I COMMISSIONE
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

INDAGINE CONOSCITIVA
SUI TEMI DELL'IMMIGRAZIONE


Seduta di martedĪ 8 luglio 1997


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La seduta comincia alle 9.20.

Audizione di rappresentanti del «Gruppo di riflessione».

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui temi dell'immigrazione, l'audizione di rappresentanti del «Gruppo di riflessione», con i quali mi scuso per non averli accolti adeguatamente.
Ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione la dottoressa Annemarie Dupré, rappresentante della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, il dottor Franco Dotolo, rappresentante della Migrantes, la fondazione della Conferenza episcopale italiana, il dottor Sergio Briguglio, rappresentante della Caritas, la dottoressa Elisabetta Margonari, rappresentante ACLI, Giampiero Cioffredi, rappresentante di ARCI-solidarietà e Dino Frisullo, rappresentante dell'associazione «Senza confine».
Come i nostri amici sanno la Commissione ha concluso la discussione sulle linee generali del disegno di legge sulle immigrazioni sulla base della relazione del collega Maselli e ha intrapreso una fase su due binari, avviando, a fianco all'iter del provvedimento (martedì prossimo scade il termine per la presentazione degli emendamenti), una serie di audizioni che ci consentiranno di ascoltare i rappresentanti di amministrazioni centrali (pubblica istruzione, sanità, lavoro, esteri) e comunali, un numero limitatissimo di esperti e poi le forze sociali che da sempre si fanno carico dei temi e delle condizioni di vita degli immigrati.
Abbiamo il massimo interesse ad ascoltare tutto ciò che dalla vostra esperienza nasce come suggerimento ai legislatori sui tre problemi che sostanzialmente costituiscono il cardine della normativa che stiamo per varare: il governo degli ingressi, le condizioni di vita e le garanzie per eventuali espulsioni degli immigranti.
Il tempo a nostra disposizione non è moltissimo, per cui mi auguro che vi siate organizzati per far parlare una sola persona in rappresentanza del gruppo. Vedremo poi se sarà possibile qualche intervento integrativo; dopo di che il relatore ed i colleghi, se lo consentite, vi rivolgeranno alcune domande, per arricchire il patrimonio di conoscenza della Commissione.

SERGIO BRIGUGLIO, Rappresentante della Caritas. Interverrò a nome di un ampio arco di associazioni, considerato che vi è una convergenza di opinioni sull'argomento sul quale dobbiamo esprimerci. In seguito il dottor Frisullo integrerà il punto di vista esposto riportando l'opinione di un arco altrettanto vasto di associazioni. In particolare, sono stato incaricato di intervenire dalla Caritas, dalla Migrantes, dalle ACLI, dalla Federazioni chiese evangeliche e dall'ARCI.
Cercherò di dare rapidamente risposta ai quesiti che ci sono stati sottoposti e di fornire i suggerimenti richiesti alle associazioni tradizionalmente esperte di immigrazione, di controllo degli ingressi, di garanzie sui meccanismi di espulsione e di allontanamento dal territorio dello Stato e di integrazione e condizioni di vita degli stranieri in Italia. Per ciascuno di questi punti cercherò di rappresentare semplicemente le nostre preoccupazioni rispetto al


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testo del disegno di legge n. 3240 che, a nostro parere, ha un'impostazione corretta dal punto di vista strutturale, però necessita di alcune correzioni per evitare che ne venga vanificato lo spirito.
Non mi soffermerò, quindi, sulle numerose parti positive del testo, ma cercherò di evidenziarne i punti critici.
Per quanto riguarda il controllo degli ingressi e la questione dei flussi, il punto centrale è la necessità di garantire l'esistenza permanente di canali di ingresso regolare, in particolare di immigrazione per lavoro, sufficientemente e correttamente dimensionati in base anche alle esigenze della società italiana e del mercato del lavoro italiano, e che consentano all'aspirante emigrante di percorrere una via regolare di immigrazione, senza dover ricorrere con svantaggio per tutti a forme di immigrazione irregolare.
Rispetto al disegno di legge a noi sembra che le raccomandazioni da fare siano le seguenti. Esso prevede un meccanismo di programmazione di quote e la possibilità per il Governo di stipulare accordi bilaterali, all'interno dei quali può essere prevista l'istituzione di liste di prenotazione per l'immigrazione nelle quali potrebbero iscriversi i lavoratori stranieri che aspirino a migrare in Italia. Queste liste devono essere istituite in tutti i paesi di immigrazione, non subordinandole all'esistenza di accordi bilaterali, che sono peraltro benvenuti ma non possono essere una conditio sine qua non per la definizione dei flussi. Altrimenti, verranno necessariamente lasciati fuori dagli accordi bilaterali numerosi paesi, quindi una porzione significativa dell'immigrazione per lavoro in Italia; gli stranieri provenienti da quelle realtà verranno come unica possibilità di segnalare la loro volontà di immigrazione quella di venire direttamente in Italia, anche clandestinamente, perché non avranno un altro mezzo per iscriversi regolarmente.
Quindi, la prima raccomandazione riguarda l'istituzione di liste in tutte le rappresentanze diplomatiche dei paesi di immigrazione. È fondamentale che queste liste siano gestite dall'autorità italiana e non demandate all'autorità del posto, perché è necessario che ne venga controllata la trasparenza nella gestione. È anche fondamentale che le relative graduatorie siano fondate in primo luogo sull'anzianità di iscrizione perché in tal modo il migrante che per quest'anno non riesca ad avere il proprio turno di migrazione può ragionevolmente prevedere in quanto tempo riuscirà a migrare ed essere quindi fortemente dissuaso dal tentare vie alternative; viceversa, potrebbe essere indotto a farlo qualora non avesse certezza alcuna e non potesse neppure ipotizzare il momento in cui verrà il suo turno.
Un altro punto fondamentale rispetto al meccanismo di controllo dei flussi deriva dall'osservazione per cui la gran parte delle occupazioni che oggi in Italia assorbono manodopera straniere hanno a che fare, per esempio, con i servizi di cura alla persona, la collaborazione familiare, l'assistenza domiciliare agli anziani; questi lavori necessitano perché possa stabilirsi il rapporto di lavoro di un incontro diretto, di un rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore. La sola previsione di una lista di prenotazione nel paese di provenienza in cui il potenziale immigrato possa iscriversi non è sufficiente a garantire il verificarsi di questo incontro diretto; l'unico modo per garantirlo nasce dalla possibilità per l'aspirante lavoratore di cercare occupazione sul posto, cosa fondamentale per tutti questi lavori che - ripeto - necessitano di un rapporto di fiducia.
Proponiamo pertanto che, una volta istituite queste liste all'interno della programmazione effettuata dal Governo - lo strumento viene comunque lasciato all'esecutivo, non ad una libera decisione del migrante - con l'individuazione della quota di lavoratori necessaria a colmare il fabbisogno di manodopera in Italia non saturato dalla manodopera residente, soprattutto per quei lavori che necessitano di un incontro diretto sul posto tra domanda ed offerta di lavoro venga consentito l'ingresso dei lavoratori iscritti nelle liste fino al raggiungimento della quota sulla base della semplice richiesta di visto d'ingresso,


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quindi non di una preventiva autorizzazione al lavoro; questo presuppone un'operazione attiva da parte del datore di lavoro il quale dovrebbe scegliere un lavoratore che non conosce, rispetto al quale non saprebbe se si rivelerà adeguato, per esempio, alla mansione di collaboratore familiare.
Ripeto: liste e possibilità di ingresso sulla base della semplice richiesta di visto all'interno delle quote programmate. Lo strumento resta comunque in mano al Governo, ma di fatto consente sul posto un incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro.
Per quanto concerne i meccanismi di garanzia, la tutela rispetto ai provvedimenti di allontanamento dal territorio dello Stato, considererò rapidamente i due aspetti delle espulsioni e dei respingimenti. Sul primo punto, temiamo fortemente che venga ridotto in modo drastico lo spazio di discrezionalità lasciato alla pubblica amministrazione. Il provvedimento di espulsione è estremamente grave, naturalmente in molti casi può essere necessario, ma è fondamentale che vi sia certezza di diritto, che non sia lasciato alla pubblica amministrazione uno spazio di discrezionalità legato ad una cattiva definizione delle norme.
In particolare, a noi sembra debba essere fortemente ridotta la previsione della possibilità di espulsione per motivi di prevenzione, di un provvedimento adottato sulla base di un sospetto, non di una condanna e neppure di un procedimento penale avviato. Nel disegno di legge n. 3240 questo aspetto non sembra sufficientemente bilanciato da opportuni meccanismi di ricorso, di tutela giurisdizionale; resta quindi uno strumento di grave discrezionalità a carico di persone che non avrebbero modo di difendersi.
Mentre il disegno di legge giustamente prevede la possibilità di ricorso per qualunque espellendo, non sembra tutelata a sufficienza la sua effettività. Chiediamo quindi che venga considerata la necessità di consentire a tutti gli espellendi un ricorso effettivo sul posto, prima che l'allontanamento abbia avuto luogo, laddove nel disegno di legge è previsto che in certi casi, sulla base di un semplice sospetto da parte del prefetto, lo straniero possa essere allontanato e possa poi presentare ricorso dalla rappresentanza diplomatica del paese di destinazione. Tale ricorso a nostro parere non è assolutamente effettivo, intervenendo ad espulsione di fatto, a sradicamento già avvenuto; poiché tale sradicamento connesso all'espulsione può interferire con i diritti fondamentali di tutela dell'unità familiare, del diritto d'asilo, questa previsione ci sembra grave.
Chiediamo che venga riconosciuto il diritto di ricorso sul posto, che, laddove la persona debba essere accompagnata direttamente alla frontiera, la presentazione dello stesso comporti la sospensione immediata del provvedimento e che si adottino le misure opportune di sorveglianza di pubblica sicurezza (fino ad arrivare alla custodia prevista dal disegno di legge) ma con un'opportuna graduazione a seconda dell'effettivo rischio di sottrazione da parte dello straniero al provvedimento di espulsione.
Un altro aspetto fondamentale relativo al ricorso opportunamente affidato al pretore - già nel disegno di legge è previsto un giudizio di merito - riguarda l'opportunità che quest'ultimo nella formulazione del giudizio tenga conto non solo della tutela dei diritti fondamentali della persona (in relazione, per esempio, al diritto d'asilo, all'unità familiare, al diritto alla salute dello straniero da allontanare) ma anche dell'effettiva congruità del provvedimento in relazione alle condizioni reali di inserimento. Può succedere che, per ragioni che esulano dalla possibilità di essere definiti nell'ambito di una casistica precisa, lo straniero da espellere legittimamente sulla base della mancanza del documento, del titolo di soggiorno sia di fatto così radicato nel territorio, per esempio per una presenza estremamente prolungata, che il suo sradicamento si tradurrebbe in un danno per la stessa società di accoglienza. In tal caso il pretore dovrebbe considerare inapplicabile il provvedimento.
Il disegno di legge non prevede la necessità di attribuire un permesso di sog


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giorno in tutti quei casi in cui lo straniero sia inespellibile: un permesso di soggiorno senza durata quando lo straniero appartenga ad una delle categorie inespellibili previste nel disegno di legge, un permesso di soggiorno anche in quei casi in cui l'accompagnamento per una qualunque ragione non possa avvenire entro i termini previsti dalla legge. In tale circostanza lo straniero non dovrebbe restare in una sorta di limbo, ma godere del rilascio di un permesso di soggiorno opportuno, per esempio temporaneo che gli consenta di badare al proprio sostentamento. Tutto questo è somigliante a quanto previsto nella legislazione vigente in Germania, dove, scaduti i termini per la custodia che in quel paese sono molto lunghi, la persona viene rilasciata, ottiene un permesso di soggiorno e può badare al proprio sostentamento.
Rispetto al respingimento, che avviene non sul territorio dello Stato ma alla frontiera per cui rischia di essere sottratto ad un effettivo controllo giurisdizionale, è nostra preoccupazione che tale provvedimento non interferisca con il principale dei diritti riguardanti lo straniero potenzialmente respinto, ossia il diritto d'asilo. Perché questo avvenga è necessario che il provvedimento di respingimento non si configuri mai come un provvedimento sommario e di massa, ma individuale, impugnabile. Perché questo sia garantito è fondamentale che allo straniero che si approssima alla frontiera ed intende entrare in Italia dai valichi autorizzati sia consentito l'accesso a centri di orientamento, già previsti dalla legge Martelli, che lo informino dei suoi diritti ed eventualmente offrano assistenza per la presentazione di ricorsi. Occorre peraltro tener presente che lo straniero spesso non è in grado di comprendere il provvedimento al quale è stato assoggettato e che non è in grado di farsi comprendere perché non parla la lingua italiana.
Un altro aspetto importante per evitare che il diritto d'asilo subisca un'interferenza da parte dei soggetti terzi è la previsione dell'attribuzione di oneri per il rimpatrio a carico del vettore che trasporti uno straniero da respingere. Questa norma è stata evidentemente inserita nel tentativo di rendere conforme la legislazione italiana alla convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen. Tale accordo, infatti, prevede espressamente che l'attribuzione di oneri a carico del vettore non debba interferire con il diritto d'asilo. Se però si attribuiscono oneri al vettore in qualunque caso di respingimento, questi eserciterà uno screening preventivo ed impedirà l'imbarco allo straniero privo o sospetto di essere privo dei documenti opportuni per l'ingresso. In tal modo risultano danneggiati anche gli stranieri che potrebbero entrare legittimamente in Italia, pur non avendo i documenti in regola, per esercitare il loro diritto d'asilo. Il punto che poniamo è che gli oneri a carico del vettore dovrebbero essere previsti solo in caso di mancata segnalazione alle autorità di frontiera da parte del vettore della presenza a bordo di stranieri privi della documentazione opportuna, in modo che al vettore sia affidato un compito freddo, che possa essere assolto senza bisogno din interferire nella decisione se accogliere o meno la persona a bordo: il vettore si deve limitare a segnalare la presenza di persone - diciamo così - sospette a bordo, senza impedirne l'accesso a bordo, evitando cioè di esercitare un ruolo che è invece demandato alla commissione nazionale per l'asilo, che è ovviamente istituzione ben più importante del vettore.
L'ultimo punto sul quale ci è stato chiesto di esprimere il nostro parere è quello relativo alle condizioni di vita e di integrazione degli stranieri in Italia. Rispetto al testo del disegno di legge al riguardo ci preoccupano alcuni aspetti. In particolare, non sembra definita con sufficiente chiarezza dal provvedimento e sembrano demandati al regolamento d'attuazione (inaccettabilmente, a nostro parere) gran parte dei criteri per il rilascio e per il rinnovo dei permessi. Questo elemento toglie certezza del diritto allo straniero. Con specifico riferimento al rinnovo, lo straniero rischia di non conoscere i requisiti che gli verranno richiesti per il rinnovo, e comunque tali requisiti rischiano di essere


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sottratti alla definizione di legge e di essere demandati al regolamento, mentre andrebbero chiariti già nell'impianto normativo.
È noto che uno dei punti qualificanti del disegno di legge è d'istituzione della carta di soggiorno, che è per lo straniero lungamente residente documento della massima importanza perché rende molto più stabile la sua condizione. Nel testo del disegno di legge non è definito con chiarezza il requisito per il rilascio della carta di soggiorno. Si parla di un pregresso soggiorno regolare di sei anni, ma non è chiaro di quale permesso di soggiorno debba essere titolare lo straniero per poter ottenere il rilascio della carta; ci si riferisce in particolare alla titolarità di un indefinito permesso rinnovabile a tempo indeterminato, permesso la cui esistenza è esclusa dalle restanti disposizioni del disegno di legge.
Un altro aspetto importante riguarda la stabilità del soggiorno, ed in particolare le previsioni relative alla revoca dei permessi o della carta di soggiorno. Evidentemente la revoca della carta è un provvedimento che rischia di interferire gravemente con la stabilità e con la sicurezza del soggiorno dello straniero. In particolare secondo noi va rimossa la previsione relativa alla revoca del permesso di soggiorno che consente il provvedimento di revoca quando vengano a mancare, anche improvvisamente, i requisiti che hanno consentito il rilascio del permesso. Non dimentichiamo che tra tali requisiti è compreso quello del reddito. Questa previsione allora si tradurrebbe in una destabilizzazione del soggiorno non appena per qualunque motivo allo straniero venga a mancare il reddito, anche occasionalmente, per esempio per la perdita del posto di lavoro; si tradurrebbe quindi in un aggravio della situazione dello straniero che perda il posto di lavoro. Viceversa, a nostro parere, il controllo sul requisito del reddito va semmai spostato alla fase del rinnovo del permesso, ma con certezza di previsione, rendendolo un meccanismo che non consenta l'interferenza temporanea e sporadica di un provvedimento di questo genere.
Nel disegno di legge è previsto che la carta di soggiorno possa essere revocata non solo in caso di condanna ma per il semplice avvio di un procedimento penale anche per reati non gravi. A nostro parere in questa norma va modificata drasticamente prevedendo che la carta di soggiorno possa essere revocata solo per reati particolarmente gravi e non, per esempio, per il danneggiamento aggravato, che non è reato che possa far privare la persona del diritto di voto amministrativo; ciò rischierebbe di creare un'interferenza con la titolarità di un diritto di voto che è evidentemente cosa che interessa tutta la collettività. La nostra osservazione è che la revoca della carta di soggiorno dovrebbe essere prevista solo a seguito della condanna definitiva a pene detentive gravi, per esempio non inferiori a due anni di reclusione, e non alla semplice condanna in primo grado o addirittura al semplice avvio di procedimento penale anche per reati meno gravi.
Per consentire un più pieno inserimento di molti degli stranieri presenti in Italia, spesso molto qualificati sul piano culturale, ed anche per consentire alla società di modificare positivamente l'immagine che ha dello straniero, che spesso è associata a persona in condizione precaria, è secondo noi fondamentale prevedere - come viene fatto in alcuni casi dal disegno di legge - la possibilità di iscrizione negli albi professionali e di svolgimento delle professioni per quegli stranieri che abbiano conseguito un titolo di studio in Italia ovvero che lo abbiano avuto legalmente riconosciuto dallo Stato italiano. Attualmente il disegno di legge prevede questa possibilità soltanto per le professioni di carattere sanitario. A nostro parere questo è un avanzamento talmente importante rispetto alla normativa attuale che andrebbe esteso a tutte le professioni e la disposizione che lo prevede andrebbe trasformata da norma transitoria a norma a regime.
Andrebbe peraltro esplicitamente ridimensionata la previsione di un regime di reciprocità, che è imposta dall'articolo 16 delle preleggi, per l'accesso ai diritti civili. Se si tiene conto che tra i diritti civili fini


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scono per rientrare tutte le possibilità di accesso a forme di assistenza, all'assegnazione di borse di studio, all'attribuzione di provvidenze, per esempio per gli invalidi, si comprende che questa norma di fatto, lungi dal tutelare i cittadini italiani in paesi nei quali questi non mettono piede o se lo fanno non hanno bisogno di assistenza sociale, rischia di costituire un grave danno per lo straniero. Da una lettura del disegno di legge sembra che questa norma sia rimossa ma non se ne prevede l'abrogazione esplicita; la nostra raccomandazione è che sia esplicitamente abrogata almeno per l'accesso ai diritti civili.
Termino osservando che il disegno di legge non prevede una normativa sull'asilo. Questo è frutto di una scelta particolare, perché nulla impedisce che siano varati due provvedimenti distinti uno sull'immigrazione e uno sull'asilo. Vorremmo però fare osservare che nel testo del disegno di legge molte volte si fa riferimento all'asilo umanitario, mentre non sembra che nel disegno di legge sull'asilo sia previsto tale istituto che a nostro parere è fondamentale perché darebbe piena attuazione al dettato costituzionale. Così pure non sembra che le norme presenti nel disegno di legge sull'immigrazione, relativamente al respingimento, siano sufficientemente coordinate con una riforma del diritto di asilo. All'istituto del respingimento dovrebbe essere prestata una attenzione molto maggiore.
La Commissione sta esaminando congiuntamente diverse proposte di legge collegate al disegno di legge del Governo. Alcune di queste proposte, ad esempio quelle presentate dai deputati Masi, Jervolino Russo ed altri, hanno carattere di proposta organica e recepiscono tutte le osservazioni da noi presentate. Quindi, la raccomandazione che facciamo, anche se in forma non usuale, è quella di tener conto delle proposte giacenti in Commissione perché al loro interno possono essere individuate le soluzioni più opportune per i problemi più rilevanti relativi a questa riforma.

DINO FRISULLO, Rappresentante dell'associazione «Senza confine». L'ampia esposizione di Briguglio mi consente di sorvolare su molti passaggi tecnici e di intervenire su alcuni elementi di filosofia generale.
Ho vissuto la gestazione della legge Martelli, nell'ambito della quale vi è stato un ampio confronto sociale con l'associazionismo, i sindacati e le forze politiche, che si è protratto nella prima fase di gestione della normativa. Questo confronto oggi è mancato e l'odierna audizione sana una carenza. Tuttavia la pratica che hanno sviluppato in questi anni le associazinoi di volontariato, gli enti locali, la società civile organizzata è stata talmente ampia che non ha potuto non riflettersi nei testi di legge che state esaminando, sia nel disegno di legge, sia nelle proposte citate da Briguglio, sia in testi provenienti da direzioni politiche diverse. In qualche modo la nostra pratica, le nostre elaborazioni e le nostre proposte sono dentro quest'aula, però un confronto organico avrebbe potuto dimostrare che noi non siamo il partito dei buonisti, come qualcuno ci ha etichettato, o la lobby degli immigrati; probabilmente sarebbe stato possibile - cercherò di evidenziarlo con qualche esempio - dimostrare che noi siamo invece il partito del buonsenso, basato su una pratica sociale concreta, cioè su soluzioni concrete a problemi che altrimenti, assunti nella loro astrattezza, sono insolubili.
Un altro dato da sottolineare è che le soluzioni che noi proponiamo sono totalmente unitarie. L'associazionismo religioso e quello laico di orientamenti politici diversi sono assolutamente omogenei e lo sono anche con la gran parte, o almeno con quella più avanzata, degli enti locali. Ciò è estremamente importante nell'ipotesi di un decentramento - che auspichiamo - di gran parte delle competenze relative alle politiche di immigrazione.
Pensiamo, per esempio, alla questione dei flussi di immigrazione. Una legge sull'immigrazione si giudica da come si entra, da come si esce e da come si sta in un paese; il resto è contorno, anche se importante (penso alle norme di garanzia contro


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le discriminazioni e ad alcune norme di tutela contenute nel testo governativo). Sul primo punto Sergio Briguglio ha fatto alcune ipotesi: la chiamata nominativa come elemento aggiuntivo - perché presuppone una conoscenza reciproca tra domanda ed offerta di lavoro - rispetto ad un ingresso, per lavoro o per ricerca di lavoro, numerico, su base egualitaria e non strettamente vincolato agli accordi di reciprocità, anche perché l'Italia è il paese che ha un'immigrazione di fonte più diversificata (in Francia gli immigrati giungono da cinque o dieci paesi, mentre da noi arrivano da 150). Quindi, lo stretto vincolo agli accordi di reciprocità comporterebbe una forte discriminazione. L'ingresso in base ad una quota numerica è l'unico modo per prevenire la clandestinità alla quale noi - come credo voi - siamo fermamente contrari.
Occorre dare all'aspirante immigrante la possibilità di sperare in un ingresso legale, magari non subito, inserendosi in un meccanismo automatico, in una graduatoria basata anche su competenze e professionalità, ma in primo luogo sulla volontà soggettiva di immigrare per avere un futuro diverso, senza necessariamente conoscere in anticipo la propria destinazione. Occorre evitare che l'immigrante ricorra ai canali speculativi o comunque separati e separanti che conosciamo e si affidi ai mercanti.
Molti di noi ed io personalmente abbiamo denunciato alla magistratura i mercanti e siamo contro la clandestinità e contro il mercato dei clandestini. Tuttavia sappiamo che, come avviene per ogni proibizionismo, il divieto crea il mercato clandestino e viceversa la legalizzazione dell'esistente e l'apertura di canali legali per il futuro rappresentano l'unico elemento di prevenzione.
Immaginiamo un sistema, che in parte c'è ed in parte è innovativo, nel quale vi siano i terminali nelle ambasciate. Quando ne discutevamo due-tre anni fa, immaginavamo addirittura una agenzia per l'immigrazione, come esiste in America e in altri paesi, articolata nei consolati e nelle regioni, che segua il percorso migratorio. Mi riferisco ad un sistema che abbia terminali e sensori nei consolati e nelle amministrazioni dello Stato e che riesca a quantificare la potenziale domanda di lavoro dipendente e autonomo, senza discriminazione. Come è mobile il percorso lavorativo dell'italiano, tanto più lo è quello di un immigrato appena arrivato in un paese e che non conosce ancora il suo futuro. Parlo di un meccanismo in cui sia possibile quantificare gli ingressi potenziali per ricerca di lavoro e quindi sia possibile far venire l'immigrato, fargli conoscere il paese, aiutarlo ad inserirsi nel mercato del lavoro, nei limiti del possibile (so bene quanto non funzionino i meccanismi di inserimento nel mercato del lavoro anche per i cittadini italiani) e seguire questo percorso. A fronte del suo eventuale fallimento, bisognerebbe dare delle alternative; qui potrebbero rientrare gli accordi bilaterali, gli accordi di cooperazione e i progetti in base ai quali anche chi non riesce ad inserirsi nel mercato del lavoro può formarsi ed essere utile nel momento in cui rientra nel suo paese.
Oggi l'espulsione coatta è l'unica risposta sia al criminale sia a chi è venuto e ha fallito. È previsto lo stesso tipo di sanzione, mentre proprio la congruità della sanzione è un cardine di qualsiasi ordinamento giuridico. Anche quando l'espulsione non si configura come sanzione penale, lo è di fatto perché è talmente drastica da spezzare un'esistenza, magari collettiva perché spesso la vita dell'immigrante è legata a quella di una collettività o di una famiglia.
Questo mi consente di entrare nel merito della vexata quaestio delle espulsioni. Le proposte avanzate da Sergio Briguglio hanno una loro coerenza; vedevo alcuni segni di scetticismo da parte di qualche parlamentare, perché quello che potrebbe sembrare da parte nostra un eccesso di garantismo fa pensare alla figura del difensore degli immigrati tout court, ma così non è.
L'inefficacia delle espulsioni dipende dall'inflazione delle stesse, esattamente come l'inflazione della pena carceraria - la Commissione in questi giorni sta discu


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tendo dell'argomento - ne riduce il potere deterrente e rende ingestibile sia il sistema giudiziario sia il circuito carcerario. Quando un paese si propone di espellere 30-40-50 mila persone all'anno, è del tutto evidente che questo non avverrà; quando un paese - così come previsto, purtroppo, nel progetto di legge che state assumendo come testo base - mette sullo stesso piano chi ha ritardato il rinnovo entro sessanta giorni del permesso di soggiorno, chi non ha dato contezza di sé (si diceva un tempo) entro otto giorni dall'ingresso, chi è incorso in una delle ipotesi delittuose, chi non abbia conservato i requisiti iniziali per il permesso di soggiorno, chi non abbia potuto dare evidenza delle fonti del suo reddito, chi dia adito a sospetti di determinati comportamenti, mette sullo stesso piano tutte queste fattispecie, per cui dal loro insieme viene fuori una massa di potenziali espulsioni di questa entità, è evidente che queste non saranno eseguite.
L'espulsione deve essere una misura estrema ed efficace, così come la pena carceraria, e rappresentare quindi un deterrente. Perché abbia questi requisiti occorre un potere discrezionale, la valutazione da parte di un'autorità che non può non essere quella giudiziaria - in questo senso valutiamo positivamente l'inserimento della figura del pretore - della congruità della sanzione e quindi anche la possibilità di alternative; altrimenti, che sorta di esame è mai questo?
Abbiamo in Italia una situazione per cui ad ogni rifugiato politico ne corrispondono tre che sono nel limbo; i casi di inespellibilità, a parte la fattispecie dell'asilo, hanno creato migliaia di altri abitatori di questo limbo, una zona grigia in cui persistono quelli che per diversi motivi - per esempio la clausola del non refoulement, ma anche motivi umanitari - non possono essere espulsi e tuttavia non vengono regolarizzati. Sarebbe assurdo estendere questo limbo; tra l'altro, un passaggio del decreto Dini prevedeva che il magistrato potesse indicare alla questura nel caso di valutazione della non congruità della misura espulsiva la necessità che lo straniero restasse nel territorio e quindi implicitamente - si doveva desumere - dell'attribuzione del permesso di soggiorno.
Un meccanismo di questo genere unito all'ipotesi di legalizzazione non emergenziale - anche noi non amiamo le sanatorie, anche se spesso sono indispensabili; l'ultima è stata nel Canada, che non è un paese molto permissivo - su base umanitaria (umanitaria in senso lato; penso all'ipotesi Jospin di questi giorni, l'ipotesi in cui la misura dell'integrazione sociale viene considerata prevalente rispetto allo status giuridico in senso stretto del soggiorno), alla discrezionalità del giudice sull'incongruità dell'espulsione, alla possibilità di alternative, e quindi di attribuzione del permesso di soggiorno, all'attribuzione dello stesso nei casi di inespellibilità per le ragioni più diverse (umanitarie o di protezione), all'inserimento a regime - ogni quattro-cinque anni sarebbe un periodo di purgatorio più che sufficiente; non dico ogni anno, perché altrimenti si svuoterebbe del tutto l'ipotesi di canali di ingresso legale - della possibilità di verifica (l'articolo 2 della legge Martelli conteneva una previsione del genere) e quindi di possibile emersione della clandestinità frizionale presente in tutti i paesi in cui c'è immigrazione, consentirebbe di sottrarre all'espulsione la gran parte delle situazioni che possono avere una risposta diversa e lasciare alla sanzione dell'espulsione la sua efficacia nei casi determinati che creano allarme sociale e pericolosità.
A noi sembra una filosofia, ma anche una pratica, non solo di buon senso, ma anche di coerenza con alcuni elementi di garantismo, di revisione del sistema penale e carcerario, della democrazia di questo paese, che sia in sede di Commissione bicamerale sulle riforme istituzionali sia nel Parlamento voi state ponendo. Mi domando per quale motivo gli stessi principi non dovrebbero essere applicati nella revisione della legge sugli stranieri.
Da questa filosofia discende l'esclusione dell'espulsione per semplice sospetto, tanto più quando si parla di persone in possesso di carta di soggiorno, stabilizzate, che dovrebbero avere certezza della loro permanenza sul territorio, l'esclusione di


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quelle fattispecie di espulsione che sono state già invalidate o sottoposte a rischio di invalidazione da parte della Corte costituzionale. Attenzione a non approvare una legge che, magari dopo un percorso parlamentare di un anno, venga «azzoppata» da una sentenza della Corte costituzionale; sarebbe una pessima figura per il Parlamento ed il paese. Ci sono precedenti da questo punto di vista, rispetto, per esempio, all'illiceità dell'espulsione dopo una sentenza di condanna non definitiva, all'illiceità dell'espulsione conseguente ad un patteggiamento, non equivalente nel nostro ordinamento ad una condanna; potrei continuare con gli esempi. Credo che considerare questi limiti, redigere una legge costituzionalmente corretta sia assolutamente imprescindibile, tanto più se nei primi articoli si inserisce un principio generale di parificazione dei diritti.
Procedo molto più rapidamente...

PRESIDENTE. Ecco, per cortesia: abbiamo un problema di tempi nello svolgimento del nostro lavoro.

DINO FRISULLO, Rappresentante dell'associazione «Senza confine». Introduco solo due elementi. Per quanto riguarda il controllo di pubblica sicurezza - devo essere sincero - il testo del Governo ci sembra più restrittivo della legge vigente e quindi contraddittorio nel momento in cui intende prefigurare un percorso di cittadinanza, un percorso che abbia certezza dei diritti e dei doveri, e coerenza nelle tappe successive in crescendo dell'integrazione sociale.
Intanto un percorso di cittadinanza deve sboccare nella cittadinanza, mentre questa legge non interviene sull'istituto della cittadinanza. In secondo luogo il percorso di cittadinanza non può essere un percorso ad ostacoli, mentre il testo del disegno di legge ma anche altri testi di legge all'esame di questa Commissione seminano di ostacoli questo percorso, a cominciare dalla verifica permanente della congruità del reddito dove di fatto si inverte l'onere della prova.
Le associazioni di volontariato nel rapporto con i diversi governi che si sono susseguiti hanno incontrato, nel momento cruciale della vita dell'immigrato che è il rinnovo del permesso di soggiorno, vari ostacoli che hanno ricacciato nella clandestinità oltre la metà degli stranieri regolarizzati dalla legge Martelli: molti di coloro che sono riemersi con il decreto Dini sono quelli che erano emersi nel 1990 e poi sono stati ricacciati nella clandestinità dalle restrizioni in sede di rinnovo. Risulterebbe incoerente il percorso di cittadinanza se si rendesse permanente il controllo della pubblica sicurezza sulla vita dell'immigrato con l'ipotesi non solo del diniego ma anche della revoca permanente del titolo di soggiorno, ed addirittura della carta di soggiorno, in una misura estremamente ampia di casi; la situazione verrebbe peraltro aggravata dall'ipotesi (che farebbe scoppiare le carceri) di reato di clandestinità di fatto attraverso la grave penalizzazione per assenza di documenti e perrientro dopo l'espulsione.
Dicevo che il percorso di cittadinanza eve sboccare nella cittadinanza. È di un mese fa la risposta del Ministero dell'interno ad una interrogazione posta un gruppo di cittadini curdi di Firenze che da quindici anni stanno in Italia, che hanno figli in Italia, che sono professionisti. Hanno chiesto la cittadinanza italiana, che è stata loro negata sulla base del fatto che l'attribuzione della cittadinanza è assolutamente discrezionale. La risposta del ministero dell'interno è stata in effetti del seguente tenore: «Il Consiglio di Stato ci ha confermato che in base alla nostra legislazione l'attribuzione della cittadinanza è discrezionale». Non c'è dunque in Italia nessuna certezza, a differenza di altri paesi, in primis la Francia, e non sotto Jospin ma sotto Chirac.
La riforma di quella che a nostro parere è stata una controriforma nel 1992, della legge sulla cittadinanza, che ha pericolosamente introdotto per la prima volta lo ius sanguinis nel nostro ordinamento, è uno degli elementi di coronamento di una legge civile sull'immigrazione, con la previsione fra l'altro l'ipotesi di doppia cittadi


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nanza, esattamente come noi la prevediamo per i nostri emigranti, ovvero non ponendo gli immigrati che aspirano alla cittadinanza italiana nella lacerante situazione di dover tagliare le proprie radici per acquisirne altre. Su questo tema da una parte delle associazioni si sta promuovendo una legge di iniziativa popolare. Sappiamo bene che arriverà a ricasco dell'iniziativa parlamentare e che quindi la raccolta di firme ha un mero valore simbolico; cercheremo di tradurla anche in emendamenti aggiuntivi al vostro testo in modo che anche questo elemento sia presente.
Dovrebbe essere presente anche l'elemento delle competenze. In coerenza con quello che dicevo prima sulla civiltà del percorso, una parte dell'associazionismo (su questo aspetto vi sono pareri diversi anche fra di noi perché intravediamo anche i rischi, ma tutte le operazioni di civiltà presentano rischi) ha avanzato l'ipotesi di un trasferimento del grosso delle competenze sul soggiorno agli enti locali. Questa proposta, che è supportata da moltissimi comuni (l'ANCI nazionale ne ha dato un parere di massima favorevole), prevede il trasferimento di tutte le competenze sul soggiorno, previo ovviamente controllo di sicurezza. Non è possibile introdurre in una legge norme contro la discriminazione senza tener presente che l'apartheid viene inserita prima di tutto nelle coscienze dal semplice fatto che un cittadino italiano ed uno straniero devono rivolgersi ad uffici, sportelli e personale diversi per le stesse ragioni di vita quotidiana. Oggi la vita degli immigrati fa riferimento alle questure per tutte le questioni di vita individuale e collettiva. In via subordinata si potrebbe ipotizzare che agli enti locali siano affidate almeno le competenze sul soggiorno dopo il rilascio (il rinnovo, la verifica del domicilio, il ricongiungimento e quant'altro). Immaginate che misura di civiltà sarebbe, non foss'altro perché le associazioni del volontariato possono conoscere le circolari che regolano la vita di un milione di persone in modo non sempre ufficiale e sicuramente con grande ritardo, cosa che non avverrebbe in quella casa di vetro che dovrebbero essere e sicuramente sono gli enti locali.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano svolgere considerazioni o porre quesiti.

DOMENICO MASELLI. Su due argomenti essenziali vorrei porre due domande brevi che richiedono risposte altrettanto brevi. Pensate che ci sia una soluzione al problema degli stagionali? Come ritenete di organizzare con un'anagrafe chiara l'eventuale entrata per ricerca di lavoro?

ANNEMARIE DUPRÉ, Rappresentante della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Nel ringraziare ancora per questa occasione, rispondo subito alla prima domanda rilevando che da anni abbiamo avanzato una proposta ben precisa e abbastanza semplice. Il lavoro stagionale è importantissimo per l'Italia ed anche per molti paesi da cui provengono i lavoratori immigrati. La proposta più semplice per far sì che queste persone lascino il paese appena scade il loro permesso di soggiorno è quella di garantire loro di poter tornare l'anno successivo.
Come associazione non vogliamo assumerci alcuna competenza legislativa, ma vogliamo solo contribuire con l'esperienza pratica che da anni abbiamo maturato sul lavoro stagionale. Finché il lavoratore stagionale aveva la possibilità di tornare regolarmente, come avveniva in Sicilia ma anche in altre zone del paese per certi lavori, questi tornava nel proprio paese. Con ciò si evitava di sovraffollare nelle altre stagioni i centri storici delle città con gente che ha paura di non trovare più lavoro l'anno successivo. D'inverno gli uffici delle associazioni di assistenza e di lavoro sociale sono intasati dai lavoratori stagionali che vorrebbero tornare nei loro paesi, come facevano in passato.
Propongo che all'altra domanda risponda la dottoressa Margonari e le chiedo, presidente, di consentirmi di consegnare un documento agli uffici perché venga allegato ai lavori dell'indagine conoscitiva.


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PRESIDENTE. Sta bene, il documento da lei consegnato verrà allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.

ELISABETTA MARGONARI, Rappresentante dell'ACLI. Sulla questione riguardante la possibile istituzione di un'anagrafe per il controllo, la gestione ed il rilascio dei permessi di soggiorno per la ricerca di un lavoro, di cui ha parlato ora l'onorevole Maselli, la risposta è quella data all'inizio dell'audizione dal dottor Briguglio. Deve essere data ciò importanza fondamentale alle liste di prenotazione depositate presso le rappresentanze consolari italiane o comunque le nostre rappresentanze all'estero dei vari paesi di provenienza. Questo darebbe garanzia sui possibili percorsi da seguire cui si è fatto riferimento prima. È stata, infatti, sottolineata l'importanza dell'anzianità di iscrizione rispetto alla possibilità del rilascio del permesso di soggiorno per la ricerca di un lavoro, ma a ciò deve aggiungersi però la possibilità di seguire le persone che intraprendono tale percorso all'interno del territorio dello Stato italiano. Questo significa avere la possibilità di disporre di un sistema di agenzie decentrate per individuare innanzitutto le eventuali offerte di lavoro (che possono servire anche alla definizione delle quote originarie per il rilascio dei permessi) che possono essere soddisfatte dall'ingresso di cittadini stranieri. Il fine è quello di consentire l'inserimento degli immigrati in una realtà lavorativa, offrendo anche assistenza, laddove sia necessaria. Nella prima fase di ingresso nel nostro paese, il soggetto deve essere il più rapidamente possibile inserito nel mondo del lavoro, perché questo garantisce allo stesso Stato di non sopportare oneri per il suo sostentamento. Lo stesso disegno di legge n. 3240 prevede la sponsorizzazione di lavoratori da parte di privati. In realtà riteniamo che essa comporti rischi molto alti e la eventualità di discriminazioni per quanto riguarda l'ingresso di immigrati, perché questo tipo di sponsorizzazione potrebbero trasformarsi in un canale di illegalità, mentre invece sarebbe molto importante che diventasse una sorta di sostegno da parte dello Stato, il quale dovrebbe stabilire le quote di cui può farsi carico e, una volta fissate, dovrebbe sostenerle fino in fondo attraverso le liste di prenotazione, il sistema delle agenzie o comunque il supporto delle singole regioni, garantendo una prima forma di assistenza finalizzata all'inserimento lavorativo.

PRESIDENTE. Per ragioni di tempo non posso purtroppo dare la parola al dottor Dotolo e al signor Cioffredi; vorrei tuttavia sapere se si riconoscono quantomeno nelle linee di fondo illustrate dai colleghi nei loro interventi.

GIAMPIERO CIOFFREDI, Rappresentante dell'ARCI-Solidarietà. Abbiamo dato mandato di rappresentarci al dottor Briguglio la cui esposizione ci soddisfa pienamente.

ANNEMARIE DUPRÉ, Rappresentante della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. A conclusione di questo incontro, consegno alla Commissione materiale documentale utile ai fini dell'indagine conoscitiva sui temi dell'immigrazione.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti, pregandoli di non scoraggiarsi per la limitata presenza di colleghi parlamentari, perché dell'audizione odierna viene redatto resoconto stenografico e chiunque sia interessato potrà prendere visione del contributo che ci avete fornito.

Audizione di rappresentati dell'Associazione nazionale comuni d'Italia (ANCI).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni d'Italia (ANCI).
Sono presenti l'assessore alle politiche sociali del comune di Roma, dottor Amedeo Piva, l'onorevole Antonio Lia, presidente dell'ANCI-Puglia, il dottor Pietro Floriani, sindaco di Pisa ed il dottor Carlo Macaluso, assessore del comune di Pisa.
Vorrei pregare i nostri ospiti di non scandalizzarsi, mi rivolgo in particolare all'onorevole Lia che nella passata legisla


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tura è stato membro della Camera, per la scarsa presenza di colleghi parlamentari. Ciò non toglie nulla al contributo che darete ai nostri lavori, perché della seduta odierna viene redatto resoconto stenografico, che è a disposizione di tutti.
Come sapete, la Commissione ha deliberato un'indagine conoscitiva sui temi dell'immigrazione e stiamo cercando, attraverso una breve, ma si spera intensa e certamente utile serie di audizioni, di acquisire tutti gli elementi possibili.
Fra gli organismi istituzionali che vengono a contatto con la condizione di vita degli immigrati, gli enti locali sono quelli esposti in prima linea. Ci interessa, pertanto, ascoltare la vostra esperienza ed eventuali vostri suggerimenti, ringraziandovi se vorrete integrare l'esposizione orale - qualora lo riteniate utile - con materiale documentale.
Do ora la parola al dottor Lia.

ANTONIO LIA, Presidente dell'ANCI-Puglia. Ringrazio il presidente e la Commissione per aver dato luogo all'incontro odierno, che è molto importante soprattutto in questo periodo.
A nome dell'ANCI nazionale desidero precisare alcuni punti del problema. Abbiamo esaminato con attenzione il testo del disegno di legge n. 3240 e il tentativo di interessare gli enti locali è certamente un fatto importante e innovativo, soprattutto se vogliamo rispettare, come prevede l'articolo 3 del suddetto provvedimento, le funzioni degli enti locali ed il modo in cui dovranno intervenire. Purtroppo manca il tempo di poter esprimere un parere appropriato sull'argomento.
Colgo l'occasione per informare la Commissione che nella giornata di giovedì 10 luglio, i presidenti dell'ANCI di tutte le regioni d'Italia si sono dati appuntamento a Napoli per un incontro di coordinamento.
Come ben sapete, la questione degli immigrati è diversa da regione a regione. Se dovessi parlare della Puglia, mi rifarei all'esperienza degli albanesi, che i sindaci della regione hanno saputo accogliere adeguatamente, centrando il problema e dando risposte positive.
Dopo l'incontro di Napoli, nel corso del quale sottoporrò questo articolato e le note che scaturiranno dall'audizione, faremo pervenire alla presidenza della Commissione un documento che tratterà i vari aspetti del problema dell'immigrazione in tutte le regioni d'Italia.
Oggi con noi avrebbe dovuto essere presente il sindaco di Torino, Castellani, che in materia ha una certa esperienza. Sono presenti comunque il sindaco di Pisa e l'assessore Piva che potranno sicuramente dare un contributo importante e positivo sull'argomento.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Lia. Attendiamo il documento che ci ha annunciato.

PIETRO FLORIANI, Sindaco di Pisa. Ringrazio la Commissione per questa audizione nella quale si affronta un problema di grande interesse per gli enti locali, e soprattutto per le città che si sono trovate in situazioni di emergenza, come Pisa e l'intera Toscana che ha un interesse specifico sull'argomento non solo nelle sue sedi istituzionali ma anche nelle sedi associative (mi riferisco in particolare alle proposte di emendamento dell'ARCI, che saranno fornite alla Commissione).
Esprimerò il mio punto di vista come membro del consiglio nazionale dell'ANCI ma anche come espressione di una comunità locale che ha riflettuto, anche attraverso apposite associazioni che fanno parte della rete antirazzista nazionale, sugli elementi nuovi e sugli elementi critici ancora presenti nel disegno di legge all'esame del Parlamento.
Desidero far riferimento in particolare al rapporto tra immigrati e comunità entro le quali essi sono inseriti o si inseriscono, un rapporto che ha aspetti critici, anche perché la competenza di tutti gli atti relativi agli stranieri appartiene alle questure e quindi la funzione degli enti locali nell'accoglienza degli immigrati è praticamente nulla.


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Riteniamo che la concentrazione di tutti gli atti relativi agli immigrati nell'ufficio stranieri delle questure comporti il rischio di interpretare sostanzialmente il problema solo nell'ambito dell'ordine pubblico; è un rischio questo su cui è giusto riflettere. Purtroppo recenti episodi ancora in corso presso l'ufficio stranieri della questura di Pisa (sono stati incriminati alcuni funzionari) mostrano che la separatezza del lavoro sugli immigrati svolto solo da tali uffici può implicare - naturalmente non ci si può pronunciare su procedimenti giudiziari in corso: non è giusto e neanche legittimo - rischi evidenti. Alcuni sindaci italiani, fra cui quelli di Firenze e di Pisa, hanno firmato un documento che indica che il coinvolgimento delle comunità locali nella gestione del tema dell'immigrazione deve essere esaminato in senso positivo dal Parlamento, per eliminare la valenza esclusivamente di ordine pubblico del problema.
Mi riservo di far pervenire alla Commissione alcuni documenti - che non appartengono al comune di Pisa ma ad associazioni miste di immigrati - che riportano osservazioni puntuali su alcuni temi e sottolineano come la logica della separatezza del discorso dei diritti degli immigrati possa implicare il rischio dell'immersione in clandestinità anche di persone che hanno avuto a suo tempo il permesso di soggiorno o la carta di soggiorno, come più propriamente e umanamente si esprime il disegno di legge.
Il rischio reale per molti immigrati nel passaggio dalla condizione di minorità a quella di età adulta è quello dell'espulsione non giustificata da ragioni sostanziali o quello dell'immersione in clandestinità, che evidentemente provoca problemi di ordine pubblico.
Concluderei a questo punto il mio intervento, riservandomi di trasmettere alla Commissione la documentazione contenente una serie di proposte di emendamento formulate dall'ARCI e il risultato di studi effettuati dalla rete antirazzista.
Mi premeva sottolineare l'interesse delle comunità locali a svolgere un ruolo dopo l'entrata degli stranieri immigrati nel paese - che è giusto siano controllati da organi dello Stato - e a seguire la vicenda di persone alle quali vanno garantiti i diritti di cocittadinanza, che possono e debbono essere tenuti presenti anche nella formulazione del nuovo testo sull'immigrazione.

AMEDEO PIVA, Assessore alle politiche sociali del comune di Roma. Ringrazio la Commissione per questa audizione che dimostra il riconoscimento del ruolo importante che gli enti locali svolgono nella gestione dell'accoglienza dei nuovi cittadini.
Riteniamo particolarmente urgente una norma che permetta alle amministrazioni locali di operare più attivamente e con maggiore efficacia. Anche i 500 posti per l'accoglienza e i 400 centri per i minori che abbiamo a Roma rischiano di veder vanificato tutto l'impegno in mancanza di norme puntuali che consentano un governo d'insieme del problema dell'immigrazione.
Considero importantissimo il taglio del provvedimento, che gira intorno al riconoscimento di questa nuova cittadinanza, perché proprio dalla sua definizione possono discendere con linearità i diritti e i doveri; questo è a mio avviso un aspetto molto importante e apprezzabile.
Nel provvedimento viene messo in risalto il ruolo degli enti locali. Spero che nel dibattito o nei documenti che lo accompagnano siano dati anche indirizzi puntuali per i regolamenti; molto è infatti demandato ai regolamenti attuativi, per cui sarebbe opportuno discutere un po' di più sotto questo profilo.
I punti chiave riguardanti ovviamente l'ingresso e il rimpatrio mi sembra siano stati affrontati con coerenza e puntualità. Sarà importantissima la fissazione di vincoli affinché gli accordi con i vari paesi diventino fatti concreti, perché altrimenti la norma che stabilisce le modalità degli ingressi finisce per risultare inefficace.
Lo stesso impegno deve essere richiamato per il rimpatrio. Come amministrazione locali sentiamo questa problematica con particolare forza, perché vorremmo fosse delimitata quella forse a volte tacita


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accettazione, per cui una certa clandestinità viene tollerata, non per solidarietà, ma in quanto meno dispendiosa di un rimpatrio. Tale provvedimento è naturalmente faticoso per le risorse umane e finanziarie coinvolte, anche per una capacità organizzativa che le nostre istituzioni devono darsi a questo fine.
Quando parlo di clandestinità parlo anche delle relative conseguenze, delle ricadute sul lavoro nero, che provocano non soltanto preoccupazioni nell'ambito lavorativo ma anche grandissime contrapposizioni tra cittadini in un momento di difficoltà generalizzata nel trovare occupazione.
Rivolgo dunque un invito affinché la lotta alla clandestinità avvenga con grande attenzione e rispetto delle persone, ma anche dando gli strumenti operativi necessari ad evitare che queste previsioni si risolvano in grida manzoniane.
Sarebbe forse auspicabile una riflessione ulteriore sull'accesso alle professioni; si è superato il vincolo al lavoro dipendente, si dice qualcosa sui medici, ci sono anche altre professioni per le quali forse varrebbe la pena di creare meccanismi di accesso.
Considero molto positivo l'accenno alle norme riguardanti gli studenti. Penso sia un grandissimo impoverimento per il nostro paese il crollo di studenti stranieri, in particolare provenienti da paesi in via di sviluppo. Quasi non esistono più; lo studente proveniente da un paese in via di sviluppo è anche il primo grande tramite di dialogo politico ed economico con realtà per le quali la nostra attenzione è motivata non soltanto dalla solidarietà ma anche da alleanze politiche, strategiche ed economiche.
Condivido la scelta di un provvedimento separato per i rifugiati, che so essere in fase avanzata di elaborazione. Penso che il problema sia diverso; noi stiamo lavorando in questo ambito con modalità diverse.
Varrebbe forse la pena di trovare le modalità affinché nella legge sull'immigrazione ci sia un accenno, un articolo, un vincolo per creare un collegamento rispetto alla cooperazione internazionale. Bisognerebbe trovare i modi affinché le nuove norme, i nuovi indirizzi per la cooperazione internazionale trovino un aggancio con il problema dell'immigrazione. Questo serve per motivi di coerenza, se vogliamo di organizzazione, ma anche per suscitare un'attenzione rinnovata verso l'aiuto a quei paesi che sempre più si avverte come importante e si può anche trasmettere ai nostri concittadini quando lo si lega ad una solidarietà verso i loro paesi.
Ritengo infine sia giunto il momento per il nostro paese di fare un salto qualitativo, non so se in questo o in altri provvedimenti: ormai ci riconosciamo come paese multietnico, nessuno disconosce più questa nuova realtà. Essere un paese multietnico significa avere al proprio interno etnie diverse che vivono l'una accanto all'altra; vinceremo una scommessa se il nostro paese diventerà da multietnico multiculturale. Sarebbe importante un richiamo - non se sia possibile nella legge o altrove - in maniera che gli altri dicasteri possano dare un contributo al problema dell'immigrazione, che può essere risolto non soltanto con questa legge, ma cambiando l'atteggiamento dei vari ministeri.

MANLIO CONTENTO. Non me ne vogliano i colleghi, ma la presenza di un assessore di una delle città italiane più importanti non può non indurmi a rivolgere domande su un fenomeno come questo.
Se fosse in grado di dircelo, gradirei sapere quali problemi l'amministrazione comunale di Roma deve affrontare quotidianamente in relazione al problema dell'immigrazione.
Vorrei inoltre che precisasse meglio quel passaggio che lei ha testé fatto in cui affermava che una certa clandestinità è sostanzialmente accettata o tollerata perché spesso i meccanismi e, se non ho mal compreso, i costi per il rimpatrio sono di gran lunga più onerosi. Sotto questo profilo mi piacerebbe che specificasse ciò di cui lei è stato testimone, anche in relazione alle storture consentite dalla normativa vigente o alla mancata applicazione di


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disposizioni normative che dovrebbero essere rispettate.
Mi interesserebbe poi sapere da parte sua se esistano nella città di Roma fenomeni non tanto di intolleranza - non credo che nel nostro paese vi sia una cultura in tal senso - ma di tensione. Premetto che vengo da città del nord dove in alcune situazioni si sono creati fenomeni di tensione, di non perfetta integrazione da parte di extracomunitari o comunque di stranieri nei confronti del tessuto sociale e locale in particolare.
Un ulteriore aspetto che mi interessa particolarmente è chiarire quali problemi siano stati registrati dal suo assessorato in relazione al singolare fenomeno dei minori apolidi o, se preferisce, appartenenti alle comunità degli zingari che molto spesso vengono utilizzati in fenomeni molto vicini a quelli criminosi o vengono sfruttati, e per i servizi sociali non vi è nessuna possibilità di sapere di chi siano figli e chi li vada a recuperare posto che - per usare una formula impropria - evadono dalle strutture sociali cui vengono destinati in caso di temporaneo abbandono da parte di genitori esercenti la potestà. Vorrei sapere quale efficacia possa avere, soprattutto nei confronti dei minori extracomunitari o apolidi che dir si voglia, la tutela dei servizi e l'identificazione di quei genitori che sfruttano quotidianamente questi minori per attività a tutti note.
Per gli studenti sarebbe interessante la soluzione che lei ha prospettato, ma credo che sul problema si aprirebbe un dibattito molto lungo. Forse molti studenti non vengono in Italia perché hanno saputo della proposta del ministro Berlinguer di modificare la scuola. La mia è naturalmente una battuta.

PRESIDENTE. Considerazioni come queste a livello di battuta sono ben accette.

AMEDEO PIVA, Assessore alle politiche sociali del comune di Roma. Se permette, presidente, alla battuta vorrei rispondere con un'altra battuta riferita all'importante tema che mi è stato posto circa il livello di intolleranza della nostra città che ospita un così grande numero di immigrati. A me pare che l'atteggiamento di fondo della città, che peraltro presenta anche risvolti positivi, sia quello del linguaggio dei nostri figli, che normalmente dicono: «Nun me ne pò frega' de meno». Quindi, che accanto ci sia un compagno bianco rosso o verde, non li interessa affatto. Questo è il punto di partenza di una persona tollerante, però vicina all'indifferenza più che al rifiuto. Il problema nasce quando l'immigrato, il diverso, viene visto come antagonista; e ciò accade - lo ricordavo prima - nel momento della concorrenzialità del lavoro, ma anche nel momento in cui l'autobus è pieno. In questo caso dall'affermazione «nun me ne pò frega' de meno» si passa all'altra «perché ce so' tutti 'sti africani dentro l'autobus». Per superare questa fase e far sì che la città cambi in meglio occorre passare dall'indifferenza ad una cultura insieme.
Si sono verificati episodi di intolleranza, episodi gravi che vanno puntualmente isolati. Qualche tempo fa è stata pubblicata una statistica nazionale sugli atti di grave intolleranza e di violenza, dalla quale si evince che la nostra città è in quella fila; ritengo però che questo trofeo in negativo sia dovuto non tanto alla realtà di Roma, che ritengo altamente tollerante, quanto al grande sviluppo della cronaca nera nella nostra città. Siccome la statistica non si basava su altri dati se non su quelli pubblicati in cronaca dai giornali, è chiaro che da noi quelli di cronaca nera sono di più.
Bisogna agire con prontezza per limitare al massimo o eliminare del tutto la clandestinità tollerata, perché con le attuali norme ci sono gravi difficoltà per le forze dell'ordine a procedere ai rimpatri e perchéfette di mercato approfittano di questa manodopera a basso costo che sta creando grande disagio e forti tensioni nel mercato del lavoro.
Per i minori a Roma abbiamo la fortuna di avere un tribunale molto attento ed efficace, abbiamo una struttura di accoglienza dei minori ormai sufficientemente attrezzata, con centri diurni e not


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turni collegati anche ad un nuovo servizio dei vigili urbani, il nucleo assistenza agli emarginati, che è a disposizione delle altre forze dell'ordine ed anche della magistratura per accogliere e sistemare provvisoriamente in appositi centri i bambini in attesa dell'identificazione e dell'intervento, che non è poi di competenza dell'amministrazione comunale ma del tribunale dei minori, delle cui disposizione siamo estremamente rispettosi.

PRESIDENTE. Vorrei, battuta per battuta, integrare le considerazioni dell'assessore Piva con la mia conoscenza di cittadina romana, sia pure acquisita. Quello che egli chiamava la cultura insieme, del vivere insieme, sostanzialmente in larga parte nella nostra città si è già realizzata. Tutto il mondo del volontariato che si muove sul tema degli immigrati è già espressione del passaggio avvenuto dalla multietnicità alla multiculturalità. Penso per esempio alla vita nelle nostre università, soprattutto nelle facoltà di medicina, dove da sempre i ragazzi vivono insieme in un clima che ormai è andato al di là dell'indifferenza per diventare rispetto e collaborazione.
Avendo abitato per anni accanto a San Pietro, mi viene in mente che forse la stessa esperienza delle università pontificie, dove i vari colori della pelle coesistono ormai da almeno cinquant'anni, ha fatto largamente maturare all'interno della città la cultura del vivere insieme rispettandosi, il che non significa che non esistano anche momenti di tensione ai quali l'assessore faceva riferimento.

MARETTA SCOCA. Assessore Piva, mi dispiace di non aver ascoltato dall'inizio il suo intervento perché lei, che è il responsabile delle politiche sociali del comune di Roma, è il referente più giusto per fornire alcune spiegazioni. Ma, ahimé, ero occupata in altra Commissione sul tema della bioetica e non so come dividermi tra i vari impegni.

VALTER BIELLI. Ci vorrebbe una clonazione!

PRESIDENTE. Potrebbe essere una buona soluzione!

MARETTA SCOCA. Sarebbe un'ottima soluzione, ma credo che clonare me sarebbe un eccesso di tolleranza che chiederei alla collettività!

PRESIDENTE. Non sono d'accordo.

MARETTA SCOCA. A proposito di tolleranza, rilevo che la città di Roma che per vocazione storica non solo è sempre stata aperta all'accoglienza di altre popolazioni non italiane, ma è stata anche il crogiolo delle popolazioni di varie zone del nostro territorio, tant'è che i romani autentici credo che si contino sulla punta delle dita. Oltre tutto l'esperienza vaticana, alla quale faceva riferimento il presidente, è indubbiamente un'altra componente che ha abituato il cittadino romano a riservare un'accoglienza speciale agli abitanti delle altre città.
Lei diceva che la tolleranza cessa cessa quando si sale su un autobus e lo si trova pieno di africani. Su questo aspetto vorrei insistere per evitare che non si prendano sufficientemente in considerazione le situazioni nelle quali per la verità si vengono a trovare sempre le fasce più deboli della popolazione romana, perché i ricchi vanno in macchina e magari con l'autista e sono le persone che non hanno disponibilità economiche che prendono l'autobus. Tutte queste persone che arrivano in maniera più o meno regolare a Roma (ma potrei fare l'esempio di Torino) finiscono con l'occupare spazi dove il degrado ha raggiunto livelli notevoli: in tale situazione il disagio si acuisce ancora di più, perché si tratta di soggetti privi di una precisa collocazione.
Questa è una situazione di cui il comune di Roma in quanto tale dovrebbe farsi carico per evitare di incidere negativamente su quelle fasce di popolazione romana che vivono già una condizione di disagio. Il mio non è un appello allarmistico, ma un modo di rappresentare la realtà, perché la convivenza e la tolleranza sono possibili nel momento in cui non si re


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stringe la disponibilità di aree già limitate per gli stessi residenti. Dobbiamo andare verso una cultura multirazziale, che potremo realizzare insieme se sapremo costruirla mattone dopo mattone e non scaricando il peso sugli altri.
Vorrei fare una considerazione sulla questione della concorrenza e del basso costo dei salari. Se ciò è vero - non essendo imprenditrice o commerciante, non ho esperienza al riguardo - il punto su cui intervenire è un altro: dobbiamo evitare che vi sia, ancora una volta, una concorrenza tra poveri, che interessa le fasce più deboli e quei lavori che nessun cittadino italiano vuole fare. A mio avviso, in presenza di lavori già poco ambiti, la concorrenza finisce per stroncare la possibilità per cittadini italiani di poterli svolgere.
Vorrei che il dibattito si svolgesse in un ambito di serena visione della realtà per poter risolvere il problema nella maniera migliore.

ROSANNA MORONI. Desidero innanzitutto scusarmi se nel mio intervento tratterò argomenti in qualche modo già affrontati dai colleghi che mi hanno preceduto, ma non ho potuto seguire l'audizione in modo non continuativo; mi riservo pertanto di leggere con attenzione il resoconto stenografico della seduta odierna.
Ritengo di condividere l'opinione del sindaco Florianisul passaggio di competenze dalle questure ai comuni, nella fase successiva all'ingresso degli immigrati. A mio parere questo non solo risponde alla necessità di trattare i cittadini stranieri alla stessa stregua di quelli italiani, ma anche di consentire agli organismi che per esperienza quotidiana vivono concretamente certe tematiche di occuparsene.
Vorrei sapere se, a giudizio dei nostri ospiti, una concausa importante, se non fondamentale, dei comportamenti criminosi attribuiti agli immigrati non sia da ricercare in una legislazione che, non consentendo la loro presenza illegale, provoca situazioni di emarginazione, di privazione dei diritti e, quindi, di grave disagio? Vorrei sapere, inoltre, se tali situazioni, in generale, non dipendano anche da cause preesistenti. Per esempio la situazione a rischio del quartiere di San Salvario, a Torino, era preesistente al fenomeno migratorio, perché già negli anni passati era tale. Mi chiedo infatti se tale stato di cose non dipenda dalla carenza, dalla insufficienza e dalla inadeguatezza delle politiche sociali a livello nazionale: cito, come unico esempio, quello della carenza di alloggi. Mi domando quanto queste situazioni di tensione potrebbero essere superate con idonee politiche di accoglienza, scambi culturali e interventi di integrazione.
Mi risulta che in una ricerca del CENSIS (se non sbaglio effettuata due anni fa), i posti di lavoro che nel duemila dovrebbero essere considerati sgradevoli dai cittadini italiani e, quindi, disponibili sarebbero un milione e 500 mila. La vostra esperienza vi permette di confermare questo dato?

VALTER BIELLI. Vorrei affrontare il tema, che in qualche modo abbiamo dibattuto in Commissione, riguardante i diritti di cittadinanza, in particolare la possibilità di far partecipare gli immigrati alla vita amministrativa del nostro paese. Su tale prospettiva le forze politiche hanno assunto posizioni anche diverse, ma vorrei chiedere agli amministratori qui presenti, cioè coloro che tutti i giorni fanno i conti con questa realtà, se la partecipazione di immigrati ad un consiglio di quartiere, di circoscrizione o comunale non sia lo strumento per favorire da una parte l'integrazione, ma allo stesso tempo il mezzo, attraverso un rapporto positivo con le istituzioni, per risolvere situazioni difficili. L'immigrato, avendo un proprio rappresentante nelle istituzioni, si sentirebbe in qualche modo più tutelato. In questa sede peraltro ci siamo sentiti dire che ciò sarebbe qualcosa di non positivo, ma dalle vostre considerazioni emerge invece la necessità che gli immigrati stabiliscano un rapporto positivo per capire come intervenire. A vostro avviso, la presenza di un loro rappresentante nelle istituzioni può favorire proprio questo rapporto positivo, in particolare per coloro che oggi non solo


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vivono ai margini della società, ma evitano un rapporto con le istituzioni?
Abbiamo parlato di lavoro nero e di coloro che hanno paura di intrattenere un rapporto con le istituzioni, ritenendo di avere provvedimenti in corso, ma vorrei sapere se, sulla base della vostra esperienza, sia possibile andare incontro all'esigenza, che qui è stata sottolineata, di conoscere meglio la situazione degli immigrati.
Se non siamo in grado di stabilire un rapporto positivo tra le amministrazioni locali e gli immigrati, non saremo neppure in grado di programmare una serie di servizi indispensabili per favorire l'integrazione, perché i problemi non sono solo quelli della scuola, della sanità e dei centri atti a determinare una conoscenza più esatta del mercato del lavoro e dell'offerta di manodopera. Se non conosciamo esattamente il fenomeno dell'immigrazione non possiamo neppure costruire gli strumenti attraverso cui dare risposte.
Sulla base della vostra esperienza, lo sforzo compiuto per riuscire a realizzare sempre più un contatto tra gli immigrati e le istituzioni, consente alle stesse istituzioni di agire meglio e di dare risposte adeguate ai problemi? Di pari passo, il tema del federalismo, di cui tanto si parla, può essere una risposta anche ai problemi dell'immigrazione, se si concretizzerà in maggiori poteri, possibilità e risorse alle istituzioni locali?

DOMENICO MASELLI. A me interessa sottolineare essenzialmente un punto. I nostri ospiti hanno evidenziato, come ha fatto nella precedente audizione il signor Fisullo, la necessità di trasferire ai comuni alcune competenze. Vorrei essere tranquillizzato sulla discrezionalità o meno dei comuni nel passaggio di tali competenze. Non vorrei che passare dallo Stato al comune significhi che poi non vi è più uniformità nel territorio nazionale sul tipo di gestione adottata. Istintivamente sarei d'accordo con le osservazioni formulate, però ho il timore che ci troviamo di fronte ad una situazione di tot capita tot sententiae. Su questo punto vorrei ascoltare l'opinione dei nostri ospiti con i quali mi scuso per la mia obiezione.

ANTONIO LIA, Presidente dell'ANCI-Puglia. Non vorrei contraddire ciò che ho detto prima, ma potrò rispondere non appena i presidenti delle ANCI regionali avranno stilato un documento, perché come ben sapete, il problema dell'immigrazione è diverso da regione a regione: la Puglia, ad esempio, in questo momento ha problemi di rapporto con gli albanesi, mentre altre regioni hanno problemi con cittadini di diversa provenienza. La situazione è estremamente complessa e non vorrei che la Commissione si interessasse in modo particolare alla questione romana, o torinese, o milanese.

PRESIDENTE. No, stia tranquillo.

ANTONIO LIA, Presidente dell'ANCI-Puglia. Dobbiamo guardare l'insieme delle cose. Personalmente posso riferire sull'esperienza che ho vissuto: i piccoli comuni hanno risposto positivamente all'ingresso degli immigrati, hanno saputo far integrare l'immigrato nel rispetto della persona umana.

PRESIDENTE. Questo fa onore alla sua terra.

ANTONIO LIA, Presidente dell'ANCI-Puglia. Sono convinto che i comuni saranno in grado di operare positivamente se saranno posti nelle condizioni di farlo. L'esperienza pugliese sulla questione albanese è positiva sotto tutti gli aspetti, ma è negativo il modo in cui lo Stato ha aiutato i comuni, nel senso che non ha fatto assolutamente nulla, ha lasciato loro ogni incombenza.
Bisogna dare agli immigrati un'accoglienza dignitosa ed io sono convinto che in questo modo essi si comportano da persone civili, perché possono partecipare alla vita civile del paese, del comune che li accoglie, possono partecipare ai consigli di circoscrizione o di quartiere. D'altronde non capisco perché gli immigrati integrati nella comunità non dovrebbero partecipare alla vita attiva, anche elettiva. Se in


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tendiamo far votare l'emigrante che da cinquant'anni non viene in Italia, perché non dovremmo far partecipare al voto l'immigrato venuto in Italia, dove vive da perfetto cittadino del mondo?
Nel sud abbiamo vissuto un'esperienza eccezionale che non ha ancora avuto un completamento: mi riferisco ai lavori socialmente utili per i disoccupati del Mezzogiorno. Per quanto riguarda il problema degli albanesi, ho suggerito di aprire questa possibilità, specie nel nord (sapete che sono nell'obiettivo 1). Se consentiamo agli immigrati di integrarsi anche attraverso un lavoro retribuito, essi sapranno comportarsi in modo adeguato. D'altronde, vi sono tanti settori che necessiterebbero di piccoli interventi come la pulizia delle spiagge o dei boschi.
Vi prego di capire che l'ANCI si trova oggi di fronte ad un problema dal quale era escluso. I nostri bravissimi assessori, dal piccolo al grande comune, hanno dovuto fronteggiare una nuova esigenza che un tempo era affidata alle associazioni di volontariato. Devo dire che vi è stata un'integrazione perfetta fra noi e loro e attualmente stiamo operando efficacemente, stiamo creando una consulta ed un gruppo di studio. Credo che in materia abbiamo molte cose da dire.
Il passaggio delle competenze dalla questura ai comuni è molto importante, basti ricordare la pietosa attesa davanti alle questure di persone che per giunta vengono trattate in pessimo modo. Le stesse persone potrebbero rivolgersi ai comuni trovando un rapporto diverso.
Il problema dell'immigrazione deve essere affrontato a monte. Come rappresentante dell'ANCI, nell'affrontare la questione albanese, ho suggerito il ricorso ad un gemellaggio non di tipo tradizionale. Ho un'esperienza di questo tipo con l'Etiopia e con paesi in via di sviluppo e posso dire che per la nostra associazione «gemellaggio» significa, oltre che aiutare i ragazzi a studiare in patria, anche aiutare le comunità locali a costruire strade e ponti e a migliorare le condizioni di vita.
Nell'ambito della vicenda albanese ho ascoltato alcuni sindaci affermare che forse nel nord non accettano gli immigrati, ma sarebbero disponibili ad aiutare economicamente i paesi di provenienza. Credo che l'immigrato se potesse rimarrebbe nel suo paese, per cui mi sembra utile ricorrere ad un gemellaggio che abbia il senso di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita nel luogo d'origine di coloro che sono costretti ad emigrare. Anche su questo fronte abbiamo suggerito l'idea di un programma di sostegno allo sviluppo delle aree di provenienza degli immigrati con il concorso dell'Unione europea. Infatti, non è solo mandando denaro che si risolvono questi problemi; nel Mezzogiorno d'Italia sono arrivati tantissimi contributi, ma i problemi non sono stati risolti. Dobbiamo insegnare agli altri le cose che abbiamo appreso, dando in questo modo il contributo che un paese civile deve saper dare per creare i presupposti di uno sviluppo.
Ho letto che si vogliono dare 300 mila lire agli albanesi affinché ritornino nel loro paese: in questo modo non gli diamo neppure quanto hanno speso per venire in Italia; figuriamoci se accetteranno mai questi soldi per tornare! L'unico modo è creare nel loro paese qualcosa che li invogli a tornare.
Da questo punto di vista il provvedimento in esame è perfetto. La stessa cosa non posso dire per quanto riguarda i respingimenti e le espulsioni, perché per la mia formazione cattolica respingere una persona significa non avere umanità, non avere cuore. Non si può mandare indietro una persona, ma bisogna trovare il modo per accettarla.
Tengo in grande considerazione i consigli territoriali per l'immigrazione, però non vorrei che l'intero problema gravasse esclusivamente sui comuni. I comuni del sud hanno il problema dell'immigrazione, ma noi sappiamo che si tratta di un'immigrazione di passaggio.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, ma ricordo che alle 11,30 dobbiamo sospendere la seduta perché vi sono votazioni in aula.


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ANTONIO LIA, Presidente dell'ANCI-Puglia. Come dicevo, abbiamo creato un gruppo di lavoro per affrontare questi problemi con il grande contributo che viene fornito dagli assessori. Invieremo alla Commissione un documento nel quale cercheremo di puntualizzare al meglio la tematica.

PRESIDENTE. Onorevole Elia, mi dispiace interromperla perché stava dicendo cose di grande interesse; purtroppo abbiamo anche noi il cappio al collo.

PIETRO FLORIANI, Sindaco di Pisa. Risponderò puntualmente ai quesiti posti. Si è chiesto se la microcriminalità non sia legata alla clandestinità; certamente. La clandestinità può essere procurata in vari modi, può nascere da un primo episodio, magari commesso in età giovanile; da quel momento la persona immigrata è tagliata fuori, perché non gode di diritti nel momento in cui esce dal carcere; può ricevere l'espulsione, che tuttavia non viene eseguita; allora, precipitare nella clandestinità ed avere soltanto lo spazio della marginalità sociale e della microcriminalità è una cosa sola.
C'è carenza di una politica nazionale di carattere sociale su tali questioni? Credo francamente di sì. D'altra parte - vengo al tema del federalismo - la legge n. 81 e i successivi provvedimenti che danno ai sindaci e quindi poi agli assessori competenti in questo settore la responsabilità della salute, per esempio, sul territorio comunale fanno sì che in un certo senso lo Stato si possa sentire liberato dal dovere di delineare un quadro di interventi sociali sull'insieme del territorio nazionale. Non è questo che chiediamo, neanche sollecitando quello che si è detto prima, ossia il passaggio ai comuni di alcune competenze ed in particolare il rapporto sul territorio con le persone che sono già immigrate e sono quindi inserite nella vita delle comunità locali. Il quadro normativo deve essere nazionale, così come una parte delle risorse, ma si tratta di una questione di rapporto. Ripeto quello che ho detto prima: il rapporto con gli immigrati non può essere una questione di puro ordine pubblico.
Si è parlato di 1 milione 500 mila posti di lavoro. A Pisa gran parte degli immigrati nella provincia lavorano nelle concerie e tutti sanno che cosa questo ancora voglia dire nonostante le innovazioni di processo avvenute in questo ambito. Lavorano legittimamente, quindi sono immigrati inseriti nelle attività produttive, certo in condizioni di rischio, ma possono essere protetti al pari degli altri lavoratori. A questo punto la presenza nelle istituzioni è una richiesta logica che noi appoggiamo; preferiremmo appoggiarla con una proposta di possibile acquisizione di cittadinanza - dopo un certo numero di anni e a certe condizioni di stabilità sociale - piuttosto che con la formula che anche noi abbiamo adottato, pur non avendola messa ancora in atto, del consigliere comunale aggiunto eletto dalle comunità. Credo sia da preferire una politica degli insediamenti, perché questo è il futuro; la dinamica demografica delle nostre città è all'incirca uguale dappertutto e in tal senso penso giovi pensare a questa possibilità.
Una legge che si prefigga di «limitare l'area degli irregolari» - cito da un testo non mio - a nostro avviso deve limitare al massimo il ventaglio degli espellendi e, quando l'espulsione è data, eseguirla. Questo è sacrosanto, nel senso che limitare quel ventaglio vuole dire riconoscere i diritti che spesso dal punto di vista delle leggi di pubblica sicurezza e dell'autonomia di gestione delle questure non vengono riconosciuti; cambiare questa situazione è un bene. Per altro verso, quando c'è un'espulsione, va eseguita, non semplicemente indicata in una carta perché questo butta il soggetto nella clandestinità e produce gli effetti che si sono detti prima.
Visto che si è parlato di cooperazione decentrata e partecipata, vorrei dire che a livello regionale stiamo pensando ad un'agenzia per i rientri, ad una forma di cooperazione decentrata tra enti locali che preveda la possibilità di rientri con formazione di imprenditorialità, capacità specifiche di tipo professionale o comunque la


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vorativo; questo è anche un rapporto di interculturalità reciproco.

PRESIDENTE. Assessore Piva, le concedo tre minuti perché devo chiudere la seduta prima delle votazioni e devo dire che mi dispiace.

AMEDEO PIVA, Assessore alle politiche sociali del comune di Roma. Anch'io sono convinto dell'esistenza di questo collegamento tra criminalità e disagio. Per questo ho parlato all'inizio del mio precedente intervento della cittadinanza che la legge mette in forte risalto; intorno a questo nuovo cittadino nascono diritti e doveri.
Per quanto riguarda i posti di lavoro sgraditi, in una città come Roma dove c'è fame di lavoro è un po' difficile rafforzare questa tesi. I posti di lavoro sgraditi sono quelli non pagati o sottopagati o non regolari e quindi in questo campo è difficile accettare che ci sia concorrenzialità; bisogna abolirli. Posti di lavoro sgraditi sono anche quelli che esigono una mobilità territoriale; penso che nelle concerie potrebbero spostarsi anche cittadini romani in cerca di lavoro, mentre lì c'è una concorrenzialità a mio avviso legittima da parte degli immigrati.
È importantissima la partecipazione alla vita cittadina come elettori attivi e passivi, perché se si gioca intorno alla nuova cittadinanza delle persone questo è un momento fondamentale e perché dà trasparenza e democraticità alla loro rappresentatività; infatti, la rappresentanza autodeterminata non è trasparente ed allora c'è difficoltà di dialogo con le istituzioni.

PRESIDENTE. Grazie davvero. Aspettiamo il vostro documento perché annettiamo al parere dell'ANCI un'enorme importanza.

La seduta termina alle 11.30.