Alla c.a. di Livio Quagliata

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1 pg da Sergio Briguglio (senza asterischi...)

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Il senatore Di Pietro dimostra, nell'intervista apparsa sul Corriere della Sera, di avere poche idee e confuse in fatto di immigrazione. Si candida cosi' a ricoprire importanti cariche di governo. Il suo argomentare puo' essere riassunto nel modo che segue (i congiuntivi sono quasi tutti miei). Punto primo: lo straniero che rifiuti di fornire le proprie generalita' sia tratto in carcere; gli altri siano scaricati davanti alle coste dei paesi di pertinenza; si verifichi sperimentalmente se detti paesi se la sentono di prendere a cannonate i propri cittadini. Punto secondo: si debelli la piaga del lavoro nero chiedendo preventivamente agli imprenditori quanti immigrati vogliano assumere in regola; si ammettano sul nostro sacro suolo, per motivi di lavoro, solo quanti abbiano gia' un lavoro garantito. Conclusione: la Tunisia restituisca Craxi all'affetto di chi lo attende in patria. Provo a replicare telegraficamente a tanta originalita' di pensiero.

Punto primo: lo smarrimento del passaporto non e' penalmente perseguibile (l'ha stabilito la Corte costituzionale, ma anche un pistolero, con un po' di sforzo, dovrebbe farsene una ragione). In mancanza di passaporto, lo straniero che sbarchi sulle nostre coste potrebbe declinare senza problema generalita' e nazionalita': Olaf Nordhal, norvegese. A quel punto, come dovremmo comportarci? Credergli e scaricarlo tra i fiordi, sperando che i norvegesi si inteneriscano di fronte a un paisa', o condannarlo a tre anni di carcere duro per scarsa credibilita'? Nella seconda ipotesi, pero', se c'e' giustizia, un collegio senatoriale sicuro, al nostro Olaf, non dovrebbe negarlo nessuno.

Punto secondo: se continuiamo a chiedere agli imprenditori quanti lavoratori giovani e inesperti vogliano assumere a vita, con stipendi da dirigente d'azienda e assegni familiari da regina madre, la risposta sara' sempre la stessa: nessuno. Il bisogno di manodopera straniera e' una cosa, la lotta contro il lavoro nero un'altra. Da anni, chi ragiona seriamente sull'immigrazione ripete lo stesso delenda Carthago: per sapere quanta manodopera straniera serve, si ammettano quote di immigrazione a cercare, sul posto, lavoro; quando fermarsi? non prima che si cominci a osservare saturazione nell'assorbimento da parte del mercato. Da questo orecchio - per inciso - le destre di tutti gli schieramenti ci sentono pochissimo. E il lavoro nero? se una porzione rilevante del prodotto interno lordo e' dovuta a lavoro nero, smettiamola di chiamarlo nero, e concentriamo leggi e sforzi a proteggere vita e salute di chi lavora, piuttosto che salario e contributi. Da questo orecchio ci sentono pochissimo le sinistre di tutti gli schieramenti.

Conclusione: non ho mai simpatizzato per Craxi quando era al potere; rimpiango pero' l'umilta' con cui si muovevano alcuni esponenti della sua parte politica (Martelli, Contri) quando si trattava di immigrazione. Nessuno di noi, dovendo subire un intervento chirurgico al cuore, preferirebbe le prestazioni di un trapezista o di una ballerina a quelle di un cardiochirurgo. In Italia esiste una produzione di pensiero sull'immigrazione vasta, seria e convergente nelle proposte. Cito, a mo' di esempio, il Dossier statistico della Caritas, i documenti del Gruppo di Riflessione dell'Area Religiosa e quelli della Consulta del CNEL, le analisi dell'Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione. E' troppo chiedere a politici e professionisti dell'informazione di prestare attenzione a quelle proposte piuttosto che farsi agitare dai proclami di chi non capisce, in materia, quella che Camilleri - non io, per carita'! - definirebbe "un'amatissima minchia"?