Alla c.a. di Ella Baffoni

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2 pg da Sergio Briguglio

In un editoriale apparso sul Corsera di domenica, Francesco Merlo accusa la Jervolino di buonismo selvaggio per aver assicurato che gli stranieri in possesso dei requisiti per la regolarizzazione non saranno sacrificati al criterio dei trenottomila permessi, ma saranno sanati con successivi provvedimenti. Merlo, nel suo articolo, stigmatizza anche il "cattivismo" blindato di Gasparri e soci, e spiega come la sfida posta dall'immigrazione abbia un carattere epocale, auspicando che l'Italietta sappia partorire qualcosa di meglio di un approccio puramente etico al problema. Presa diligente nota di questa ennesima festa del "pensiero insipido", provo a spiegare perche' l'intervento della Jervolino non abbia necessariamente a che fare con un approccio etico (del quale, pure, non ci sarebbe da vergognarsi), ma rappresenti il tentativo di correggere le norme in base all'osservazione del dato reale, piuttosto che pretendere che la realta' s'adatti all'arroganza della norma.

Le stime effettuate da piu' parti (Governo incluso) concorrono nell'indicare un dato di circa duecentocinquanta-trecentomila presenze irregolari in Italia. Si tratta, per la stragrande maggioranza, di immigrati inseriti nel mercato del lavoro - in modo stabile o, piu' spesso, con quella flessibilita' che invano si cerca di raccomandare al lavoratore italiano. L'utilita' di questa popolazione e' sotto gli occhi di tutti, sotto forma di pomodori pelati nei supermercati, di garage svuotati all'occorrenza, di invalidi lavati e medicati, di bambini accuditi, etc. Vi e', naturalmente, quale effetto collaterale, anche un contributo alle attivita' criminali, che pero' non altera in modo significativo il quadro esistente, tanto che nessuno dei boss mafiosi nostrani (meridionali, centrali e settentrionali) vede messa a repentaglio la propria capacita' di controllare il territorio. La regolarizzazione in corso, come e' ovvio, reca beneficio solo alla parte sana dell'immigrazione - quella parte che ha sete di legalita' -, come testimoniato dalla corsa di questi giorni alle questure, attivita' scarsamente popolare tra spacciatori e magnaccia.

Il decreto sulla regolarizzazione limita a trentottomila i permessi rilasciabili entro l'anno. A quanti dimostrino il possesso dei requisiti, ma eccedano tale quota nulla, fino a un paio di giorni fa, era assicurato, se non la volonta' - indicata nel Documento programmatico triennale - di dare completamento al processo di regolarizzazione nell'anno successivo. Quale fosse la necessita' di fissare una quota cosi' striminzita e' cosa che bisognerebbe chiedere a Napolitano e a Treu, pregando contestualmente quest'ultimo di non ripetere la birbonata col contingentamento dei biglietti ferroviari. C'e' pero' chi freme di fronte alla prospettiva "trecentomila clandestini, trecentomila permessi", e obietta: come la mettiamo con la disoccupazione nazionale? Contro-obiezione: prescindiamo pure dal fatto che gli immigrati rispondono a una domanda di lavoro che l'italiano neanche considera (si tratti del laureato o del disoccupato del livello culturale di Borghezio); cosa facciamo se non li saniamo? Li teniamo in nero, rendendoli ancora piu' concorrenziali con i nostri disoccupati, o li espelliamo con una spesa non inferiore ai trecento miliardi?

Rosa Jervolino, con il suo intervento, ha dimostrato che, di fronte ai problemi, un ministro della Repubblica italiana puo' anche assumersi la responsabilita' di decisioni, piuttosto che prendere ordini dal collega tedesco. Vedere come la buona volonta' di immigrati, poliziotti (penso, per esempio, alla Questura di Roma) e ministri concorra a ridare dignita' ai primi e decenza alla societa' mi fa apprezzare questa Italietta. Ben vengano altre circolari a spiegare che le cose imperfette non sono sacre, ma si possono migliorare, e a dare spazio anche agli stranieri che un datore di lavoro fisso e onesto non ce l'hanno ma possono offrire quotidianamente i loro piccoli servizi, a quelli che la disponibilita' di un alloggio possono solo autocertificarla, a quelli che il tesserino Caritas pre-27-marzo l'hanno perso o non l'hanno mai avuto, a quelli che nel frattempo sono andati un paio di volte a rivedere in patria i figli. A quelli, insomma, che sono esattamente come saremmo noi al loro posto. Incluso Merlo.

Sergio Briguglio

(Nota: senza ulteriori specificazioni!)