Appello al Governo dell’Ulivo: per un nuovo percorso di cittadinanza

Il documento che presentiamo si richiama alle ragioni realistiche del buon governo del territorio e a quelle, altrettanto forti, dell’etica e della civiltà giuridica: perciò auspichiamo che trovi rispondenza nella sensibilità del Governo democratico di questo paese.

Sono trascorsi tre mesi dall'approvazione in Parlamento della nuova legge sull'immigrazione.

Gran parte della sua efficacia dipenderà dai decreti legislativi, dal regolamento attuativo, dalle circolari ministeriali

Si tratta di un difficile e minuzioso lavoro e ci auguriamo che ne consegua un'interpretazione univoca e chiara tale da porre in atto le potenzialità democratiche insite nel nuovo quadro normativo.

Chiediamo perciò con forza, come ineludibile atto dovuto al momento dell'applicazione di una nuova legge, una direttiva del Governo che consenta a quanti si trovino, irregolari o clandestini, sul territorio nazionale, di chiedere i documenti per iniziare un percorso di vita nella legalità.

Ci sembra che questo sia il senso degli ordini del giorno approvati dal Senato e accolti dal Governo, in particolare dell’odg n. 100, che lo impegna a presentare una relazione complessiva sulla situazione dell’irregolarità e conseguentemente una proposta per il suo superamento.

Sollecitiamo il provvedimento di regolarizzazione spinti da una serie di considerazioni:

a) la difficoltà di applicare le nuove norme, comprese quelle relative alle espulsioni, partendo con una pesante eredità di irregolari: coloro che dimostrino la propria presenza in Italia al 27 marzo, infatti, qualora ricevano un decreto di espulsione perché irregolari, possono appellarsi al Pretore per dimostrare il proprio inserimento nella società italiana (art.11, 15mo comma). Qualora il Tribunale ritenga positivo l'inserimento e quindi si pronunci a favore della non espellibilità, manca in ogni caso la norma che faccia seguire a questo pronunciamento il permesso di soggiorno.

b) l'area dell'irregolarità, secondo le analisi della Caritas non supera le 200/250.000 unità. Secondo le stime CeSPI essa è contenuta sulle 100/150.000 persone. Si tratta quindi di un numero da un lato estremamente contenuto, che potrebbe anche essere valutato all'interno dei flussi e delle relative quote di ingresso considerando anche l’ingresso per ricerca di lavoro (è realisticamente difficile pensare che tutti i consolati all’estero siano in grado di attrezzarsi per il 1999) dall'altro tale numero è sufficientemente grande da rendere impraticabile (per motivi sia sociali che economici) l'ipotesi di ricerche a tappeto e di rimpatri di massa forzati: unico risultato sarebbe quello di rendere difficile il governo sul territorio dove queste persone comunque vivono, lavorano e interagiscono. Gli irregolari pongono domande ineludibili agli amministratori e a quanti hanno a cuore che non si formino aree di marginalità

c) la normativa italiana riguardante l'immigrazione ha visto cinque anni (90/95) in cui era impossibile accedere al soggiorno anche per quanti avevano trovato lavoro, casa etc.

La regolarizzazione contenuta nel decreto Dini presupponeva la presenza in Italia prima del 18 Novembre 95. Da allora sono quindi trascorsi due anni e mezzo senza quote programmate o flussi: più o meno il tempo trascorso tra la 943 e la Martelli. Non si tratterebbe, quindi, oggi, di una regolarizzazione contigua all’altra.

Ma, soprattutto, la regolarizzazione prevista dal decreto Dini ha fallito la propria finalità, aumentando le difficoltà di tanti cittadini italiani e stranieri:ha escluso, infatti, i lavoratori autonomi, ha richiesto pratiche farraginose e complesse che hanno penalizzato le persone meno informate o protette. Per la domanda di regolarizzazione si chiedeva, allora, il pagamento di contributi anticipati (fino a sei mesi). Queste procedure hanno inflitto una ferita al patto democratico su cui si fonda la convivenza civile. Molti non riuscirono a produrre tutta la documentazione, anche per motivi economici, chi fece qualche errore si vede ancor oggi, nel momento del rinnovo del soggiorno e a inserimento lavorativo avvenuto, sottoposto alla revoca dei documenti e torna ad essere irregolare.

Anche il Parlamento e il Governo, nel luglio del 96, riconobbero il decreto Dini come non equo e impraticabile, nato da un ricatto, e lo fecero decadere.

Ricordiamo questa vicenda perché ci sembra che sia necessario offrire una possibilità concreta di vita legale a chi allora rimase tagliato fuori da un quadro normativo così discutibile.

E’ quindi urgente un provvedimento del governo - ad esempio una direttiva del Presidente del Consiglio - che consenta la regolarizzazione di quanti:

a) esercitano lavoro dipendente o autonomo

b) sono inseriti in contesti familiari (figli, genitori o coniugi di italiani e di stranieri regolarmente soggiornanti)

c) sono presenti per studio o formazione

d) sono alla ricerca di un lavoro e chiedono di avere un periodo di iscrizione alle liste di collocamento per realizzare l'assunzione.

Chiediamo che la possibilità di regolarizzarsi, sussistendo tali condizioni di inserimento, sia data a tutti, senza che, in alcun caso, l’autorità di pubblica sicurezza possa ‘surrogare’, decretando l’inammissibilità della domanda e, poi, l’espulsione, le decisioni della magistratura giudicante in fatto di ‘pericolosità sociale’.

Ribadiamo che, in questo campo, le decisioni del Magistrato devono sempre essere vincolanti per i competenti uffici amministrativi.

In questo senso i cittadini italiani e quelli stranieri pongono domande ineludibili, di civiltà e di diritto, al Governo e a quanti, amministrando, hanno a cuore che non si formino aree di marginalità o di ‘diritto al ribasso’.