PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FABIO EVANGELISTI


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La seduta comincia alle 13,20.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità della seduta odierna sia assicurata anche attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.


(Così rimane stabilito).

Audizione del dottor Jurgen Humburg, funzionario della sezione legale dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR); del dottor Sergio Briguglio, consulente della Caritas di Roma sulle politiche di immigrazione e di asilo; del dottor Gaetano Poppa, responsabile del coordinamento nazionale rifugiati della sezione italiana di Amnesty international e del dottor Gianfranco Schiavone, responsabile dell'Ufficio rifugiati del Consorzio italiano di solidarietà.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Jurgen Humburg, funzionario della sezione legale dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR); del dottor Sergio Briguglio, consulente della Caritas di Roma sulle politiche di immigrazione e di asilo; del dottor Gaetano Poppa, responsabile del coordinamento nazionale rifugiati della sezione italiana di Amnesty international e del dottor Gianfranco Schiavone, responsabile dell'Ufficio rifugiati del Consorzio italiano di solidarietà, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen.
Invito i nostri ospiti a svolgere le loro relazioni, utilizzando possibilmente 15 minuti ciascuno.

JURGEN HUMBURG, Funzionario della sezione legale dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Desidero innanzitutto ringraziare a nome dell'ACNUR il vostro Comitato parlamentare per la possibilità che ci viene offerta di esprimere il nostro punto di vista sulle convenzioni di Schengen e di Dublino, nonché sul problema dei recenti afflussi sulle coste calabresi e pugliesi di cittadini stranieri; aggiungerò inoltre alcune considerazioni in ordine alle riforme in discussione in materia di immigrazione e di asilo.
Mi sembra peraltro che il giusto approccio sia considerare insieme le diverse questioni problematiche dell'immigrazione, clandestina o meno, dei rifugiati e dell'asilo, perché sono articolate e hanno diversi aspetti da valutare nel loro complesso se non ci si vuole fermare al piano teorico e arrivare invece a quello pratico. L'ACNUR si occupa innanzitutto dei rifugiati, quindi dei richiedenti asilo, non tanto dell'immigrazione, clandestina o meno, anche se la distinzione è difficile, perché l'esperienza ha dimostrato che spesso abbiamo a che fare con afflussi misti: persone che lasciano il loro paese prevalentemente per motivi economici ed in vista di migliori condizioni di vita, altre che fuggono dalle persecuzioni e sono in cerca di protezione (la classica figura del rifugiato), altre ancora che fuggono per un misto di queste motivazioni. Quest'ultimo


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è forse il problema più difficile da affrontare, in quanto il compito delle autorità è identificare chi ha diritto ad una particolare protezione, per esempio in base alla Convenzione di Ginevra, e chi invece necessita di un altro approccio e trattamento.
Mi scuso per questa lunga premessa, che però mi sembrava necessaria, proprio perché i fenomeni legati a questi movimenti, anche irregolari, sono complessi. Devo anche sottolineare che l'ACNUR è ben cosciente della complessità dei problemi, poiché non sempre è facile conciliare l'interesse legittimo degli Stati di arginare e contrastare gli afflussi irregolari con i bisogni e i diritti di protezione di chi di tali flussi fa parte. Siamo parimenti coscienti del fatto che esiste il pericolo di un uso strumentale della procedura di asilo, per esempio attraverso il cosiddetto asylum shopping, cioè le domande multiple di asilo, le domande infondate eccetera. Le convenzioni diSchengen e di Dublino hanno anche la funzione di combattere questo uso strumentale del diritto d'asilo e l'ACNUR non può che condividere questa intenzione, nonché contribuire alla riduzione dei cosiddetti rifugiati in orbita.
In questo contesto, vale forse la pena ricordare che lo stesso comitato esecutivo dell'ACNUR, ormai nel lontano 1979, nella conclusione n. 15, al paragrafo h), ha stabilito che «uno sforzo dovrebbe essere fatto mediante l'adozione di criteri comuni per risolvere il problema dell'identificazione dello Stato responsabile dell'esame di una domanda d'asilo». Penso quindi sia evidente che la parte che riguarda l'asilo sia nella Convenzione di Schengen sia nella Convenzione di Dublino corrisponda esattamente a questo appello del comitato esecutivo. Tuttavia, rispetto ad ambedue queste convenzioni vorrei esprimere alcune preoccupazioni che riguardano la situazione attuale del processo di armonizzazione nell'Unione europea. Innanzitutto, manca ancora tra i membri dell'Unione europea un'armonizzazione sostanziale sia dei criteri per riconoscere lo status di rifugiato e di avente diritto ad altre forme di asilo, sia delle procedure di eleggibilità.
Per essere concreto, faccio due esempi che riguardano due situazioni tipicamente italiane. La prima è l'applicazione delle clausole di esclusione in base all'articolo 1 F della Convenzione del 1951 sullo status di rifugiato, come criterio per la decisione sulla ricevibilità di una domanda d'asilo. Il concetto è già contenuto nella legge Martelli ed è rimasto nel disegno di legge sull'asilo attualmente all'esame del Senato. È una situazione particolare italiana, perché a livello internazionale è ormai prassi consolidata prendere in considerazione l'eventuale applicazione di queste clausole di esclusione soltanto dopo aver stabilito che un richiedente asilo potrebbe rientrare nelle clausole di inclusione in base all'articolo 1 A della stessa Convenzione di Ginevra. Nella maggior parte dei paesi, quindi, l'esame dell'applicabilità delle clausole di esclusione è di competenza dei rispettivi organi di eleggibilità, e non della polizia, come nel caso italiano. Di conseguenza l'ACNUR ha proposto, nell'ambito della discussione sulla nuova legge in materia di asilo, di non adottare le clausole di esclusione come criterio per la decisione sulla ricevibilità o sull'ammissibilità di una domanda di asilo e di assegnare la competenza per l'applicazione di queste clausole unicamente alla commissione centrale, o ad altri organi che decidono sull'eleggibilità.
L'altro esempio è sempre riferito alla legge n. 39 del 1990, la cosiddetta legge Martelli: si tratta di un aspetto che, in forma direi addirittura aggravata, è contenuto anche nel progetto di legge n. 2425 sull'asilo. È un'altra formula di clausola ostativa per l'ammissione del richiedente asilo nel territorio nazionale e di procedura di eleggibilità. La legge Martelli prevede che non può essere ammesso un richiedente asilo, se prima di fare la domanda egli è stato condannato in Italia, ex articolo 380 del codice di procedura penale; il disegno di legge attualmente in esame aggiunge l'articolo 381, sempre come clausola ostativa all'ammissione. È

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un articolo che copre fra l'altro reati di per sé non proprio di estrema gravità, come furto di energia elettrica o di ogni altra energia che abbia valore economico, danneggiamento aggravato, truffa, appropriazione indebita. A nostro avviso, queste misure costituiscono una forma di clausola di esclusione non prevista e non consentita dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Va ricordato che la stessa convenzione prevede delle possibilità per lo Stato di tutelare la propria sicurezza e l'ordine pubblico (nel già citato articolo 1 F ma anche negli articoli 32 e 33), ma tali misure devono sempre essere applicate caso per caso, conciliando le esigenze di ordine pubblico e di sicurezza interna con la valutazione della gravità delle persecuzioni nelle quali il richiedente potrebbe incorrere nel caso di un rimpatrio forzato nel suo paese di origine.
L'ACNUR raccomanda di introdurre nell'ambito della nuova legislazione un meccanismo che accerti sì la sussistenza di un pericolo sociale causato dal richiedente per l'ordine pubblico, ma questo accertamento dovrà essere fatto caso per caso e non dovrebbe consistere automaticamente nell'esclusione di un'intera categoria di richiedenti asilo. In questo contesto, vorrei anche dichiarare la nostra disponibilità rispetto ad altre problematiche della nuova legislazione; in particolare, l'ACNUR ha preparato un promemoria nel quale si discutono, soprattutto sotto il profilo dell'applicazione della Convenzione di Ginevra, vari aspetti del disegno di legge sull'asilo. Saremmo quindi ben lieti di fornire al Comitato, ai deputati e ai senatori, se vi sono interessati, questa documentazione.
Ho fatto questi due esempi per dimostrare fra l'altro che il problema dell'armonizzazione all'interno dell'Unione europea in materia di asilo è tutt'altro che un fatto acquisito; è piuttosto un processo in atto, nell'ambito del quale sono stati fatti sì dei progressi ma l'armonizzazione non è ancora raggiunta. Altre nostre preoccupazioni rispetto all'applicazione delle Convenzioni di Schengen e di Dublino riguardano le sanzioni contro i vettori che trasportano passeggeri non in regola con le norme per l'ingresso e la politica restrittiva riguardante sia la richiesta sia il rilascio dei visti. In questa sede vorrei solo ricordare che i rifugiati, ovvero persone perseguitate o a rischio di persecuzione nel loro paese di origine, spesso non hanno materialmente la possibilità di lasciare il loro paese in modo regolare e di ottenere i documenti necessari. Obbligare il personale dei vettori ad un controllo già prima di un eventuale imbarco, per il quale peraltro spesso non sono adeguatamente formati (sulla regolarità dei documenti eccetera), senza poter prendere in considerazione gli aspetti umanitari, o il bisogno di protezione internazionale, rischia nella prassi di impedire a potenziali richiedenti asilo di ottenere la giusta e dovuta protezione.
Desidero anche menzionare brevemente il problema dello scambio di informazioni sia attraverso il Sistema di informazione Schengen, sia in base alla Convenzione di Dublino, sottolineando l'esigenza di affrontare questo problema estremamente delicato con molta attenzione e raccomandando la massima cautela nello scambio di informazioni, nonché naturalmente l'esclusione da esse del paese d'origine, in quanto altrimenti si metterebbe a rischio la stessa vita dei familiari del richiedente asilo.
Vorrei ora menzionare un altro aspetto: l'applicazione della nozione di primo paese d'asilo, quindi la possibilità di respingere un richiedente asilo da parte di un paese dove l'interessato avrebbe potuto trovare protezione. In questo contesto, posso citare una risoluzione adottata recentemente, l'11 marzo 1997, dal Parlamento europeo: «Il Parlamento europeo chiede insistentemente ai paesi firmatari dell'Accordo di Schengen di non respingere un richiedente asilo verso un altro Stato prima di avere accertato che la richiesta di asilo sarà esaminata dettagliatamente ed il richiedente asilo beneficerà di una protezione effettiva». Al riguardo desidero rivolgervi una raccomandazione: non basta, come attualmente prevede la legge Martelli, che un paese abbia firmato

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la Convenzione di Ginevra come criterio per considerarlo un paese sicuro di asilo, ma bisogna essere sicuri nel caso specifico che la persona verrà riammessa in questo paese e che verrà adottata una procedura giusta ed appropriata da questo paese.
Rispetto al ricongiungimento familiare, posso citare la risoluzione del Parlamento europeo che auspica sia applicato il principio dell'unità del nucleo familiare allorquando si dovrà decidere sull'ammissibilità della richiesta di asilo; essa sollecita inoltre un'ampia interpretazione del concetto di nucleo familiare, che includa tutti i membri della famiglia che vivono insieme a norma dell'articolo 185 del manuale dell'Alto commissariato per i rifugiati e chiede altresì che si proceda nello stesso modo nel quadro della Convenzione di Dublino. L'articolo 185 a cui si fa riferimento raccomanda in sostanza di includere anche altri familiari, oltre allo stretto nucleo familiare (per esempio parenti a carico come genitori anziani). Quanto al problema del ricongiungimento del nucleo familiare, aggiungo un'altra questione ancora aperta e non affrontata nella Convenzione di Dublino: la possibilità del ricongiungimento con familiari che sono residenti in un paese membro o come richiedenti asilo, ovvero prima della definizione del loro status, o che stanno nel paese in base ad un'altra forma di asilo, per esempio umanitario. È una questione ancora aperta che senz'altro merita una particolare attenzione nel futuro.
Vorrei infine fare alcuni commenti sui recenti afflussi in Puglia e Calabria e ribadire, in questo contesto, per quanto può valere qui, l'apprezzamento che è già stato espresso dall'alto commissario, che è stato anche ampiamente riportato dai media, per il modo in cui l'Italia ha affrontato questa situazione drammatica, in modo a nostro avviso totalmente in linea sia con gli obblighi italiani sia in base agli strumenti internazionali e alla legislazione nazionale di gente.
Vorrei riferirmi a due elementi in particolare: il primo è l'ammissione alla procedura di asilo, con il conseguente esame delle domande di asilo, caso per caso, da parte della commissione centrale, che è l'organo competente; il secondo riguarda l'informazione. Mi soffermo in particolare su quest'ultimo. A nostro avviso, è esemplare che in questo caso, anche attraverso il valido supporto del Consiglio italiano per i rifugiati, si siano fornite le informazioni necessarie per un corretto orientamento delle persone appena sbarcate. L'informazione, in questo contesto, non è servita soltanto a mettere le persone in grado di prendere meglio delle decisioni sul da farsi, ma anche a contrastare il vergognoso e disumano operato dei criminali che le hanno portate sulle coste italiane, anche perché si tratta di persone che spesso già prima sono state vittime di ogni tipo di sopruso. La disinformazione e le false promesse sono elementi da non sottovalutare nella preparazione del terreno per questi criminali senza scrupoli.
Vorrei tuttavia sottolineare che i recenti sbarchi sono stati spesso definiti come l'afflusso o l'arrivo dei curdi: troppo spesso si è parlato solo del problema dei curdi, anche se non può essere certamente sottovalutato. Ma parlando solo o soprattutto di questo problema si rischia di dimenticare o di non porre la necessaria attenzione su altri gruppi di richiedenti asilo, o su persone singole di altre nazionalità, etnie o religioni, che pure potrebbero avere bisogno di protezione, anche se provengono da paesi dove il rischio di persecuzione magari è meno noto, meno visibile rispetto ad altri paesi del cui territorio fa parte il Kurdistan. Vorrei perciò riaffermare il principio che ogni richiedente asilo, da qualsiasi paese provenga, dovrebbe avere la possibilità di fare la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato e di vedersela esaminata da un organo adeguatamente preparato e qualificato, in base ai meriti del proprio caso individuale: le decisioni di ammissibilità non dovrebbero essere prese in base ad un giudizio sommario e approssimativo sulla situazione generale nel paese di origine.

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Ringrazio ancora per la pazienza e l'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Humburg: siamo noi a ringraziare lei.
Do la parola al dottor Sergio Briguglio.

SERGIO BRIGUGLIO, Consulente della Caritas di Roma sulle politiche di immigrazione e di asilo. Anch'io vi ringrazio per l'opportunità di esporre alcune delle preoccupazioni dell'organizzazione che rappresento riguardo all'esodo dei cittadini curdi, e dei profughi in generale, e al problema del diritto d'asilo, anche in relazione a come questo viene affrontato nell'ambito del disegno di legge sull'asilo e di quello sull'immigrazione che sono attualmente in discussione in Parlamento. Tra l'altro, quello sull'immigrazione pare prossimo all'approvazione definitiva in Senato.
Solleverò alcuni punti complementare rispetto a quelli trattati dal dottor Humburg. Alcune questioni particolari sono già emerse nell'ultima audizione che il Comitato ha svolto: ne hanno parlato il dottor Hein, il dottor Trucco e altri partecipanti a quella seduta. Mi riferisco in particolare al fatto che in quella audizione si è osservato che il diritto d'asilo così come garantito dall'articolo 10 della Costituzione non può considerarsi sufficientemente tutelato dalla normativa che riguarda il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra. In qualche modo - e qui forse esemplifico eccessivamente la materia - il rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra è persona perseguitata personalmente a causa di motivi di razza, di religione e così via; tuttavia, la Costituzione italiana, all'articolo 10, garantisce il diritto d'asilo come diritto soggettivo, come è stato sottolineato da una recente sentenza della Cassazione, allo straniero che non possa godere nel proprio paese dei diritti democratici previsti dalla nostra Costituzione. In questo modo la nozione di rifugiato non riesce ad esaurire tutta la casistica degli stranieri che avrebbero diritto d'asilo ai sensi della Costituzione, perché rischiano di restare fuori da questa previsione, per esempio, coloro che fuggano da situazioni di violenza generalizzata anche se non legata specificamente ad una loro personale appartenenza a etnie, gruppi religiosi e così via. Gli arrivi che si sono verificati in questi giorni riguardano persone che avranno tutte diritto all'esame della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato; ma alcuni potrebbero vedersela legittimamente respinta perché non si configura la loro appartenenza alla categoria del rifugiato così come stabilita dalla Convenzione di Ginevra, anche se potrebbero essere meritevoli di protezione ai sensi dell'articolo 10 della Costituzione.
Il disegno di legge sull'asilo in discussione in Parlamento contempla soltanto il diritto d'asilo per il rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra, quindi non estende la normativa attuale. In questo senso deve essere considerato carente. È vero però che prevede una forma di protezione umanitaria temporanea per la persona che abbia presentato domanda d'asilo, che l'abbia vista respinta non avendo titolo per rientrare nelle previsioni della Convenzione di Ginevra, ma per la quale valgano condizioni di rischio nel paese in cui dovrebbe essere rinviata che inducono la commissione per l'asilo ad adottare un provvedimento di impossibilità temporanea di rimpatrio. Questo provvedimento dà luogo al rilascio di un permesso valido per un anno per lavoro e per studio, che è rinnovabile finché perduri la condizione di cui ho parlato. Naturalmente, c'è in nuce il riconoscimento dell'asilo umanitario, della protezione umanitaria; però capite che è assolutamente inadeguato, perché questa protezione scatterebbe solo a valle del respingimento effettivo della domanda di asilo. Verrebbero quindi esclusi da questa possibilità di protezione coloro per i quali la domanda sia stata giudicata irricevibile o inammissibile, e che quindi non sia arrivata all'esame effettivo da parte della commissione e poi rigettata, e coloro che, per le più varie ragioni, non abbiano presentato la domanda. Questi casi sono


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molto più frequenti di quanto non si possa immaginare, perché per esempio molti profughi non se la sentono di presentare domanda d'asilo per paura che i loro familiari ancora presenti in patria possono subire ritorsioni e persecuzioni.
La nozione così presente in nuce nel disegno di legge sull'asilo deve essere sicuramente ampliata. La Commissione delle Comunità europee ha proposto al Consiglio un'azione comune che consentirebbe l'instaurazione di un regime di protezione temporaneo valido in tutti i paesi dell'Unione in occasione di afflussi massicci di profughi. Si potrebbe così configurare un quadro normativo in grado di dare sufficiente risposta a certi problemi, ma non a tutti. L'adozione di un regime di protezione temporaneo in cui gli oneri di accoglienza dei vari profughi dovrebbero essere in qualche modo ripartiti tra i vari paesi e in cui dovrebbero essere stabiliti degli standard minimi - che sono assai ben precisati nella proposta della Commissione, e che tra l'altro sono particolarmente adeguati a dare risposta a queste situazioni - scatterebbe comunque soltanto in presenza di un afflusso di massa, cioè solo nel momento in cui l'afflusso di profughi diventi un problema per l'Unione europea. Non darebbe quindi sufficiente tutela al diritto soggettivo in capo alla singola persona che potrebbe essere fuggita isolatamente da una situazione da cui nessun altro sia riuscito a fuggire: non costituendo un problema per l'Unione europea, non darebbe luogo all'instaurazione di nessun regime di protezione temporanea.
Un quadro normativo simile - anche se non del tutto equivalente - è configurato dall'articolo 18 del disegno di legge sull'immigrazione, che stabilisce che il Governo può adottare dei provvedimenti di protezione temporanea. Non si specifica che lo si debba fare in occasione di afflussi di massa, ma è evidente che, se il Governo sente il bisogno di adottare un provvedimento di protezione temporanea, questo avverrà solo in presenza di un afflusso di massa, magari ridotta, o rilevante solo per il nostro paese (i mille curdi o i 4 mila albanesi). È un provvedimento complementare rispetto a quello che potrebbe emergere dall'adozione di un'azione comune; però ancora una volta si può difficilmente ipotizzare che un provvedimento di questo genere possa scattare a causa dell'arrivo di una singola persona, che in ogni caso è tutelata dalla nostra Costituzione, avendo un diritto soggettivo alla protezione. È quindi necessario apportare al disegno di legge sull'asilo attualmente in discussione in Commissione al Senato delle modifiche che amplino la previsione di protezione e di asilo anche a figure del genere che ho descritto, cioè persone che fuggano da contesti di violenza generalizzata, ma che non rientrino nelle previsioni della Convenzione di Ginevra. Ripeto: persone che fuggano anche isolatamente, cui dovrebbe essere riconosciuto un diritto soggettivo a prescindere dal fatto che il loro arrivo in Italia o in Europa possa costituire un problema politico tale da far adottare un'azione comune o un provvedimento generalizzato in parte del Governo.
Una situazione di questo genere dovrebbe essere in qualche modo garantita anche nel quadro vigente, perché è previsto un principio di non refoulement all'articolo 7, comma 10, della legge Martelli e anche nell'articolo 17 del disegno di legge sull'immigrazione di imminente approvazione. Attenzione, però, perché per come è formulato il principio di non refoulement in queste due norme, si fa riferimento alla definizione di persecuzione contenuta nella Convenzione di Ginevra. Quindi, si tratta di un principio che, ancora una volta, tutela soltanto una particolare figura di profugo, cioè quello che può rientrare a diritto nella definizione di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra. Si potrebbe osservare: perché introdurre, allora, un principio di non refoulement se vi è già un diritto d'asilo riconosciuto al rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra? Perché quel principio dovrebbe scattare per tutelare dal respingimento verso un paese a rischio qualunque persona rientri nelle clausole di ammissibilità per il riconoscimento

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dello status di rifugiato anche quando scattino clausole di esclusione: quindi, anche in presenza di clausole di esclusione che non consentono il riconoscimento dello status di rifugiato, qualora vi sia un rischio di persecuzione, dovrebbe comunque essere applicato l'articolo 7, comma 10, della legge Martelli, ovvero l'articolo 17 dell'ormai prossima legge sull'immigrazione. Ripeto: non è sufficiente a tutelare la protezione soggettiva, il bisogno soggettivo di protezione del singolo straniero che sia fuggito o che non possa rientrare nel proprio paese per situazioni di violenza generalizzata.
È necessario osservare, peraltro, che questo principio di non refoulement garantito dall'articolo 7 della legge Martelli e dall'articolo 17 della prossima legge sull'immigrazione non è sufficientemente coordinato con altre disposizioni che prevedano esplicitamente il rilascio di un permesso di soggiorno. La persona non può essere respinta, non può essere rinviata nel paese di origine, ma non è prescritto che debba essere rilasciato un permesso di soggiorno. In alcuni casi, nell'applicazione della legge Martelli, si è superato questo problema facendo una forzatura - a mio parere - dell'articolo 4, commi 12, 12-bis e 12-ter, della legge stessa, che prefigura in qualche modo la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno, anche se non costringe nessuno a farlo. La nuova legge sull'immigrazione o la legge sull'asilo dovrebbero essere corrette introducendo un obbligo di rilascio di soggiorno per la pubblica amministrazione in tutti questi casi.
Lo stesso relatore ha presentato in Commissione affari costituzionali del Senato alcuni emendamenti, che devo considerare di un certo peso e che immagino saranno considerati con molta attenzione, prima dalla Commissione e poi dal Parlamento. Tali emendamenti mirano proprio ad estendere la nozione di diritto d'asilo nella normativa italiana. È prevista la possibilità di chiedere una protezione umanitaria per persone che fuggano da situazioni di violenza generalizzata, anche al di là del riconoscimento dello status di rifugiato. Il riconoscimento di questa protezione umanitaria darebbe luogo al rilascio di un permesso valido per un anno e utilizzabile per lavoro e per studio, permesso rinnovabile finché perduri la situazione che ha originato il riconoscimento. Dopo cinque anni darebbe luogo ad una sostanziale equiparazione alla situazione del rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra, che ha una posizione che, comprensibilmente, è mantenuta più forte.
Sempre negli emendamenti del relatore, si prevede la possibilità di presentare domanda alla rappresentanza diplomatica italiana nel paese di provenienza o di transito o al comandante del vettore. Questo risolverebbe molti dei problemi determinatisi con questo afflusso tramite vettori spesso legati alla criminalità, vettori quindi non legittimati a portare i profughi in Italia: i profughi avrebbero ab origine la possibilità di presentare domanda presso un'istituzione. Quali problemi residui rimarrebbero? Intanto sottolineo che questi sono emendamenti. Configurerebbero un ampliamento sufficiente del quadro normativo sul diritto d'asilo, ma devono ancora essere approvati. Il quadro attuale del disegno di legge n. 2425 è assolutamente inadeguato a dare riposta alle situazioni che ho descritto. Se venissero approvati gli emendamenti proposti dal relatore, i problemi che resterebbero sono i seguenti. In primo luogo, quelli citati da Humburg sulle cause ostative alla ricevibilità della domanda e legati alla commissione di reati assolutamente trascurabili e privi di pericolosità sociale. Questa clausola dovrebbe essere ristretta adeguatamente alle sole situazioni di vero rischio per la sicurezza dello Stato e per l'ordine pubblico, quindi situazioni molto particolari: non è possibile rinviare una persona in uno Stato in cui rischierebbe la vita solo perché si è resa colpevole ed è stata condannata in appello - neanche definitivamente - per danneggiamento, perché è assolutamente ridicolo. Humburg ha citato un altro problema. Tra le clausole di non ammissibilità permane quella del soggiorno prolungato in un paese che

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abbia aderito alla Convenzione di Ginevra. Attenzione, perché se passa, come auspichiamo, l'emendamento relativo all'ampliamento della protezione umanitaria e del diritto d'asilo in Italia, questa non può essere considerata una clausola di non ammissibilità. Il paese terzo, infatti, potrebbe essere aderente alla Convenzione di Ginevra, e quindi essere disposto a riconoscere lo status di rifugiato, ma non la protezione umanitaria ai sensi della Costituzione italiana. Quindi, una clausola di questo genere non deve essere considerata una clausola di non ammissibilità.
Resta inoltre scoperto, secondo me per un errore di scrittura del testo che dovrebbe essere corretto, il periodo dei primi sei mesi successivi alla presentazione di un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda di asilo o di protezione umanitaria, giacché con questa decisione viene a cessare l'assistenza pubblica per il richiedente asilo. Al richiedente asilo viene rilasciato un permesso per motivi di giustizia, che però lo abilita al lavoro solo successivamente ai primi sei mesi dalla presentazione del ricorso; quindi, per sei mesi il richiedente asilo non riceve assistenza pubblica e non può lavorare, e quindi, evidentemente, non può badare al proprio sostentamento.
Termino il mio intervento citando un ultimo problema. Il principio di non refoulement dovrebbe essere ampliato a situazioni corrispondenti all'impossibilità di rimpatrio, cioè a situazioni di violenza generalizzata nel paese in cui lo straniero dovrebbe essere rinviato, e non dovrebbe essere un principio di non refoulement ai sensi della Convenzione di Ginevra come quello vigente, cioè in caso di rischio di persecuzione personale. Inoltre, in presenza di qualunque situazione in cui questo principio debba essere applicato, dovrebbe scattare il riconoscimento della protezione temporanea, per esempio con l'adozione di un provvedimento di impossibilità temporanea al rimpatrio e il rilascio di un permesso di soggiorno, e tutte le cose già previste, in casi particolari, dal disegno di legge sull'asilo. Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie a lei.
Do la parola al dottor Poppa.

GAETANO POPPA, Responsabile del coordinamento nazionale rifugiati della sezione italiana di Amnesty international. Desidero anch'io ringraziare il presidente e il Comitato per l'occasione che ci viene offerta di contribuire, da un lato, a chiarire i termini della vicenda dell'arrivo nel nostro paese negli ultimi sei mesi di circa 3 mila profughi, in gran parte di etnia curda e, dall'altro lato, a porre la nostra lunga esperienza di attivisti per i diritti umani al servizio della comunità e delle istituzioni per la ricerca comune di una soluzione del problema.
Mi preme subito sottolineare, ribadendo un concetto già richiamato dal dottor Humburg, che se è vero che l'oggetto dell'odierna audizione riguarda l'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della Convenzione di Schengen, tale convenzione poco o nulla ha avuto a che fare con lo sbarco dei profughi curdi in Italia. Immotivate, infatti, sono apparse le doglianze di alcuni partner europei e di media poco informati rivolte al nostro paese in merito a presunte «smagliature» verificatesi rispetto all'applicazione dell'Accordo di Schengen. Secondo Amnesty international, avendo il nostro paese aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, ratificata con legge nel 1954, nonché ad altri strumenti internazionali predisposti a salvaguardia di coloro che, singoli o collettività, subiscano violazioni dei fondamentali diritti umani e per questo si vedano costretti ad abbandonare i paesi d'origine, il Governo italiano non avrebbe potuto comportarsi altrimenti. Possiamo anzi parlare della sussistenza di un dovere di ammissione dei profughi sul nostro territorio ed affermare peraltro che molto resta da fare. Dunque, nulla di meno e nulla di più si sarebbe potuto fare; anzi, qualcosa di più vi dovrà essere, soprattutto in termini di accoglienza e protezione decorosa, degna di un paese che desidera entrare con i primi nella moneta unica.


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Prima di passare velocemente ad esprimere sinteticamente il nostro parere sulle possibili soluzioni dei problemi di etnie martoriate, come quella curda, vessata per secoli dai governi di Turchia, Iran, Iraq e Siria, vorrei avanzare alcune brevi osservazioni sullo stato di implementazione dell'Accordo di Schengen. Una prima considerazione di ordine generale è relativa alle non univoche e difficoltose interpretazioni ed applicazioni delle norme contenute in tale accordo: quanti, operatori del diritto e non, hanno avuto a che fare con le sue disposizioni normative apprezzeranno sicuramente il rilievo che ho appena avanzato. La seconda e la terza considerazione sono di natura eminentemente pratica: una attiene ai controlli del traffico aereo civile internazionale (vi si sono già riferiti i precedenti relatori) e l'altra riguarda la one chance rule, ossia il principio dell'unico Stato responsabile in tema di presentazione dell'istanza di riconoscimento dello status di rifugiato.
Per quanto attiene alla prima questione, Amnesty international è convinta che vada corretto il principio sanzionatorio stabilito per i vettori che non rilevino la presenza sull'aeromobile di persone prive di documenti (è peraltro il caso tipico per una persona che fugga dal proprio paese d'origine, nel quale non viene adeguatamente garantito il rispetto dei diritti fondamentali della persona). La previsione di sanzioni per i vettori che non ammettono questi soggetti penso sia frutto di grande discrezionalità, e che non si possa e non si debba delegare la relativa valutazione. Abbiamo scritto al Presidente Prodi una lettera nella quale fra l'altro chiedevamo conto dell'applicazione di questo principio e ci è stato risposto che tutti gli altri Stati europei lo fanno, per cui anche l'Italia è costretta ad adeguarsi; penso invece che vi siano i margini per una discussione e spero conveniate sul fatto che non è sufficiente dire che gli altri Stati si comportano in questo modo, per cui ci dobbiamo adeguare.
Quanto al principio dell'unico Stato responsabile, secondo Amnesty international tale previsione compromette irrimediabilmente l'esercizio effettivo del diritto d'asilo; dunque, la sua applicazione concreta richiede una rigorosa vigilanza da parte delle organizzazioni non governative che, di concerto con le istituzioni preposte al controllo, dovrebbero invocare l'articolo 9 della Convenzione di Dublino circa la facoltà di uno Stato di richiedere la competenza ad esaminare una richiesta d'asilo avanzata ad un altro Stato per motivi umanitari.
Questi erano i punti che ci premeva sottolineare con riferimento specifico alle Convenzioni di Schengen e di Dublino. Passando alla vicenda dei profughi curdi, a nostro avviso si può affermare a ragione che essa ha fatto comprendere a tutti noi che le categorie del rifugio e dell'asilo costituiscono dei concetti non più sufficienti a rappresentare i fenomeni migratori di oggi, che coinvolgono persone che fuggono per timore di subire violazione dei loro diritti fondamentali. Concepito correttamente come un tipico diritto individuale, del singolo, il diritto di chiedere protezione contro le persecuzioni si è indebolito, a nostro avviso, poiché inadeguato a tutelare fenomeni divenuti essenzialmente di massa, quindi non più riferibili a singoli soggetti. Ferma restando comunque la maggiore tutela riservata ai diritti soggettivi, questa situazione richiede che episodi generalizzati e comprovati di evidenti violazioni dei diritti umani consentano (non in via eccezionale, come è accaduto per esempio per la Somalia e l'ex Iugoslavia) di accedere a strumenti di protezione e di accoglienza che integrino le attuali previsioni della più volte citata Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951.
Ecco perché Amnesty international ha richiesto che ai profughi di etnia curda venisse assicurata protezione nel massimo grado, quindi l'applicazione della Convenzione di Ginevra per coloro che ne avessero fatta espressa richiesta e la protezione umanitaria per gli altri. Il problema che si è dovuto affrontare è stato dovuto al fatto che la maggior parte dei profughi giunti nel nostro paese era convinta che l'Italia potesse rappresentare una tappa di

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transito per giungere in Francia, Olanda e Germania. L'Accordo di Schengen, però, non lo permette, per cui è stato loro negato il passaggio negli altri paesi.
Quindi i profughi non hanno avuto sufficienti informazioni e a questa carenza si è dovuto supplire con l'intervento del Consiglio italiano per i rifugiati e di tante organizzazioni non governative, che in qualche modo hanno affiancato il lavoro delle istituzioni preposte. Solo dopo aver informato adeguatamente i profughi, si è potuto far loro capire che il problema era chiedere l'asilo in Italia, e non utilizzare il nostro come un paese di passaggio. Per coloro che hanno presentato istanza di riconoscimento dello status di rifugiato secondo l'Accordo di Schengen, tutto bene (almeno relativamente), ma la nostra preoccupazione era per coloro che, o perché non informati, o perché comunque non convinti dell'opportunità di procedere alla presentazione di questa istanza, restavano in qualche modo in una sorta di limbo, senza una definizione del proprio status. Non avendo presentato istanza e non potendo accedere al territorio francese, olandese, o tedesco, divenivano automaticamente destinatari di un decreto di espulsione: queste persone, quindi, quando si presentano alla frontiera esterna per esempio per ricongiungersi ai familiari, solitamente (quando va bene) vengono rispedite al mittente, quindi alla stessa Italia, quando va male vengono rispedite nel loro paese d'origine. Per evitarlo, abbiamo chiesto con forza che, laddove la Convenzione di Ginevra non fosse in grado di coprire questo tipo di situazione, fosse comunque assicurata una protezione a queste persone. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei. Do infine la parola al dottor Schiavone.

GIANFRANCO SCHIAVONE, Responsabile dell'Ufficio rifugiati del Consorzio italiano di solidarietà. Signor presidente, parlerò dal punto di vista di una persona che opera quotidianamente sul campo, a contatto con i problemi di applicazione della Convenzione di Ginevra. Il fatto di operare quotidianamente in un ufficio che si occupa della presentazione delle domande di asilo ed in una città di confine, Trieste, mi consente di vedere ogni giorno ciò che avviene alle frontiere esterne dell'Unione europea. Non tornerò sugli argomenti già affrontati e mi concentrerò soltanto su due aspetti: il primo relativo ad una tematica finora non trattata, il secondo concernente invece una tematica già affrontata, quella del trattamento dei dati personali dei richiedenti asilo.
Quanto alla prima questione, tutti sapete che le Convenzioni di Schengen e di Dublino incrociate tra loro di fatto eliminano la libera scelta da parte del richiedente asilo relativamente al paese al quale presentare la richiesta. Non vi è tempo in questa sede per esaminare approfonditamente tale questione, piuttosto importante sotto il profilo sia giuridico sia etico; mi limito quindi ad osservare che, sia sul piano più strettamente operativo sia sul piano giuridico del rispetto della ratio della Convenzione di Ginevra, la limitazione nella libertà di scegliere il paese a cui chiedere asilo, in qualche modo imposta dalla creazione di uno spazio comune europeo, può avere un senso ed una credibilità solamente se in tutti gli Stati membri viene garantito un efficace accesso alla procedura d'asilo e se si assicura un equo e veloce esame delle istanze di asilo.
Non mi riferisco ora alla necessità, già sollevata dal dottor Humburg, di arrivare in tempi ragionevoli ad una armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di asilo, come peraltro auspicato nello stesso preambolo della Convenzione di Dublino; mi riferisco invece, in maniera molto più semplice e circostanziata, al fatto che lo Stato che risulta competente per l'esame delle domande deve garantire il rispetto di condizioni procedurali minime relative all'effettivo accesso alla procedura di asilo, anche in sussistenza di diverse legislazioni nazionali. Se prendiamo in considerazione la situazione italiana, con particolare riferimento alle condizioni operative e logistiche delle frontiere terrestri e marittime, ben difficilmente


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possiamo sostenere che il nostro paese sia in grado di dare effettiva attuazione alla Convenzione di Dublino.
Questa valutazione non mi sembra eccessivamente critica, se si tiene conto di alcune osservazioni. In primo luogo, le frontiere italiane, persino nei punti più esposti agli arrivi di potenziali richiedenti asilo, come la Puglia via mare e Trieste via terra, sono completamente prive di un centro permanente di prima accoglienza, nel quale operino interpreti e personale civile a fianco del personale di polizia. Tali centri non sono mai stati istituiti, benché previsti dalla legge Martelli del 1990. Giova notare, seppure con amarezza, che la richiesta di dislocare personale civile e interpreti, almeno per le lingue più note a livello internazionale, scatta solamente di fronte ad arrivi massicci che richiamano l'attenzione dell'opinione pubblica; altrimenti, vi è un'assenza totale di queste strutture e di questi interventi.
È logico che, in una situazione di questo tipo, anche il richiedente asilo bona fide veda nella frontiera italiana solamente un luogo pericoloso, da attraversare velocemente, se necessario in modo clandestino, ricorrendo ai servizi della criminalità organizzata, per evitare quei controlli che potrebbero esporlo al rischio concreto del respingimento. Su questo aspetto sono abbastanza eloquenti i dati forniti dallo stesso Ministero dell'interno: la pressoché totalità di coloro che si vedono riconosciuta la propria istanza di asilo da parte della commissione centrale (sottolineo che mi riferisco a persone per le quali la condizione di rifugiato viene accertata e riconosciuta) è costituita da persone che hanno presentato domanda d'asilo ad una questura, e non alla frontiera, per cui hanno evidentemente fatto ingresso nel paese quasi sempre in maniera clandestina, anche se successivamente un'accurata analisi del caso ha loro riconosciuto lo status di rifugiati. Questo conferma quale sia la percezione che essi hanno della nostra frontiera.
In secondo luogo, la commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato che, come sapete, opera a Roma e non si sposta, se non in casi rarissimi, verso le zone di frontiera, non ha sottosezioni; i tempi di attesa per l'esame delle istanze di asilo inoltrate sono di alcuni mesi e nel frattempo il richiedente asilo rimane in genere allo sbando, privo di servizi adeguati, di informazioni e, dopo i 40 giorni previsti per la prima assistenza, anche di ogni effettivo sostegno materiale. Tutto questo è particolarmente evidente non tanto nei casi di grossi gruppi, come i curdi sbarcati nell'ultimo mese, quanto nei casi di tanti richiedenti asilo singoli, o in piccoli gruppi, che non sono sotto i riflettori dei mass media e che quindi non fanno notizia.
In terzo luogo, nei fatti ancora non esiste (mi riferisco in particolare alla Convenzione di Dublino) una modalità di lavoro chiaramente definita tra le autorità centrali e gli organi periferici della pubblica sicurezza, al fine di individuare con chiarezza quali passaggi e quali procedure siano da mettere in atto per verificare la possibile, sollecita attivazione delle diverse possibilità previste dalla Convenzione di Dublino: per esempio, quali siano le modalità di attivazione di quanto previsto dall'articolo 9 della Convenzione, cioè la richiesta ad un altro Stato di assumersi la competenza dell'esame della domanda di asilo ove esistano vincoli familiari, o culturali con il paese nel quale lo stesso richiedente asilo, che si trova in Italia, manifesti volontà di recarsi.
Penso d'altronde che stia diventando chiaro a molti, anche non esperti, che per la sua posizione geografica l'Italia è destinata a vedere crescere il numero delle persone provenienti da Stati non membri dell'Unione europea che varcano irregolarmente i suoi confini, in cerca di protezione (nel nostro paese o altrove). L'Italia, cioè, sta già diventando un paese nel quale quanto previsto dall'articolo 6 della Convenzione di Dublino sarà non un caso residuale ma la prassi ordinaria: mi riferisco all'arrivo di irregolari che chiedono asilo. Ciò comporta per l'Italia, forse

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addirittura più che per altri paesi, un salto di qualità nelle modalità pratiche di operare e di affrontare gli arrivi dei richiedenti asilo. Da questo punto di vista, sarebbe veramente illusorio nascondersi il fatto che vi è attualmente una profonda frattura fra gli obblighi politici e giuridici derivanti dall'applicazione della Convenzione, da un lato, e la mancanza di strumenti per attuarla, dall'altro lato. Se a questa frattura non verrà posto rimedio, il richiedente asilo continuerà sostanzialmente a vivere sulla propria pelle l'esperienza dell'Italia come un paese trappola, da cercare di scavalcare ed evitare, transitandovi possibilmente senza essere visto. A tal fine, non potrà fare altro che rivolgersi alla criminalità organizzata per riuscire a realizzare il suo obiettivo.
Di fronte a questo tipo di osservazioni, che ho fatto più volte e in più sedi, mi sono sentito rispondere, spesso in modo un po' semplicistico, che questi problemi troveranno sicura soluzione con l'imminente varo della nuova normativa sull'asilo. Vorrei dire però che deve essere ben chiaro che la questione non è solo di adeguamento normativo, anche se si tratta anche di questo (ne ha parlato giustamente il dottor Briguglio); ma è pure, in questo momento, di adeguamento organizzativo e strutturale, per permetterci di rispettare gli accordi che abbiamo già assunto in sede internazionale con l'adesione all'Accordo di Schengen e alla Convenzione di Dublino. Vorrei ricordare che l'emanazione della nuova legge non farà altro che richiedere con nuova e maggior forza di darsi gli strumenti che comunque in questo momento mancano, cioè i centri di accoglienza alle frontiere e le altre cose che ho ricordato. Quindi, l'entrata in vigore della nuova legge, ancorché emendata, non sarà una panacea ma, al contrario, ci porrà di fronte ad un'ulteriore scadenza, cioè quella di approntare al più presto questi strumenti operativi.
A conclusione del mio intervento, relativamente all'aspetto del trattamento dei dati personali cui prima ho accennato, vorrei brevemente sollevare alcune osservazioni. Nel farlo, parto da un avvenimento concreto di eccezionale gravità, che è stato segnalato in questi giorni proprio riguardo all'arrivo di profughi curdi e di altri paesi arrivati in Calabria, anche tramite una lettera inviata al Governo dalla fondazione Migrantes e dalla comunità di Sant'Egidio. Risulterebbe che negli stessi giorni - purtroppo si tratta di dati abbastanza certi - nei quali venivano ultimate le schedature dei dati di riconoscimento dei profughi e raccolte le loro istanze di asilo, sia stato consentito, anche se non è chiaro da chi, alle autorità consolari egiziane di incontrare i profughi egiziani presenti. Risulta inoltre che è stato permesso ad una rete televisiva turca di effettuare delle riprese. Dalle dichiarazioni rese dai responsabili della fondazione Migrantes e della comunità di Sant'Egidio risulta che le autorità consolari egiziane abbiano minacciato esplicitamente di ritorsioni sia dirette sia a carico dei familiari rimasti in patria coloro che avessero presentato istanza di asilo in Italia. Alcuni egiziani hanno inteso presentarla comunque, mentre altri non l'hanno fatto e sono stati reimbarcati e rinviati direttamente in Egitto. Poiché non risulta che alcuno degli egiziani abbia richiesto la tutela consolare, è ben evidente che ci troviamo di fronte ad un'imbarazzante situazione, in cui dati personali che avrebbero dovuto rimanere di natura riservata fino alla definizione delle procedure sono stati resi noti proprio alle autorità dei paesi dai quali i profughi fuggivano. Il fatto che al momento della visita delle autorità consolari egiziane gli stranieri non avessero ancora presentato istanza di asilo non costituisce certo una giustificazione sufficiente a spiegare questo avvenimento.
Il problema che questa brutta vicenda ha sollevato in modo chiarissimo è di ordine più generale e riguarda il trattamento dei dati personali degli stranieri che abbiano fatto ingresso clandestino nella delicatissima fase, che spesso è di alcune ore ma a volte di alcuni giorni, che intercorre fra la loro identificazione fotosegnaletica e la presentazione da parte degli interessati dell'eventuale domanda di

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asilo o di altre istanze di soggiorno, come il ricongiungimento ai familiari o altro. Non essendovi sovrapposizione temporale fra questi due avvenimenti, in questo lasso di tempo non c'è stata adeguata tutela di queste persone, con particolare riferimento alle richieste di informazione provenienti dai paesi di origine delle persone giunte in Italia.
Sempre a proposito di quest'ultimo aspetto, mi permetto di aggiungerein conclusione che, proprio per evitare nel prossimo futuro il ripetersi di situazioni preoccupanti sotto il profilo della legittimità, riterrei molto utile che il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione degli accordi di Schengen, che tra l'altro si occupa anche del sistema informativo previsto dall'accordo stesso, chieda al Ministero dell'interno chiarimenti non solo su questo avvenimento ma in generale sulle concrete modalità di tutela dei dati personali in situazioni analoghe a quella cui ho accennato. Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Schiavone. Passiamo alle domande dei colleghi.

ANNA MARIA DE LUCA. Ringrazio i nostri ospiti perché credo che attraverso i loro interventi si sia potuta capire la realtà delle cose come si verificano concretamente. Ho già detto parecchie volte, infatti, che fra la teoria e la pratica spesso il passo è molto lungo.
Anche per tranquillizzare i nostri ospiti, dico subito che concordo assolutamente - lo dico anche a nome del gruppo di forza Italia - sul fatto che ogni richiedente asilo ha diritto che la propria domanda sia esaminata con cura e attenzione, considerando i pericoli esistenti e i valori umanitari. Ma questo presuppone tutta una serie di modifiche che non riguardano noi in questa sede, ma che forse spetta a noi segnalare o comunque cosegnalare assieme ai vostri interventi.
È chiaro che, per arrivare a tutelare i profughi veri distinguendoli dagli altri - dirò qualcosa a questo riguardo - bisogna fare un salto di qualità nell'applicazione delle modalità di gestione di questa problematica. Il campo è vastissimo, perché non si tratta soltanto di questi problemi: ne sorgeranno sicuramente altri, ed io già li intravedo, pur non essendo una specialista della materia. Ritorniamo quindi nuovamente su una norma applicativa che sia chiara ed univoca, sulla necessità di un'organizzazione e di fondi notevoli. È altresì necessario un alto numero di persone che abbiano notevoli qualità professionali.
Qui mi ricollego alla fuga di notizie. È giusto che la riservatezza sia tutelata, nel rispetto dei profughi veri ma soprattutto dei cittadini italiani, cittadini italiani che - non dobbiamo dimenticarlo - abitano questo paese e che lo vogliono tranquillo: lo vogliono umanitario, ma non vogliono subire danni da cattivi comportamenti. Quindi, si aprono campi di grandissimo respiro, nel reciproco rispetto, e rimane tanto lavoro da fare, non soltanto a livello normativo. I rischi: i rischi riguardano la possibilità di non poter separare - uso un paragone cattolico - la zizzania dal grano. Bisogna poter arrivare ad una giusta ridefinizione delle persone meritevoli e ad una separazione giusta, con il relativo respingimento, di quelle non meritevoli. Attraverso quali controlli, quali normative e quali modalità? Lo dico perché i cittadini italiani hanno tutto il diritto di essere protetti. Io provengo da Milano, una grande città dove la delinquenza è arrivata ad un parossismo incontrollabile, dove la criminalità straniera ha soppiantato quella locale, che pure dobbiamo sopportare, che già a malapena riusciamo a controllare, dove accadono guerre di quartiere. Vi sono interi quartieri in mano alla prostituzione albanese, tanto per fare un esempio, e altri dove sono presenti i trafficanti di una o dell'altra nazione. Si tratta di eventi che, nel linguaggio normale dei cittadini, noi italiani non possiamo tollerare. Pertanto, nel giusto rispetto di determinati principi e valori e dell'aiuto che va fornito, il quadro è molto complesso e la situazione non sembra di facile soluzione.


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Sottolineo questi aspetti perché abbiamo già sentito interventi come quelli odierni in una seduta precedente, e ne svolgeremo altre analoghe, con la partecipazione di altre persone che ci aiutano - e noi le ringraziamo - a risolvere o comunque a conoscere i problemi. Però la gente non vuole che persone sbarchino in Italia, non lavorino, non si comportino correttamente e, soprattutto, non abbiano rispetto per le nostre leggi e per il nostro modo di vivere. Questo è il modo di sentire che noi capiamo parlando con i cittadini. Lo sottolineo perché il nostro paese, come ha detto il dottor Schiavone, geograficamente è e sarà considerato un punto di passaggio o di arrivo per chi, per vari problemi, decide di abbandonare il suo paese. Pertanto, il futuro sarà foriero di chissà quali altri sbarchi. Concordo, perciò, con chi sostiene che il nostro paese si troverà sistematicamente di fronte a questo problema per la sua collocazione geografica. Quindi, bisogna agire in questo senso nel più breve tempo possibile. È giusto avere centri di accoglienza adeguati, ma per averli sono necessari fondi e noi stiamo già affrontando il problema dell'adesione al trattato di Maastricht, con tutto ciò che da questo deriva, e quello della disoccupazione (sono problemi che tutti conosciamo e questa non è la sede adatta per affrontarli). In conclusione, vorrei ribadire che il fatto che in coscienza si debbano riconoscere certi diritti non deve fare in modo che si vada a ledere la libertà dei cittadini italiani di essere adeguatamente protetti. Questo è un compito del Governo.

GABRIELLA PISTONE. Ringrazio il dottor Humburg, il dottor Briguglio, il dottor Poppa e il dottor Schiavone per il loro contributo, che penso faccia del bene al Parlamento, nel senso che hanno portato fra le mura dei palazzi istituzionali le esperienze dirette e concrete, sul campo, circa la realtà del fenomeno migratorio nelle varie casistiche di fronte alle quali ci veniamo a trovare.
Come al solito vi è sempre molta differenza fra le convinzioni, o comunque gli schemi con cui a volte si procede in maniera un po' asettica o estraniandosi dalla concretezza della realtà umana, e quelle che sono proprio le singole realtà che di volta in volta si riscontrano nelle varie situazioni.
Questo Comitato parlamentare non ha poteri legislativi, ma è composto, ovviamente, da membri del Parlamento, che in esso si adoperano per legiferare. Cito i disegni di legge sull'immigrazione e sul diritto di asilo. Abbiamo quindi un notevole potere di cambiare, migliorandoli, i testi di legge all'esame del Senato di fronte a esigenze che non sono di parte, ma che diventano oggettive perché riguardano situazioni effettivamente esistenti. Ho già avuto spesso incontri con rappresentati di organizzazioni, dato che i problemi devono essere affrontati anche in questo modo. Ritengo dunque fondamentale l'esigenza di modificare i disegni di legge che ho citato. È altrettanto vero che esistono esigenze ulteriori come quelle che ha ricordato il dottor Schiavone. Infatti, nonostante vi fosse una disposizione di legge che aveva disposizioni giuste e sacrosante, come quelle sui centri di accoglienza, in effetti non è stata messa in atto. Quindi, non basta legiferare, perché è necessario che la legge sia concretamente applicata. Ritengo che anche questo sia un nostro compito: vigilare sulla reale ed effettiva applicazione delle leggi. A volte, infatti, si fanno leggi buone che spesso sono totalmente disattese, e quindi non hanno le ricadute di cui si erano immaginati gli effetti.
La risposta data al dottor Poppa dal presidente del Consiglio Prodi al problema da lui sollevato da un lato è vera, ma non ci si può fermare ad un'affermazione di questo tipo, perché altrimenti nessun paese, nessuna forma di civiltà superiore - chiamiamola così, scusatemi - sarebbe mai raggiunta: infatti, se nessuno dà il via o comunque dà un'impronta diversa e anche coraggiosa per la soluzione di certi problemi (che non sono dell'Italia, ma che riguardano l'Europa e il mondo di oggi), essi non saranno mai risolti; ritengo che un paese come il nostro dovrebbe farsi


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paladino di certe esigenze, perché probabilmente ne riceverebbe soltanto dei benefici.
Collega De Luca, è ovvio che nessuno di noi intende tollerare la delinquenza o proteggere gli stupratori. Credo che questo non sia neanche in discussione: la delinquenza è delinquenza in tutto il mondo, e semmai ci dovremmo domandare da cosa sia generata, ma questo è un problema che deriva da uno sviluppo magari distorto della società e che non entra nel discorso odierno sulla normativa e sui rapporti fra gli Stati. Ci riguarda, però, nel senso che se si tratta di un delinquente riconosciuto, questo non deve entrare nel paese. Su questo credo non vi sia ombra di dubbio da parte di alcuno, tanto meno da parte del Governo e delle autorità italiane.

PRESIDENTE. Desidero rivolgere ai colleghi l'invito a continuare a compiere, con i loro interventi e le loro domande, lo sforzo che abbiamo cercato di mettere in campo nel corso delle audizioni nell'ambito della nostra indagine conoscitiva: quello di valutare quali relazioni vi possono essere tra l'unico capo della Convenzione di Schengen in cui vi è un riferimento alla materia del diritto d'asilo e la Convenzione di Dublino, che in qualche modo ha estrapolato e fatto proprio quel capo. Voglio altresì ricordare che stiamo svolgendo un'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della Convenzione di Schengen e, se mi potessi permettere una battuta, direi che bisognerebbe far giungere ai rappresentanti dei nostri partner i resoconti stenografici delle audizioni di oggi, perché sicuramente si tranquillizzerebbero: se infatti un'osservazione critica è venuta rispetto allo stato di attuazione della Convenzione, è che le nostre frontiere e i nostri controlli sono talmente impermeabili e vincolanti da non lasciare spazio a distorsioni di sorta.

FRANCESCO MORO. Rivolgo una domanda telegrafica al dottor Briguglio, che faceva riferimento alle modifiche che dovrebbero essere introdotte in un progetto di legge attualmente all'esame del Senato: al riguardo, non so se egli si riferisse alle modifiche già introdotte alla Camera, oppure a quelle che il Senato dovrebbe introdurre. Rispetto a quest'ultima ipotesi, però, devo precisare che non vi sarà alcuna modifica perché il testo del provvedimento è ormai quello approvato dalla Camera e non verrà modificato: siamo già arrivati all'articolo 8 senza aver cambiato neanche una virgola. Se dunque il suo auspicio di modifica è stato già accolto dalla Camera, tanto meglio, perché altrimenti dovremo cominciare a pensare a come intervenire nel senso da lei auspicato in una prossima occasione.

GIAMPAOLO BETTAMIO. Mi sembra che il problema politico attorno a cui giriamo sia quello del diritto d'asilo e della relativa armonizzazione delle legislazioni. Per ora siamo al livello delle risoluzioni del Parlamento europeo, o dello scambio di informazioni, o poco più, per cui sono più le questioni aperte di quelle su cui si può avere un sicuro punto di riferimento nei paesi europei. Si è invece invocato il massimo di armonizzazione per poter avere un punto di partenza comune, per cui la mia domanda è: il farsi promotori del massimo di armonizzazione può essere sufficiente? Quanto osservava il dottor Schiavone relativamente all'esperienza sul campo, indica che probabilmente ci vuole molto di più di un'armonizzazione comunitaria. Credo peraltro che sia necessaria una direttiva comunitaria che fissi condizioni minime obbligatorie di rispetto per i casi più comuni che già si sono verificati per le domande d'asilo; altrimenti, con l'armonizzazione, o con lo scambio di informazioni, credo che non si vada molto avanti. Vorrei quindi sapere se, a vostro avviso, la via da seguire è quella di sollecitare, eventualmente attraverso il Parlamento europeo, una direttiva per fissare condizioni minime obbligatorie, in modo che si abbia almeno lo stesso punto di riferimento per alcune situazioni che possono verificarsi; poi naturalmente sarà la sensibilità e la situazione geografica dei


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diversi paesi a produrre dei cambiamenti sul campo.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai nostri ospiti per le repliche, desidero aggiungere una precisazione: già nella precedente occasione di audizioni di organizzazioni e associazioni che operano nel campo dell'accoglienza degli immigrati e dei rifugiati, abbiamo rivolto un invito a segnalarci eventuali distorsioni, abusi, incongruenze della normativa; ringrazio quindi per i contributi al riguardo che sono giunti anche oggi.
Voglio inoltre aggiungere una sottolineatura, almeno per quanto riguarda la parte dell'intervento del dottor Schiavone riferita alla tutela dei dati personali. Almeno con riferimento alla Convenzione di Schengen, si tratta soltanto dei dati trattati a livello informatizzato dal central SIS: rispetto a questo, non mi sembra di aver colto denunce di violazione, mentre indubbiamente è questione quanto meno di imperizia il fatto che si siano mostrati a delle telecamere i volti di richiedenti asilo e di altri rifugiati in procinto di valutare un'ipotesi del genere. Ne approfitto allora per ricordare che anche su queste materie portiamo avanti la nostra indagine conoscitiva e al riguardo potremo rivolgere domande più specifiche al prefetto Fernando Masone, capo della polizia, che ascolteremo il prossimo 10 febbraio.

SERGIO BRIGUGLIO, Consulente della Caritas di Roma sulle politiche di immigrazione e di asilo. Forse ho fatto un po' di confusione nel mio intervento: preciso che vi sono due provvedimenti all'esame del Senato. Il primo è quello sull'immigrazione, che va verso un'approvazione senza modifiche, anche se avrebbe bisogno di diverse correzioni: sembra però che sia impossibile apportarle per una scelta politica, che noi peraltro critichiamo. Per la verità, resta uno spazio per la modifica contenuto all'interno dello stesso progetto di legge, all'articolo 47, che prevede un'ampia delega legislativa al Governo per l'approntamento e la definizione di norme correttive ed integrative entro due anni. Sicuramente, quindi, un ruolo può essere giocato anche dal vostro Comitato parlamentare, anche se non sarò io ad indicarvi in quale senso: certamente, però, potete indicare degli indirizzi al Governo per dare attuazione a questa delega legislativa per quanto concerne il rispetto del diritto d'asilo, specialmente nella fase del respingimento alla frontiera, che è uno degli aspetti più delicati fra quelli affrontati dalla legge sull'immigrazione.
Il secondo è il progetto di legge sull'asilo, che è in fase di prima lettura da parte della Commissione affari costituzionali del Senato: le modifiche proposte dal relatore, a cui facevo riferimento, riguardano proprio questo provvedimento. Al riguardo, anche questa, ritengo, potrebbe essere una sede per coordinare ed integrare le norme eventualmente mancanti nel progetto di legge sull'immigrazione.
Passo poi rapidamente alla questione posta dal senatore Bettamio, cioè la necessità della definizione di condizioni minime per la tutela del diritto d'asilo in Europa. Certamente è un fatto di estrema importanza: uno dei problemi che abbiamo posto negli interventi precedenti riguarda l'ampliamento della nozione di diritto d'asilo in Italia ai sensi del dettato costituzionale. Si pone quindi un' auspicabile difformità tra l'applicazione più ampia in Italia, ai sensi della Costituzione, ed il diritto minimo ai sensi della Convenzione di Ginevra negli altri paesi.
Alla luce di queste esigenze, dovrebbe essere valutata con attenzione la nozione di paese responsabile per l'esame della domanda: è un problema che ho già posto, perché laddove la tutela può derivare da questo diritto più ampio garantito dalla Costituzione italiana, evidentemente, non si può accettare la nozione di paese responsabile identificandolo con un paese che sarebbe disposto a dare tutela solo in modo più ristretto. È indubbiamente un problema grave, su cui credo che il Parlamento dovrebbe riflettere approfonditamente.


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JURGEN HUMBURG, Funzionario della sezione legale dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Proverò a fare riferimento alle varie problematiche menzionate. L'onorevole De Luca ha posto un'altra volta il problema della sicurezza e degli interessi legittimi dello Stato: io vorrei però difendere i diritti di chi arriva, magari anche in modo irregolare, in Italia e può avere bisogno di protezione. Non condivido affatto l'immediata analogia tra stranieri (o richiedenti asilo nella fattispecie) e criminalità per due motivi. In primo luogo, il richiedente asilo è una persona che più di ogni altra si espone alle autorità italiane: va in questura, viene fotosegnalato, deve rispondere e rilasciare dichiarazioni con un verbale di quattro pagine, scrive la sua storia personale, viene sentito dalla commissione centrale presieduta da un prefetto e composta da vari rappresentanti della Presidenza del Consiglio edei Ministeri dell'interno e degli affari esteri (si tratta di audizioni che spesso durano un'ora-un'ora e mezza). Vi sono poi altre possibilità di approfondimento, anche attraverso altre fonti, per verificare la veridicità delle informazioni date dal richiedente asilo. A questo punto, penso che effettivamente si ha un quadro della persona: certo, un rischio rimane...

GIAMPAOLO BETTAMIO. Il rischio è rappresentato dalla sua parola; bisogna credere alle sue parole.

JURGEN HUMBURG, Funzionario della sezione legale dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Tuttavia, la commissione spesso, se viene ritenuto necessario, può chiedere altre informazioni, per esempio attraverso il Ministero degli affari esteri e le ambasciate nei paesi d'origine, naturalmente con la dovuta cautela, per non mettere in pericolo i familiari del richiedente asilo. Da queste ricerche può risultare che le asserzioni del richiedente non sono vere: per questo penso che una persona cui sia stato riconosciuto lo status di rifugiato dia sotto questo profilo una certa garanzia.
In secondo luogo, voglio citare l'articolo 2 (forse la stessa collocazione iniziale dà un'indicazione della sua importanza) della Convenzione sullo status del rifugiato: «Ogni rifugiato ha nei confronti del paese in cui si trova dei doveri, che comportano in particolare l'obbligo di conformarsi sia alle leggi e ai regolamenti, sia ai provvedimenti adottati per il mantenimento dell'ordine pubblico». Vi è quindi un chiaro obbligo, per cui un richiedente asilo, o un rifugiato non può sentirsi al di sopra delle leggi nazionali.
Per quanto riguarda l'aspetto cui ha fatto riferimento l'onorevole Pistone della vigilanza e dell'applicazione delle norme, concordo pienamente con il dottor Schiavone: il problema dell'applicazione è essenziale in questo campo, come probabilmente in altri campi. Faccio un esempio piccolo ma a mio avviso emblematico: la legge Martelli del 1990 prevede all'articolo 1, comma 6, la possibilità di fare ricorso contro la decisione di non ammissione del richiedente asilo alla frontiera. È un'ottima previsione normativa, solo che in tutto il tempo dell'applicazione della legge Martelli, a nostra conoscenza, non vi è stato un solo caso in cui è stato possibile presentare questo tipo di ricorso contro una decisione che è comunque grave, perché spesso comporta l'invio diretto del richiedente asilo nel paese di origine. Penso che sia evidente, in questo caso, che l'applicazione della norma ha estrema importanza. Per legare questo aspetto alla Convenzione di Schengen e adesso a quella di Dublino, che riguarda la parte concernente l'asilo, specifico che fra i paesi europei esiste una grande differenza, sia a livello legislativo sia nella prassi, sul problema dell'ammissione. Ho citato l'esempio del richiedente asilo che viene respinto in base all'articolo 380 del codice penale: costui negli altri paesi non incontrerebbe problemi ad essere ammesso. Pertanto, il richiedente asilo che in altri paesi si potrebbe veder avviare la procedura per l'ammissione, in Italia rischia di non essere neanche ammesso alla procedura stessa, anche se l'Italia ha aderito alla Convenzione di Dublino.


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Mi soffermo brevemente, infine, sullo stato dell'armonizzazione fra le varie discipline. Ricordo la risoluzione sulle condizioni minime, quella di Londra del 1992 sulle domande manifestamente infondate e quella sul terzo paese d'asilo. Vi è una posizione comune sull'interpretazione dell'articolo 1. Dopo la revisione del trattato di Maastricht, c'è l'intenzione di comunitarizzare il diritto di asilo. Tuttavia, i passi da compiere sono ancora immensi. Basta ricordare che proprio durante il semestre di presidenza italiana nei primi sei mesi del 1996 era in discussione una proposta di risoluzione su una posizione comune circa le condizioni minime per i richiedenti asilo. C'era un impegno forte dell'Italia, ma purtroppo questo progetto è stato abbandonato dalle successive presidenze. Anche questo è un dato indicativo delle grandi difficoltà che l'Unione europea incontra a causa dei diversi ordinamenti giuridici, dei diversi sistemi di assistenza materiale, per le diverse tradizioni, nell'armonizzare questa materia.

PRESIDENTE. Ringrazio molto i nostri ospiti e i colleghi che sono intervenuti.


La seduta termina alle 14,55.