PAOLO BONETTI

ricercatore in diritto costituzionale

nella Facoltà di giurisprudenza

dell’Università degli Studi di Milano

 

OSSERVAZIONI PER IL PARERE SULLO SCHEMA DI DOCUMENTO TRIENNALE PROGRAMMATICO DELLE POLITICHE MIGRATORIE presentato dal Governo alle Camere ai sensi dell’art. 3 della legge 6 marzo 1998, n. 40

 

 

In generale lo schema presentato dal Governo appare conforme alle disposizioni della legge 6 marzo 1998, n. 40 e la gran parte degli orientamenti ivi indicati appaiono meritevoli di approvazione.

Tuttavia il parere favorevole è subordinato al recepimento di talune condizioni che saranno di seguito illustrate. Infatti lo schema presentato è assai apprezzabile in molte parti, ma deve essere integrato e modificato dal Governo sotto diversi profili che appaiono essenziali per una piena e completa attuazione della nuova legge e per un efficace governo del fenomeno migratorio.

 

1) Nel testo occorre distinguere con precisione le parti discorsive dalle parti precettive.

Anzitutto occorre ricordare che in base alla legge 6 marzo 1998, n. 40 il documento programmatico è emanato con decreto del Presidente della Repubblica e non con una semplice direttiva interorganica emanata da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri proprio perchè in base alla legge esso deve contenere criteri e orientamenti non meramente orientativi, ma di carattere vincolante per i successivi provvedimenti generali del Governo, delle Regioni e degli enti locali.

Pertanto è indispensabile che l’elaborato del testo sia riordinato dal Governo in modo che in ogni sua parte siano distintamente indicate almeno due sezioni :

a) le premesse, gli allegati e le argomentazioni di carattere generale, redatti in forma discorsiva

b) gli orientamenti, le azioni da intraprendere, i criteri precisi, i termini ecc., redatti in forma di articolato o di elenco di disposizioni o punti precettivi per tutte le amministrazioni pubbliche. Di tale sezione non dovrebbero fare parte l’indicazione di meri auspici e di scelte politiche future ed incerte.

 

2) Gli orientamenti in materia di disciplina generale dei flussi migratori possono mirare ad un effettivo ed efficace governo del fenomeno migratorio soltanto se considerano tutti i fattori attrattivi ed espulsivi" che di fatto orientano ovunque i flussi migratori, cioè tutti i fattori "macro" (e non soltanto quelli di carattere economico e geo-politico), ma anche i fattori "micro.

A tale proposito è indispensabile che il documento sia profondamente integrato, poichè esso appare vistosamente carente sotto diversi punti di vista: da un lato dimentica di incidere su alcuni essenziali fattori "macro", dall’altro sembra dimenticarsi che per spiegare il fenomeno migratorio (e dunque per governarlo) fare riferimento ai fattori macro non basta, ma occorre occuparsi contestualmente anche dei fattori "micro".

2.1. Anzitutto il documento non presenta accanto alle riflessioni statistiche, demografiche e di politica internazionale, una approfondita riflessione sull’antropologia delle migrazioni.

Le riflessioni che seguono dovrebbero essere incluse nel documento e ciò dovrebbe di conseguenza comportare l’introduzione delle conclusioni operative indicate nel punto 2.2.

Come è noto ogni flusso migratorio non avviene per caso, ma è il prodotto di "fattori espulsivi" (fattori "macro", come il sottosviluppo economico collegato alla forte crescita demografica e alle crisi delle condizioni economiche e sociali, i conflitti e la persecuzione politica, e fattori "micro", come l’insoddisfazione delle proprie condizioni di vita) dal Paese di origine e di "fattori attrattivi" nel Paese di immigrazione (tra i quali p. es. richiesta di manodopera o possibilità di lavoro o di studio o di asilo, ma anche facilità di ingresso e inserimento regolari o minore controllo degli ingressi e dei soggiorni illegali, desiderio di avere uno stile di vita più libero, di vivere in un’altra cultura, lingua o religione che l’individuo spesso ha già conosciuto o praticato o desiderato praticare nel Paese di origine). Peraltro le ragioni che inducono ad emigrare ormai si accavallano (cattiva gestione dell’economia ed oppressione politica e delle minoranze appaiono cause correlate) ed è sempre più difficile distinguere emigrazione per ricerca di lavoro ed emigrazione per motivi politici.

Malgrado i predetti fattori espulsivi ed attrattivi, le spiegazioni economicistiche non bastano per spiegare le migrazioni internazionali. Infatti occorre osservare che da molti Paesi si emigrava anche prima delle recenti crisi economiche e politiche, che non sempre tutti i cittadini di un medesimo Paese emigrano e che all’interno di una stessa famiglia non sempre tutti emigrano. Nè si può dire che emigra chi non raggiunga la soglia minima di sussistenza, perchè di solito i poverissimi non hanno le forze materiali e spirituali necessarie per emigrare. Si può invece affermare che di solito emigra chi dispone di maggiori informazioni e di denaro, chi è più istruito, chi ha più cultura. Si osserva che spesso l’aspirazione ad emigrare aumenta proprio con l’aumento della scolarizzazione e con l’inizio di uno sviluppo economico.

Si deve dunque ricordare che l’immigrazione è anzitutto un evento personalissimo della vita di ogni migrante. Infatti anche l’emigrazione del singolo non avviene per caso, ma soprattutto l’emigrazione alla ricerca di un lavoro (ma anche quella per ricongiungimento familiare o per studio) è di solito a lungo meditata dal migrante, molto spesso insieme con la famiglia a cui appartiene, la quale a volte lo incoraggia ad emigrare, soprattutto se si tratta di figli giovani e non sposati che potrebbero contribuire a sostentare le famiglie di origine inviando in Patria almeno parte dei guadagni che si immagina possano ottenere nel Paese di immigrazione. Nella maggior parte dei casi ogni persona prende la decisione di emigrare se, più o meno inconsciamente, ritiene che si verificano contemporaneamente cinque condizioni:

a) la percezione che la propria posizione economica, familiare, politica o sociale nel Paese di origine appare del tutto insoddisfacente rispetto alle proprie aspettative, percezione basata sul confronto con altri stili di vita (confronto avvenuto con letture o durante i propri studi oppure mediante l’ascolto dei racconti di amici e parenti oppure mediante la visione di trasmissioni televisive) ;

b) l’aspettativa ad un miglioramento della propria posizione, aspettativa che si ritiene non si possa davvero realizzare restando nel Paese di origine (coloro che si accontentano di ciò che hanno, i più pazienti, i meno coraggiosi e i rassegnati solitamente sono meno portati ad emigrare);

c) la convinzione che con l’emigrazione in una zona di un ben determinato Paese la propria posizione economica e sociale migliorerà e i propri desideri insoddisfatti potranno essere soddisfatti; ciò significa che il potenziale emigrante nel Paese di origine ha già inconsciamente fatto propri in tutto o in parte i valori e lo stile di vita del Paese in cui desidera emigrare (si parla di "socializzazione anticipatoria") e che dunque si sente già estraneo, in tutto o in parte, ai valori o allo stile di vita del Paese in cui vive;

d) l’effettiva possibilità pratica per l’individuo di emigrare (disponibilità di documenti e di denaro - magari prestato da conoscenti o sottratto ai pochi risparmi della propria numerosa famiglia - necessari per il viaggio e per il sostentamento nei primi momenti successivi all’arrivo nel Paese di immigrazione; la sicurezza, facilità e rapidità dei mezzi di trasporto);

e) la convinzione che gli inevitabili costi e disagi derivanti dall’emigrazione in un altro Paese (spese di viaggio, difficoltà di ottenere documenti di soggiorno regolare, difficoltà di trovare un lavoro ed una casa, difficoltà di accedere effettivamente a determinati corsi di studi, diversità di modo di vestire e di mangiare, di usanze, di religione, lontananza dai propri cari ed amici restati nel paese di emigrazione, maggiori spese quotidiane derivanti dal costo della vita più elevato del Paese di immigrazione) saranno comunque complessivamente inferiori rispetto ai benefici ottenibili grazie all’emigrazione (possibilità di realizzare in poco tempo guadagni elevatissimi, possibilità di raggiungere titoli di studio superiore o di completare corsi di studio e formazione, ricongiungimento con i propri familiari già emigrati, protezione dai pericoli per la propria vita, sicurezza e incolumità).

Peraltro al di là dei più generali fattori espulsivi ed attrattivi i flussi migratori e i singoli migranti vivono sempre più all’interno di complesse reti e catene migratorie che li precedono e li seguono.

Sempre più spesso infatti le predette convinzioni maturano sulla base dei racconti di amici e conoscenti già emigrati e rientrati (e raramente chi è già emigrato racconta anche le grandi difficoltà di vita patite nel Paese di origine, nè, nel timore di essere considerato un ingrato o un fallito rispetto agli altri, ritorna chi non può esibire segni visibili del successo) e sulle informazioni a volte distorte, perchè false, edulcorate od esagerate, comunicate da connazionali amici o parenti in precedenza emigrati e rietrati in Patria con i segni della riuscita o dalle immagini trasmesse dai mezzi di comunicazione di massa o da suadenti organizzazioni di "mercanti di schiavi e di sogni" che illudono ed ingannano facendosi dare o promettere compensi enormi.

Tuttavia spesso la catena migratoria è anche rassicurante per il singolo migrante: orienta ad emigrare gli abitanti di una medesima zona di un determinato Stato verso un ben determinato luogo di un determinato altro Stato, orienta l’immigrato di una determinata zona a scegliere una ben determinata occupazione e sistemazione alloggiativa nel Paese di emigrazione, aiuta a far giungere le rimesse di denaro ai familiari restati in Patria, induce a creare associazioni di persone provenienti dal medesimo Paese o dalla medesima zona. Questa catena si autoalimenta e spinge sempre nuove persone ad emigrare fino a quando gli elementi contrari all’emigrazione (costi superiori ai benefici) non divengono forti, precisi e concordanti e da tutti ben conosciuti.

Uno dei principali fattori di attrazione dell’Italia è l’immagine di un Paese ricco e felice, aperto e disponibile, immagine che il nostro modo di vita trasmette soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione di massa o i racconti dei turisti occidentali o i racconti edulcorati dei connazionali già emigrati in precedenza in Italia. Perciò tra le decisioni di emigrare verso l’Italia vi è spesso l’idea di entrare a far parte di un mondo diverso (nella percezione collettiva di taluni Paesi di emigrazione essere emigranti di per sè significa essere saliti nella scala della considerazione sociale), del quale si possiedono informazioni parziali o distorte, nel quale sembrerebbe più facile trovare opportunità di guadagno, rispetto alle quali il fatto di svolgere un lavoro regolare appare al migrante soltanto come uno dei possibili mezzi per raggiungere rapidamente quel benessere immaginato prima della partenza dal Paese di origine e non come il principale motivo che, nell’immaginario collettivo della società ospitante, di fatto legittima la presenza di stranieri.

Peraltro la maggiore disponibilità ad emigrare verso l’Italia deriva anche dal fatto che, al di là delle norme vigenti, finora i pubblici poteri non sono stati di fatto in grado di impedire il lavoro illegale e l’agevolazione dell’immigrazione illegale degli stranieri e di regolamentare i nuovi flussi migratori. Infatti poichè nel sistema socio-economico italiano il costo del lavoro è elevato, i datori di lavoro appaiono più disponibili ad assumere immigrati stranieri offrendo loro, al di là di ciò che è prescritto dalle norme vigenti, trattamenti retributivi e previdenziali inferiori a quelli previsti per i cittadini italiani, che peraltro sono comunque più elevati di quelli praticati nel Paese di origine, senza essere in ciò dissuasi da controlli diffusi e da sanzioni effettivamente applicate (soprattutto se si pensi al lavoro domestico, all’assistenza domiciliare a persone non autosufficienti e al bracciantato agricolo, settori nei quali l’inserimento dei lavoratori stranieri è interstiziale e poco visibile). Si può perciò affermare che una regolamentazione formalmente restrittiva dei nuovi ingressi per lavoro e il forte proliferare di lavoro "illegale" degli stranieri extracomunitari in realtà finisce col creare l’aspettativa circa la possibilità di trovare comunque un lavoro in Italia, anche al di là di ciò che è previsto dalla legge, aspettativa che finisce con l’indirizzare verso l’Italia una tipologia di flussi di immigrazione straniera più disponibili alla precarietà, alla mobilità, all’illegalità. In questo modo si è attuata finora una politica di immigrazione formalmente rigida e chiusa, ma incapace di governare i flussi migratori e incapace di incidere su uno dei principali fattori attrattivi dell’Italia, cioè il lavoro nero: un’effettiva repressione del lavoro illegale degli stranieri aiuterebbe anche una effettiva riforma dell’organizzazione del mercato del lavoro. Si tratta dunque di politiche migratorie contraddittorie, perchè basate su una formale programmazione dei nuovi flussi di ingresso per lavoro (la quale, confermando il sistema della chiamata nominativa da parte di un datore di lavoro in Italia, finisce per confermare la restrizione di nuovi ingressi di stranieri per lavoro), collegata ad una prevenzione e repressione dell’immigrazione illegale e del lavoro illegale degli stranieri, che in realtà sono state poco attuate in pratica e perciò sono state assai inefficaci, ed a periodici provvedimenti legislativi urgenti di regolarizzazione della posizione illegale degli immigrati clandestini, provvedimenti che finiscono per incentivare esagerate aspettative di ulteriori provvedimenti di sanatoria le quali aumentano nuovi ingressi illegali di cittadini extracomunitari.

Si tratta di una spirale che finisce con l’aumentare le "catene migratorie" perverse, perchè la tolleranza e i tentennamenti nell’effettiva applicazione delle disposizioni vigenti collegati al susseguirsi di periodiche regolarizzazioni degli immigrati illegali possono essere facilmente interpretati come legittimazione delle trasgressioni, che sono dunque vissute come lecite e di fatto favoriscono l’anomìa tra gli immigrati stessi, soprattutto tra quelli che provengono da Paesi retti da regimi autoritari, e finiscono per penalizzare e scoraggiare gli stranieri desiderosi di adeguarsi spontaneamente alle norme formalmente in vigore e per confermare che lo straniero che in qualunque modo riesca ad immigrare nel territorio italiano potrà comunque regolarizzarsi nel medio periodo, il che in presenza del blocco dell’immigrazione illegale per lavoro finisce col produrre nuovi flussi di immigrazione clandestina.

Non ci si può perciò stupire del fatto che si assiste anche ad un diffuso fenomeno di "migrazione d’assaggio", soprattutto da alcuni Paesi, che si caratterizza per la temporaneità e l’estrema mobilità sul territorio: espatrii senza un progetto preciso o comunque molto labile e di corto respiro, motivati da tutto quanto consente un rapido guadagno. E se, una volta giunti in Italia, magari illegalmente, ci si trova di fronte ad insuperabili ostacoli normativi, al rifiuto, alla marginalizzazione lavorativa, alla mancanza di alloggio, non ci si può permettere di ritornare falliti nel proprio Paese. Molti immigrati mirano così alla più rapida monetizzazione, risparmiano su tutto, tendono ad approfittare di ogni occasione assistenziale, a volte si dedicano ad espedienti, ad attività abusive o illegali (persino allo sfruttamento di minori e di prostitute stranieri e ad altri traffici illegali), che alimentano il pregiudizio di alcuni italiani su alcune fasce di stranieri, o, tutt’al più, si dedicano a lavori occasionali o precari, senza dedicare molta attenzione ad avere cura della propria immagine e dignità nel Paese di immigrazione, perchè ciò a cui davvero mirano è non già un’integrazione armoniosa nel Paese di immigrazione, bensì soltanto il ritorno nel più breve tempo possibile nel proprio Paese con i simboli della riuscita, aspirazione che nella maggioranza dei casi si rivela una illusione. Così il migrante spesso comprende di essere caduto in una "trappola" (non è in grado di rientrare nel Paese di origine con i simboli della riuscita, altrimenti potrebbe essere considerato da tutti un fallito, e nello stesso tempo si trova marginalizzato dalla società ospitante e a volte in condizioni complessivamente peggiori di quelle in cui viveva prima di partire dal Paese di origine). Questo fenomeno da un lato erige a modello dell’immigrazione la provvisorietà e la non integrazione e contribuisce alla marginalizzazione e alla ghettizzazione di tutti gli stranieri e dall’altro lato alimenta la catena migratoria in una spirale viziosa.

E’ infine indispensabile ricordare che, a differenza di ciò che avviene in altri Paesi europei, in Italia non esiste un gruppo ristretto di Paesi da cui provenga la grande maggioranza degli stranieri, perchè l’immigrazione straniera in Italia è un caleindoscopio di provenienze, culture e religioni differenti.

Infatti si può rilevare che al 31/12/1996 il 38,9% degli stranieri proviene dall’Europa (in particolare il 22,8% degli stranieri proviene dai Paesi dell’Est), il 28,8% dall’Africa (in particolare il 18,2% dal NordAfrica), il 14,1% dall’America (in particolare l’8,8% dall’America Latina), il 17,8% dall’Asia. I primi 16 gruppi nazionali tra gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia erano (in ordine decrescente) il Marocco (119.481), l’Albania (63.967), le Filippine (57.071), gli USA (54.652), la Tunisia (44.821), la Jugoslavia (Serbia e Montenegro, 44.259), la Germania, il Senegal (31.870), la Romania (31.673), la Cina (29.375), la Polonia (27.375), la Francia, lo Sri Lanka (24.920), l’Egitto (23.785), il Perù (21.700). Ogni gruppo nazionale di immigrati orienta catene migratorie, ha un’identità culturale e caratteristiche differenti, ha un radicamento molto differenziato sulle diverse zone del territorio italiano e ogni identità o situazione diversa deve essere conosciuta e rispettata perchè ha profonde ripercussioni sull’identità di ogni persona straniera

Peraltro soltanto metà degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia sono cittadini di Paesi geograficamente vicini all’Italia. Infatti al 31/12/1996 176.503 erano originari dell’Europa occidentale ("comunitari" e non), 158.586 provenivano dagli Stati dell’ex Jugoslavia e dall’Albania e 198.910 dagli Stati del Nord Africa.

2.2. Alla luce di tali premesse è indispensabile che nel testo del documento programmatico siano apportate importanti integrazioni e modificazioni alla parte precettiva (orientamenti, criteri, direttive, termini ecc.), che sono riassumibili come segue:

1) poichè non è sufficiente monitorare i flussi di richiedenti asilo per incidere sulle cause "macro" di carattere politico che inducono i flussi migratori occorre prevedere espressamente nel Documento che, anche al fine di prevenire migrazioni di massa, tra gli orientamenti essenziali di politica internazionale dell’Italia devono essere inseriti sia a livello multilaterale, sia a livello bilaterale la messa in opera di ogni tipo di azione affinchè in ogni Pase siano effettivamente attuati la tutela dei diritti fondamentali della persona umana, la protezione delle minoranze linguistiche, etniche e religiose, lo sviluppo della democrazia pluralista, nonchè la prevenzione e cessazione dei conflitti e il bando della vendita di armi a Paesi retti da regimi che tali principi non osservano. Ciò avrebbe sul medio-lungo periodo effetti anche sui flussi migratori (si pensi alle situazioni di Turchia, Irak, Siria, Sri Lanka, Pakistan, Iran, ex Jugoslavia, Algeria, Nigeria, Somalia ecc.)

2) Nel Documento si deve tener conto sia della grande pluralità di Paesi da cui provengono gli stranieri immigrati in Italia, sia del fatto che per governare efficacemente il fenomeno migratorio le catene migratorie non possono essere ignorate, ma devono essere osservate, studiate, controllate e orientate attraverso la previsione esplicita delle seguenti misure:

a) l’indicazione della priorità (ai fini della determinazione dei flussi annuali e dell conclusione delgi accordi bilaterali) per i flussi di immigrazione provenienti da ulteriori due aree dalle quali proviene una grande parte delle nazionalità presenti in Italia e che proprio perciò tenderanno prevedibilmente ad orientare comunque ulteriori nuovi flussi migratori verso l’Italia (che se non ben orienati indurrebbero a nuove immigrazioni illegali): il Sudamerica (Perù, ma anche Brasile ed Ecuador), l’Estremo Oriente (Filippine, Cina, Sri Lanka, ma anche Pakistan, India e Banladesh);

b) una disciplina dei nuovi flussi di ingresso in Italia per lavoro, fondata non soltanto per Paesi o aree di provenienza degli immigrati (il che sarebbe inefficace a governare i flussi in modo realistico in considerazione della predetta grande frammentazione delle provenienze degli immigrati presenti in Italia), ma soprattutto sui settori, le qualifiche e le mansioni dei lavori che gli stranieri saranno destinati a svolgere;

c) una larga possibilità (senza la previsione di quote limitate per Paese di provenienza dello straniero) di usufruire delle possibilità di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro previste dall’art. 21 legge n. 40/1998 sia attraverso la prestazione di garanzia, sia attraverso l’iscrizione nelle delle liste di prenotazione istituite presso i consolati;

d) una capillare opera di informazione delle autorità diplomatico-consolari italiane residenti nei Paesi di più forte emigrazione verso l’Italia (anche attraverso opuscoli, trasmissioni televisive e radiofoniche, da realizzarsi a cura dei Ministeri italiani in collaborazione con i mezzi di comunicazione di massa e/o con le autorità di quei Paesi o con organizzazioni internazionali) con la quale in modo semplice e completo si informi tutti sia sulle possibilità legali di ingresso in Italia degli stranieri per lavoro, sia circa i pericoli delle organizzazioni criminali di cui diffidare per l’immigrazione;

e) la crezione di appositi nuclei operativi interforze a livello provinciale, da adibirsi a predisporre ed attuare piani provinciali che mirino al rafforzamento sia dei controlli degli Uffici del Lavoro e dell’INPS sulle posizioni lavorative degli stranieri per contrastare ogni forma di lavoro "nero" degli immigrati, che è il maggior incentivo all’ingresso illegale, sia dei controlli sistematici sulla posizione degli stranieri al fine di individuare i responsabili dei reati di favoreggiamento dell’immigrazione illegale o della permanenza illegale degli stranieri, previsti e puniti dall’art. 10 della legge n. 40/1998.

 

 

3) Esigenze di completezza e prevedibilità del governo del fenomeno migratorio rendono indispensabile che il documento preveda i criteri generali con i quali sarà consentito l’accesso al lavoro dei titolari di permesso di soggiorno per motivi di studio (cfr. artt. 6, comma 1, e 37 legge n. 40/1998) e l’accesso alle libere professioni dopo il 27 marzo 1999 (cfr. art. 35, L. n. 40/1998). A tal fine è opportuno favorire al massimo il regolare accesso alle professioni di chi si trovi già regolarmente in Italia e abbia i medesimi requisiti indicati nell’art. 37, comma 5 L. n. 40/1998.

 

4) In violazione dell’art. 3, comma 7, L. n. 40/1998 il testo presentato omette di ottemperare all’obbligo ivi previsto in base al quale il Documento deve espressamente indicare "la data entro cui devono essere adottati i decreti" di determinazione delle quote di ingresso per lavoro. E’ perciò indispensabile che il testo del documento non si limiti ad indicare soltanto una vaga periodizzazione, ma date precise sia per l’emanazione del decreto relativo alle quote 1998 e degli anni successivi.

 

5) In violazione dell’art. 3, comma 3, L. n. 40/1998 il testo presentato omette di ottemperare all’obbligo ivi previsto in base al quale il Documento deve espressamente prevedere "ogni strumento per un positivo reinserimento nei Paesi di origine". E’ perciò indispensabile che il testo del documento indichi le azioni per favorire il positivo reinserimento in Patria. A tale proposito si suggerisce di attuare sia una strategia combinata con i progetti della Cooperazione allo sviluppo italiana, sia con le iniziative attuate dall’O.I.M., sia soprattutto un’opera di capillare informazione agli stranieri circa la facoltà di ottenere, una volta ritornati in Patria, l’immediata liquidazione dell’ammontare dei contributi previdenziali versati in loro favore presso l’INPS maggiorati del 5% annuo, come prevede l’art. 3, comma 13, della legge 8 agosto 1995, n. 335, norma che in base all’art. 47, comma 1, L. n. 40/1998 sarà coordinata nell’emanando decreto legislativo recante il testo unico delle disposizioni concernenti gli stranieri.

 

 

6) In violazione dell’art. 37, comma 2, legge n. 40/1998 il testo presentato omette di ottemperare all’obbligo ivi previsto in base al quale il Documento deve espressamente prevedere obiettivi da conseguire circa l’accesso degli stranieri alle università italiane, a tal fine attuando gli orientamenti comunitari sulle quote minime di ammissione. A tal fine si ritiene che il Documento possa altresì contenere l’interpretazione autentica della disposizione di cui all’art. 37, comma 5, legge n. 40/1998, in base alla quale l’iscrizione alle università degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia e appartenenti alle categorie equiparate da tale norma ai cittadini italiani ai fini dell’ammissione, non è comunque soggetta a limiti numerici.

 

7) In violazione dell’art. 43, commi 1 e 2, legge n. 40/1998 il testo presentato illegittimamente prevede la finanziabilità da parte del Fondo nazionale per le politiche migratorie soltanto per iniziative provinciali e comunali contenute nei programmi regionali: la legge infatti consente a ciascun ente (Stato, Regioni, Province e Comuni) di approvare programmi annuali e pluriennali senza la possibilità di istituire forzatamente alcuna gerarchia o collaborazione pregiudiziale degli enti locali con la Regione, ma anzi prevedendo testualmente che tali inziative e attività sono adottati da ciascun ente nelle materie di propria competenza. Attraverso la previsione di oneri di programmazione complessiva degli interventi pubblici e privati per l’attuazione dell’intera legge, per poter accedere ai contributi statali, si crea un incentivo, ma non un obbligo, dello Stato e di tutti gli enti territoriali coinvolti di collegarsi e coordinarsi per concorrere all’attuazione delle finalità di integrazione degli stranieri. Non potrebbe dunque un’eventuale inerzia della Regione o una dissonanza di orientamenti tra diversi enti locali impedire la presentazione di richieste di finanziamento da parte di enti locali al Fondo nazionale, ferma restando la possibilità del regolamento di attuazione della legge (e non del Documento) di prevedere criteri per la presentazione delle domande. Doversamente si finirebbe per pregiudicare il legittimo esercizio delle funzioni amministrative spettanti per legge alle competenze di ciasun ente territoriale.