista l'iscrizione obbligatoria, con parita' di diritti e di obblighi contributivi con i cittadini italiani, per gli stranieri regolarmente soggiornanti che abbiano in corso attivita' di lavoro subordinato o autonomo o siano iscritti nelle liste di collocamento, e per gli stranieri legalmente soggiornanti titolari di permesso di soggiorno di lunga durata (per lavoro subordinato o autonomo, per motivi familiari, per asilo) o di particolari permessi temporanei (per richiesta di asilo, per attesa adozione, per affidamento, per acquisto della cittadinanza). L'assistenza spetta anche ai familiari a carico regolarmente soggiornanti.

Allo scopo di evitare che per ragioni puramente burocratiche si creino situazioni di mancata copertura, e' opportunamente stabilito che l'iscrizione non venga interrotta in fase di rinnovo del permesso e che l'assistenza dei figli di stranieri iscritti al Servizio sanitario nazionale sia assicurata dalla nascita, anche nelle more dell'iscrizione.

Lo straniero legalmente soggiornante che non rientri nelle categorie obbligatoriamente iscritte puo' stipulare assicurazione privata o iscriversi al Servizio sanitario nazionale con contribuzione proporzionale al reddito conseguito nell'anno precedente secondo una percentuale pari a quella prevista per gli italiani. Il contributo non puo' comunque essere inferiore al contributo minimo previsto dalle leggi vigenti.

I titolari di permesso per studio e gli stranieri regolarmente soggiornanti collocati "alla pari" possono iscriversi al Servizio sanitario nazionale versando un contributo annuale forfetario di importo determinato con decreto del Ministro della sanita'. La contribuzione non e' valida, in questo caso, per i familiari a carico.

Per le prestazioni sanitarie erogate a stranieri non iscritti al Servizio sanitario nazionale devono essere corrisposti, dai soggetti tenuti al pagamento, importi corrispondenti alle tariffe determinate dalle Regioni. Ai cittadini stranieri irregolarmente soggiornanti sono comunque assicurate le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorche' continuative, per malattia e infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva. Sono garantite, in particolare, le vaccinazioni, gli interventi per la prevenzione e la cura delle malattie infettive, la tutela sociale della gravidanza e della maternita' responsabile e la tutela della salute del minore. Quando lo straniero versi in condizioni di indigenza tali prestazioni sono erogate senza oneri a suo carico, fatta eccezione per la quota di partecipazione alla spesa. Allo scopo di evitare che il rischio di incorrere in sanzioni dissuada lo straniero in posizione irregolare dall'accesso alle strutture sanitarie, e' stabilito poi che tale accesso non possa comportare segnalazioni, salvo il caso di referto obbligatorio, a parita' di condizioni con l'italiano.

Quanto al diritto allo studio, e' disposto che i minori stranieri presenti sul territorio nazionale siano soggetti all'obbligo scolastico a parita' di condizioni con i cittadini italiani.

Sono anche favorite iniziative per la valorizzazione della differenza linguistica e culturale ed iniziative per sostenere, in relazione agli stranieri adulti, l'alfabetizzazione, il conseguimento del titolo di studio della scuola dell'obbligo o del diploma di scuola secondaria, l'apprendimento della lingua italiana e la formazione professionale.

Al regolamento e' demandata la definizione di criteri per il riconoscimento dei titoli e dei livelli di studio conseguiti all'estero, come pure i criteri e le modalita' di assegnazione delle borse di studio per studenti universitari. In proposito, occorrerebbe prevedere che le borse possano essere assegnate anche a partire da anni successivi al primo. Si eviterebbe cosi' che in fase di assegnazione possano verificarsi interferenze da parte delle autorita' del paese di appartenenza che danneggino i soggetti invisi alle stesse autorita'.

Un particolare significato assumono poi le disposizioni relative alla protezione sociale per gli stranieri che tentino di sottrarsi all'influenza di organizzazioni criminose o che rendano, nel corso di indagini su tali organizzazioni o in sede di giudizio, dichiarazioni tali da mettere a repentaglio la loro incolumita'. E' prevista, per questi casi, la definizione di programmi per il reinserimento sociale degli interessati e la possibilita' di rilasciare loro un permesso di soggiorno di sei mesi, rinnovabile, valido per l'accesso ai servizi assistenziali, utilizzabile per studio e iscrizione al collocamento e convertibile in permesso per lavoro in caso di maturazione dei requisiti corrispondenti.

Quanto alla partecipazione alla vita pubblica, e' sancito il diritto di esercitare l'elettorato attivo e passivo nelle consultazioni locali, a parita' di condizione con i cittadini dell'Unione europea, per gli stranieri titolari di carta di soggiorno.

E' previsto infine che gli stessi titolari di carta di soggiorno, come pure gli stranieri che esercitino regolarmente attivita' di lavoro subordinato o autonomo abbiano accesso, in condizioni di parita' con il cittadino italiano, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e alle altre facilitazioni per l'acquisto o la locazione della prima casa.

E sono proprio le disposizioni relative alla carta di soggiorno - un permesso di durata illimitata, fino ad oggi inaccessibile agli stranieri non comunitari - a costituire l'elemento di maggior rilievo a sostegno della progressiva stabilizzazione del soggiorno del cittadino straniero. Tale titolo puo' essere rilasciato allo straniero regolarmente soggiornante da almeno sei anni, in possesso di un permesso di soggiorno rinnovabile a tempo indeterminato e titolare di un reddito sufficiente al sostentamento proprio e della propria famiglia. La carta di soggiorno e' altresi' rilasciata al coniuge e ai figli conviventi, e puo' essere richiesta anche da coniuge e figli minori stranieri di un cittadino italiano o di un cittadino comunitario residente in Italia.

Oltre ai citati diritti in materia elettorale e in materia di accesso all'abitazione, il titolare di carta di soggiorno ha diritto a fare ingresso in Italia senza munirsi di visto, a svolgere qualunque attivita' non vietata allo straniero o riservata all'italiano e ad accedere alle prestazioni e ai servizi erogati della pubblica amministrazione.

La carta e' rifiutata o revocata in seguito a condanne anche non definitive o a rinvii a giudizio per i reati previsti agli articoli 380 e 381 del Codice di procedura penale, mentre il provvedimento di espulsione a carico del titolare puo' essere adottato solo per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato, per motivi di prevenzione o per sospetta appartenenza ad organizzazione mafiosa.

Le norme sulla carta di soggiorno, mirando, nel loro complesso, a favorire la piena integrazione del cittadino straniero, meritano una valutazione globale largamente positiva. Tuttavia sembra indispensabile introdurre modifiche atte a definire piu' precisamente le condizioni per il rilascio della carta. Il requisito relativo alla titolarita' di un "permesso di soggiorno per un motivo che consente il rinnovo senza limiti di tempo" risulta infatti ambiguo e dovrebbe essere riformulato in modo da consentire il rilascio allo straniero che abbia regolarmente soggiornato a qualunque titolo per il periodo prefissato e che, al momento della richiesta, sia titolare di un permesso per lavoro o per asilo. Inoltre, la previsione di diniego e revoca della carta dovrebbe essere limitata al solo caso in cui lo straniero abbia riportato condanne gravi, e si dovrebbe escludere che lo straniero in possesso di carta di soggiorno (titolare - si badi - di diritto di voto) possa essere espulso per ragioni diverse dalle esigenze di tutela dell'ordine pubblico o della sicurezza dello Stato.

Miglioramenti ancora piu' profondi andrebbero apportati al testo in relazione alla condizione degli stranieri regolarmente soggiornanti nella fase - non breve - che li separa dall'ottenimento della carta di soggiorno. Piu' precisamente, andrebbero riesaminate le disposizioni riguardanti la possibilita' di utilizzazione, conversione, rinnovo e revoca del permesso di soggiorno.

Il disegno di legge prevede, in particolare, positivamente, che il permesso di soggiorno rilasciato per lavoro o per motivi familiari possa essere validamente utilizzato per le altre attivita' consentite. La definizione delle possibilita' di accesso ad attivita' lavorative per i titolari di permesso per studio o formazione resta invece affidata al regolamento di attuazione della legge. Queste previsioni non costituiscono un avanzamento rispetto al quadro vigente, che anzi attribuisce esplicitamente agli studenti la piena facolta' di stipulare rapporti di lavoro subordinato. Un'interpretazione infelice e palesemente infondata di tali inequivocabili disposizioni ha creato in questi anni gravi disagi a tutti gli studenti stranieri il cui sostentamento non fosse gia' adeguatamente assicurato da borse di studio o dal sostegno familiare, determinando in molti casi l'abbandono degli studi. Questa esperienza dovrebbe suggerire di adottare, in sede di riforma legislativa, una formulazione perentoria che metta il principio - gia' evidentemente contenuto nel disegno di legge - al riparo dalle attitudini inspiegabilmente vessatorie di certi settori dell'amministrazione.

Riguardo alla conversione del titolo del permesso, e' prevista la possibilita' di ottenere il permesso per motivi familiari, sotto certe condizioni, per gli stranieri regolarmente soggiornanti per i quali possa essere richiesto il ricongiungimento da cittadino legalmente presente in Italia. E' previsto anche che i titolari di permesso per motivi familiari possano ottenere, anche in mancanza di ulteriori requisiti, il permesso per lavoro o per studio in caso di scioglimento del vincolo matrimoniale ovvero, quando si tratti di minore, al compimento della maggiore eta'. Infine, la possibilita' di ottenere la conversione in permesso per lavoro subordinato e' contemplata per i lavoratori stagionali per i quali si prospetti un'occupazione a tempo determinato o indeterminato, e, nei limiti fissati dalla programmazione annuale, per i titolari di permesso per studio.

Stante la convergenza dell'interesse dello straniero di affrancarsi dalla condizione di precarieta' che forzatamente caratterizza determinati permessi di soggiorno e di quello della societa' di accoglienza di favorire percorsi di inserimento regolare, sarebbe opportuno dare un respiro piu' ampio a queste disposizioni, stabilendo il principio generale secondo il quale la conversione del titolo di soggiorno sia di norma consentita ogni qual volta siano maturati dal cittadino straniero i requisiti corrispondenti.

Quanto, poi, alla disciplina del rinnovo dei permessi di soggiorno, e' previsto che esso sia concesso se sussistono i requisiti previsti per il rilascio. Per questi, poi, l'articolato rinvia alla definizione delle condizioni di ingresso, demandata - in parte - al regolamento di attuazione. Se si considera come alcuni dei requisiti previsti per l'ingresso (quelli in materia sanitaria, ad esempio) siano privi di qualunque correlazione con gli aspetti rilevanti ai fini del rinnovo, si riconosce come anche queste norme meritino un approfondito riesame. Quest'impressione e' confermata dall'osservazione di come manchino, nel testo, disposizioni tassative in relazione alla durata del permesso rinnovato, che resta cosi' oggetto di scelte discrezionali della pubblica amministrazione. Non sembra affatto trascurabile, in definitiva, il rischio che in assenza di una precisa definizione dei principi guida risulti ulteriormente ostacolato il mantenimento delle condizioni di regolarita' da parte dello straniero, e si finisca per invocare un improprio ricorso a norme repressive nei confronti di situazioni di sostanziale inserimento, etichettate come irregolari per il solo fatto di non soddisfare requisiti di rilevanza puramente teorica.

Riguardo, infine, al problema della revoca del permesso di soggiorno, il disegno di legge dispone che il provvedimento possa essere adottato quando vengano a mancare i requisiti per l'ingresso e il soggiorno, o in caso di mancato soddisfacimento delle condizioni di soggiorno in uno degli Stati membri, salvo che ricorrano gravi motivi umanitari o obblighi costituzionali. Tale previsione mira ad adeguare la riforma legislativa alle norme contenute nella citata Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen. Tuttavia, non sembra che questo adeguamento si possa considerare correttamente perseguito. In primo luogo, infatti, la Convenzione definisce - si' - condizioni uniformi di soggiorno nel territorio delle Parti contraenti, ma solo in relazione al soggiorno di breve durata. Per il soggiorno di lunga durata, invece, le condizioni sono stabilite da ciascuna Parte sulla base della legislazione nazionale. In secondo luogo, la Convenzione stabilisce con chiarezza che la mancanza o il venir meno dei requisiti - in relazione, ad esempio, alla capacita' di sostentamento - per il soggiorno di breve durata nel territorio delle Parti contraenti non pregiudica la possibilita' di soggiornare nel territorio della Parte che abbia rilasciato il permesso di soggiorno, ma semplicemente impone che lo straniero interessato si rechi senza indugio in tale territorio. Non sembra quindi in alcun modo giustificato - o almeno non "sulla base di convenzioni o accordi internazionali resi esecutivi in Italia" - che l'autorizzazione al soggiorno sia negata in nome della mancanza di requisiti che, in realta', si limitano a pregiudicare il diritto dello straniero di circolare liberamente nei paesi che hanno aderito all'Accordo di Schengen. Dovrebbe quindi essere drasticamente limitato il novero dei casi in cui il provvedimento di revoca possa essere adottato.

 

III. Conclusioni

Sulla base di quanto fin qui esposto sembra doveroso concludere che il Parlamento e' oggi chiamato ad una attenta opera di revisione dei contenuti della proposta del Governo. L'approvazione di modifiche che, lungi dallo stravolgere l'impianto complessivo del disegno di legge, consentano pero' di curarne alcuni limiti palesi puo' far si' che sia varata una riforma capace di costituire il terreno per una politica dell'immigrazione finalmente efficace. Il congelamento del testo nella forma attuale, viceversa, rischierebbe di produrre una mera riforma di facciata e perfino, sotto certi aspetti, un arretramento rispetto al troppo vituperato quadro vigente.