(Sergio Briguglio 9/6/1997)

 

IL DISEGNO DI LEGGE SULL'IMMIGRAZIONE: UN'ANALISI CRITICA

 

1. La stabilizzazione del soggiorno

La carta di soggiorno (rilascio, rifiuto, revoca)

La carta di soggiorno - un permesso di durata illimitata, fino ad oggi inaccessibile agli stranieri non comunitari - puo' essere rilasciato allo straniero regolarmente soggiornante da almeno sei anni, in possesso di un permesso di soggiorno rinnovabile a tempo indeterminato e titolare di un reddito sufficiente al sostentamento proprio e della propria famiglia. La carta di soggiorno e' altresi' rilasciata al coniuge e ai figli conviventi, e puo' essere richiesta anche da coniuge e figli minori stranieri di un cittadino italiano o di un cittadino comunitario residente in Italia.

La carta e' rifiutata o revocata in seguito a condanne anche non definitive o a rinvii a giudizio per i reati previsti agli articoli 380 e 381 del Codice di procedura penale, mentre il provvedimento di espulsione a carico del titolare puo' essere adottato solo per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato, per motivi di prevenzione o per sospetta appartenenza ad organizzazione mafiosa.

Sembra indispensabile introdurre modifiche atte a definire piu' precisamente le condizioni per il rilascio della carta. Il requisito relativo alla titolarita' di un "permesso di soggiorno per un motivo che consente il rinnovo senza limiti di tempo" risulta infatti ambiguo e dovrebbe essere riformulato in modo da consentire il rilascio allo straniero che abbia regolarmente soggiornato a qualunque titolo per il periodo prefissato e che, al momento della richiesta, sia titolare di un permesso per lavoro o per asilo. Inoltre, la previsione di diniego e revoca della carta dovrebbe essere limitata al solo caso in cui lo straniero abbia riportato condanne gravi, e si dovrebbe escludere che lo straniero in possesso di carta di soggiorno (titolare - si badi - di diritto di voto) possa essere espulso per ragioni diverse dalle esigenze di tutela dell'ordine pubblico o della sicurezza dello Stato.

 

Il permesso di soggiorno (utilizzazione, conversione, rinnovo, revoca)

Miglioramenti ancora piu' profondi andrebbero apportati al testo in relazione alla condizione degli stranieri regolarmente soggiornanti nella fase - non breve - che li separa dall'ottenimento della carta di soggiorno. Piu' precisamente, andrebbero riesaminate le disposizioni riguardanti la possibilita' di utilizzazione, conversione, rinnovo e revoca del permesso di soggiorno.

Il disegno di legge prevede, in particolare, positivamente, che il permesso di soggiorno rilasciato per lavoro o per motivi familiari possa essere validamente utilizzato per le altre attivita' consentite. La definizione delle possibilita' di accesso ad attivita' lavorative per i titolari di permesso per studio o formazione resta invece affidata al regolamento di attuazione della legge. Queste previsioni non costituiscono un avanzamento rispetto al quadro vigente, che anzi attribuisce esplicitamente agli studenti la piena facolta' di stipulare rapporti di lavoro subordinato. Un'interpretazione infelice e palesemente infondata di tali inequivocabili disposizioni ha creato in questi anni gravi disagi a tutti gli studenti stranieri il cui sostentamento non fosse gia' adeguatamente assicurato da borse di studio o dal sostegno familiare, determinando in molti casi l'abbandono degli studi. Questa esperienza dovrebbe suggerire di adottare, in sede di riforma legislativa, una formulazione perentoria che metta il principio - gia' evidentemente contenuto nel disegno di legge - al riparo dalle attitudini inspiegabilmente vessatorie di certi settori dell'amministrazione.

Riguardo alla conversione del titolo del permesso, e' prevista la possibilita' di ottenere il permesso per motivi familiari, sotto certe condizioni, per gli stranieri regolarmente soggiornanti per i quali possa essere richiesto il ricongiungimento da cittadino legalmente presente in Italia. E' previsto anche che i titolari di permesso per motivi familiari possano ottenere, anche in mancanza di ulteriori requisiti, il permesso per lavoro o per studio in caso di scioglimento del vincolo matrimoniale ovvero, quando si tratti di minore, al compimento della maggiore eta'. Infine, la possibilita' di ottenere la conversione in permesso per lavoro subordinato e' contemplata per i lavoratori stagionali per i quali si prospetti un'occupazione a tempo determinato o indeterminato, e, nei limiti fissati dalla programmazione annuale, per i titolari di permesso per studio.

Stante la convergenza dell'interesse dello straniero di affrancarsi dalla condizione di precarieta' che forzatamente caratterizza determinati permessi di soggiorno e di quello della societa' di accoglienza di favorire percorsi di inserimento regolare, sarebbe opportuno dare un respiro piu' ampio a queste disposizioni, stabilendo il principio generale secondo il quale la conversione del titolo di soggiorno sia di norma consentita ogni qual volta siano maturati dal cittadino straniero i requisiti corrispondenti.

Quanto, poi, alla disciplina del rinnovo dei permessi di soggiorno, e' previsto che esso sia concesso se sussistono i requisiti previsti per il rilascio. Per questi, poi, l'articolato rinvia alla definizione delle condizioni di ingresso, demandata - in parte - al regolamento di attuazione. Se si considera come alcuni dei requisiti previsti per l'ingresso (quelli in materia sanitaria, ad esempio) siano privi di qualunque correlazione con gli aspetti rilevanti ai fini del rinnovo, si riconosce come anche queste norme meritino un approfondito riesame. Quest'impressione e' confermata dall'osservazione di come manchino, nel testo, disposizioni tassative in relazione alla durata del permesso rinnovato, che resta cosi' oggetto di scelte discrezionali della pubblica amministrazione. Non sembra affatto trascurabile, in definitiva, il rischio che in assenza di una precisa definizione dei principi guida risulti ulteriormente ostacolato il mantenimento delle condizioni di regolarita' da parte dello straniero, e si finisca per invocare un improprio ricorso a norme repressive nei confronti di situazioni di sostanziale inserimento, etichettate come irregolari per il solo fatto di non soddisfare requisiti di rilevanza puramente teorica.

Riguardo, infine, al problema della revoca del permesso di soggiorno, il disegno di legge dispone che il provvedimento possa essere adottato quando vengano a mancare i requisiti per l'ingresso e il soggiorno, o in caso di mancato soddisfacimento delle condizioni di soggiorno in uno degli Stati membri, salvo che ricorrano gravi motivi umanitari o obblighi costituzionali. La prima di queste previsioni, coniugata con la disposizione che consente alla pubblica sicurezza di eseguire, in qualunque momento, controlli sulla disponibilita' di mezzi di sostentamento, rischia di privare inutilmente della regolarita' gli stranieri che attraversino momenti di difficolta' economica. Non si tratta solo dei lavoratori che perdano il posto di lavoro, ma anche, ad esempio, dei familiari ricongiunti (che hanno potuto fare ingresso in virtu' della disponibilita' di mezzi dello straniero gia' presente in Italia, e che potrebbero incorrere nella revoca qualora venisse a mancare quella disponibilita').

La seconda previsione mira ad adeguare la riforma legislativa alle norme contenute nella citata Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen. Tuttavia, non sembra che questo adeguamento si possa considerare correttamente perseguito. In primo luogo, infatti, la Convenzione definisce - si' - condizioni uniformi di soggiorno nel territorio delle Parti contraenti, ma solo in relazione al soggiorno di breve durata. Per il soggiorno di lunga durata, invece, le condizioni sono stabilite da ciascuna Parte sulla base della legislazione nazionale. In secondo luogo, la Convenzione stabilisce con chiarezza che la mancanza o il venir meno dei requisiti - in relazione, ad esempio, alla capacita' di sostentamento - per il soggiorno di breve durata nel territorio delle Parti contraenti non pregiudica la possibilita' di soggiornare nel territorio della Parte che abbia rilasciato il permesso di soggiorno, ma semplicemente impone che lo straniero interessato si rechi senza indugio in tale territorio. Non sembra quindi in alcun modo giustificato - o almeno non "sulla base di convenzioni o accordi internazionali resi esecutivi in Italia" - che l'autorizzazione al soggiorno sia negata in nome della mancanza di requisiti che, in realta', si limitano a pregiudicare il diritto dello straniero di circolare liberamente nei paesi che hanno aderito all'Accordo di Schengen. Dovrebbe quindi essere drasticamente limitato il novero dei casi in cui il provvedimento di revoca possa essere adottato.

 

 

2. I provvedimenti di respingimento e di espulsione

Respingimenti

Ampliando le previsioni della normativa vigente, e' stabilito che siano respinti gli stranieri che si presentino ai valichi di frontiera privi dei requisiti per l'ingresso, quelli che entrino in Italia eludendo i controlli di frontiera e quelli che siano stati momentaneamente ammessi solo al fine di prestare loro soccorso. Con riferimento al caso di elusione dei controlli di frontiera sembra indispensabile, per una corretta applicazione della legge, che sia meglio chiarito entro quali limiti si possa procedere a respingimento e quando invece debba essere adottato un provvedimento di espulsione. Altro infatti e' che lo straniero sia trovato nella situazione immediatamente successiva al superamento della frontiera, altro e' che sia trovato in pieno territorio dello Stato.

Nel rispetto degli obblighi imposti dalle convenzioni internazionali e dalla Costituzione, il disegno di legge esclude che si proceda al respingimento quando questo possa pregiudicare il diritto di asilo o i diritti derivanti da provvedimenti di protezione temporanea per motivi umanitari adottati dal Governo. Allo scopo di non vedere nei fatti vanificata questa giusta clausola di salvaguardia e' necessario prevedere che siano istituiti, presso i valichi di frontiera autorizzati, strutture e servizi di accoglienza finalizzati all'assistenza (anche in termini di informazione e interpretariato) degli stranieri che intendano presentare domanda di asilo o fare comunque ingresso in Italia e di coloro a carico dei quali debba essere adottato un provvedimento di respingimento. Ai valichi aeroportuali, in particolare, occorre che tali servizi siano messi a disposizione all'interno della zona di transito, per evitare che il respingimento possa essere disposto prima che lo straniero sia stato adeguatamente informato degli obblighi e dei diritti che lo riguardano.

Nel tentativo di conformare il quadro legislativo con le disposizioni della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, e' stabilito che il vettore che ha portato uno straniero privo dei documenti necessari per l'ingresso o che comunque debba essere respinto abbia l'obbligo di ricondurlo nello Stato di provenienza o in quello che ha rilasciato il documento di viaggio. Un piu' pieno rispetto del dettato dell'articolo 26 di tale Convenzione impone pero' che tali disposizioni non pregiudichino il diritto di asilo. E' necessario a tal fine introdurre una modifica che limiti le sanzioni e gli obblighi a carico del vettore al solo caso di mancata segnalazione alle autorita' di frontiera della presenza a bordo di straniero privo dei documenti richiesti. In caso contrario, il timore di incorrere in sanzioni o di dover sostenere oneri inaspettati potrebbe indurre i vettori a porre degli ostacoli all'imbarco di stranieri privi dei requisiti ordinari per l'ingresso, ma intenzionati a chiedere asilo. Una simile circostanza corrisponderebbe all'interposizione di un inaccettabile filtro tra il potenziale richiedente e l'organo preposto dalla Legge all'esame delle domande di asilo.

 

Espulsioni

Riguardo ai criteri e alle modalita' di applicazione del provvedimento di espulsione, il disegno di legge prevede che questo possa essere adottato, oltre che in corrispondenza a condanne penali o a gravi rischi per l'ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato, anche quale misura di prevenzione di comportamenti delittuosi o per soggiorno illegale. In questi ultimi casi (prevenzione e soggiorno illegale) l'espulsione e' disposta dal prefetto e di norma consiste nell'intimazione a lasciare il territorio dello stato entro quindici giorni. Entro cinque giorni il cittadino straniero puo' presentare ricorso davanti al pretore, che decide entro i restanti dieci giorni. Qualora pero' il prefetto ritenga che vi sia il rischio che lo straniero non ottemperi all'obbligo di allontanamento, puo' disporre l'accompagnamento immediato alla frontiera. In questo caso lo straniero espulso puo' presentare ricorso dall'estero entro trenta giorni.

Quando non sia possibile l'accompagnamento immediato alla frontiera (ad esempio, per la mancanza di documenti di viaggio da parte dell'interessato), lo straniero e' posto sotto custodia in centri appositi, per un tempo che non puo' in alcun caso superare i trenta giorni. Il pretore interviene per la convalida del provvedimento entro quarantotto ore e, contestualmente, esamina anche l'eventuale ricorso dell'espellendo.

E' previsto infine che non si possa procedere a espulsione nei casi in cui lo straniero appartenga ad una categoria protetta (minori, donne in gravidanza o che abbiano partorito di recente, titolari di carta di soggiorno, familiari di cittadini italiani) o rischi di subire persecuzioni nel paese di destinazione.

E' evidente come l'intendimento di queste norme sia quello di rendere piu' spedita ed efficace di quanto non sia risultata finora l'esecuzione dell'allontanamento, evitando che la presentazione del ricorso comporti una sospensione automatica e prolungata del provvedimento, e di impedire che lo straniero da espellere, approfittando della mancanza di particolari vincoli, si sottragga all'obbligo di lasciare il territorio dello Stato. Un simile inasprimento delle norme deve pero' essere accompagnato da una decisa riduzione degli spazi di discrezionalita' dell'amministrazione. Non appare quindi accettabile la previsione di un accompagnamento immediato alla frontiera, adottato sulla base di valutazioni discrezionali del prefetto e contestabile solo con un ricorso dall'estero, ad allontanamento irreparabilmente avvenuto. Il diritto di far riesaminare da un'autorita' terza il provvedimento di espulsione e' sancito infatti dall'articolo 13 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e dall'articolo 1 del Protocollo 7 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (entrambi ratificati dall'Italia), da valutarsi alla luce dell'articolo 13 della stessa Convenzione, che sancisce il diritto al ricorso effettivo. Sebbene tale diritto sia riconosciuto, in linea di principio, solo allo straniero che abbia soggiornato regolarmente nel territorio dello Stato da cui dovrebbe essere allontanato, e' evidente come, quando il provvedimento di allontanamento sia motivato proprio dalla presunta irregolarita' rispetto al soggiorno, il diritto di riesame debba essere riconosciuto a tutti. In caso contrario, lo straniero regolare (o che sia stato regolare) potrebbe paradossalmente essere espulso con le procedure immediate riservate allo straniero ab initio irregolare sulla base di una ingiusta attribuzione di violazioni delle suddette norme, e il suo diritto al riesame potrebbe, con ulteriore aggravio, essere negato sulla base della stessa attribuzione.

Tali disposizioni devono quindi essere migliorate, stabilendo - quanto meno - che anche il provvedimento di accompagnamento immediato alla frontiera necessiti della convalida da parte del pretore, e che questi proceda contestualmente, come gia' previsto per il caso di custodia, all'esame dell'eventuale ricorso dello straniero.

Piu' in generale, e allo scopo di limitare ai casi di effettiva necessita' l'esecuzione del provvedimento di espulsione, e' opportuno prevedere che il pretore, nell'esame del ricorso, valuti non soltanto la legittimita' del provvedimento, ma anche la congruita' e l'opportunita' di esso con riferimento - soprattutto - al rischio di violazione di diritti fondamentali (in relazione ad asilo, salute, unita' familiare e condizione dei minori) e al grado di inserimento sociale effettivo dello straniero. E' altresi' necessario stabilire che, in mancanza del pronunciamento del pretore entro il termine fissato, l'escuzione del provvedimento sia sospesa.

Al fine di evitare, poi, che si producano situazioni pericolosamente indefinite riguardo alle condizioni di soggiorno, in caso di annullamento o di sospensione del provvedimento e in tutti gli altri casi in cui lo straniero risulti non espellibile deve essere previsto esplicitamente il rilascio di un permesso di soggiorno per i motivi appropriati.

 

 

3. La regolamentazione degli ingressi

Lavoro

Il disegno di legge in esame prevede che l'ingresso per lavoro subordinato avvenga nei limiti di quote programmate sulla base dei dati relativi all'andamento dell'occupazione per le diverse qualifiche e mansioni. Quote riservate possono essere assegnate a paesi con i quali siano conclusi accordi bilaterali finalizzati al controllo dei flussi e alla riammissione in patria degli stranieri allontanati o respinti. Tali accordi possono prevedere che i lavoratori che aspirino a migrare in Italia per lavoro si iscrivano in liste di prenotazione tenute con modalita' da definirsi nel regolamento di attuazione, e periodicamente inoltrate agli uffici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

Sebbene appaiano non trascurabili elementi migliorativi rispetto alla situazione odierna - dovuta, come si e' detto, ad una incompleta attuazione delle norme esistenti -, queste disposizioni risultano, nella forma attuale, insufficienti a garantire un efficace censimento dell'offerta di manodopera. E' opportuno rafforzarle stabilendo esplicitamente che le liste di prenotazione siano tenute dalle rappresentanze diplomatiche o consolari - piuttosto che, ad esempio, dalle autorita' del paese straniero -, per evitare che una gestione non trasparente delle liste e delle graduatorie danneggi ingiustamente persone che aspirino a migrare legalmente in Italia.

Sebbene, poi, appaia senz'altro auspicabile la conclusione di accordi bilaterali, sembra necessario stabilire che le liste siano tenute in tutti i paesi di emigrazione, e non solo in quelli con cui siano stati stipulati tali accordi. Non va dimenticato, infatti, come il perfezionamento di ciascuno di questi accordi comporti il superamento di non poche difficolta' e richieda quindi tempi non irrilevanti. L'Italia, inoltre, e' meta di una immigrazione estremamente variegata quanto a provenienza geografica: quand'anche si desse vita ad accordi - poniamo - con il Marocco, la Tunisia, l'Albania, le Filippine, i Paesi della ex-Jugoslavia, la Romania e il Senegal - i paesi, cioe', dai quali provengono i flussi migratori piu' consistenti -, non risulterebbe coperto che il sessanta per cento del movimento migratorio verso l'Italia. La mancanza di uno strumento per segnalare quanto meno la propria volonta' di migrare porrebbe gli stranieri provenienti dai paesi non considerati nella medesima situazione in cui essi si sono trovati in questi anni, e li indurrebbe a intraprendere l'unico percorso migratorio di fatto possibile: quello irregolare.

Riguardo alle condizioni per l'ingresso in Italia del lavoratore straniero, il disegno di legge prevede che esso sia autorizzato esclusivamente sulla base di una chiamata nominativa o numerica da parte di un datore di lavoro, o in seguito alla presentazione da parte di uno sponsor (privato o associazione) di garanzia relativa al sostentamento e all'alloggio. Solo in quest'ultimo caso lo straniero e' legittimato a cercare da se', in Italia, la propria opportunita' di occupazione.

Queste limitazioni appaiono eccessivamente restrittive, discostandosi in modo trascurabile dal quadro - sopra delineato - nel quale si e' tentato di costringere l'immigrazione per lavoro negli ultimi dieci anni. L'unica sostanziale differenza e' costituita dall'introduzione della possibilita' di sponsorizzazione. Questa rappresenta certamente, sul piano concettuale, una novita' di rilievo, e si pone nella giusta linea di sostegno all'incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro; tuttavia, sembra poter interessare - ancora una volta - solo i lavoratori stranieri che godano di qualche legame con soggetti gia' presenti sul territorio italiano, a meno di non prevederne forme organizzate, per le quali andrebbero pero' previsti esplicitamente rigorosi controlli. Per il resto, resta ancora in larga misura negato il riconoscimento della modalita' naturale di immigrazione lavorativa: quello, cioe', dell'ingresso finalizzato alla ricerca di lavoro.

E' necessario che le disposizioni siano modificate in modo da prevedere che, una volta determinata dal Governo la quota di ingressi per lavoro, questi possano essere autorizzati - fino a completamento della quota - sulla base della semplice richiesta di visto di ingresso da parte degli iscritti nelle liste di prenotazione, nell'ordine corrispondente a una graduatoria fondata sull'anzianita' di iscrizione. Si otterrebbe in tal modo il duplice risultato di garantire significativamente l'incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro e di incentivare il rispetto delle condizioni di immigrazione legale. Venendo attinta ogni anno dalle liste di prenotazione la quota programmata dal Governo, infatti, anche l'iscritto in posizione arretrata vedrebbe approssimarsi progressivamente la propria occasione di migrazione regolare, e sarebbe dissuaso dal tentare vie alternative, illegali e gravate da costi e rischi non indifferenti.

In questo contesto, l'ingresso conseguente a chiamata o a presentazione di garanzia potrebbe costituire un canale complementare di accesso al mercato del lavoro italiano, capace di rispondere a esigenze particolari, sia del mercato, sia - soprattutto - della persona, che mal si prestano ad essere inquadrate in una rigida programmazione. E' da osservare comunque che la modifica qui proposta non altera la caratteristica sostanziale di un controllo governativo dei flussi in ingresso. Indica piuttosto - per cosi' dire - nello Stato la principale e piu' affidabile figura di sponsor per immigrati legittimati a cercare efficacemente occupazione in Italia. E in analogia con quanto previsto dal disegno di legge con riferimento all'ingresso in presenza di garanzia, dovrebbe essere prevista un'unica determinazione certa - di due anni - della durata del permesso di soggiorno rilasciato a chi entri in Italia nell'ambito della programmazione. Si eviterebbe in tal modo di aggravare la precarieta' indiscutibilmente associata alla fase di ricerca di lavoro con quella derivante da una scadenza troppo ravvicinata della autorizzazione al soggiorno.

 

Studenti e accesso alle professioni

L'ingresso in Italia di studenti universitari stranieri e' autorizzato anch'esso nei limiti fissati annualmente con appositi decreti di programmazione che tengano conto delle disponibilita' comunicate dalle sedi universitarie. Con riferimento a questa importante forma di presenza straniera in Italia va osservato che rispetto al quadro normativo vigente vengono introdotte, dal disegno di legge, importanti novita': la parita' di trattamento con gli studenti italiani per quanto concerne gli interventi per il diritto allo studio e la possibilita' di accedere all'iscrizione negli albi professionali in materie sanitarie, in deroga alle disposizioni che prevedono il requisito di cittadinanza, per quanti siano in possesso dei corrispondenti titoli di studio conseguiti o legalmente riconosciuti in Italia e delle abilitazioni eventualmente richieste. Sono esclusi dalla deroga, salvo che in presenza di autorizzazione del Governo dello Stato di appartenenza, gli stranieri che siano stati ammessi in soprannumero (nell'ambito, cioe', di programmi di cooperazione allo sviluppo) ai corsi di diploma, di laurea o di specializzazione. Tale limitazione impedisce che la norma in esame possa favorie una indesiderabile "fuga di cervelli" dai paesi in via di sviluppo.

Questa disposizione, capace di superare quello che fino ad oggi si e' configurato come un ostacolo insormontabile per il pieno inserimento dei soggetti stranieri culturalmente piu' qualificati, merita di essere ampliata alle altre professioni - estranee, cioe', all'ambito sanitario - e di ottenere il carattere di norma a regime. Nella forma attuale, infatti, l'accesso allo svolgimento delle professioni e' pienamente consentito per il solo primo anno di applicazione della legge, restando, per gli anni successivi, subordinato alla determinazione di quote massime nell'ambito della programmazione.