Documento programmatico

relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato

(legge 6 marzo 1998 n. 40, art.3)

 

INDICE:

Introduzione 3

Allegato: L’informazione statistica sui flussi migratori dei cittadini stranieri 9

I flussi in ingresso sulla base dei permessi di soggiorno 10

I flussi in uscita sulla base dei permessi di soggiorno 16

I flussi migratori dei cittadini residenti 16

Possibili miglioramenti della quantificazione dei flussi migratori 17

PARTE PRIMA: AZIONI ED INTERVENTI DELL’ITALIA SUL PIANO INTERNAZIONALE 19

Attività in ambito Unione Europea 19

Problematiche connesse all’asilo 22

Iniziative sul piano multilaterale. 24

Azioni sul piano bilaterale 25

Cooperazione allo sviluppo e flussi migratori 27

PARTE SECONDA: LINEE GENERALI PER LA DEFINIZIONE DEI FLUSSI DI INGRESSO NEL TERRITORIO DELLO STATO 30

Criteri generali 30

1. Situazione del mercato del lavoro italiano 31

2. Stranieri presenti in Italia per i quali può definirsi un inserimento lavorativo regolare 32

3. Accordi finalizzati alla regolamentazione dei flussi di ingresso. 32

4. Anagrafe annuale informatizzata delle offerte e delle richieste di lavoro subordinato e servizi per l’impiego 34

5. Indicazioni per la determinazione delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato. 36

Mezzi di sussistenza per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri 38

PARTE TERZA: POLITICHE DI INTEGRAZIONE 39

1.Che cosa si intende per integrazione 39

2. Obiettivi e ambiti di applicazione di una politica di integrazione 40

A) Costruire relazioni positive. 40

B) Garantire pari opportunità di accesso e tutelare le differenze 43

C) Assicurare i diritti della presenza legale 45

3. Agenti e strumenti per le politiche di integrazione 48

4. Risorse 49

5. Valutazione dei processi di integrazione 50

6. Priorità per il 1998-2000 51

Priorità per le misure di integrazione per il triennio 1998-2000 52

ALLEGATO: Il quadro demografico italiano e la pressione migratoria nella regione euro-africana 54

Le prospettive demografiche per la popolazione in età lavorativa nelle grandi ripartizioni italiane 54

La pressione migratoria nella regione euro-africana 57

Scenari di sviluppo demografico della popolazione straniera in Italia. 61

 

 

 

 

Introduzione

 

Una lettura corretta del fenomeno migratorio e delle caratteristiche strutturali e dinamiche dei nuovi flussi migratori deve tenere conto dei processi di globalizzazione in atto e degli effetti che questi processi, in presenza di persistenti squilibri demografici ed economici tra le varie aree del mondo, determinano anche sulla crescita della circolazione mondiale delle persone.

I fattori di spinta e di attrazione dei flussi migratori, i motivi cioè che spingono le persone fuori dal loro Paese e quelli che li attirano verso un altro, agiscono in modo da rafforzarsi reciprocamente, in un processo che può condizionare in senso negativo o positivo, secondo le capacità di governo che gli Stati sapranno esplicare, lo sviluppo dei rapporti di interdipendenza nel mondo contemporaneo.

Fra le sfide epocali che l’Italia è chiamata ad affrontare alle soglie del terzo millennio, quella migratoria - pur con le sue connotazioni oramai globali - assume una rilevanza del tutto particolare anche e soprattutto sul piano nazionale.

Il nostro Paese, per oltre un secolo terra di emigrazione, si trova oggi di fronte ad un repentino cambiamento di ruoli ed è chiamato, nel contesto di una società civile in via di profonda evoluzione, a misurarsi, sul piano culturale ancor prima che politico, con l’afflusso crescente di uomini e donne provenienti da varie parti del mondo: un fenomeno di proporzioni crescenti e sempre più "visibili", al quale il Governo va dedicando tutta la sua attenzione ma che richiede anche, per essere effettivamente ricondotto a dimensioni non esasperate e non patologiche, la graduale, autentica maturazione di una cultura dell’integrazione, fortemente ispirata a criteri e principi di solidarietà ed ancorata al rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo.

Se in Italia il fenomeno migratorio ha per sfondo questo scenario già di per sè complesso, la collocazione geo-politica del nostro Paese ne accentua in qualche modo la drammaticità: crocevia naturale fra il bacino del mediterraneo ed il nord del continente europeo da un lato e oriente europeo ed asiatico ed occidente europeo dall’altro, l’Italia è in prima linea nell’immediato impatto delle popolazioni che muovono da sud verso nord e, con le sue migliaia di chilometri di coste, è seriamente esposta a continui tentativi di aggiramento delle misure nazionali e sovranazionali intese a contenere e regolamentare l’ingresso degli immigrati in Europa.

Con la nuova legge sull’immigrazione l’Italia è uscita da una lunga fase di gestione sostanzialmente emergenziale del fenomeno migratorio. Il nuovo quadro normativo - che il governo auspica sia al più presto completato con l’approvazione del disegno di legge recante "Norme in materia di protezione umanitaria e di diritto d’asilo" attualmente all’esame del Parlamento - trova il suo fondamento nelle seguenti tre idee guida o obiettivi che debbono caratterizzare e qualificare la nuova politica dell’immigrazione: una programmazione degli ingressi legali nell’ambito delle quote stabilite annualmente; un più puntuale ed efficace contrasto dell’immigrazione clandestina e dello sfruttamento criminale dei flussi migratori; un maggiore e più concreto sostegno ai percorsi di integrazione per gli immigrati regolarmente soggiornanti in Italia. Si tratta di obbiettivi fortemente connessi, poiché la possibilità di realizzare efficaci politiche di integrazione dipende dalla capacità di governare i flussi di ingresso e quindi di programmare la presenza straniera nel nostro Paese.

Proprio la piena consapevolezza degli obiettivi da perseguire e dei principi che li ispirano, nonché della complessità e della continua evoluzione nelle sue stesse caratteristiche strutturali e dinamiche del fenomeno migratorio suggerisce l’opportunità di un atteggiamento pragmatico fondato su un monitoraggio ed una verifica continui delle misure adottate anche in vista dei possibili correttivi o modifiche normative, secondo quanto previsto dall’art.47 della legge n. 40.

Naturalmente dai primi tre mesi di applicazione della nuova legge non possono ancora trarsi elementi certi di valutazione in vista di possibili modifiche correttive e d’altra parte solo con l’emanazione del regolamento d’attuazione prevista per la fine di settembre di quest’anno il nuovo sistema normativo potrà considerarsi pienamente a regime. Una esigenza però è già emersa chiaramente e cioè la necessità di un adeguamento e potenziamento delle strutture amministrative centrali a vario titolo impegnate nell’attuazione della legge sull’immigrazione e soprattutto di un loro più stretto coordinamento, nonché alla formazione del personale operante; a tal fine si sta considerando l’opportunità di dar vita ad un organismo permanente che, oltre ad assicurare il coordinamento delle diverse amministrazioni, abbia il compito specifico di monitorare l’attuazione della legge anche in relazione alle eventuali modifiche normative che si rivelassero necessarie.

Per quanto riguarda in particolare le politiche dell’integrazione, è essenziale la più ampia collaborazione con le Regioni e con gli Enti Locali nonché con le organizzazioni sindacali e le associazioni attive nella tutela e nell’assistenza degli immigrati ed il Governo ha già stabilito ed intende intensificare questa collaborazione.

Il Governo, onorando l’impegno politico derivante da un ordine del giorno approvato dall’Assemblea del Senato, ha già presentato al Parlamento una "Relazione sulla presenza straniera in Italia e sulle situazioni di irregolarità". A questa relazione si rinvia per una informazione aggiornata sulla presenza straniera in Italia e per le problematiche anche d’ordine metodologico che occorre affrontare per disporre di sistemi di misurazione di tale presenza più certi ed aggiornati. Va comunque sottolineato che una valutazione della consistenza e delle caratteristiche della popolazione straniera regolarmente presente in Italia ed una stima credibile delle presenze irregolari sono fondamentali ai fini di una efficace programmazione dei flussi, cioè della determinazione anno per anno del numero degli stranieri da ammettere in Italia. La documentazione statistica già resa disponibile con la "Relazione sulla presenza straniera in Italia e sulle situazioni di irregolarità" viene a tal fine integrata nella nota allegata all’introduzione ed elaborata dall’ISTAT con la collaborazione del Ministero dell’Interno con nuove tabelle sui flussi di ingresso in Italia nel 1997.

Va anche rilevato che la non ancora sufficiente conoscenza delle diverse componenti dell’immigrazione straniera in Italia comporta inevitabilmente che molto spesso l’opinione pubblica sia più attenta agli aspetti più traumatici del fenomeno immigratorio (cioè agli episodi di devianza e di criminalità) che non alle situazioni di normale inserimento sociale e lavorativo.

Il documento programmatico, i cui contenuti sono indicati nei commi 2 e 3 dell’art. 3 della legge n.40, costituisce la base di riferimento della politica dell’immigrazione. In questa sua prima stesura, necessariamente sperimentale e suscettibile di integrazioni, si articola in tre parti: azioni ed interventi dell’Italia sul piano internazionale; criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso sul territorio dello Stato; politiche di integrazione. Allegato al documento è, inoltre, lo studio predisposto dal prof. Antonio Golini e dal prof. Alessandro De Simone su "Il quadro demografico italiano e la pressione migratoria nella regione euro-africana".

Presupposto essenziale di una politica programmata dell’immigrazione e di una corretta politica di integrazione è il funzionamento dei meccanismi di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale o clandestina. L’efficacia delle nuove normative sul controllo delle frontiere, sui respingimenti e sulle espulsioni andrà verificata nei fatti ed è troppo presto per anticipare dati o previsioni. Il Ministro dell’interno ha già provveduto con propri decreti a costituire e ad attivare i primi centri di permanenza temporanea ed assistenza e si sta procedendo con la massima rapidità ai lavori necessari per l’entrata in funzione di ulteriori centri di permanenza. Va comunque sottolineato che, ferma restando la necessità di una rigorosa intensificata ed efficace azione repressiva della immigrazione illegale, sarebbe però illusorio pensare di bloccare o limitare seriamente tale fenomeno solo con strumenti di tipo repressivo. Sono necessari anche altri strumenti di contenimento e controllo, e tra questi rivestono importanza essenziale gli accordi con i Paesi da cui partono i flussi migratori: accordi di riammissione e di fissazione di quote di ingresso anzitutto, ma accompagnati quando è possibile da più ampie intese di cooperazione per lo sviluppo su basi bilaterali e multilaterali. Va costruito un rapporto nuovo tra migrazioni e sviluppo e lo stesso migrante può in questa ottica diventare un agente di sviluppo e innovazione. Progetti di co-sviluppo possono determinare per gli Stati di partenza e di destinazione dei flussi migratori convenienze nuove nel quadro di intese che vadano oltre il semplice arresto o controllo dei flussi.

Il riferimento al contesto europeo, anche per gli obblighi che l’Italia ha assunto con le convenzioni di Schengen e Dublino, diverrà sempre più determinante; nella prospettiva della comunitarizzazione delle politiche dell’immigrazione e dell’asilo devono essere senza ritardo concordati criteri comuni per rendere più omogenee le politiche nazionali dei Paesi membri dell’Unione Europea e avviate iniziative comuni nei confronti dei Paesi Terzi.

Va quindi accolta con favore e sostenuta la recente proposta della Commissione dell’Unione Europea di due azioni comuni che - riprendendo e, in parte, modificando, una precedente proposta di azione comune della Commissione stessa, in materia di protezione temporanea degli sfollati - rafforzano il concetto di "burden sharing" (ripartizione degli oneri) conferendogli una più concreta dimensione di solidarietà.

La programmazione dei flussi d’ingresso deve tener conto della natura composita di tali flussi e della necessità di mantenere separati i diversi canali di ingresso regolare. Non è certo possibile prevedere e programmare gli ingressi dei richiedenti l’asilo o gli afflussi di massa che possono dar luogo a forme di protezione umanitaria temporanea, così come non è possibile limitare, una volta verificata la sussistenza dei requisiti richiesti, i flussi per ricongiungimento familiare. La stessa legge n.40 al IV comma art. 3 stabilisce però che le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato sono definite annualmente "tenuto conto dei ricongiungimenti familiari e delle misure di protezione temporanea".

Nel fissare le quote annuali si terrà dunque conto anche dei flussi di ingresso che per loro natura sono fuori quota ma che comunque incrementano la popolazione straniera regolarmente residente in Italia con possibile inserimento nel mercato del lavoro.

Il funzionamento "a regime" della politica programmata per quote dei flussi d’ingresso richiede adempimenti formali (in primo luogo l’emanazione del regolamento d’attuazione) e soprattutto la conclusione di accordi bilaterali o comunque di intese con i Paesi da cui provengono i maggiori flussi migratori. Mentre gli adempimenti formali saranno senz’altro esauriti entro il 1998, l’unico accordo bilaterale attualmente in vigore per la regolamentazione dei flussi è quello con l’Albania (si tratta dell’accordo e del relativo protocollo per l’occupazione in Italia di lavoratori stagionali albanesi firmato a Tirana il 18.11.1996). Nuovi accordi bilaterali dovranno essere negoziati con i Paesi delle aree indicate come preferenziali: è un impegno che prevedibilmente occuperà i Ministeri interessati per tutto il 1999, per cui solo gradualmente si potrà disporre di una rete di accordi e possibilmente di liste di prenotazione che alimenteranno l’anagrafe informatizzata da costituire presso il Ministero del Lavoro.

Le trattative per la conclusione di tali accordi devono, naturalmente, essere accelerate il più possibile e costituiscono il presupposto per la definizione delle quote.

Per favorire la conclusione di tali accordi e rendere più efficace la reciproca collaborazione ai fini del contrasto dell’immigrazione clandestina, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare e trasmesso alle Camere un decreto legislativo correttivo della normativa vigente che prevede uno stanziamento di 15 miliardi annui per il triennio 1998-2000 per l’attuazione di uno o più programmi pluriennali di interventi straordinari, predisposti dal Ministro dell’Interno, per l’acquisizione degli impianti e mezzi tecnici e logistici necessari, per acquistare o ripristinare i beni mobili e le apparecchiature cedute ai Paesi interessati, ovvero per fornire l’assistenza e altri servizi accessori.

Alla luce di queste considerazioni, nella parte seconda del presente documento sono illustrati i criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso nonché le prime indicazioni per la elaborazione di un decreto sui flussi per il 1998, che sarà presentato subito dopo l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari sul documento programmatico e avrà carattere integrativo del già esistente decreto del 24.12.1997 (pubblicato sulla G.U. del 2 gennaio 1998); un primo decreto sui flussi per il 1999 dovrà invece essere adottato entro il mese di novembre di quest’anno.

Al di fuori del quadro della programmazione per quote — ma, come si è detto, tenendone conto nella programmazione — va considerato il problema dei cd. ricongiungimenti di fatto. Si tratta di cittadini stranieri che hanno dato vita di fatto al ricongiungimento familiare con un congiunto straniero regolarmente soggiornante.

Poiché la nuova normativa (art.27, comma 4) consente l’ingresso al seguito dello straniero titolare di carta di soggiorno o di visto di ingresso per lavoro subordinato, relativo a contratto non inferiore ad un anno, o per lavoro autonomo non occasionale, ovvero per studio o per motivi religiosi, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento, si ritiene sotto vari profili opportuno normalizzare le situazioni di fatto esistenti, rilasciando agli stranieri "ricongiunti di fatto" un permesso di soggiorno per motivi familiari.

Naturalmente andrà verificata la sussistenza dei requisiti per il ricongiungimento previsti al comma 3 dell’art. 27.

Va infine posta in evidenza la necessità di provvedere alla normalizzazione di alcune situazioni che, nel nuovo contesto normativo, vanno ricondotte, per quanto possibile, all’ordinaria casistica: si tratta di coloro che godono, a vario titolo, di permessi di soggiorno umanitari utilizzabili anche per motivi di lavoro. Con una apposita Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri si provvederà al rilascio ai cittadini stranieri che si trovano in tale situazione — e per i quali non esistono più le condizioni che hanno giustificato la concessione del permesso umanitario — di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro di durata biennale.

* * *

Il documento programmatico si basa sulla consapevolezza del carattere strutturale del fenomeno migratorio, della particolare esposizione dell’Italia rispetto alla prevedibile crescita del fenomeno stesso, della necessità di disporre di strumenti e misure per garantire il massimo controllo possibile dell’immigrazione clandestina e una concreta e dignitosa integrazione degli stranieri che soggiornano regolarmente sul territorio italiano.

Da tale consapevolezza discende che vanno previste per le politiche dell’immigrazione risorse finanziare adeguate e tali non possono essere considerate, alla luce della evoluzione più recente dei fenomeni migratori, quelle previste dalla legge n.40.

Tra le priorità di cui si dovrà tener conto nella elaborazione dei documenti di bilancio per il prossimo triennio va quindi inserita la politica per l’immigrazione, con riferimento in particolare alle seguenti esigenze derivanti dall’applicazione della legge n. 40:

- maggiori controlli di frontiera e costieri;

- aumentati oneri per gli accompagnamenti alla frontiera degli stranieri espulsi o respinti e per le spese di rimpatrio;

- vigilanza esterna dei centri di permanenza temporanea e di assistenza e accompagnamenti da e per i centri degli stranieri trattenuti;

- rafforzamento dell’organico delle ambasciate e dei consolati italiani all’estero, sia per attuare le nuove procedure in materia di rilascio dei visti sia per la costituzione e la gestione delle liste dei cittadini stranieri che chiedono l’ingresso in Italia per motivi di lavoro; finanziamento delle missioni di esperti dei diversi ministeri competenti nei periodi di selezione e preparazione di tali liste;

- l’avvio presso il ministero del Lavoro della gestione informatizzata del servizio di domanda e offerta di lavoro per i lavoratori immigrati extracomunitari.

 

Allegato: L’informazione statistica sui flussi migratori dei cittadini stranieri

 

L’informazione statistica sui flussi migratori relativi alla popolazione straniera può essere ottenuta dall’archivio dei permessi di soggiorno, presso il Ministero dell’Interno, e dalle anagrafi comunali, mediante la rilevazione condotta dall’ISTAT sul Movimento annuale della popolazione straniera residente. Mentre i dati sui permessi di soggiorno si riferiscono, com’è noto, a tutti i cittadini stranieri presenti regolarmente sul territorio italiano, con l’esclusione però di una parte significativa dei minori, quelli provenienti dagli uffici anagrafici riguardano la componente della popolazione regolare, largamente maggioritaria, che è anche residente.

Dagli uffici anagrafici sono rilevati anche i dati sui cosiddetti flussi naturali, nascite e decessi, nonché quelli determinati dalle acquisizioni di cittadinanza. Peraltro le nascite risultanti dalle iscrizioni in anagrafe costituiscono un flusso particolare in quanto determinano un incremento della popolazione straniera, ma non della popolazione immigrata nel nostro paese. Una tale distinzione, fra popolazione straniera ed immigrata, che non può essere operata sui dati di stock (stranieri regolarmente presenti e stranieri residenti all’inizio di ciascun anno) può quindi essere operata sui dati di flusso, anche se nel caso dei permessi di soggiorno le difficoltà sarebbero decisamente superiori per le carenze, già menzionate, sui dati relativi ai minori. Non si tratta, come si può ben comprendere, di una distinzione puramente contabile, bensì riguarda l’emersione di una significativa quota di minori che non sono immigrati, ma nati in Italia - i cosiddetti "immigrati di seconda generazione" - i quali pongono delle problematiche specifiche anche rispetto agli altri minori stranieri.

Vi sono poi altri dati di flusso che riguardano degli aspetti particolari della realtà migratoria, quale l’inserimento nel mercato del lavoro. Com’è stato già ampiamente illustrato nella Relazione sulla presenza straniera in Italia e sulle situazioni di irregolarità, tali informazioni riguardano in ogni caso la parte in vario modo documentabile della presenza straniera, in altre parole la popolazione regolare.

Nel prospetto che segue sono riportate in dettaglio le fonti statistiche per le quali sono disponibili i dati, sia di stock che di flusso. L’anno di riferimento è quello per il quale i dati sono pubblicati, nel volume La presenza straniera in Italia negli anni ’90, o comunque sono disponibili presso l’ISTAT.

 

I flussi in ingresso sulla base dei permessi di soggiorno

Mediante i dati sui permessi di soggiorno è possibile misurare con sufficiente accuratezza solamente i flussi migratori in ingresso; restano comunque esclusi, come detto sopra, tutti i minori per i quali non è previsto un permesso di soggiorno individuale, ma la semplice annotazione sul documento dell’adulto.

Per determinare i flussi migratori in ingresso è sufficiente individuare i nuovi documenti di soggiorno rilasciati nell’unità temporale di riferimento; nel caso in cui si ponga come unità di riferimento l’anno sono conteggiati anche i permessi di breve durata (per esempio tre mesi) che sono rilasciati ed entrano in scadenza nel corso dello stesso anno. Tuttavia occorre richiamare l’attenzione sul fatto che in coincidenza delle regolarizzazioni non vi è corrispondenza tra data di ingresso effettiva e data di rilascio del permesso di soggiorno.

La metodologia per la misura dei flussi in ingresso prevede una base di riferimento mensile; con opportune elaborazioni è possibile conoscere il numero di nuovi documenti, rispetto alla data d’ingresso, in ciascun mese.

Nel prospetto che segue sono riportati i flussi in ingresso relativi al 1997:

Ulteriori analisi possono essere condotte su tali dati secondo alcune caratteristiche quali la nazionalità e il motivo del soggiorno (si veda in proposito il prospetto 3).

Nel 1997 sono stati, dunque, quasi 124mila i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini stranieri entrati in Italia nel corso dell’anno: è bene precisare da subito che a tale consistente flusso in ingresso non corrisponde ovviamente un pari aumento dello stock di permessi validi a fine anno, sia perché molti di questi documenti erano di durata limitata e quindi sono scaduti nel corso dell’anno ma anche perché bisogna tener conto di quei permessi che, rilasciati negli anni precedenti, sono poi scaduti nel corso del 1997 senza essere stati prorogati. Al momento attuale, per le caratteristiche gestionali dell’Archivio sui Permessi di Soggiorno, non è possibile quantificare esattamente i permessi scaduti nel corso del 1997, corrispondenti, almeno da un punto di vista teorico, ai flussi in uscita dall’Italia, ma si può stimare che tale quantitativo sia compreso tra 80-100mila unità, per cui il saldo migratorio netto dovrebbe con ogni probabilità essere pari a 30-40mila.

Nel grafico 1 è rappresentata la composizione per area geografica di cittadinanza degli stranieri entrati in Italia nel 1997: è immediato verificare il forte peso della componente proveniente dall’Europa Centro-orientale, per la quale si sono conteggiati più di 51mila ingressi mentre, tra le aree che vengono definite a forte pressione migratoria, seguono l’Asia e l’America Centro-Meridionale, entrambe con circa 15mila entrate, e poi l’Africa, con poco più di 13mila ingressi. Tra le aree economicamente avanzate, spiccano invece i cittadini provenienti da Unione Europea e altri paesi europei dell’area occidentale (oltre 21mila nuove entrate) e quelli dell’America settentrionale (più di 7mila ingressi).

Grafico 1 - Flussi in ingresso, per area geografica. Anno 1997

Concentrando l’attenzione sui circa 92mila nuovi permessi rilasciati a cittadini provenienti da paesi a forte pressione migratoria (Europa Centro-orientale, Africa, Asia ad esclusione di Giappone ed Israele, America Centro-meridionale) risulta poi interessante verificare la composizione secondo il motivo del soggiorno (cfr. prosp.3): la quota maggiore è rappresentata dai permessi rilasciati per turismo, quasi 24mila, pari a circa il 26% del totale, una componente dei flussi immigratori di sicuro interesse in quanto con ogni probabilità ‘nasconde’ una certa quota di ingressi di cittadini stranieri intenzionati a fermarsi in Italia per motivi diversi dal turismo ma privi di quei requisiti, quali la richiesta di ricongiungimento familiare o la chiamata lavorativa, che consentono l’ottenimento di titoli di soggiorno di ben diversa natura e durata. In questa tipologia di flusso risulta particolarmente rilevante la componente proveniente dall’Europa Centro-orientale, quasi 14mila ingressi, con alcune cittadinanze in particolare evidenza (ex Urss, Romania, Polonia ed ex Jugoslavia), mentre pure significativo è il flusso proveniente dall’America Centro-meridionale (quasi 7mila), con Brasile e Colombia in primo piano; risultano invece molto meno consistenti gli ingressi per turismo provenienti da Asia e Africa, in entrambi i casi sotto le 2mila unità.

La seconda componente in base al motivo del soggiorno è costituita dai cittadini stranieri entrati per ricongiungimento familiare, pari a poco più di 23mila, circa il 25% del totale, un flusso in costante crescita a testimoniare la sempre maggiore stabilità della presenza straniera nel nostro Paese. Anche in questo caso la quota più elevata è appannaggio dell’Europa Centro-orientale (poco più di 8mila), con Albania, Romania ed ex Jugoslavia a raggiungere i livelli più elevati, seguita poi dall’Africa (circa 6.600), soprattutto per l’alto numero di ricongiungimenti provenienti dal Marocco e, in minor misura, dalla Tunisia; l’Asia segue con poco meno di 5mila ingressi, con quote particolarmente significative provenienti dall’area meridionale (Sri Lanka) e da quella orientale (Cina); l’America Latina chiude questa graduatoria, raggiungendo comunque un livello significativo (meno di 4mila unità), con due cittadinanze in leggera prevalenza sulle altre (Cuba e Rep.Dominicana).

Nella graduatoria si trovano poi al terzo posto gli ingressi per motivo di lavoro, pari a poco più di 16mila (oltre il 17%), nella gran parte rilasciati per lavoro subordinato (quasi 15mila): il numero relativamente ridotto di ingressi compresi in questa tipologia è certamente da porre in relazione a diversi motivi, tra cui le difficili condizioni del mercato occupazionale in Italia e la previsione, da parte della normativa in vigore prima della legge n.40/98, di un’unica fattispecie di ingresso per lavoro, in pratica possibilequasi esclusivamente solo in presenza di una richiesta di assunzione nominativa da parte di un datore di lavoro. Anche in questo caso la componente proveniente dall’Europa Centro-orientale è di gran lunga la più importante, con più di 12mila ingressi, con Rep. Ceca, Slovacchia, ex Urss, ex Jugoslavia e Polonia in evidenza: a questo proposito è però importante rilevare che, secondo quanto si ricava da un’altra fonte informativa (Autorizzazioni all’ingresso rilasciate dal Ministero del Lavoro), una quota superiore al 75% degli ingressi provenienti da paesi di quest’area si riferisce ad occupazioni di carattere temporaneo, soprattutto legate a lavori stagionali nell’agricoltura e nei pubblici esercizi.

La restante quota di ingressi per lavoro si divide tra Asia (2mila ingressi), soprattutto provenienti dall’area orientale (Filippine e Cina), Africa (poco meno di 1.500 unità), con Marocco e Somalia in evidenza, e America Latina (circa 1.000 ingressi), dove Perù e Cuba sono in leggera prevalenza sugli altri paesi.

Nel corso del 1997 è stato inoltre rilasciato un significativo quantitativo di permessi di soggiorno ‘straordinari’ (poco meno di 9mila), riconducibili nella gran parte ai nullaosta concessi ai cittadini albanesi giunti in Italia a seguito dei disordini scoppiati nel loro paese nel febbraio-marzo 1997.

Pure rilevante è il numero di ingressi per studio, oltre 7mila, dove, tra le aree a forte pressione migratoria, risulta come sempre al primo posto l’Europa Centro-orientale (più di 3mila), seguita dall’Asia (poco meno di 2mila al netto di Giappone ed Israele) e poi da America Latina e Africa, entrambe di poco sopra alle 1000 unità.

Infine risultano ancora scarsi gli ingressi dei richiedenti asilo, in tutto poco più di 1000, provenienti in maggioranza dall’Europa centro-orientale (Turchia ed Albania) e dall’Asia (Iraq); bisogna infine precisare che nella classe residuale ‘Altri motivi’ sono inseriti quelle tipologie di ingresso - motivi religiosi, di salute, per adozione, per affari,..- che assumono minore rilevanza nello studio dei flussi migratori.

Nel cercare di mettere in luce i principali caratteri dei flussi migratori registrati nel corso del 1997, in relazione alle 4 aree geografiche esaminate, sembra quindi di poter dire:

- si conferma la forte pressione migratoria proveniente dai paesi dell’Europa Centro-orientale, testimoniata oltre che dall’elevata consistenza della comunità di immigrati già presenti in Italia, anche dalla vitalità dei flussi migratori provenienti da quest’area, per ognuna delle tipologie qui esaminate;

- sembrano in una certa misura minori alle aspettative i flussi migratori provenienti dal continente africano, se rapportati alla consistenza di tale comunità nel nostro paese;

- i flussi provenienti dal continente asiatico sembrano mostrare un lento ma progressivo consolidamento di tale presenza in Italia;

- mostrano infine una certa vitalità gli ingressi provenienti dall’America Latina, soprattutto legati a ricongiungimenti familiari, mentre dovrebbe essere approfondito il significato del rilevante numero di ingressi per turismo.

Prospetto 3 - Flussi in ingresso, per area geografica e principali paesi di cittadinanza, secondo il motivo del soggiorno. Anno 1997

Lavoro

AREE GEOGRAFICHE E

Lavoro

Ricerca

Lavoro

Totale

Famiglia

Motivi

Studio

Turismo

Asilo e

Altri

TOTALE

CITTADINANZE subordinato

lavoro

autonomo

straordinari

rich. asilo

motivi

EUROPA

19.090

592

1.158

20.840

9.746

8.663

8.648

16.466

442

7.811

72.616

Unione Europea

7.310

483

560

8.353

1.396

1

5.279

2.326

-

2.556

19.911

Europa Centro-or.

11.484

64

555

12.103

8.162

8.662

3.138

13.910

442

4.924

51.341

di cui: Albania

367

10

2

379

3.018

8.047

554

747

174

805

13.724

ex Urss

1.468

26

240

1.734

770

1

550

3.196

22

1.934

8.207

Romania

1.146

7

142

1.295

1.538

5

549

2.958

14

900

7.259

ex Jugoslavia

1.657

9

53

1.719

1.431

578

523

2.184

20

290

6.745

Polonia

1.531

5

84

1.620

655

-

357

2.868

-

307

5.807

Rep.Ceca

2.341

-

2

2.343

131

-

83

389

-

45

2.991

Slovacchia

1.961

-

14

1.975

75

-

66

277

-

46

2.439

Ungheria

843

3

3

849

145

-

133

771

-

54

1.952

Bulgaria

126

3

10

139

182

-

120

381

-

432

1.254

Turchia

42

1

5

48

217

31

151

107

212

110

876

Altri paesi europei

296

45

43

384

188

-

231

230

-

331

1.364

AFRICA

1.046

375

23

1.444

6.634

158

1.040

1.705

265

1.775

13.021

Africa settentrionale

682

56

9

747

5.499

5

508

907

61

641

8.368

di cui: Marocco

550

51

7

608

4.014

1

154

297

2

109

5.185

Tunisia

64

4

-

68

939

-

120

205

4

102

1.438

Egitto

45

-

-

45

425

3

142

184

2

135

936

Africa occidentale

78

6

2

86

707

3

133

223

30

338

1.520

di cui: Nigeria

13

2

-

15

95

-

50

52

5

134

351

Senegal

11

1

1

13

223

-

13

19

-

16

284

Ghana

9

1

-

10

193

-

13

20

2

16

254

Africa orientale

271

311

8

590

356

145

265

447

93

523

2.419

di cui: Somalia

113

310

-

423

148

142

6

32

5

19

775

Etiopia

79

-

-

79

47

-

80

76

42

109

433

Eritrea

30

-

-

30

14

-

45

67

2

47

205

Maurizio

15

1

-

16

82

-

8

44

-

-

150

Africa meridionale

15

2

4

21

72

5

134

128

81

273

714

ASIA

1.713

19

217

1.949

4.795

27

3.245

1.782

431

2.887

15.116

Asia occidentale

69

1

15

85

247

22

549

563

398

441

2.305

di cui: Iran

12

1

1

14

83

2

86

288

48

117

638

Iraq

2

-

-

2

6

20

2

20

335

48

433

Israele

29

-

9

38

35

-

196

65

-

20

354

Libano

5

-

1

6

41

-

86

69

-

104

306

Asia meridionale

442

4

7

453

2.445

5

232

295

33

1.118

4.581

di cui: India

153

1

7

161

600

-

183

153

-

964

2.061

Sri Lanka

207

3

-

210

1.249

-

16

45

3

40

1.563

Pakistan

54

-

-

54

250

-

13

70

22

72

481

Bangladesh

21

-

-

21

345

5

4

15

8

26

424

Asia orientale

1.202

14

195

1.411

2.103

-

2.464

924

-

1.328

8.230

di cui: Cina

387

4

8

399

1.148

-

278

161

-

600

2.586

Giappone

127

-

151

278

202

-

1.127

242

-

29

1.878

Filippine

605

10

3

618

476

-

47

155

-

321

1.617

AMERICA

1.501

12

423

1.936

5.632

11

2.900

8.821

6

2.853

22.159

America settentr.le

608

1

279

888

1.895

-

1.728

2.048

-

751

7.310

di cui: Stati Uniti

571

1

265

837

1.810

-

1.545

1.883

-

679

6.754

-

-

America centro-mer.

893

11

144

1.048

3.737

11

1.172

6.773

6

2.102

14.849

di cui:Brasile

141

2

13

156

621

1

391

2.285

-

561

4.015

Cuba

144

-

92

236

986

1

44

836

2

90

2.195

Colombia

69

2

2

73

208

-

188

1.015

-

326

1.810

Perù

244

5

6

255

510

-

31

368

1

177

1.342

Rep.Dominicana

117

2

6

125

709

2

13

318

-

38

1.205

Argentina

54

-

11

65

185

-

105

540

-

120

1.015

OCEANIA

29

-

11

40

52

1

156

528

-

133

910

Apolidi

-

-

-

-

-

-

-

-

-

2

2

TOTALE

23.379

998

1.832

26.209

26.859

8.860

15.989

29.302

1.144

15.461

123.824

paesi a forte press. migr.

14.980

469

779

16.228

23.091

8.858

7.272

23.863

1.144

11.641

92.097

Fonte: elaborazioni sull'Archivio dei Permessi di Soggiorno (Ministero dell'Interno)

 

I flussi in uscita sulla base dei permessi di soggiorno

Non è invece possibile, al momento, misurare i flussi in uscita. Infatti con la metodologia elaborata dall’ISTAT è possibile quantificare con sufficiente approssimazione il numero di documenti scaduti alla fine di ciascun anno, e non più prorogati (cfr. Relazione sulla presenza straniera in Italia e sulle situazioni di irregolarità, op. cit.); a differenza della quantificazione dei flussi d’ingresso le elaborazioni per la quantificazione dei documenti scaduti possono essere effettuate su base annuale.

Non vi sono tuttavia elementi conoscitivi certi per stabilire se il flusso di documenti scaduti si sia effettivamente tramutato in un flusso migratorio in uscita, o piuttosto in presenza irregolare.

Peraltro il numero di documenti scaduti presenti nell’archivio alla fine dell’anno non coincide con quelli effettivamente cessati di validità nel corso dell’anno: andrebbero infatti aggiunti i documenti cancellati dalle Questure, che evidentemente non sono compresi nell’ammontare degli scaduti alla fine del periodo, e sui quali non esistono delle statistiche.

Sembra dunque che un metodo più affidabile sia quello di sottrarre al saldo dei documenti validi alla fine di ciascun anno l’ammontare di nuovi documenti registrati nel corso dello stesso anno, e quantificati con la procedura esposta sopra. Rimarrebbe in ogni caso il problema, come detto sopra, della verifica di quanta parte dei documenti scaduti corrisponda effettivamente a uscite dal territorio italiano.

 

 

 

 

I flussi migratori dei cittadini residenti

Relativamente più semplice è la rilevazione dei flussi migratori dei cittadini stranieri iscritti in anagrafe. La rilevazione condotta dall’ISTAT consente di ottenere oltre alle informazioni sull’ammontare della popolazione residente, distinta per cittadinanza e sesso, sulla popolazione minore di 18 anni distinta per sesso, anche quelle relative ai bilanci della popolazione, sia per la parte relativa ai flussi naturali (nati, morti), che a quelli che qui interessano e cioè flussi migratori con l’estero (iscritti e cancellati).

 

È sostanzialmente più semplice determinare i bilanci anagrafici rispetto ai bilanci dei permessi di soggiorno. Si tratta infatti di due rilevazioni completamente diverse, a livello comunale la prima, a livello individuale la seconda. Se per i bilanci comunali è quindi necessario solamente procedere alla loro verifica e alla loro "validazione" per i documenti di soggiorno si deve procedere anche alla costruzione degli stessi bilanci. Tuttavia i flussi in uscita presentano degli inconvenienti anche nei bilanci anagrafici, dovuti alle mancate cancellazioni, che peraltro riguardano anche la popolazione italiana.

Nell’analisi del prospetto 2, si tenga presente che l’elevato saldo migratorio registrato nel corso del 1996 è da addebitarsi in gran parte agli effetti della regolarizzazione ex Decreto Dini, visto che gran parte degli stranieri che hanno usufruito di tale possibilità hanno poi provveduto alla registrazione anagrafica. A tal proposito si tenga presente che, in riferimento ai bilanci anagrafici, gli effetti della regolarizzazione del 1995-96 si produrranno con ogni probabilità anche in riferimento al 1997, in considerazione della maggiore gradualità del procedimento di iscrizione anagrafica rispetto a quello di richiesta e rilascio del Permesso di Soggiorno.

Da ultimo si deve ricordare che anche sui flussi migratori della popolazione residente straniera, sia quelli interni che con l’estero, esiste la possibilità di conoscere caratteristiche più dettagliate grazie all’indagine sui singoli trasferimenti di residenza condotta dall’ISTAT.

 

Possibili miglioramenti della quantificazione dei flussi migratori

Sembra necessario elaborare delle metodologie per la tenuta degli archivi dei documenti di soggiorno che facilitino la costruzione dei bilanci annuali. In primo luogo dovrebbero essere completate le informazioni che possono essere desunte dall’archivio dei permessi di soggiorno. Attualmente l’informazione statistica che proviene da tale fonte non è esaustiva riferendosi, come si è detto, solamente ad una componente minoritaria dei giovani stranieri.

Un tale archivio dovrebbe inoltre prevedere collegamenti con tutti gli altri archivi gestionali pubblici interessati al fenomeno, in primo luogo con i registri di popolazione comunale con i quali dovrebbe essere assicurata la necessaria coerenza nel tempo e sul territorio.

 

 

 

PARTE PRIMA: AZIONI ED INTERVENTI DELL’ITALIA SUL PIANO INTERNAZIONALE

 

 

Accanto alla sfida interna, di per sé epocale — che è sfida politica ma che è anche sfida di cultura e di civiltà — la valenza internazionale che il fenomeno migratorio per gli anni duemila assume per il nostro Paese è prioritaria. L’azione che il Governo si prefigge, in questo settore, ed avendo a mente — quale principale linea-guida — la stretta complementarietà fra gli interventi volti a facilitare l’integrazione nel nostro Paese degli immigrati regolari e le iniziative per il contrasto e controllo dell’immigrazione clandestina, non può quindi prescindere da un saldo ancoraggio delle nostre scelte in questo campo con quelle di politica internazionale, tanto in sede multilaterale che nei rapporti bilaterali fra Stati.

In questo contesto, naturalmente il primo e più rilevante riferimento è rappresentato dall’Unione Europea e dal ruolo vitale che nel suo ambito l’Italia è andata svolgendo in tutti questi anni ed è chiamata a svolgere in futuro alla luce dei tanti progressi dell’integrazione.

Tale quadro di riferimento postula da un lato l’effettiva rispondenza del nostro Paese ai doveri che gli derivano dal suo ruolo di membro fondatore dell’Unione e dall’altro rendono necessaria una più efficace e concreta solidarietà europea, complementare e non surrogatoria rispetto agli sforzi da noi condotti sul piano bilaterale nell’affrontare e risolvere un problema che è comune all’Europa e che non è in alcun modo ascrivibile a nostre primarie responsabilità: l’Italia, terra di passaggio quasi obbligato verso tradizionali poli di attrazione quali la Francia e la Germania, può e deve dotarsi di tutti gli strumenti che la stessa cooperazione nell’ambito dell’Unione prevede; ma essa può al contempo legittimamente attendersi che, tanto nelle grandi scelte strategiche da formulare e da attuare su uno dei fenomeni maggiori della nostra epoca, quanto su quello degli strumenti concreti per farvi fronte, la solidarietà dei partners nei suoi confronti sia almeno uguale a quella da noi sempre dimostrata su vari versanti con convinto e disinteressato spirito europeista.

 

Attività in ambito Unione Europea

In materia di immigrazione e di asilo la cooperazione tra gli Stati Membri dell’Unione, disciplinata attualmente nel Titolo VI del Trattato di Maastricht (il cosiddetto Terzo Pilastro) è volta all’adozione delle necessarie misure compensative alla libera circolazione al fine di evitare che quest’ultima si risolva in un incremento dell'immigrazione illegale e della criminalità. Si tratta di un obiettivo il cui perseguimento costituisce il minimo comune denominatore delle politiche immigratorie di tutti gli Stati membri dell'Unione che, con il Trattato di Maastricht, hanno definito la politica d'immigrazione "questione di interesse comune".

Gli atti che vengono adottati nel settore della politica d'immigrazione e che riguardano le condizioni di entrata e circolazione dei cittadini dei Paesi terzi, le condizioni di soggiorno e la lotta all’immigrazione al soggiorno e al lavoro irregolari, hanno prevalentemente un significato politico, ma sono per lo più privi di carattere vincolante.

Con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, le materie dell'immigrazione, dell'asilo, dei controlli alle frontiere e (limitatamente ai settori disciplinati dal Trattato di Maastricht nell'ambito della cooperazione intergovernativa) dei visti verranno inserite nel pilastro comunitario.

La piena applicazione di metodi e procedure comunitarie alle materie suindicate - eccettuati i visti — sarà tuttavia condizionata da un periodo transitorio di cinque anni, durante il quale è prevista l'iniziativa sia degli Stati membri che della Commissione, nonché il voto all'unanimità.

In proposito, il Governo italiano, coerente con la sua vocazione europea, è fautore della necessità di una riduzione di tale periodo transitorio affinché si giunga in tempi accelerati ad una comunitarizzazione, spedita e quanto più vasta possibile, delle politiche migratorie. Va infatti sottolineato che il Trattato di Amsterdam pone accenti nuovi su materie di grande delicatezza, e parte dalla constatazione che l’apertura delle frontiere in Europa ha creato problemi che non possono essere risolti esclusivamente a livello nazionale.

Il passaggio da modelli di cooperazione, spesso vaghi, a modelli di integrazione vera e propria, consentirebbe attraverso un approccio comune di aumentare l’efficacia delle risposte ai problemi che si pongono in campo migratorio.

Sarà ovviamente necessario che le Amministrazioni nazionali acquisiscano una maggior consapevolezza dei riflessi che le misure comunitarie potranno avere sui rispettivi ordinamenti giuridici e sulle politiche nazionali, ma nell’insieme non possiamo che essere promotori di una comunitarizzazione piena e di una accelerazione dei tempi della sua realizzazione.

In questo contesto va ricordata la proposta della Commissione europea di una Convenzione sull’ammissione dei cittadini di Paesi terzi (iniziativa Gradin), la quale testimonia la tendenza, che sarà ancora più marcata al momento dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, di pervenire ad un quadro giuridicamente vincolante per gli Stati membri. Tale Convenzione ha lo scopo precipuo di stabilire alcune norme comuni in materia di ammissione di cittadini di Paesi terzi negli Stati membri dell’Unione, per esercitarvi un’attività economica autonoma o subordinata, per motivi di studio, per svolgere attività non lucrative o per ricongiungimento familiare. La Convenzione, inoltre, prevede quali siano i diritti concessi ai cittadini di Paesi terzi che soggiornino in maniera prolungata in un Paese membro, in particolare per quanto riguarda la possibilità di accettare un posto di lavoro in un altro Stato membro.

Si tratta di una proposta molto ambiziosa ed articolata, che, seguendo un approccio globale alla politica dell’emigrazione, potrebbe richiedere tempi molto lunghi per la sua finalizzazione. L’Italia è sicuramente favorevole in linea generale a tale iniziativa, pur rendendosi conto della necessità di approfondire adeguatamente sia il contenuto che le conseguenze politiche e giuridiche di una simile proposta, anche in considerazione del principio di sussidiarietà.

Merita altresì un cenno il nostro intervento presso la Commissione e gli altri partners europei inteso a sollecitare l’assunzione di posizioni ferme e quanto più possibile concordi nella materia migratoria, nonché ad ottenere che negli accordi di associazione euro-mediterranea siano inseriti, accanto a dichiarazioni comuni sulla tutela sociale degli immigrati opportuni obblighi de contrahendo in materia di riammissione. L’introduzione negli Accordi di Associazione di siffatte disposizioni può risultare determinante per spianare la strada alla conclusione di successive intese, a livello bilaterale. Impegni in materia, per quanto non in termini esattamente identici, sono già stati assunti dal Marocco, dalla Giordania e dal Pakistan.

Nell’ambito di tali iniziative, e superando il quadro strettamente mediterraneo, si inserisce anche l’impegno profuso durante la preparazione del negoziato tra l’UE ed i Paesi ACP, in vista della rinegoziazione delle Convenzioni di Lomé, ai fini dell’inclusione, nel futuro quadro negoziale, di un capitolo concernente le questioni migratorie.

Non si può infine non far cenno alle implicazioni derivanti dagli Accordi di Schengen. Con la messa in vigore di tale Convenzione l’Italia è venuta ad essere parte integrante di uno spazio comune di libera circolazione delle persone senza più alcuna barriera e controllo. Gli Accordi di Schengen non si limitano ai soli cittadini europei in quanto anche gli stranieri regolarmente residenti possono circolare liberamente per l’intero spazio integrato. D’altra parte ai benefici connessi al Sistema di cui vengono ad avvantaggiarsi gli stranieri regolarmente residenti, fanno riscontro le misure compensative derivanti proprio dall’eliminazione dei controlli alle frontiere interne (in previsione della nostra entrata nel Sistema l’Italia - come noto - ha provveduto al rafforzamento di tutti i dispositivi di controllo delle frontiere). Va sottolineato a questo proposito che la nuova legge sull’immigrazione, attraverso le misure previste per contrastare il fenomeno degli ingressi clandestini, ha assunto rilevanza ai fini della completa integrazione dell’Italia nello spazio Schengen. Si osserva infine che il Trattato di Amsterdam non prevede espressamente le modalità concrete dell’incorporazione dell’acquis di Schengen nell’Unione Europea: rimane da definire in che misura si tratterà di una vera comunitarizzazione (ovvero del trasferimento delle materie disciplinate dagli accordi nella sfera di competenza della Comunità Europea) e in che misura si tratterà invece di un inserimento dell’acquis di Schengen nel III Pilastro.

 

Problematiche connesse all’asilo

Non disgiunta, ormai, dal contesto multilaterale, con particolare riferimento a quello dell’Unione Europea, appare la problematica dell’asilo che è andata gradualmente perdendo le originarie connotazioni per avvicinarsi talvolta al grande fenomeno migratorio.

Nel fissare il numero di stranieri da ammettere annualmente nel Paese, non si può dunque non tenere conto di coloro ai quali è riconosciuto lo status di rifugiato. Questi ultimi non solo hanno per legge il diritto di svolgere un’attività lavorativa ma sono, fin dall’inizio, assimilabili — viste le garanzie che il nostro ordinamento riserva per la loro tutela — ai residenti di lungo periodo. Inoltre, nella nuova normativa sull’asilo, attualmente all’esame del Senato, è previsto che al momento del riconoscimento dello status di rifugiato venga rilasciato all’interessato un permesso di soggiorno della durata di cinque anni che allo scadere potrà essere trasformato — previo accertamento da parte della Commissione Centrale del permanere del diritto di asilo — in carta di soggiorno. I rifugiati ufficialmente riconosciuti hanno inoltre diritto al ricongiungimento familiare.

Pertanto, nell’ambito di un processo generale di programmazione sui flussi d'immigrazione e sebbene il diritto d'asilo non possa, per sua intrinseca natura, essere soggetto a "limitazioni" quantitative, appare doveroso soffermasi su un fenomeno che, al pari dei ricongiungimenti familiari degli stranieri in genere produce, nella stragrande maggioranza delle situazioni, una lievitazione — ad oggi peraltro non significativa - della forza lavoro sul territorio nazionale.

Tale considerazione è tanto più vera se si esamina la tendenza, sostanzialmente in aumento, delle richieste d'asilo in Italia e conseguentemente dei rifugiati riconosciuti tali dalla Commissione Centrale per il Riconoscimento dello status di rifugiato.

Nel periodo di vigenza della legge 28 febbraio 1990, n. 39 (dal 30 dicembre 1989 al 27 marzo 1998, data di entrata in vigore della legge n.40/1998) le domande d'asilo sono state 40.033 con un livello di accoglimento del 10.20% pari a 4.083 rifugiati .

I dati assoluti divengono più significativi se correlati alla tendenza incrementale che si sta registrando dal 1996: in quell’anno infatti fu registrato un picco minimo di 654 richieste di asilo, divenute poi 1.518 nel 1997 (incremento del 132%) e 1.963 al 15 giugno di quest’anno con un potenziale incremento, su base annua, pari al 182% sul 1997 e al 555% sul 1996.

A quanto esposto, va ad aggiungersi:

a) il fisiologico aumento di richiedenti asilo che si determinerà da quest’anno a seguito della piena applicazione della Convenzione di Dublino che, come è noto, concerne la determinazione dello Stato competente ad esaminare una domanda di asilo: la naturale posizione geografica dell’Italia e il suo connotato di paese di transito sta producendo infatti un incremento delle riaccettazioni in Italia di richiedenti asilo che hanno avanzato domanda in altri Stati europei;

b) che il citato nuovo disegno di legge sulla disciplina del diritto di asilo, se approvato nel corso di quest’anno, potrà determinare, a partire dal 1999, una maggiore pressione sul mercato del lavoro: attualmente, infatti, la concessione di un permesso di lavoro è garantito solo ai rifugiati mentre con la nuova norma tale possibilità è estesa a coloro che, avendo avanzato ricorso contro un provvedimento negativo della Commissione, non hanno ottenuto, dopo sei mesi, dal Tribunale Amministrativo Regionale, la definizione del loro gravame;

c) che non è difficile pronosticare una significativa crescita del numero dei rifugiati in futuro, in considerazione del fatto che la nuova legge sull’immigrazione, grazie ai più severi meccanismi di espulsione che introduce nel nostro ordinamento, costituirà un forte disincentivo alla residenza clandestina per migliaia di persone, le quali potrebbero incrementare le fila dei richiedenti asilo e quindi dei potenziali rifugiati.

 

In via conclusiva è possibile affermare che, sebbene accogliere richiedenti asilo non è accogliere indiscriminatamente candidati all’immigrazione più o meno regolare, pur tuttavia, anche per la sua intrinseca novità, la problematica dell’asilo pone oggi una serie di interrogativi e di incognite intorno alle quali occorre e occorrerà ancor più vigilare. E ciò sia nella elaborazione della normativa interna che sul fronte europeo, al fine di dotarci di una capacità di risposta coerente ed univoca che sia effettivamente adeguata — pur nello spirito favorevole all’avanzata "comunitarizzazione" di questa materia — alla tendenza già emersa presso alcuni dei nostri Partners a ridistribuire l’onere dell’asilo.

 

 

Iniziative sul piano multilaterale.

Considerata la consistenza e la multi-nazionalità del fenomeno migratorio, un approccio articolato alla soluzione dei problemi legati ai movimenti di popolazione appare indispensabile anche e soprattutto in collegamento con le istanze multilaterali di cui l'Italia è parte. Rilevanza crescente va, dunque, attribuita al dialogo euro-mediterraneo, suscettibile di essere utile strumento per sensibilizzare i partners della sponda sud del Mediterraneo sull’importanza che riveste il capitolo sociale - in tutti i suoi aspetti- nel quadro del processo di avvicinamento in atto fra gli Stati che si affacciano su quel mare. L’azione di sensibilizzazione è, del resto, presupposto indispensabile per poter ampliare ed approfondire la collaborazione nell’individuazione ed adozione delle modalità d’intervento più opportune per affrontare le problematiche che investono il settore sociale del partenariato.

Grazie all’azione di stimolo portata avanti dall’Italia è stato possibile avviare un ampio dialogo sulle problematiche in questione. Il nostro obiettivo ultimo rimane, peraltro, l’organizzazione, nella materia migratoria, di una Conferenza tematica ad adeguato livello politico che dovrebbe perseguire l’obiettivo di dissipare i sospetti esistenti circa gli intenti esclusivamente repressivi delle politiche migratorie dei Paesi europei e servire, al contempo, ad illustrare ai partners della sponda sud del Mediterraneo i vantaggi di una cooperazione istituzionalizzata in materia migratoria.

Stante il nostro interesse ad associare la previsione di chiari percorsi di integrazione per gli immigrati regolari col maggior rigore nel contrasto dell’illegalità, il dialogo euro-mediterraneo diviene, peraltro, sede privilegiata per promuovere un quadro organico di negoziati con i Paesi originari dei principali flussi migratori, al fine di pervenire alla stipula di accordi di riammissione degli immigrati clandestini. Strumentale, rispetto al raggiungimento di un risultato siffatto, è il proseguimento dello sforzo già da tempo avviato per promuovere, in occasione dei negoziati per la conclusione degli Accordi di Associazione euro-mediterranea, un’apposita azione di coordinamento in sede comunitaria.

Nell’ambito delle attività sul piano multilaterale vanno anche sottolineate le iniziative portate avanti dall’Italia in materia di lotta all’immigrazione illegale, componenti di assoluto rilievo per dare credibilità e spessore alla nostra politica migratoria.

A questo riguardo importanti risultati potranno scaturire dal protocollo messo a punto dal nostro paese mirante alla prevenzione e repressione del traffico e dell’immigrazione clandestina via mare che, nel quadro del fenomeno, ne costituiscono un aspetto di forte connotazione se si considerano anche le ricadute nei confronti dei paesi non costieri nonché le nostre responsabilità per il controllo della frontiera esterna Schengen. L’iniziativa avviata ha accresciuto il proprio rilievo a seguito della sua fusione con un progetto di Convenzione predisposto dall’Austria che comprende anche la lotta al traffico dei migranti via terra ed aerea ed introduce la nozione di reato internazionale, con conseguente possibilità di estradizione per coloro che organizzano e speculano su queste attività illecite. Nel corso della VII Sessione della Commissione delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine e per la giustizia penale i due Paesi, appoggiati da numerose delegazioni, hanno presentato un progetto di Risoluzione riguardante tale convenzione che sarà esaminato da un gruppo istituito ad hoc che si riunirà informalmente nel corso della prossima estate a Buenos Aires. Un ulteriore strumento per la lotta ai traffici illegali di immigrati via mare è rappresentato dalla proposta di risoluzione presentata dall’Italia in ambito IMO — l’Organizzazione Marittima Internazionale — volta ad ottenere l’approvazione di regole efficaci atte a garantire la sicurezza della navigazione e la salvaguardia della vita in mare (è noto infatti che le organizzazioni di trafficanti in questo settore di attività utilizzano imbarcazioni largamente al di sotto degli standard consentiti).

Dall’Italia viene anche sviluppata una decisa azione per accrescere nella regione Adriatica e nel quadro dell’Iniziativa Centro Europea — INCE — una struttura di contrasto ai fenomeni illegali, con particolare riferimento a quelle dell’immigrazione clandestina, che coinvolge a livello multilaterale oltre al nostro paese, Albania, Rep. Fed. Jugoslavia, Bosnia Erzegovina, Croazia e Slovenia.

 

Azioni sul piano bilaterale

Per quanto attiene ai rapporti bilaterali la politica negoziale dell’Italia con i paesi di origine e di transito degli immigrati trae ulteriore impulso dalla legge 40/98. L’assegnazione di quote riservate preferenziali - previste dall’art.19 — per l’accesso al mercato del lavoro anche stagionale, solo nell’ambito di accordi finalizzati alla regolamentazione dei flussi di ingresso e delle procedure di riammissione, consente infatti di disporre di uno strumento tutt’altro che trascurabile per condurre a positiva conclusione i negoziati con i paesi che si dimostrano più riluttanti a stipulare accordi sulla riammissione degli immigrati clandestini.

I due complementari versanti delle intese sulla riammissione e sul lavoro costituiscono pertanto strumenti di politica internazionale e non soltanto accordi di carattere tecnico..

Già da tempo il nostro Paese è impegnato nella realizzazione di un’ampia rete di accordi di riammissione. Tale obiettivo è perseguito in una strategia di negoziato globale, ponendo in relazione tali accordi con altre intese, di reciproco interesse, sia nel settore socio-migratorio che sul più vasto fronte della cooperazione bilaterale nei diversi settori, ed in particolare in quella della cooperazione allo sviluppo.

L’impegno profuso consente già di disporre di un ampio reticolo di accordi di riammissione con i paesi dell’Europa dell’Est e dell’area balcanica. Non possono a questo proposito non sottolinearsi i positivi risultati dell’Accordo concluso con l’Albania, che consente di respingere coloro che non hanno i requisiti per l’ingresso in Italia.

I nostri sforzi dovranno ora ancor più concentrarsi sull’area mediterranea da cui proviene una consistente parte degli immigrati presenti in Italia, e dove permangono non poche difficoltà per pervenire ad intese in questa materia. Occorre soprattutto che le Autorità di quei paesi acquisiscano una maggiore consapevolezza dell’esigenza di un efficace contrasto dell’immigrazione clandestina nel Mediterraneo. Una immigrazione che avvenga in modo incontrollato è infatti incompatibile con un processo di reale integrazione degli immigrati, con una costante e concreta progressione dei loro diritti, e finisce in ultima analisi per nuocere alle collettività degli immigrati regolarmente soggiornanti nel nostro paese.

Inoltre, presentandosi ancora difficoltà lungo il percorso negoziale per la definizione di specifiche intese bilaterali, sembrerebbe opportuno continuare ad insistere in sede U.E. - dove si è constatato, peraltro, un diffuso consenso tra i nostri partners europei- ed a livello della Commissione, perché nel testo degli Accordi di associazione euro-mediterranea con l’Egitto, il Libano, l’Algeria e la Siria trovi adeguata collocazione una clausola sulla riammissione. Appare, altresì, utile evidenziare, nei contatti con gli interlocutori mediterranei, l’estrema difficoltà di progredire verso ulteriori intese di reciproco interesse (sicurezza sociale, cooperazione giudiziaria), in mancanza di un accordo sul contrasto dei flussi clandestini. Ciò, in quanto riteniamo indispensabile che sostanziali progressi siano compiuti, in modo parallelo ed equilibrato, su tutte le questioni sociali e migratorie. L’intesa sulla riammissione resta per noi, infatti, obiettivo di assoluto riguardo, in quanto l’impostazione di una seria azione di contrasto dell’immigrazione clandestina non può prescindere dalla collaborazione dei paesi originari dei maggiori flussi migratori.

La rilevanza di alcuni Stati dell’Africa sub-sahariana (Senegal, Ghana, Nigeria, Somalia, Etiopia) nella geografia complessiva dei flussi migratori ha fatto emergere la necessità di definire anche per tale regione un quadro d’azione analogo a quello delineato per i Paesi mediterranei.

Con il Senegal in particolare, si intenderebbe avviare - una volta raggiunto il necessario coordinamento con le Amministrazioni competenti in materia della sicurezza sociale (Ministeri del Lavoro e del Tesoro) - un negoziato parallelo a livello bilaterale, al fine di addivenire alla conclusione di un Accordo di riammissione e, al contempo, di una Convenzione di Sicurezza Sociale.

Nel quadro del complessivo rilancio della politica italiana nei confronti dell’Africa, si è provveduto ad istituire un foro di dialogo fra le Amministrazioni italiane interessate alle tematiche migratorie ed il Comitato Emigrazione creato dal corpo diplomatico africano accreditato a Roma

La rilevanza rivestita dagli accordi con i paesi dell’Est europeo, balcanici e del Mediterraneo, non deve far perdere di vista il nostro interesse ad impostare negoziati socio-migratori, con un’impostazione analoga a quella sopra descritta per i negoziati con i Paesi Mediterranei, anche con alcuni Stati asiatici che producono flussi verso l’Italia di una certa importanza, e sono anch’essi coinvolti in misura crescente in movimenti di clandestini.

Per quanto concerne le quote riservate da assegnare in via preferenziale, nell’ambito della programmazione dei flussi migratori, andranno privilegiati quegli Stati per i quali sono state avviate le procedure di integrazione europea. Ciò costituirà un tangibile segno del nostro sostegno al processo di ampliamento dell’Unione.

Va tra l’altro sottolineato che tutti i paesi per i quali tali procedure sono in corso hanno già perfezionato accordi di riammissione con l’Italia o comunque esistono contatti in tal senso.

 

Cooperazione allo sviluppo e flussi migratori

Gli Indirizzi di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo approvati dal CIPE nel giugno 1995 presentano quale finalità prioritaria delle politiche italiane di aiuto allo sviluppo quella di "contribuire allo sforzo internazionale per la lotta contro la povertà che, tra l’altro, è la principale causa della crescente pressione migratoria verso i Paesi industrializzati…". L’ovvia connessione fra le situazioni di estrema povertà nei Paesi in via di sviluppo ed i flussi migratori verso i Paesi più ricchi fa sì che una delle grandi priorità tematiche della comunità internazionale dei donatori e della Cooperazione Italiana — cioè la lotta contro la povertà — ben si concili con la necessità di controllare e razionalizzare tali flussi. Se si considera poi che un’altra area tematica cui la Cooperazione Italiana riserva tradizionalmente particolare attenzione è quella dello sviluppo della piccola e media imprenditoria (PMI) nei Paesi in via di sviluppo — al fine di innescare un circolo virtuoso di auto-sviluppo sostenibile nonché di generare occasioni occupazionali — si comprende come le nostre attività di cooperazione allo sviluppo possano indirettamente contribuire ad intervenire sulle cause dell’emigrazione.

 

Il Bacino del Mediterraneo — ovvero l’area geografica dalla quale provengono i principali flussi migratori che interessano il nostro Paese — è una delle regioni prioritarie per la Cooperazione Italiana: nel 1997 vi è confluito quasi un terzo (31%) degli aiuti complessivi. In particolare, Albania ed Egitto sono due fra i principali beneficiari dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo italiano. Nei Paesi dell’area mediterranea, numerosi progetti della Cooperazione Italiana sono concepiti ed attuati avendo in mente anche il disegno di disincentivare la spinta migratoria verso i Paesi dell’Unione Europea, attraverso — come già accennato — attività volte a combattere le situazioni di estrema povertà (servizi sociali di base, microimpresa, microcredito) ed a creare occupazione (interventi infrastrutturali, sviluppo della PMI) e capitale umano (formazione professionale).

 

La Dichiarazione di Intenti sulla Cooperazione tra Italia ed Albania — sottoscritta a Tirana il 18 dicembre 1997 — prevede che "un criterio comune di particolare importanza nel valutare la priorità degli interventi di cooperazione in tutti i settori (…) sarà quello relativo alla loro attitudine a creare posti di lavoro in loco, contrastando le tendenze incontrollate all’emigrazione." In tal senso, l’intero Programma di cooperazione 1998-2000 con l’Albania — per il quale sono stati stanziati 210 miliardi di lire, di cui 180 a credito di aiuto e 30 a dono — accorda in tutti i settori di attività (institution building, infrastrutture, tutela ambientale, PMI, sanità, etc.) la priorità agli interventi ad elevata valenza di generazione d’impiego. Per quanto concerne invece gli interventi di cooperazione recentemente conclusi o attualmente in corso di esecuzione, paiono degni di menzione in questo contesto il Programma di sostegno all’imprenditoria femminile, quello per il sostegno della produzione agricola — eseguito dalla FAO con fondi italiani — ed il Progetto integrato zootecnico, nonché un pacchetto di iniziative in cofinanziamento con la Banca Mondiale volte a promuovere lo sviluppo rurale (anche attraverso la costruzione di strade e schemi irrigui) e la riduzione della povertà. Meritano attenzione ai nostri fini anche i grandi interventi infrastrutturali in corso finanziati dalla Cooperazione Italiana — riabilitazione della rete idrica di Tirana, acquedotto di Bovilla, linea ferroviaria Tirana-Durazzo, reti elettriche urbane — che hanno la doppia valenza di creare occupazione in loco nel breve periodo e di promuovere la crescita economica ed uno sviluppo sostenibile nel medio e lungo termine.

 

Nei Paesi del Maghreb ed in Egitto lo sviluppo economico — e quindi la riduzione della spinta migratoria — passa per la modernizzazione dell’agricoltura e la ristrutturazione dell’industria. In Marocco ed in Tunisia i Governi stanno cercando di adottare misure volte allo sviluppo dei settori produttivi ed in particolare all’accrescimento della competitività delle piccole e medie imprese, che vi rappresentano una buona fetta del tessuto industriale (93% in Marocco) ed impiegano un’alta percentuale della forza lavoro.

Per questo motivo, i programmi della Cooperazione Italiana in corso di esecuzione o di negoziato si concentrano soprattutto sull’appoggio al settore delle PMI (che, in virtù del più basso costo del lavoro in tali Paesi, tendono a specializzarsi nei settori ad alta intensità di manodopera), sulla formazione professionale e sull’assistenza tecnica ai centri settoriali di assistenza alle imprese, ma anche negli interventi di sviluppo umano e di riduzione della povertà estrema nelle aree particolarmente svantaggiate. In effetti, alle linee di credito messe a disposizione delle piccole e medie imprese locali (Tunisia, Algeria, Marocco, Egitto) e delle joint-ventures a partecipazione italiana (Tunisia) si affiancano interventi di sviluppo umano a livello locale (Tunisia) e di poverty alleviation (Egitto). In genere, la strategia della Cooperazione italiana nell’area volta a rafforzare lo sviluppo della PMI — e quindi a creare occupazione — prevede di accompagnare le linee di credito di cui sopra per il sostegno finanziario alle imprese locali ad una componente di assistenza tecnica (a dono) esercitata attraverso la costituzione di centri per l’erogazione di servizi alle imprese. Inoltre, attraverso l’OIL e l’UNIDO si stanno attuando — ovvero sono in corso di definizione - un intervento di promozione della microimpresa nella Regione di Jendouba in Tunisia e nelle Provincie di Settat ed El Jadida in Marocco e due interventi di assistenza tecnica alle PMI tunisine (settori dell’abbigliamento e del cuoio). Per quanto concerne invece il settore della formazione professionale — altrettanto importante al fine di disincentivare la spinta migratoria — gli sforzi della Cooperazione Italiana nel Maghreb si concentrano nell’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro locale e nella promozione di nuove iniziative imprenditoriali. Infine, degno di nota è lo studio tematico "Le migrazioni dal Maghreb e la pressione migratoria: situazione attuale e previsioni" che l’OIL ha compiuto sempre con finanziamenti della Cooperazione Italiana.

 

 

 

 

PARTE SECONDA: LINEE GENERALI PER LA DEFINIZIONE DEI FLUSSI DI INGRESSO NEL TERRITORIO DELLO STATO

 

 

Criteri generali

Nel quadro degli elementi della politica dell’immigrazione degli stranieri nel territorio dello Stato italiano, i criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso in Italia, da porre come base per la successiva emanazione dei decreti annuali che stabiliscono le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato a tempo indeterminato ed a tempo determinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo, sono i seguenti:

a) adeguata considerazione dell’impatto sul mercato del lavoro dei ricongiungimenti familiari, effetto del radicamento delle comunità degli stranieri nel territorio italiano, con la conseguente ricerca di lavoro da parte della seconda generazione presente in Italia;

b) valutazione della situazione interna del mercato del lavoro nazionale, poiché l’offerta di disponibilità della manodopera straniera possa dirigersi verso spazi ed ambiti non completamente assorbiti dalla manodopera italiana;

c) valutazione delle opportunità offerte dalla conclusione di accordi bilaterali con i Paesi di origine, dalle azioni svolgibili in cooperazione con l’Unione Europea e con le organizzazioni non governative;

d) valorizzazione della previsione legislativa che consente l’ingresso in Italia a predeterminati contingenti di persone per le finalità di ricerca di un inserimento lavorativo, piuttosto che sulla base di un contratto di lavoro già esistente.

 

 

 

 

1. Situazione del mercato del lavoro italiano

La caratteristica principale è rappresentata da un forte divario tra il Nord dell’Italia e le regioni del Mezzogiorno, sia dal punto di vista dello sviluppo produttivo sia da quello della disoccupazione. Nella media nazionale del 1997, il tasso di disoccupazione risulta infatti del 12,3% con una marcata differenza tra le diverse aree del Paese: nel Centronord i tassi variano tra il 3% delle aree migliori (Veneto, Trentino Alto Adige) ed il 12% delle aree peggiori (Piemonte, Liguria, Lazio), nel Sud la percentuale dei senza lavoro è superiore al 20% in molte regioni, con picchi particolarmente elevati in Campania, Calabria e Sicilia.

Tali cifre medie sulla disoccupazione variano inoltre secondo la professionalità e l’età. Al riguardo non può non rilevarsi come le richieste di manodopera non trovino adeguata risposta nelle regioni del Centronord relativamente a professionalità a scarso contenuto di specializzazione e nel settore del lavoro stagionale.

E’, quindi, in tale scenario che nel corso degli anni precedenti si è registrato un progressivo aumento del fenomeno immigratorio ed una tendenza al radicamento nella società italiana della presenza degli stranieri determinato da un crescente inserimento nel mondo del lavoro, in particolare nelle regioni del Nord e ancor più nel Nord-Est: dette regioni presentano i valori più elevati di occupazione straniera regolare e soprattutto nell’industria. Nel Mezzogiorno, per contro, il grado di utilizzo di forza lavoro regolare rimane molto basso.

La situazione degli inserimenti lavorativi è confermata indirettamente dal fenomeno delle iscrizioni al collocamento, in qualità di disoccupati, dei lavoratori stranieri, che si concentra in modo sensibile nel mezzogiorno e nelle regioni del Nord-Ovest, coerentemente alla struttura della disoccupazione nazionale.

Permane quindi, nelle aree territoriali e professionali suindicate, non in contrasto con le caratteristiche strutturali del mercato del lavoro italiano, un fabbisogno di inserimenti lavorativi extracomunitari, come si è puntualmente registrato in sede di ripartizione dei flussi del 1998 ( oltre 22.000 richieste dal Centro-Nord, delle quali 18.000 dal Nord-Est., 7.000 unità dal Centro e 5.000 dal Mezzogiorno).

Ai flussi di ingresso per motivi di lavoro subordinato, occorre poi affiancare quelli per lavoro autonomo, la cui quantificazione dovrà tener conto delle valutazioni sull’andamento dei relativi mercati locali, così come rilevato dagli uffici preposti alla disciplina delle attività produttive e di servizio a livello locale. E’ noto al riguardo che il mercato del lavoro italiano si connota per una forte incidenza del lavoro autonomo e che ulteriore sviluppo potrà aversi con gli importanti interventi di liberalizzazione in alcuni comparti.

 

2. Stranieri presenti in Italia per i quali può definirsi un inserimento lavorativo regolare

Si deve innanzitutto tener conto della normalizzazione dei flussi che provengono dalle comunità presenti sul territorio nazionale per motivi umanitari, tramite richieste di conversione del titolo di presenza in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Non può essere inoltre sottovalutato il fenomeno della presenza in Italia di lavoratori che, entrati regolarmente non si trovino più in regola con le norme di soggiorno, nonchè di stranieri in situazioni di irregolarità per quanto concerne l’ingresso in Italia i quali siano, comunque, in grado di regolarizzare un loro verificabile inserimento di fatto nel mondo del lavoro.

E’ di recente elaborazione la "Relazione sulla presenza straniera in Italia e sulle situazioni di irregolarità", predisposta per dare attuazione all’impegno che il Governo ha assunto accogliendo l’ordine del giorno n. 100 approvato dal Senato nella seduta del 19.2.98. Tale relazione rappresenta un contributo di conoscenza del complesso fenomeno dell’immigrazione anche attraverso l’analisi critica delle numerose statistiche esistenti ed elaborate da varie istituzioni (Ministero dell’Interno, ISTAT, INPS, Ministero del lavoro e della previdenza sociale, associazioni del volontariato, ecc.) e consente di fornire una stima circa la presenza irregolare degli stranieri.

La relazione contiene in ultima analisi una stima circa la consistenza degli stranieri irregolarmente presenti sul territorio italiano rappresentata da una "forbice" che va da un minimo di poco meno di 200 mila unità ad un massimo di 300 mila.

Nell’ottica del presente documento programmatico, che riguarda sia la politica dell’immigrazione che la condizione degli stranieri nel territorio italiano, la programmazione dei flussi di ingresso per gli anni a venire deve tener conto dell’attuale presenza straniera in Italia e della possibile normalizzazione di specifiche situazioni in armonia con i princìpi ispiratori della legge.

 

3. Accordi finalizzati alla regolamentazione dei flussi di ingresso.

La legge 40 prevede che con i decreti annuali dei flussi di ingresso siano assegnate in via preferenziale quote riservate agli Stati non appartenenti all’Unione europea con i quali siano stati conclusi appositi accordi, di cui all’articolo 19 della legge. Si ritiene utile, in questo ambito, favorire le forme di inserimento lavorativo accompagnate da interventi formativi e di addestramento per un positivo reinserimento nei Paesi di origine.

Viene qui richiamato quanto detto nella prima parte del documento, con riguardo in particolare alle scelte di cooperazione: con i Paesi del Mediterraneo, del Centro e dell’Est europeo ed, infine, dell’Africa sub-sahariana.

Va rilevato poi come il fenomeno dell’immigrazione, nelle sue componenti storiche tradizionali, potrebbe a sua volta essere fonte di politiche di collaborazione che integrino le scelte strategiche, ai soli fini di migliorare le condizioni di vita, in coerenza con le politiche di integrazione: sono da segnalare quindi ulteriori criteri da prendere in considerazione come quelli della consistenza numerica delle comunità esistenti in Italia , della pressione migratoria alle frontiere e ai confini italiani per situazioni contingenti e per eventi bellici. Anche per tali Paesi di provenienza potrebbe darsi luogo ad accordi bilaterali.

Anche le quote da destinare all’ipotesi di cui all’articolo 21 della legge, ingressi assistiti da garanzie di soggetti terzi, possono essere riferite, nel primo triennio di programmazione, essenzialmente, ai Paesi indicati precedentemente. La consistenza di tale quota può essere programmata in maniera flessibile negli anni , in modo da verificare i risultati e la rispondenza del fenomeno migratorio alle finalità della norma.

Gli accordi e le intese bilaterali possono definire modalità di formazione e di pubblicizzazione delle liste e la loro consistenza numerica; possono, altresì, stabilire specifiche modalità per procedere ad attività di orientamento e di selezione da effettuarsi nei Paesi d’origine, presso le sedi delle ambasciate italiane, nei confronti degli stranieri aspiranti all’iscrizione nelle liste. Tali attività saranno svolte da esperti delle diverse amministrazioni competenti (Ministero degli affari esteri, Ministero del lavoro, Ministero dell’Interno, ecc.).

Nella prima fase della programmazione triennale, si segnala l’opportunità di indicare delle quote più generali per area geografica (Paesi dell’Europa Centrale ed Orientale e Paesi della sponda sud del Mediterraneo) piuttosto che indicare delle quote da assegnare ai singoli Paesi. Accordi con i singoli Paesi potranno poi riguardare settori specifici come quello del lavoro stagionale, come già avvenuto per l’Albania.

In altre parole l’intesa bilaterale dovrebbe vertere sulla consistenza delle cosiddette liste di prenotazione e sulle più opportune e concordate modalità per agevolare l’effettivo ingresso in Italia dei lavoratori, nei limiti delle quote complessive, e nel rispetto della facoltà accordata ai datori di lavoro di operare una selezione dei lavoratori più professionalmente preparati. Va da sé che la programmazione per Paese di origine potrà avere contingenti predeterminati nei casi di ingresso per ricerca di lavoro o a fronte di richieste non nominative (vedi il lavoro stagionale).

 

4. Anagrafe annuale informatizzata delle offerte e delle richieste di lavoro subordinato e servizi per l’impiego

4.1 La legge 40 ha consentito una profonda revisione delle procedure in atto che regolano l’ingresso per motivi di lavoro, innestando, a fianco delle episodiche situazioni di richiesta di personale residente all’estero da parte dei datori di lavoro, modalità di gestione di un più efficace servizio di incontro tra domanda ed offerta di lavoro.

Va da sé che dette procedure ineriscono alle competenze dei diversi Ministeri a vari livelli e dovranno essere garantiti gli opportuni momenti di coordinamento. Dopo l’autorizzazione del Ministero del lavoro, infatti, devono seguire, per l’effettivo avvio dell’attività lavorativa in Italia, il visto di ingresso ed il permesso di soggiorno.

Ai fini di un efficace coordinamento si potrà contare soprattutto sulla realizzazione dell’anagrafe informatizzata delle offerte e delle richieste di lavoro, che unitamente ai sistemi informativi collegati del Ministero dell’Interno e dell’INPS, dovrebbe produrre una accelerazione e nel contempo una maggiore penetrazione dei controlli di competenza delle varie amministrazioni.

Il servizio di incontro tra domanda ed offerta di lavoro è così articolato:

a) gli accordi e le intese bilaterali prevedono, nei limiti stabiliti dai decreti annuali dei flussi, la possibilità per i cittadini di essere presenti nell’anagrafe informatizzata, previa formazione di apposite liste, anche per le attività di carattere stagionale, con un determinato ordine di priorità per il caso di richieste numeriche;

b) i lavoratori stagionali, che hanno rispettato le indicazioni del permesso di lavoro e sono rientrati nel loro Paese, hanno il diritto di precedenza, rispetto ai connazionali ed a parità di qualifica, verso il lavoro stagionale presso gli stessi datori di lavoro in Italia;

c) singoli cittadini italiani o residenti stranieri regolari o specifici enti possono offrire la loro garanzia a favore di lavoratori provenienti dalle aree geografiche individuate dal presente documento programmatico, per la ricerca di un inserimento lavorativo;

d) trascorsi i termini previsti per le procedure di cui al punto c), si darà luogo alle procedure subordinate a favore dei lavoratori che propongano la loro candidatura per l’ingresso ai soli fini di ricerca di un inserimento lavorativo, previa iscrizione in apposite liste tenuta presso le ambasciate italiane.

I datori di lavoro possono richiedere l’arrivo di stranieri residenti all’estero da essi preindividuati mediante conoscenza diretta, ovvero da essi preselezionati mediante consultazione dell’anagrafe informatizzata cui confluiscono i nominativi dei lavoratori stranieri inseriti nelle liste dianzi specificate.

Per le ipotesi sopraindicate le procedure di ricerca dei lavoratori si risolvono principalmente nella scelta nominativa favorita da un’ampia promozione delle liste dei lavoratori stranieri.

Nel caso di procedura di avviamento mediante richiesta numerica il criterio è quello riferito all’anzianità di iscrizione nelle liste medesime. Il Ministero del lavoro può peraltro effettuare avviamenti dalle liste formate con i Paesi con i quali sono stati raggiunti accordi, secondo ulteriori trasparenti criteri di priorità, in particolare per il lavoro stagionale.

4.2 Questo articolato servizio di incontro fra domanda ed offerta di lavoro va naturalmente coordinato con il più generale servizio per l’impiego, per tener conto delle effettive capacità di assorbimento della domanda di lavoro locale, indirettamente misurabile dai tassi di disoccupazione territoriali, cui contribuiscono gli stessi lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti, ma in stato di disoccupazione.

Da questo punto di vista, si devono sottolineare due aspetti:

a) si è ritenuto, nell’ambito del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, di riservare la materia inerente al controllo dei flussi di immigrazione allo Stato, non includendola nelle materie relative al collocamento che sono state trasferite alle regioni, in modo da poter assicurare, almeno nel primo periodo di applicazione della nuova legge 40, un più omogeneo comportamento in materia;

b) il coinvolgimento delle regioni, cui è stata conferita la materia delle politiche del lavoro, sarà peraltro totale nella definizione dell’andamento dei tassi di occupazione e di disoccupazione che dovranno essere messi a base dell’istruttoria tecnica del Ministero del lavoro, ai fini dei decreti annuali di programmazione delle quote di ingresso.

Per quanto riguarda in particolare il lavoro stagionale, la programmazione e la politica del lavoro dovranno agevolare lo sviluppo della potenziale domanda in questo comparto, che appare il più idoneo a garantire un inserimento di lavoratori extra-comunitari in linea con le esigenze del mercato del lavoro italiano e collegato a reali prospettive di rientro nella madrepatria.

Per questi lavoratori temporaneamente presenti sul territorio nazionale, si chiede alle regioni ed ai centri per l’impiego provinciali di programmare parallelamente, con la dovuta gradualità, attività di formazione professionale che possano arricchire l’esperienza di lavoro in Italia.

A tal fine la legge prevede che le Commissioni regionali per l’impiego ovvero le strutture che le regioni decideranno di istituire in loro vece, possono stipulare con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello regionale dei lavoratori e dei datori di lavoro, e con gli enti locali, apposite convenzioni, in materia di lavoro stagionale, indicando il trattamento economico e normativo, le misure per assicurare idonee condizioni di vita, di lavoro ed alloggiative, nonché incentivi per favorire l’ingresso ed il rientro dei lavoratori.

 

 

5. Indicazioni per la determinazione delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato.

La quantificazione dei flussi dovrà essere contenuta, come detto, per tener conto degli inserimenti lavorativi che provengono dal flusso dei ricongiungimenti familiari, nella accezione ancor più allargata che la nuova legge prevede.

Sempre nell’ottica di una programmazione degli ingressi compatibile con il mercato del lavoro e con le politiche di integrazione, non può non essere valutato l’impatto potenziale delle modifiche dei permessi di soggiorno da altro titolo, in particolare per motivi di studio, a titolo di lavoro subordinato. Si ritiene infatti più prudente e più snello dal punto di vista amministrativo, valutare preliminarmente tale impatto, contenendo i flussi nei decreti, che non reintrodurre, per i predetti cambiamenti del titolo del permesso di soggiorno per stranieri già residenti in Italia, una diversa e più complessa istruttoria con l’intento di effettuare una sorta di filtro successivo.

La programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro subordinato od autonomo, ancorché non sia prevista una quantificazione che sarà successivamente individuata con specifici decreti, dovrebbe poi tener conto anche degli ingressi che potranno essere autorizzati ai sensi dell’articolo 25 della legge. In particolare, si rileva la portata delle autorizzazioni per fini misti di formazione e di lavoro, di cui all’articolo citato lettera f), che sembrerebbe delineare anche un successivo fabbisogno di inserimenti lavorativi a pieno titolo.

In base alle considerazioni sin qui svolte, si delineano le prime indicazioni per l’elaborazione dei decreti annuali dei flussi di ingresso.

La programmazione riguarda gli anni 1998, 1999 e 2000, in modo graduale ed equilibrato a partire dall’anno in corso, mediante un nuovo decreto interministeriale sui flussi, integrativo rispetto a quello già emanato in data 24.12.1997, anche per tener conto del primo accordo bilaterale stipulato con l’Albania:

a) Si dovrà, in primo luogo, tener conto della situazione interna del mercato del lavoro e dei limiti numerici risultanti dai piani previsionali del fabbisogno di manodopera elaborati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

b) La programmazione dei flussi nel triennio 1998-2000 terrà conto di una quota crescente di autorizzazioni al lavoro stagionale, destinate a diventare una componente importante delle intese bilaterali con i Paesi del Mediterraneo, dell’Europa Centrale e Orientale e dell’Africa Sub-Sahariana (le aree geografiche di preferenza). Il lavoro stagionale, se opportunamente regolamentato, può proprio per le sue caratteristiche meglio rispondere a quelle esigenze di mobilità e di flessibilità che caratterizzano i moderni flussi migratori;

c) Tali limiti numerici dovranno tener conto non solo del fabbisogno di lavoratori subordinati, ma, altresì, del possibile sviluppo di attività di lavoro autonomo, compatibili con l’esercizio delle attività svolte dai locali e potenzialmente destinate a creare un maggiore incremento delle realtà produttive interne.

d) In considerazione delle risultanze sulla presenza degli stranieri in Italia, anche in situazioni di irregolarità, il completamento del contingente relativo al 1998, potrà essere riservato a lavoratori stranieri:

- che possano dimostrare con elementi oggettivi di essere già presenti in Italia prima dell’entrata in vigore della legge 6 marzo 1998, n. 40,

- e che possano dimostrare di avere un rapporto di lavoro in corso ovvero un formale impegno di assunzione, comprovati entrambi dall’assenso del datore di lavoro.

Inoltre, in via eccezionale, per il 1998 e, in parte minore, per il 1999, potrà essere consentito, per un limitato contingente di lavoratori presenti in Italia anche in situazione di irregolarità, l’attivazione del meccanismo delle garanzie prestate da terzi ai sensi dell’art. 21, con il rilascio di un permesso di soggiorno per un anno ai fini di inserimento nel mercato del lavoro.

e) A partire dal 1999, sarà poi attivata, in misura adeguata, una quota riservata agli ingressi assistiti da sponsorizzazioni da parte di privati o enti autorizzati (art. 21, comma 1) o, in mancanza di questi, agli ingressi individuali per ricerca di lavoro (art. 21, comma 4).

f) Una limitata quota di ingressi per lavoro subordinato sarà sempre riservata alle autorizzazioni basate sulle richieste nominative (da qualsiasi Paese estero).

g) Per quanto attiene al lavoro autonomo sarà fatta una programmazione triennale, destinata, per il primo anno e parzialmente nel secondo, a stranieri - che hanno dimostrato con elementi oggettivi di essere già presenti in Italia prima dell’entrata in vigore della legge n.40 del 1998 - che intendono avviare un’attività di lavoro autonomo, a condizione che essi chiedano un permesso provvisorio di soggiorno al solo fine di espletare le procedure previste nell’art. 24 della legge per ottenere l’autorizzazione all’attività autonoma, previa dimostrazione, con adeguata documentazione, circa il possesso delle strutture, attrezzature e capitali liquidi necessari per l’attività imprenditoriale.

 

Mezzi di sussistenza per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri

Per quanto riguarda la disponibilità dei mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno, l’art.4, comma 3, della legge 40/98 stabilisce che "i mezzi di sussistenza sono definiti con apposita direttiva emanata dal Ministro dell’interno, sulla base dei criteri indicati nel documento di programmazione di cui all’art.3, comma 1".

Tali criteri non possono essere che di carattere generale e sono così sintetizzabili:

a) il reddito e le risorse comunque disponibili debbono comunque derivare da fonti lecite;

b) la disponibilità dei mezzi di sussistenza può essere comprovata non solo con l'esibizione della valuta ma anche, e meglio ancora, con documenti di credito, di atti comprovanti rapporti di lavoro in corso, di atti comprovanti la disponibilità di immobili e risorse finanziarie e, nei casi previsti dall'articolo 21, la sussistenza delle garanzie ivi indicate.

 

 

PARTE TERZA: POLITICHE DI INTEGRAZIONE

 

 

1.Che cosa si intende per integrazione

La definizione di una strategia di integrazione degli immigrati impone la risposta ad un primo fondamentale quesito: se sia preferibile limitarsi ad estendere agli immigrati le misure di regolamentazione della vita collettiva in vigore per gli italiani o se, invece non occorra elaborare misure specifiche solo per gli stranieri. L’esperienza condotta in molti paesi europei suggerisce di costruire un equilibrio tra la tensione all’universalismo dei diritti e il riconoscimento delle differenze, individuando percorsi di inclusione dei cittadini stranieri sulla base dell’affermazione di diritti e di doveri di tutte le parti in causa (stranieri, nazionali, enti, associazioni) e nel rispetto delle specificità culturali e religiose.

 

Per integrazione in questo documento si intende pertanto un processo di non discriminazione e di inclusione delle differenze, quindi di contaminazione e di sperimentazione di nuove forme di rapporti e comportamenti, nel costante e quotidiano tentativo di tenere insieme principi universali e particolarismi. Essa dovrebbe quindi prevenire situazioni di emarginazione, frammentazione e ghettizzazione, che minacciano l’equilibrio e la coesione sociale  e affermare principi universali come il valore della vita umana, della dignità della persona, il riconoscimento della libertà femminile, la valorizzazione e la tutela dell’infanzia, sui quali non si possono concedere deroghe, neppure in nome del valore della differenza.

Il nostro paese, traendo insegnamento dall’esperienza di altri con una più lunga tradizione in questo campo, individua nella progressiva acquisizione dei diritti di cittadinanza la strada maestra verso l’integrazione e la partecipazione alla vita della società. Come tutte le moderne democrazie si sta tuttavia orientando verso un modello di società che riconosce al suo interno l’esistenza di una pluralità culturale, lasciando però alla sfera privata l’espressione e la perpetuazione delle identità culturali. La responsabilità dello Stato nei confronti delle comunità straniere che vivono sul territorio si concretizza pertanto da un lato nel promuovere procedure che garantiscano a tutti la possibilità di integrazione e di partecipazione alla vita sociale, a prescindere dall’appartenenza etnica o dall’orientamento culturale e religioso e dall’altro nel garantire misure che prevengono e combattono forme di discriminazioni e pregiudizi fondati su questi presupposti.

Riconosce tuttavia agli stranieri la libertà, garantita anche dalla Costituzione purchè non confliggente con gli interessi dello stato e la sicurezza della collettività, di costituire associazioni, sulla base della nazionalità, delle credenze religiose e di interessi culturali in quanto possono rappresentare la risposta al bisogno individuale di mantenimento della tradizioni e dei legami con i paesi di provenienza, al bisogno di rafforzare la propria identità in un contesto vissuto come estraneo, all’esigenza di farsi conoscere e far conoscere il proprio paese. In quanto agenti di intercultura le associazioni degli immigrati che ne hanno i requisiti, possono partecipare, alla pari di altre associazioni di volontariato, a programmi di intervento sul territorio realizzati dagli enti locali.

Per poter valorizzare inoltre la presenza degli immigrati sul territorio e poter tener conto di un punto di vista privilegiato sui temi dell’immigrazione si garantisce una presenza degli immigrati negli organismi consultivi nazionali e territoriali previsti dalla legge n. 40. Si raccomandano inoltre azioni positive che valorizzino la presenza degli immigrati all’interno di strutture o organismi esistenti nel nostro paese anche finalizzati a scopi diversi da quelli dell’immigrazione. Questo rafforzerebbe l’immagine positiva dell’immigrazione e renderebbe visibile i percorsi di integrazione già realizzati da molti stranieri che vivono nel nostro paese.

 

2. Obiettivi e ambiti di applicazione di una politica di integrazione

 

Tre sono i grandi obiettivi verso i quali deve tendere la politica di integrazione del nostro paese:

 

A) Costruire relazioni positive.

L’obiettivo "strategico" di una politica di integrazione consiste nel costruire relazioni positive tra cittadini italiani e immigrati. Integrazione significa infatti possibilità di comunicazione profonda a più dimensioni (economica, sociale, culturale e politica) tra la maggioranza della popolazione autoctona e le diverse etnie che con essa convivono, da cui deriva un progressivo cambiamento della cultura e dei valori della società nel suo insieme. Questo è un obiettivo molto difficile da raggiungere perchè presuppone da parte di tutti la consapevolezza dei propri pregiudizi, paure, ideologie che ostacolano la comunicazione.

Le relazioni interetniche in tutti i paesi sono caratterizzate da diffidenza e timore reciproco. Una politica dell’integrazione deve puntare in primo luogo a superare questi atteggiamenti attraverso misure che mirino non solo a cambiare le percezioni errate, ma anche ad ammettere e chiarificare gli elementi reali sui quali i reciproci timori si fondano. Detto altrimenti, è necessaria una politica dell’informazione, diretta agli immigrati e ai nazionali, che abbia sì come obiettivo di smontare pregiudizi e timori infondati, ma che rassicuri anche rispetto a timori fondati perché capace di proporre soluzioni rispetto a situazioni di disagio reale.

La politica dell’integrazione pertanto non deve essere rivolta soltanto agli immigrati. Essa avrà effetti irrilevanti sulle relazioni inter-comunitarie se non terrà conto anche delle aspettative e delle esigenze dei nazionali. Evitare il rifiuto degli stranieri da parte dei cittadini nazionali è un obiettivo prioritario di una sensata politica dell’integrazione. Ciò significa rassicurare gli italiani rispetto alla concorrenza degli immigrati nel settore del Welfare e sul mercato del lavoro, rispetto alla minaccia rappresentata dagli immigrati all’identità nazionale e ai valori fondamentali della nostra società, rispetto alla sicurezza urbana (aumento di criminalità dovuto ad immigrati).

Integrazione significa però anche rassicurare gli immigrati rispetto alla paura di perdere la propria identità e i propri valori ; rispetto alle paure per la propria integrità fisica in contesti urbani, percepiti come estranei ed ostili ; offrire certezze rispetto alla soddisfazione di bisogni fondamentali come la conservazione di condizioni di vita dignitose, la possibilità di usufruire di luoghi di comunicazione e scambio di esperienze e conoscenze, la certezza di poter mantenere nel tempo la condizione di legalità sia di soggiorno che di lavoro; la possibilità di esercitare il diritto di voto come espressione massima di partecipazione alla vita della comunità.

Per tutti l’obiettivo è quello di una vita dignitosa. A questo proposito, è necessario essere consapevoli del fatto che integrazione come opportunità di vita dignitosa non è sinonimo di egualitarismo, ma può contemplare anche situazioni di parziale e/o temporanea segregazione abitativa o lavorativa. Le comunità abitative possono rappresentare un antidoto alla dispersione ed estraneità urbana come l’accettazione di lavori non graditi ai nazionali può costituire il primo passo necessario per innescare il circolo virtuoso dell’integrazione. Ma deve anche significare accettare l’idea, e predisporre a questo scopo le misure necessarie, che gli immigrati possano con il tempo accedere a tutti i lavori, senza alcuna discriminazione, quindi anche a lavori qualificati.

Per compiere passi avanti nel processo di integrazione nell’accezione fin qui delineata è opportuno individuare un insieme di sotto-obiettivi di massima da perseguire a partire dai prossimi tre anni anche incominciando a pensare misure per avvicinarli che appaiano più convincenti e praticabili nell’ambito della legge:

a) evitare che i cittadini nazionali percepiscano gli immigrati come persone di cui diffidare, da temere e da disprezzare perché:

· consumatori di risorse scarse (welfare, occupazione) ;

· soggetti che minacciano l’identità nazionale ;

· soggetti che incrementano la criminalità e stili di vita degradati;

· residenti temporanei non collegati alla pressione migratoria e quindi alla necessità di regolamentare i flussi di ingresso.

b) evitare che gli immigrati e le minoranze percepiscano l’Italia come un paese ostile, ingiusto, da temere e disprezzare che:

· nega diritti sociali di base e opportunità di lavoro su basi discriminatorie;

· minaccia l’identità culturale attraverso l’istruzione delle nuove generazioni e i media;

· minaccia l’incolumità fisica e la loro integrità morale;

· emargina e relega a condizioni di vita degradate per lavoro, per abitazione, per salute;

· non garantisce continuità di permanenza sul territorio nazionale; crea incertezza e precarietà ;

· nega opportunità di inserimento.

c) evitare che i cittadini italiani e gli immigrati percepiscano:

· lo stato come agente di discriminazione

· la pubblica amministrazione e le forze dell’ordine come interlocutori ostili e faticosi

· la multiculturalità come minaccia alla rispettiva integrità fisica, culturale e sociale

 

 

B) Garantire pari opportunità di accesso e tutelare le differenze

Come è stato sottolineato nel punto precedente, la filosofia di fondo che ispira la politica di integrazione dell’Italia, condivisa oggi da gran parte di paesi europei, consiste essenzialmente nel mettere gli stranieri nella condizione di vivere "normalmente", quindi colmare il divario di conoscenze derivante dalla specifica condizione di straniero (conoscenza della lingua, accesso all’istruzione, ai servizi sanitari, alla formazione professionale, alle politiche di alloggio pubblico etc.) che li penalizza rispetto ai cittadini italiani in condizioni economiche e sociali comparabili. Per quanto riguarda aspetti della condizione dello straniero, l’obiettivo della politica di integrazione è quindi quello di includere gli immigrati nell’ambito di politiche volte a risolvere problemi di segmenti specifici della popolazione presente sul territorio (in particolare persone a basso reddito) della quale spesso gli immigrati sono una parte importante. Quindi avremo misure per l’integrazione degli immigrati in quanto segmento della struttura sociale avente caratteristiche particolari, dall’altro misure per la tutela degli immigrati che condividono con altri italiani condizioni di disagio o di basso reddito, quindi insieme a loro da tutelare.

Multiculturalismo: l’accesso alla scuola dell’obbligo dei minori stranieri, indipendentemente dalla loro posizione giuridica, è uno dei punti fondamentali della politica di integrazione e di costruzione di una società multiculturale. Anche in questo campo il nostro paese vuole dare piena applicazione alla convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata con la legge n. 176 del 27 maggio 1991. La scuola italiana ha già attivato un processo di revisione dei programmi scolastici che danno largo spazio alla comunicazione interculturale. Più efficace dovrà però essere il sostegno all’apprendimento della lingua italiana da parte dei minori stranieri affinchè possano partecipare con profitto a tutto il programma di istruzione. Sarà importante anche l’intensificazione dell’ insegnamento della lingua italiana agli adulti, sia attraverso il Ministero della Pubblica istruzione che con il sostegno degli enti locali e delle associazioni. Attenzione sarà inoltre riservata alla individuazione di occasioni e luoghi di incontro e di scambio di esperienze tra cittadini italiani e cittadini stranieri che favoriscono la conoscenza e la comprensione reciproca e la contaminazione tra culture.

Inoltre, con riferimento alla formazione universitaria, saranno promosse iniziative presso le università allo scopo di favorire l’accesso di studenti stranieri.

Alloggio: le politiche abitative, come quelle volte all’inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro devono evitare di innescare situazione di concorrenza tra poveri. D’altra parte non si può ignorare la priorità che questo aspetto riveste nell’ambito di una politica di accoglienza, tenendo conto delle difficoltà di accesso degli immigrati al mercato degli affitti e delle condizioni che spesso sono costretti a subire sia in termini di prezzo che di abitabilità degli immobili. Per questa ragione, proprio in questo settore, notoriamente problematico anche per gli italiani, vanno promosse in via prioritaria misure per prevenire situazioni di sfruttamento e per sostenere situazioni di disagio abitativo sia di immigrati che di italiani nelle stesse condizioni attraverso la realizzazioni di strutture alloggiative previste esplicitamente dalla legge a questo scopo anche favorendo convenzioni con associazioni e consorzi di impresa che si impegnino a garantire l’alloggio ai propri dipendenti immigrati stranieri. Oltre ad una politica degli alloggi volta a situazioni di grave deprivazione, è importante favorire politiche di quartiere o all’interno di ambiti territoriali delimitati, anche sottolineando la possibile rivitalizzazione del territorio a seguito di una politica più liberistica degli insediamenti commerciali.

Sanità: la difficoltà di utilizzare i servizi sanitari è anch’esso un problema che molti stranieri condividono con i cittadini italiani. Anche in questo campo quindi l’obiettivo di una politica di integrazione è quello di dare agli stranieri le informazioni necessarie sul funzionamento e sulle prestazioni del Servizio sanitario nazionale e sulle modalità di accesso. Ci sono però due aspetti molto particolari da considerare nella previsione di un’assistenza sanitaria efficace: la forte connotazione culturale della malattia, della cura, del rapporto con il proprio corpo e della manifestazione agli altri della propria malattia; la condizione di illegalità di alcuni stranieri presenti sul nostro territorio ai quali assicurare uno dei diritti fondamentali come quello della salute. Questo secondo aspetto è risolto con quanto già previsto dalla legge attualmente in vigore; più articolata dovrà invece essere l’applicazione della legge per venire incontro alle esigenze evidenziate nel primo punto, in quanto presuppongono, anche nell’ambito dei servizi sanitari pubblici, modalità di prestazione che rispettino le esigenze di persone appartenenti ad altre culture (es. medici donne per alcune specializzazioni, mediatori culturali).

Assistenza ai minori e alle fasce marginali dell’immigrazione: i minori sono i veri protagonisti del processo di integrazione. A cavallo tra la cultura dei genitori e quella del paese di accoglienza vivono tutte le contraddizioni dell’incontro tra culture, senza poterne godere i vantaggi. Come tutti i minori sono quindi soggetti a rischio, altamente vulnerabili. A differenza degli altri tuttavia, spesso non hanno intorno il sostegno di una famiglia e di una rete di rapporti parentali che da sicurezza e rafforza il senso di identità. Per queste ragioni è molto importante prevedere, oltre alle misure già attivate in ambito scolastico, l’accesso dei minori stranieri a servizi di doposcuola o di attività sportive che consentano di impiegare il tempo lasciato libero dalla scuola. Vi sono inoltre situazioni di bambini che non possono vivere con i propri genitori, in particolare quando sono donne sole impegnate in lavori in case altrui. Spesso la soluzione adottata è il rinvio dei bambini presso i parenti nel paese di provenienza. Un importante aiuto a queste situazioni potrebbe provenire dalla individuazione di strutture alloggiative che consentano alla famiglia, comunque costituita, di vivere insieme anche solo temporaneamente, o a soluzioni di affidamento diurno dei minori ad altri genitori nel quartiere di residenza, un sistema piuttosto affermato all’estero che potrebbe rivelarsi utile anche in Italia.

Vi sono inoltre fasce di popolazione immigrata che per malattia o per errori commessi o per ingiustizie subite non sono in grado di far fronte alla vita quotidiana e tantomeno a risolvere i loro particolari problemi. Anche questi casi devono essere tenuti in considerazione dalle politiche volte a combattere l’esclusione sociale, avendo però l’accortezza di considerare che molte di queste persone non hanno alcun punto di riferimento in Italia, quindi necessitano di quel tanto in più rispetto agli italiani, che normalmente è fornito dalla solidarietà della famiglia. Potrebbero essere utili quindi misure che garantiscano il gratuito patrocinio per i detenuti stranieri, la traduzione dei capi di imputazione e del regolamento carcerario.

In questo contesto rientrano anche le norme di protezione sociale : l’articolo 16 della legge è infatti particolarmente importante e riguarda la tutela di chiunque - prevalentemente donne- vittima di traffico per sfruttamento sessuale, voglia sottrarsi a questa condizione, che qualcuno ha chiamato "moderna schiavitù". La legge prevede in questi casi non solo protezione fisica, ma anche programmi di sostegno psicologico e di reintegrazione nella società.

Mercato del lavoro: la partecipazione degli immigrati al mercato del lavoro si caratterizza spesso per condizioni di impiego precarie, in mansioni dequalificate, in settori arretrati e spesso in lavorazioni malsane. Oltre ad una politica degli ingressi che deve essere tale da consentire ingressi legali per lavori regolari e spezzare quindi il legame immigrazione-lavoro nero, che preclude la strada a qualunque forma di integrazione sociale e politica, la condizione degli stranieri ( in particolare giovani, donne, lavoratori qualificati) sarà tenuta presente all’interno di politiche volte a combattere il lavoro nero, la disoccupazione e l’esclusione sociale. Sarà riservata particolare attenzione a percorsi formativi volti a favorire la conoscenza della lingua italiana, l’emersione e la valorizzazione di specifiche professionalità anche al fine di prevenire forme di discriminazione sul lavoro.

 

C) Assicurare i diritti della presenza legale

Uno dei presupposti di una politica di integrazione efficace è la prospettiva e la sicurezza della continuità della permanenza legale sul territorio italiano e la linearità di percorsi di cittadinanza. La sicurezza della residenza è infatti la condizione primaria per poter programmare il futuro sia dal punto di vista lavorativo che affettivo. Da questa condizione deriva il desiderio di regolarizzare o migliorare la propria condizione lavorativa, come quello di ricongiungere o di formare una nuova famiglia. La legge prevede da questo punto di vista un’importante innovazione normativa: l’istituzione della carta di soggiorno (art. 7), che sancisce una condizione di semicittadinanza, di partecipazione alla vita collettiva e sociale del luogo di residenza e consente l’accesso a tutti i diritti propri della cittadinanza, con la semplice esclusione di quegli istituti specifici della nazionalità (es. difesa dello stato).

Altrettanto importanti in termini di garanzia di continuità sono le norme sui ricongiungimenti famigliari (artt. 26 e successivi), più ampie rispetto al passato, il cui numero non è regolamentato dal sistema delle quote, e che consente ai ricongiunti che ne abbiano l’età, di lavorare dal momento dell’ingresso in Italia.

In linea con le misure normative previste dalla legge volte a rafforzare lo status giuridico dei residenti di lungo periodo, potrebbero essere introdotte una serie di misure di carattere amministrativo volte a semplificare le procedure e a ridurre la duplicazione dei documenti. La macchinosità e la rigidità delle procedure sono infatti spesso causa di incertezza e di ritorno nell’illegalità. Pertanto si propone un coordinamento della amministrazioni per:

· la semplificazione delle procedure per : rinnovo del permesso di soggiorno; richiesta della carta di soggiorno; ricongiungimento famigliare; riconoscimento dei titoli di studio;

· il coordinamento delle procedure per il permesso di soggiorno, iscrizione all’anagrafe, iscrizione all’INPS, iscrizione al Servizio sanitario nazionale;

· riduzione della duplicazione dei documenti per richiesta di visto, permesso di soggiorno, presentazione di garanzia, offerta di lavoro, etc. sia da parte degli stranieri che degli italiani coinvolti.

Le misure di integrazione trovano il loro coronamento nella partecipazione alla vita collettiva, sociale e politica. Da questo punto di vista saranno favorite forme di associazionismo e di rappresentanza degli immigrati così come previsto dalla legge (art. 3, comma 6). L’istituzione dei Consigli territoriali, di cui faranno parte amministrazioni centrali e locali, associazioni che si occupano di immigrati e associazioni che rappresentano gli immigrati, offre l’opportunità per approfondire la riflessione sulle forme di rappresentanza degli immigrati nel nostro paese, partendo dalle numerose e positive esperienze già esistenti. Essa consentirà la valorizzazione delle associazioni degli immigrati che svolgono un ruolo importante nell’accompagnare il percorso di integrazione dei singoli individui, nel garantire il mantenimento delle radici culturali e nel valorizzare il contributo che gli immigrati portano al cambiamento culturale e sociale in atto nel nostro paese.

Una riflessione a parte meritano le associazioni religiose e laiche che operano a favore degli immigrati, all’interno delle quali spesso gli immigrati hanno anche un ruolo formalizzato. La loro attività nel promuovere occasioni di incontro tra culture diverse e nel tutelare i diritti dei più deboli è infatti fondamentale per la costruzione di una società multiculturale in particolare se svolta in un’ottica di complementarietà e di sinergie con le istituzioni centrali e locali. La loro presenza negli organismi consultivi rappresenta un punto importante di riferimento per gli enti locali e per il governo centrale per l’attuazione della politica di immigrazione e la promozione dell’integrazione in nome della tutela e della certezza dei diritti degli immigrati.

E’ importante che gli immigrati regolari residenti nel territorio, siano presenti, alla pari dei cittadini italiani, nelle proposte legislative del governo, oltre che delle regioni e degli enti locali e nelle decisioni del Parlamento, riguardanti tutti gli aspetti della vita sociale ed economica. Per quanto riguarda il sociale è necessario vigilare che le proposte già presentate con questo spirito (l. 28 agosto 1997, n. 285 "Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza"; Decreto legislativo sul reddito minimo di inserimento, disegno di legge recante "Disposizioni per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali"; disegno di legge A.S. 3142 "Disposizioni per facilitare la locazione o l’acquisto dell’abitazione da parte delle giovani coppie e delle famiglie monoparentali) abbiano una concreta attuazione.

Il Governo si impegna affinchè l’iter legislativo del disegno di legge costituzionale A.C. 4167 recante "Disposizioni integrative dell’Art.48 della Costituzione" che consente il diritto di voto alle elezioni comunali e provinciali allo straniero possa seguire il suo corso nel modo più celere e ad iniziare una riflessione critica della attuale normativa sulla cittadinanza che si ispira essenzialmente al principio dello jus sanguinis, un principio che premia l’ereditarietà del diritto di cittadinanza a scapito della residenza e quindi della effettiva presenza sul territorio

 

3. Agenti e strumenti per le politiche di integrazione

Secondo la legge 40 del ‘98 la politica di integrazione è una parte integrante della politica migratoria e investe organismi delle Amministrazioni centrale e degli enti locali, al fine di garantire da un lato omogeneità di trattamento a tutti gli stranieri presenti sul territorio e dall’altro l’operatività degli interventi. Nel documento programmatico sono delineate infatti le principali linee di intervento che caratterizzeranno la politica di integrazione nel nostro paese nel prossimo triennio, ma saranno gli enti locali a gestire gli interventi sul territorio, anche utilizzando i finanziamenti previsti dal fondo per l’immigrazione, istituito con la stessa legge. Regioni, province, comuni ed altri enti locali sono chiamati ad implementare, ciascuno con proprie competenze, anche in ottemperanza al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sulla delega di funzioni agli enti locali, attuativo della legge 59 del 1997, i provvedimenti concorrenti al perseguimento dell'obiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento del diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con particolare riguardo a quelli inerenti all'alloggio, alla lingua, all'integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana (artt. 40 e 43). Lo Stato, le regioni, le province e i comuni adottano, nelle materie di propria competenza, programmi annuali o pluriennali relativi a proprie iniziative e attività concernenti l'immigrazione, con particolare riguardo alle attività culturali, formative, informative, di integrazione e di promozione di pari opportunità. I programmi sono adottati secondo i criteri e le modalità indicati dal regolamento di attuazione e indicano le iniziative pubbliche e private prioritarie per il finanziamento da parte del Fondo, compresa l'erogazione di contributi agli enti locali per l'attuazione del programma

La legge 40/98 prevede tuttavia organismi appositi per supportare l’azione del governo nella definizione di una politica di integrazione, che si pensa aperta e flessibile alle esigenze che nel tempo dovessero emergere dal mondo dell’immigrazione. Essi sono:

 

· la Commissione per le politiche di integrazione, (art. 44), istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari sociali. La commissione ha il compito di predisporre per il Governo, anche al fini dell'obbligo di riferire al Parlamento, il rapporto annuale sullo stato di attuazione delle politiche per l'integrazione degli immigrati, di formulare proposte per gli interventi di adeguamento di tali politiche nonché di fornire risposta ai quesiti posti dal Governo concernenti le politiche per l'immigrazione, l’intercultura, e gli interventi contro il razzismo. E’ evidente infatti che anche il nostro paese si troverà ad affrontare dilemmi cruciali sui quali si sono già confrontati altri paesi ad immigrazione più matura inerenti, ad esempio, la compatibilità di pratiche religiose con i principi di libertà e di democrazia sanciti dalla nostra Costituzione, la necessità di garantire forme di conoscenza che preparino ad affrontare la vita da adulti nella società italiana e l’esigenza di mantenere il legame con le radici culturali della propria famiglia.

· la Consulta per i problemi dei cittadini extracomunitari e delle loro famiglie (art.42 del decreto legislativo recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti gli stranieri). Della Consulta, presieduta da un Ministro delegato dal Presidente del Consiglio, fanno parte rappresentanti delle amministrazioni Centrali, delle regioni e delle autonomie locali e delle associazioni operanti nel campo dell’assistenza all’immigrazione. La Consulta è sentita per l’acquisizione delle osservazioni delle associazioni che ne fanno parte e per il collegamento dei consigli territoriali.

· il CNEL svolge, nell’ambito delle proprie attribuzioni, compiti di studio e promozione di attività volte a favorire la partecipazione degli stranieri alla vita pubblica e la circolazione delle informazioni sulla applicazione della legge.

· i Consigli territoriali per l'immigrazione (art.3, comma 6) istituiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da adottare di concerto con il Ministro dell’interno, in cui siano rappresentati le competenti amministrazioni locali dello Stato, la regione, gli enti locali, gli enti e le associazioni localmente attivi nel soccorso e nell'assistenza agli immigrati, le associazioni degli immigrati, le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, con compiti di analisi delle esigenze e di promozione degli interventi da attuare a livello locale. I Consigli territoriali fanno riferimento a livello locale all’ente Provincia e si raccordano con le prefetture, mentre hanno nella consulta per l’immigrazione, istituita a livello nazionale, un organismo di coordinamento. E’ prevista inoltre l’istituzione di un albo presso la Presidenza del Consiglio, Dipartimento per gli affari sociali, delle associazioni di volontariato e delle associazioni degli immigrati abilitate a svolgere iniziative di integrazione con finanziamenti pubblici.

 

4. Risorse

· Fondo nazionale per le politiche migratorie (art.43). Presso la Presidenza del Consiglio del ministri è istituito il Fondo nazionale per le politiche migratorie, destinato al finanziamento delle iniziative di cui agli articoli 18, 36, 38, 40 e 44, inserite nei programmi annuali o pluriennali dello Stato, delle regioni, delle province, e del comuni. La dotazione del Fondo, al netto delle somme derivanti dal contributo di cui al comma 3, è stabilita in lire 12.500 milioni per l'anno 1997, il lire 58.000 milioni per l'anno 1998 e in lire 68.000 milioni per l'anno 1999. Il fondo sarà utilizzato per l’80% per il cofinanziamento di progetti di intervento presentati sulla base di accordi di programma tra regioni, province e comuni nel settore della formazione, intercultura, alloggio, informazione, assistenza ai minori e tutte gli altri ambiti previsti dall’art. 40; per il 20% per il finanziamento della commissione per l’integrazione, per interventi di emergenza, per la realizzazione di misure di integrazione aventi rilevanza nazionale. Si prevede naturalmente che regioni, provincie e comuni stanzino nel proprio bilancio fondi per le politiche di integrazione.

· I finanziamenti possono essere utilizzati per sostenere iniziative delle associazioni ritenute valide dagli enti locali.

 

5. Valutazione dei processi di integrazione

Se si considera l’entrata in vigore della nuova legge come un nuovo inizio della politica di integrazione, dovrebbe essere possibile incominciare ad introdurre anche in questo settore strumenti per la valutazione dei risultati delle misure attivate. esistono a tal proposito pubblicazioni scientifiche, ed anche un recente documento del consiglio d’Europa da cui poter trarre ispirazione. Nel corso di questi anni si può mettere in piedi un sistema di valutazione che potrà avere un’applicazione più puntuale nel prossimo triennio. Un primo passo verso la realizzazione di questo programma consiste nella predisposizione, da parte delle amministrazioni, di moduli per la presentazione dei piani di intervento per l’integrazione delle regioni al fine di uniformare i dati e le informazioni in essi contenute.


 

6. Priorità per il 1998-2000

Considerato il carattere propedeutico del primo piano per l’integrazione le priorità di intervento previste per il primo triennio, alle quali saranno di preferenza destinate anche le risorse economiche previste dalla presente legge riguardano:

· informazione sulla nuova legge per l’immigrazione e per l’integrazione. Sarà necessario prevedere una campagna informativa che utilizzando strumenti differenziati di comunicazione (vademecum, posters, spot, siti Internet) possa raggiungere tutti i possibili utenti (immigrati e operatori) e porre le basi per una comunicazione strutturata e sistematica su questi temi. Una particolare attenzione potrebbe essere dedicata alla individuazione di strumenti informativi per i nuovi arrivati, sul funzionamento delle istituzioni, i diritti e i doveri dei residenti. Utile potrebbe inoltre essere mantenere il collegamento con l’Istat e con il Ministero dell’Interno al fine di costruire un’informazione statistica attendibile e aggiornata.

· ricognizione delle esperienze di integrazione realizzate fino ad oggi in Italia: chi, che cosa, dove, con quali risorse, al fine di far conoscere e di diffondere quelle più significative. A questo scopo potrebbero essere attivate risorse per ricerche da parte della Commissione per l’integrazione. Tutte le esperienze positive dovrebbero essere rese pubbliche per contrastare il dilagare di informazioni su conflitti e situazioni di difficile convivenza. Dovrebbe inoltre essere avviato un lavoro di ricognizione anche delle ricerche sul fenomeno del razzismo in Italia e sulle esperienze più significative messe in atto per combatterlo, in vista di un coordinamento con l’Osservatorio sul razzismo istituito a Vienna dalla Commissione europea. ricognizione e valorizzazione delle esperienze di rappresentanza degli immigrati esistenti a livello nazionale e locale.

· politiche sociali, da parte di tutti i soggetti (istituzioni, enti locali, associazioni) volti a favorire l’integrazione degli stranieri aventi come ambito di attività rispettivamente i settori della formazione, dell’alloggio e interventi di carattere sociale rivolti a particolari segmenti dell’immigrazione: donne, minori, soggetti particolarmente svantaggiati.

 

Priorità per le misure di integrazione per il triennio 1998-2000

target groups

ambiti di attività

Informazione

_ nuovi arrivati

· informazione-orientamento sulle istituzioni italiane

_ immigrati lungo residenti

· informazione sulla carta di soggiorno e sui diritti-doveri di cittadinanza

_ nazionali

· informazione su immigrazione e altre culture

_ tutti (immigrati,operatori,amministrazioni)

· campagna informativa nuova legge immigrazione

Ricognizione misure integrazione

_ tutti gli immigrati

· ricognizione e valorizzazione delle strutture di rappresentanza/istituzione consigli territoriali

· istituzione dell’albo nazionale delle associazioni

_ ricercatori, istituti universitari, operatori/ enti locali/commissione per l’integrazione

· ricognizione e valorizzazione di esperienze di integrazione realizzate a livello locale

· ricerche e osservatori sul razzismo e misure per combatterlo

· sensibilizzazione sull’applicazione delle norme antidiscriminazione previste dalla legge

Politiche sociali

_ tutti gli immigrati

· alloggi sociali e centri di accoglienza

· alloggio per minori (sotto i tre anni) e madri sole

· luoghi di incontro

_ minori:

· lingua italiana

· doposcuola -attività sportive

· affidamento di quartiere

_ donne

· consulenza per normativa sul lavoro domestico

· consulenza legale per le vittime di molestie sessuali

· formazione sul diritto di famiglia

· mediatori culturali nei consultori

_ tutti gli immigrati

· lingua italiana

· formazione sul funzionamento delle istituzioni e sulla cultura italiana

_ soggetti svantaggiati

· assistenza malati lungo degenti

· assistenza detenuti/gratuito patrocinio

· misure di protezione per le donne vittime di tratta

_ amministrazioni e operatori pubblici

· coordinamento per la semplificazione delle procedure e la riduzione dei documenti

· linee guida sulle politiche di integrazione a livello locale

 

 

 

 

 

ALLEGATO: Il quadro demografico italiano e la pressione migratoria nella regione euro-africana

 

 

Le prospettive demografiche per la popolazione in età lavorativa nelle grandi ripartizioni italiane

Una evoluzione demografica del tutto nuova e importante si avrà nei prossimi anni in Italia. Per la prima volta in epoca moderna e contemporanea diminuirà la popolazione in età lavorativa, quella in età compresa fra i 20 e i 59 anni. Nel complesso del Paese la diminuzione potrebbe risultare pari a 3 milioni e mezzo di persone, frutto di un calo di circa 3 milioni e 800 mila nel Centro-Nord e di un aumento di sole 300 mila persone circa nel Mezzogiorno (tab. 1).

Particolarmente importante e significativo è l’andamento della popolazione in età da 20 a 39 anni, perché riguarda la parte più dinamica delle forze di lavoro e quella che teoricamente sul mercato del lavoro è più esposta alla possibile "concorrenza" degli immigrati stranieri, sempre che di concorrenza si possa parlare. Nel Centro-Nord la diminuzione attesa fra il 1997 e il 2017 è di 4,8 milioni ad un tasso medio annuo eccezionalmente elevato, pari al 2,8 per cento. E’ l’effetto di un calo delle nascite anticipato, prolungato e intenso, di una fecondità che si mantiene straordinariamente bassa, intorno a 1 figlio per donna, ormai da decenni. Anche nel Mezzogiorno ci si aspetta una diminuzione, di 1,2 milioni, a un tasso dell’1,0 per cento all’anno, diminuzione minore perché l’intenso calo delle nascite è stato ritardato rispetto al Centro-Nord. La diminuzione attesa per il totale della popolazione residente italiana di questa fascia d’età - compresi quindi gli stranieri già presenti in Italia, ma in assenza di ulteriore immigrazione - è pari a oltre 6 milioni .

Le tendenze demografiche della popolazione più giovane in età lavorativa — del tutto attendibili facendo esse riferimento a persone già tutte nate — potranno contribuire:

a) al riassorbimento — tenendo conto, naturalmente, della diversa situazione di molte aree del mezzogiorno rispetto al contesto nazionale - della disoccupazione giovanile, effetto questo che dovrebbe essere assai sensibile nel nostro Paese dove il calo della popolazione giovane in età lavorativa è molto intenso, ma peraltro atteso anche nel resto dell’Unione europea, come mettono in luce studi ad hoc commissionati dalla Commissione di Bruxelles;

b) alla creazione nel mercato del lavoro di possibili squilibri quantitativi, anche forti, fra domanda e offerta. Tali squilibri si affiancheranno per la prima volta agli squilibri qualitativi ormai largamente presenti già da molti anni nel Paese e ai quali in buona misura si devono i consistenti flussi immigratori degli ultimi anni. L’immigrazione dall’estero potrebbe così aumentare per soddisfare una domanda di lavoro che potrebbe essere fortemente squilibrata, quantitativamente oltre che qualitativamente, rispetto alla offerta e che in ogni caso non sembra essere del tutto riequilibrabile attraverso migrazioni interne sud-nord;

c) ad un intenso incremento della offerta di lavoro e dell’occupazione femminile, che ancora oggi si trovano a livelli molto bassi rispetto ad altri Paesi europei e presentano larghi squilibri territoriali (per la classe di età 25-34 anni i tassi di attività del 1997 nel Centro-Nord sono pari a 89,4 per cento per i maschi e 71,8 per le femmine; nel Mezzogiorno pari a 81,9 e 42,8 rispettivamente). Se questo dovesse accadere, allora anche per questa via la domanda di lavoratori stranieri potrebbe aumentare. C’è infatti da considerare che il lavoro domestico e di cura, tradizionalmente affidato alle donne, è una delle attività lavorative più frequenti per gli immigrati stranieri in Italia e che proprio la loro presenza, di diritto o di fatto, ha consentito il sempre maggiore inserimento della donna nei processi produttivi.

 

Tabella 1 — Popolazione in età da 20 a 59 anni e da 20 a 39 anni per ripartizione, 1997-2017

( migliaia di persone)

Ripartizione

Popolazione al

1997 2017

Variazione

assoluta %

Tasso %

medio annuo

 

20-59 anni

Centro-Nord

21 077

17 294

- 3 738

- 18,0

- 1,0

Mezzogiorno

11 454

11 742

+ 288

+ 2,5

+ 0,1

Italia

32 532

29 035

- 3 497

- 10,7

- 0,6

 

di cui 20-39 anni

Centro-Nord

11 198

6 381

- 4 817

- 43,0

- 2,8

Mezzogiorno

6 560

5 337

- 1 223

- 18,6

- 1,0

Italia

17 757

11 720

- 6 037

- 34,0

- 2,1

N.B.- Proiezioni della popolazione residente italiana al 1 gennaio 1997, compresi quindi gli stranieri presenti legalmente sul territorio ed esclusi nuovi flussi migratori

Fonte: Golini A. e De Simoni A., Tre scenari per il futuro sviluppo della popolazione delle regioni italiane al 2047, in corso di stampa

 

L’immigrazione finora ha dimostrato di essere del tutto conveniente per il nostro Paese dal punto di vista economico. Ha coperto segmenti importanti del mercato del lavoro lasciati scoperti dalla manodopera italiana, rivitalizzando importanti settori economico-produttivi: dalla pesca, all’agricoltura, alla pastorizia, all’industria delle costruzioni, all’industria manifatturiera; oltre, come si è detto, al lavoro di assistenza a domicilio, particolarmente utile per gli anziani più o meno non autosufficienti, il che, fra l’altro, ha consentito importanti economie per il sistema sanitario nazionale (per esempio riducendo drasticamente l’assistenza domiciliare integrata o il ricovero in ospedale). Ha contribuito, per di più, al mantenimento o anche alla creazione di posti di lavoro per gli italiani, a monte e a valle dei settori rivitalizzati. Nel caso dell’industria della pesca, per fare un solo esempio, la sua rivitalizzazione ha trascinato con sé da un lato, a monte, una rivitalizzazione dell’industria cantieristica di costruzione e manutenzione dei pescherecci e dall’altro, a valle, del commercio del pesce nei luoghi di origine e nei luoghi di destinazione del prodotto. Nel prossimo futuro l’immigrazione straniera dovrebbe risultare ancora più conveniente per effetto dei ricordati possibili squilibri quantitativi del mercato del lavoro. In queste condizioni i nuovi flussi migratori andrebbero programmati, nell’ambito delle quote, in modo tale da assicurare una sufficiente flessibilità per quanto riguarda l’inserimento nel mondo del lavoro.

 

La pressione migratoria nella regione euro-africana

Le migrazioni volontarie di natura economica sono largamente determinate dalla pressione demografica differenziale che esiste fra i possibili Paesi di origine e quelli possibili di destinazione. Tanto maggiore è lo squilibrio fra la crescita demografica ed economica di Paesi diversi — cioè fra l’aumento, o addirittura la diminuzione, del reddito pro-capite in un possibile Paese di origine e l’aumento in uno possibile di destinazione — e tanto maggiori sono i differenziali nel tenore di vita e nei salari fra i due Paesi, tanto maggiore sarà la pressione migratoria che si verrà a creare. La pressione così intesa definisce il contesto generale nel quale si trova, nel Paese d’origine, la singola persona che è poi quella che deve prendere dapprima coscienza della sua condizione, attuale e sperata, nel luogo d’origine e in secondo luogo la decisione di emigrare, sempre che vi sia la possibilità, giuridica o di fatto, di lasciar il Paese di origine e quella, giuridica o di fatto, di entrare nel Paese di destinazione.

Queste considerazioni valgono tanto più quanto più un Paese è "esposto" nelle sue frontiere. Con l’entrata in vigore dell’accordo di Schengen, con il previsto allargamento dell’Unione europea a Est, con una possibile forte crescita economica e il previsto declino demografico dei Paesi in transizione, il vero Paese di frontiera per le migrazioni dell’Unione europea non è più la Germania, che lo è stato per lungo tempo, ma l’Italia. Il "muro" è ormai costituito dal Mediterraneo, che si ritrova a separare Paesi a elevato benessere economico e con regimi democratici da Paesi con forme più o meno gravi e diffuse di malessere economico e in alcuni casi con carenza di democrazia.

Se si riguardano le tendenze demografiche generali - o, più in particolare, quelle della popolazione giovane in età lavorativa, di 20-39 anni che sono le età di gran lunga più esposte al rischio di emigrazione - delle regioni del mondo che più direttamente gravitano sull’Unione europea e sull’Italia (tabella 2), ci si deve attendere un non trascurabile aumento della pressione migratoria e da qui un proseguimento dei flussi di immigrazione negli anni a venire.

Si attira l’attenzione su alcune tendenze demografiche particolarmente significative dei prossimi due decenni della popolazione in età lavorativa più giovane:

a) l’Italia avrà, lo si è già visto, un calo davvero sensibile, con un tasso medio annuo — -2,2 per cento — molto forte. Una tendenza simile si avrà per l’Unione europea nel suo complesso, sia pure con intensità minore, e per un buon numero di Paesi centro-meridionali, con particolare riferimento a Spagna (-2,1 per cento) e Germania (-1,1 per cento);

b) anche in Europa orientale si registrerà un calo non trascurabile della popolazione giovane in età lavorativa (-11 per cento di variazione totale). Se gli investimenti stranieri dovessero mantenersi alti e le condizioni economiche dovessero migliorare velocemente, i Paesi di tale area potrebbero non solo non alimentare una forte emigrazione verso l’Occidente, ma finanche trovarsi di fronte a carenza di forza lavoro;

c) Medio Oriente e Nord Africa per la giovane popolazione in età lavorativa, vedranno rallentare vistosamente il ritmo di crescita che le ha caratterizzate nei passati 20 anni: da tassi del 3,0-3,3 per cento all’anno passeranno a tassi dell’1,8-1,9. Ma la crescita in termini assoluti resterà la stessa; i Paesi di queste due aree hanno avuta una crescita di 52 milioni di giovani nei 20 anni passati e ne avranno una di 50 milioni nei prossimi 20 anni;

d) l’Africa sub-sahariana (Africa orientale e occidentale nella tab. 2) continuerà a registrare una crescita eccezionalmente rapida: tassi del 2,9-3,2 si sono avuti negli ultimi 20 anni e tassi del 3,2 per cento si avranno nei prossimi 20. Ma l’incremento assoluto di popolazione in giovane età lavorativa quasi si raddoppia, essendo stato di 61 milioni nell’ultimo ventennio ed essendo di 119 milioni nel prossimo.

Tabella 2 — Popolazione in età da 20 a 39 anni e sue variazioni per l’Italia e alcune grandi aree geografiche, 1980-2000 e 2000-2020

( migliaia di persone)

Aree

Popolazione al 2000

Variazione assoluta

1980-00 2000-20

Variazione percentuale

1980-00 2000-20

Tasso % medio annuo

1980-00 2000-20

Italia

17 504

+ 2 149

- 6 373

+ 14,0

- 36,4

+ 0,7

- 2,2

Europa orientale (a)

88 448

+ 1 021

- 9 582

+ 1,2

+ 10,8

+ 0,1

- 0,6

Asia occidentale (b)

58 406

+ 27 615

+ 25 528

+ 89,7

+ 43,7

+ 3,3

+ 1,8

Africa settentr. (c)

54 616

+ 24 249

+ 24 993

+ 79,9

+ 45,8

+ 3,0

+ 1,9

Africa orientale (d)

70 474

+ 32 580

+ 61 816

+ 86,0

+ 87,7

+ 3,2

+ 3,2

Africa occident. (e)

65 420

+ 28 837

+ 57 328

+ 78,8

+ 87,6

+ 2,9

+ 3,2

N.B.- Le definizioni delle regioni sono quelle adottate dall’Onu e comprendono:

(a)- Bielorussia, Bulgaria, Federazione Russa, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica di Moldova, Romania, Ungheria, Slovacchia, Ucraina

(b) — Armenia, Azerbaijan, Bahrain, cipro, Gaza Strip, Georgia, Iraq, Israele, giordania, Kuwait, Libano, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Syrian Arab Republic, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Yemen.

(c) — Algeria, Egitto, Libyan Arab Jamahiriya, Marocco, Sudan, tunisia, Western Sahara.

(d) — Burundi,Comoros, Djibouti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Madagascar, malawi, mauritius, Mozambico, Réunion, ruanda, Seychelles, Somalia, Uganda, Repubblica Unita di Tanzania, Zambia, Zimbawe.

(e) — Benin, Burkina Faso, Capo verde, Costa d’Avorio,Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, St. Helena, Senegal, Sierra Leone, Togo.

Le proiezioni per il periodo 2000-2020 si rifanno alla "variante media" che tiene conto di saldi migratori assai modesti o nulli fino al 2000-05. Le proiezioni, dal momento che si riferiscono a popolazione già tutta nata (o quasi), sono largamente attendibili a meno di eventi tragici di vastissima portata. Fonte: elaborazioni su dati Onu, The sex and age distribution of the World population. The 1996 revision, New York, 1997

 

Sembrano non esserci dubbi che almeno negli ultimi anni di questo secolo e nei primi decenni del prossimo i differenziali di variazione demografica fra Italia e Unione europea da un lato e i Paesi in via di sviluppo (che più direttamente gravano su di esse) dall’altro saranno fra i più alti mai registrati nella storia. Se poi si tiene conto anche di aspetti socio-economici allora i differenziali diventano fortissimi e lasciano intendere come la pressione migratoria potrebbe crescere intensamente nei prossimi decenni (nella tabella 3 compaiono alcuni indicatori relativi a Italia, Egitto, preso come esempio dei Paesi nord-africani, ed Etiopia, presa come esempio dei Paesi dell’Africa sub-sahariana).

Infatti, in presenza di tali differenziali demografici, soltanto la riduzione dei differenziali economico-sociali tra Paesi di origine e di destinazione dovrebbe consentire in futuro il contenimento delle correnti migratorie di massa. Attualmente la differenza nel reddito medio pro-capite tra l’Italia e i due Paesi africani presi come esempio rappresenta una chiara evidenza dell’enorme divario nel livello di vita che è particolarmente basso in Etiopia, dove si stima che un terzo della popolazione viva con meno di 1 dollaro al giorno. Permane in questi due Paesi africani un sistema produttivo caratterizzato dalla presenza di un ampio settore primario che assorbe nel caso dell’Egitto il 41 e in quello dell’Etiopia l’80 per cento degli occupati, producendo rispettivamente circa il 20 e quasi il 60 per cento del Pil.

 

Tabella 3 — Indicatori di sviluppo economico e sociale. Italia, Egitto ed Etiopia,

anni ’90

Variabili

Riferimento

temporale

Italia

Egitto

Etiopia

ï Reddito pro-capite

(in $)

1995

19 020

790

100

ï Reddito pro-capite a parità di potere d’acquisto (in $)

1995

19 870

3 820

450

ï % di popolazione con meno di 1 $ al giorno

1981-95

0

8

34

……………………………………………………………………………………….

ï % del PNL derivante dall’agricoltura

1995

3

20

57

ï % addetti all’agricoltura

1990

9

41

80

……………………………………………………………………………………….

ï % di analfabeti

1995

<5

49

65

ï Telefoni ogni 1000 abitanti

1995

434

46

2

Fonti: World Bank Atlas, 1997, World Development Report, 1997

 

In presenza di un settore primario tanto largo e importante l’ammodernamento dell’agri-coltura, pure necessario, potrebbe portare a consistenti espulsioni di manodopera dal settore e quindi a una offerta di lavoro addizionale rispetto a quella già così forte di origine demografica.

In una speculazione sul possibile futuro migratorio pare esserci ogni evidenza che i flussi Sud- Nord, in particolare quelli diretti verso la Ue e l’Italia continueranno. Questa conclusione si basa su quattro considerazioni principali:

a) alla luce degli andamenti passati sembra esservi la impossibilità per i Paesi del Sud di creare tanti posti di lavoro quanto ne richiederebbe l’attesa crescita di popolazione in età lavorativa e, quindi, di forze di lavoro;

b) gli squilibri quantitativi, qualitativi e territoriali nei mercati di lavoro italiano (ed europeo) dovrebbero persistere per decenni a venire, anche perché le leve sempre più ridotte di giovani, con crescente livello di istruzione e sostenuti dalla collettività e/o dalle famiglie continueranno a rifiutare i lavori poco graditi o poco pagati o che comportano spostamenti territoriali ritenuti non accettabili;

c) si può immaginare che l’innalzamento del tasso di scolarità e del grado di istruzione, in particolare fra le donne, nei Paesi di origine possa generare maggiori aspettative di realizzazione personale che potrebbero tradursi in una maggiore spinta all’emigrazione;

d) la ulteriore, crescente, fortissima urbanizzazione del Sud del mondo (ad esempio, fra il 1995 e il 2015 fonti Onu valutano che Il Cairo passerebbe da 9,7 a 14,4 milioni; Addis Abeba da 2,4 a 6,6 milioni) potrebbe portare a un peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni urbane, le più esposte all’emigrazione verso l’estero.

Ci si può quindi ragionevolmente aspettare che: i) nel breve-medio periodo di 5-10 anni continui in Italia l’immigrazione dagli attuali Paesi di origine, con particolare riferimento all’area mediterranea; ii) nel secondo decennio del prossimo secolo, superata la soglia di sviluppo minimo al di sotto della quale non si prende nemmeno in considerazione l’emigrazione come scelta di sopravvivenza, cresca la pressione migratoria da parte delle popolazioni dell’Africa sub-sahariana.

In queste condizioni, con pressione migratoria crescente e con flussi migratori continui e non facilmente contenibili, risulta di gran lunga più opportuno gestire il fenomeno dell’immigrazione che non subirla. Gestire il fenomeno non solo, come prevede la legge, stabilendo delle quote, ma anche regolando al meglio tutto il mercato del lavoro italiano, con particolare riferimento al lavoro stagionale, dal momento che l’economia sommersa e il diffuso lavoro nero spingono più che mai i datori di lavoro a valersi di immigrati irregolari, che sono i lavoratori più flessibili e più economici presenti sul mercato, e spingono i potenziali emigranti dei Paesi di origine a tentare l’avventura dell’arrivo e della presenza irregolare.

 

Scenari di sviluppo demografico della popolazione straniera in Italia.

Se si deve quindi immaginare - per motivi di convenienza e per motivi di necessità, oltre che per effetto dei ricongiungimenti familiari - il persistere di flussi migratori diretti verso l’Italia, si deve allora valutare quanto larga possa essere la quota di immigrati da immettere ogni anno nel Paese.

Al 1° gennaio 1997 si può stimare da un lato che la popolazione straniera presente regolarmente nel Paese fosse pari a circa 1 milione e 86 mila persone, delle quali 986 mila con permesso di soggiorno e circa 100 mila minori non in possesso di un proprio autonomo permesso di soggiorno. Se poi si considera il valore massimo (295 mila) della stima degli immigrati irregolari recentemente effettuata per conto del Ministero dell’Interno, allora d’altro lato il totale degli immigrati comunque presenti nel Paese assommerebbe a circa 1 milione e 381 mila persone. Si può quindi ritenere che dall’inizio degli anni ’80 ad oggi, si sia venuta accumulando una popolazione straniera a un ritmo di circa 50-65 mila immigrati l’anno, popolazione che a sua volta ha avuto un suo proprio incremento naturale, arrivando così alla dimensione attuale.

Alla luce della esperienza passata e degli attesi futuri squilibri demografici ed economici fra i possibili Paesi d’origine e l’Italia, si può ritenere ragionevole per i prossimi anni una forchetta che abbia come minimo un flusso di 50 mila immigrati netti l’anno e come massimo un flusso di 80 mila.

Nella presente situazione di stock di immigrati (1 milione 381 mila, che qui viene considerata ipotesi A alta, o 1 milione 86 mila, ipotesi B bassa) e di prospettiva di flussi (a regime, flusso di 80 mila immigrati l’anno, ipotesi A alta, o 50 mila, ipotesi B bassa) può diventare allora utile effettuare un esercizio per valutare a quanto potrebbe ammontare, a distanza di 10 e di 20 anni, la popolazione straniera in Italia.

In base a queste ipotesi l’ammontare della popolazione straniera al 2007 potrebbe ammontare a una cifra compresa fra 1,9 e 2,5 milioni di persone, con una percentuale sul totale della popolazione oscillante fra 3,2 e 4,2. Al 2017 invece l’ammontare potrebbe ascendere a un valore compreso fra 2,6 e 3,5 milioni di persone, con una percentuale sul totale oscillante fra 4,5 e 6,2 (tabella 4). Alla luce delle esperienze di altri Paesi europei si tratterebbe di dimensioni del tutto accettabili, considerando che già al 1995 in Francia gli stranieri costituivano il 6,3 per cento del totale della popolazione e in Germania l’8,8. Il processo di integrazione riguarderebbe in Italia una proporzione assai più ridotta di immigrati, il che significa, fra l’altro, avere molto maggior tempo e molta maggiore gradualità nello stabilire una coesistenza corretta e fruttuosa fra popolazione autoctona e popolazione immigrata.

 

 

Tabella 4 — Proiezioni del futuro ammontare della popolazione straniera in Italia, in base alle

ipotesi, Alta o Bassa, di stock e di flusso, 2007 e 2017

(in corsivo la percentuale di popolazione straniera sul totale della popolazione complessiva)

 

Ammontare al 2007 Ammontare al 2017

Stock iniziale Flussi futuri Flussi futuri

1° gen. 1997 A-80 mila B-50 mila A-80 mila B-50 mila

A- 1 381 2 456 2 293 3 535 3 011

2,4 4,2 4,0 6,2 5,3

B- 1 086 2 025 1 861 3 078 2 554

1,9 3,5 3,2 5,4 4,5

___________________________________________________________________________

Fonte: Golini A. e De Simoni A., Tre scenari per il futuro sviluppo della popolazione delle regioni italiane al 2047, in corso di stampa

 

Certamente importante, ai fini del processo di integrazione risulta essere la struttura per età della popolazione immigrata. Se si prende come riferimento la sola ipotesi "AA" (più elevato stock iniziale e più intenso flusso immigratorio), che negli scenari disegnati è quella che fornisce il valore massimo, allora si nota (tabella 5):

a) che gli immigrati con meno di 20 anni dovrebbero più che raddoppiare nel giro dei primi 10 anni, da 214 mila a 487 mila, mentre in seguito il ritmo di crescita dovrebbe essere meno intenso. I problemi più importanti per il sistema scolastico si avrebbero quindi nel primo decennio;

b) che gli immigrati in età lavorativa, da 20 a 59 anni, dovrebbero incrementarsi di gran lunga più velocemente per la componente 40-59 anni che non per quella 20-39; questo soprattutto per l’effetto della struttura dello stock esistente, che sopravanzerebbe l’effetto dell’arrivo di nuovi flussi. In ogni caso quindi i flussi sarebbero in grado di compensare solo assai parzialmente il forte calo della popolazione italiana in età 20-39 anni, a meno che non si abbiano flussi straordinariamente intensi;

c) che piccolo in cifra assoluta, ma intensissimo come velocità (tasso medio annuo di accrescimento pari all’11 per cento) sarebbe l’aumento della popolazione immigrata con 60 anni e più fra il 1997 e il 2017. Questo a ulteriore dimostrazione che l’immigrazione straniera - pur necessaria e conveniente - non può risolvere né il problema dello invecchiamento della popolazione italiana, né contribuire sensibilmente a mitigare gli squilibri previsti per il sistema pensionistico.

 

Tabella 5 — Proiezioni per l’Italia della popolazione per classi di età e cittadinanza al 1° gennaio degli anni indicati

(valori assoluti in migliaia)

Ipotesi AA

 

Popolazione al

1997 2007 2017

Variazioni

1997-07 2007-17

Tassi % medi annui

1997-07 2007-17

0-19 anni

Italiani

11 666

10 314

8 812

- 1 352

- 1 502

- 1,2

- 1,6

Stranieri

214

487

739

273

252

8,2

4,2

Totale

11 880

10 801

9 551

- 1 079

- 1 250

- 1,0

- 1,2

% stranieri

1,8

4,5

7,7

       
               

20-39 anni

Italiani

17 200

14 823

11 567

- 2 377

- 3 256

- 1,5

- 2,5

Stranieri

780

985

1 106

205

121

2,3

1,2

Totale

17 980

15 808

12 673

- 2 172

- 3 135

- 1,3

- 2,2

% stranieri

4,3

6,2

8,7

       
               

40-59 anni

Italiani

14 530

15 774

16 775

1 244

1 001

0,8

0,6

Stranieri

343

856

1 309

513

453

9,1

4,2

Totale

14 873

16 630

18 084

1 757

1 454

1,1

0,8

% stranieri

2,3

5,1

7,2

       
               

60 + anni

Italiani

13 080

14 907

16 495

1 827

1 588

1,3

1,0

Stranieri

43

129

381

86

252

11,0

10,8

Totale

13 123

15 036

16 876

1 913

1 840

1,4

1,2

% stranieri

0,3

0,9

2,3

       
               

Totale

Italiani

56 475

55 818

53 649

- 658

- 2 169

- 0,1

- 0,4

Stranieri

1 381

2 457

3 535

1 077

1 078

5,8

3,6

Totale

57 856

58 275

57 184

419

- 1 091

0,1

- 0,2

% stranieri

2,4

4,2

6,2

       

Fonte: Golini A. e De Simoni A., Tre scenari per il futuro sviluppo della popolazione delle regioni italiane al 2047, in corso di stampa