(Sergio Briguglio 24/1/1998)

 

IL DIBATTITO SUL DIRITTO D'ASILO

Dall'entrata in vigore della legge Martelli, che ha rimosso la riserva geografica con cui l'Italia aveva ratificato la Convenzione di Ginevra (consentendo il riconoscimento dello status di rifugiato anche a stranieri extra-europei), la disciplina del diritto di asilo non ha subito significative modifiche.

Le vicende dei profughi somali, ex-jugoslavi e albanesi, per i quali e' stato necessario varare dei provvedimenti ad hoc di accoglimento per motivi umanitari, e quelle recentissime dei curdi hanno messo in luce l'inadeguatezza della nozione di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra (la persona che corra personalmente rischi di persecuzione), alla luce dei fenomeni di violenza generalizzata (guerre, guerre civili, etc.) che colpiscono numerose aree geografiche e del dettato costituzionale che vorrebbe il diritto di asilo riconosciuto a chiunque non possa godere in patria dei diritti democratici garantiti dalla nostra Costituzione.

Il disegno di legge sull'asilo, attualmente all'esame del Parlamento, definisce con maggior precisione i diritti dei rifugiati, ma non colma il divario tra quadro legislativo e quadro costituzionale. Il diritto di asilo continua infatti ad essere riconosciuto al rifugiato che rientri nelle categorie previste dalla citata Convenzione. Questi viene equiparato all'italiano per quanto riguarda lavoro e studio, assistenza sociale e sanitaria, ricongiungimento familiare; al cittadino comunitario, invece, per l'accesso al pubblico impiego. Il suo permesso di soggiorno dura cinque anni ed e' rinnovato a condizione che perduri la condizione che ha motivato il riconoscimento. Qualora questa cessi, il permesso e' revocato, ma lo straniero puo' ottenerne un altro per il quale possegga i requisiti.

Piu' confusa la posizione del richiedente asilo, che, di fronte ad un rigetto della domanda, puo' si' ricorrere al TAR, ma vede cessare le misure di assistenza (eccezion fatta per quella sanitaria), non potendo comunque accedere ad attivita' lavorative prima che siano trascorsi sei mesi.

Fragilissima poi la condizione di chi si veda negato l'esame della domanda in nome della irricevibilita' di questa (dovuta, ad esempio, alla commissione, accertata o presunta, di reati piu' o meno gravi), della sua inammissibilita' (associata al fatto che essa avrebbe dovuto essere sottoposta all'esame di altro Paese aderente alla Convenzione di Ginevra) o della sua manifesta infondatezza. In tali casi lo straniero e' respinto, senza riguardo per il fatto che la sua vita possa risultare a rischio - per situazioni di violenza generalizzata o per disastri naturali - nel paese di destinazione.

Solo nei casi di rigetto di una domanda effettivamente pervenuta all'esame, si puo' derogare, in nome di situazioni di rischio, all'obbligo di allontanamento, e allo straniero puo' essere rilasciato un permesso per un anno, rinnovabile e valido per lavoro e studio. Una tale limitazione nega a questa misura il carattere di un vero e proprio istituto dell'asilo umanitario capace di allineare la normativa alla Costituzione. Una previsione piu' generale si trova nelle disposizioni sulle misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali, all'articolo 18 del disegno di legge sull'immigrazione. Tuttavia l'adozione di tali misure e' lasciata all'esecutivo, e non corrisponde alla definizione di criteri oggettivi per il riconoscimento delle situazioni meritevoli di asilo umanitario. La Convenzione di Schengen non pone impedimenti su questa strada: la tutela del diritto di asilo e dei diritti costituzionali, cosi' come intesi in ciascuno Stato contraente, e la considerazione delle ragioni umanitarie ne costituiscono anzi un vero e proprio leit motiv.