Un dittatore di uno staterello non appartenente all'Unione europea vedeva nel proprio fratello il suo piu' pericoloso rivale politico. Da anni, quindi, non perdeva occasione per rendergli la vita impossibile. Aveva cominciato con piccole vessazioni; poi, via via, le vessazioni si erano trasformate in una vera e propria persecuzione.

In una prima fase il dittatore aveva sperato di potersi disfare della presenza scomoda del fratello incastrandolo in qualche inchiesta giudiziaria, ma aveva trovato, su questa strada, un ostacolo quasi insormontabile nella condotta irreprensibile del fratello stesso. Era riuscito, si', il dittatore, a farlo condannare, corrompendo un giudice, ma si trattava di una condanna a quindici giorni di reclusione, con sospensione condizionale della pena, per danneggiamento aggravato. La cosa era apparsa cosi' ridicola che era opinione comune che la sentenza sarebbe stata ribaltata in appello, tanto che il dittatore stesso si era adoperato, con successo, perche' il processo d'appello fosse rinviato il piu' possibile.

Visto che la via giudiziaria non sembrava offrire soluzione ai problemi del dittatore, questi aveva dato ordine ai servizi segreti di intimorire prima, poi addirittura di sopprimere l'incolpevole fratello. Si era cosi' registrata un'escalation di segnali e poi di attentati ai danni del poveretto. Evidentemente, pero', la fortuna lo assisteva, e nessuno di questi attentati era andato a buon fine.

Sempre piu' adirato per l'impossibilita' di sbarazzarsi del presunto rivale, il dittatore aveva deciso di provvedere da se' all'eliminazione. Sentendosi braccato e comprendendo che la fortuna non avrebbe potuto assisterlo indefinitamente, il fratello aveva preso la decisione di fuggire dal paese, e di rifugiarsi in Europa. Il dittatore, pero', convinto ormai che la propria sopravvivenza politica dipendesse dalla soppressione del fratello, aveva deciso di seguirne ogni passo. Scoperto, quindi, il proposito di espatrio del fratello, si era imbarcato, con barba e baffi finti, sullo stesso aereo. Destinazione: Roma.

All'arrivo, a Fiumicino, il dittatore si era messo in fila, al controllo passaporti, immediatamente dietro l'ignaro fratello. Non era quello il momento per procedere all'eliminazione fisica, dato che il posto era pieno di polizia, ma restando incollato al fratello - cosi' pensava il dittatore - prima o poi l'occasione propizia si sarebbe presentata.

Quando fu il suo turno, il fratello del dittatore chiese asilo. La cosa non fu facile, perche' il poveretto non parlava italiano, ne' alcuna delle lingue di maggior uso in ambito internazionale, e la legge italiana non rendeva obbligatoria l'assistenza di persona a conoscenza della lingua del richiedente (art. 4, comma 2). A niente serviva il gesto, peculiare evidentemente di una cultura primitiva e lontana, col quale l'uomo, sempre piu' agitato, accompagnava la sua supplica: una mano chiusa, come se impugnasse un rasoio da barbiere, passata rapidamente da una parte all'altra della gola.

Uno dei poliziotti di frontiera, pero', aveva conseguito un dottorato in lingue medio-orientali alla Sorbona e, rientrato in Italia, non era riuscito a trovare una piu' adeguata collocazione lavorativa; benche' non conoscesse la lingua del perseguitato, gli era sembrato di ravvisare, tra i suoni che quello sventurato emetteva, una coppia di fonemi - "scah nnah" - caratteristica dei nomi che, nel terzo millennio avanti Cristo, indicavano, presso alcune tribu' della Valle di Succot, i sacrifici propiziatori offerti all'inizio della stagione dei raccolti. Il poliziotto impiego' tempo e fatica a convincere il funzionario capo (che, essendo tesserato del PDS, si era sempre gloriato di non essere riuscito a laurearsi, e, anzi, sognava per questo di diventare segretario del partito) che verosimilmente ci si trovava di fronte a una richiesta di asilo da verbalizzare, ma, alla fine, la spunto'. Il fratello del dittatore, cosi', fu avviato all'ufficio del delegato di prefettura, per il pre-esame della domanda (art. 6).

Il dittatore, dal suo posto in fila, non aveva perso una battuta di quanto era successo, ed era intenzionatissimo a non perdere di vista il fratello. Aveva cosi' deciso di chiedere anche lui asilo. Era portato per le lingue e se la cavava bene sia con l'italiano sia con l'inglese. Al momento del controllo del passaporto non ebbe difficolta', cosi', a proclamare, in modo perfettamente comprensibile: "chiedo asilo". Fu avviato anche lui all'ufficio del delegato di prefettura, o, meglio, alla sala d'aspetto dell'ufficio, giacche' era in corso il pre-esame della domanda del fratello.

Il delegato di prefettura aveva passato una notte insonne per aver mangiato un piatto di cozze crude, la sera prima, alla trattoria "U Zuzzu" di Fiumicino. Non era del suo umore migliore.

La domanda del fratello del dittatore, per la verbalizzazione della quale il poliziotto della Sorbona aveva offerto la propria collaborazione, apparve subito a rischio di inammissibilita': prescindendo completamente dal merito della domanda stessa, l'uomo risultava, in base alla segnalazione dell'Interpol, condannato in primo grado per danneggiamento aggravato. Il delegato di prefettura non ebbe difficolta' a ragionare nel modo seguente:

a) il Testo unico sull'immigrazione e', in materia, la legge piu' aperta d'Europa (l'ha detto il Ministro quando e' intervenuto all'apertura del corso di formazione per delegati di prefettura);

b) all'articolo 9, comma 3, del Testo unico si chiarisce che la condanna, anche in primo grado, per danneggiamento aggravato (art. 381 del c.p.p., delitto non colposo) e' un buon motivo per negare o revocare la carta di soggiorno;

c) deve trattarsi quindi di grave delitto di diritto comune (altrimenti come potrebbero dire che e' la legge piu' aperta d'Europa?);

d) l'amico qui presente, benche' abbia l'aria mite, e' stato condannato in primo grado per tale grave delitto;

e) due piu' due fa quattro;

f) la domanda e' inammissibile (art. 6, comma 4, lettera c, della legge sull'asilo).

Il poliziotto della Sorbona, che, non essendo ancora arrivato il rappresentante dell'ACNUR (rimasto imbottigliato in un ingorgo sul Raccordo), aveva ormai preso a cuore la sorte del fratello del dittatore, tento' di prospettare al delegato di prefettura l'applicazione del comma 6 dell'articolo 6. Il delegato di prefettura non aveva grande memoria per commi, lettere e articoli. Ne' se la cavava molto bene con i rimandi ad articoli, commi, lettere e periodi diversi. Fece fatica quindi a risalire alle "condizioni previste dal comma 4, lettera b) , secondo periodo, relative alle situazioni di pericolo che impediscono una dichiarazione di inammissibilita'". Risalito che fu, anche con l'aiuto del poliziotto della Sorbona, obietto' allo stesso poliziotto che "ictu oculi" (come aveva sentito dire piu' volte durante il corso di formazione) si riconosceva come quelle condizioni fossero da considerare solo con riferimento all'inammissibilita' per provenienza da paese terzo sicuro e non a qualsiasi caso di inammissibilita'. Il poliziotto della Sorbona ribatte' che il comma 6 in esame stabiliva che "in ogni caso, qualora ricorrano le condizioni ... la domanda e' ritenuta ammissibile". Il delegato di prefettura, di fronte all'insistenza del poliziotto della Sorbona, comincio' ad innervosirsi. Perche' mai - ragiono' con vigore - la legge, di fronte alla domanda di qualcuno che dice di essere in pericolo di vita, dovrebbe raccomandarmi in un certo comma di non ammetterla per il semplice fatto che il richiedente ha subito una condanna, e poi, piu' sotto, raccomandarmi di ammetterla, nonostante che il richiedente abbia subito una condanna, per il semplice fatto che dichiari di essere in pericolo di vita. Quale delle due raccomandazioni devo considerare prevalente?

Non sapendo rispondere - ne' lui ne', d'altra parte, il poliziotto della Sorbona - a quest'ultima domanda e non essendo prevista alcuna autorita' terza alla quale l'interessato potesse inoltrare un'istanza di applicazione del disposto del comma 6, il delegato di prefettura decise di respingere come inammissibile la domanda; tanto - penso' - l'amico ha comunque la possibilita' di presentare ricorso al TAR (art. 6, comma 8). Il fratello del dittatore fu fatto uscire da una porta che conduceva direttamente alla sala transito. L'aereo che l'aveva condotto in Italia sarebbe partito nel giro di un'ora, e non c'era motivo di ritardare il respingimento immediato (art. 6, comma 7). Il poliziotto della Sorbona riusci' a far capire, per sommi capi, al richiedente respinto quale fosse stato l'esito del pre-esame e quali fossero i suoi diritti rispetto alla possibilita' di ricorrere al TAR. Quando il fratello del dittatore capi' in che cosa consistessero quei diritti, rivide, per un momento, l'aspetto umoristico della vita e comincio' a ridere, prima sommessamente, poi, sempre piu' forte, piegandosi in due, fino a farsi prendere da convulsioni.

Nel frattempo, da un'altra porta, il dittatore veniva ammesso nell'ufficio del delegato di prefettura. Non avendo alcuna condanna a carico, non ebbe difficolta'a superare il pre-esame relativo ai motivi di inammissibilita'. Quanto alla manifesta infondatezza (art. 6, comma 5), il delegato di prefettura gli chiese in quale caso rientrasse la sua situazione: se in quello previsto dall'art. 2, comma 1, lettera a (rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra), o in quello previsto dalla lettera b (straniero impedito nell'esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana ed esposto a pericolo attuale per la vita propria o di propri familiari). Il dittatore esclamo' con sicurezza: lettera b! e tiro' fuori dalla borsa alcuni ritagli del Financial Times, nei quali si esaminava autorevolmente la situazione politica del suo paese. Fece notare al delegato di prefettura come, in quel paese, da tempo fosse stato abolito, in barba al rispetto delle liberta' democratiche, il diritto di elettorato attivo e passivo e di come suo fratello (un familiare, quindi) fosse perseguitato dal potere politico ed esposto a pericolo attuale per la propria vita. La domanda del ditattore fu subito inoltrata alla Commissione per l'asilo (art. 6, comma 7), e il dittatore fu ammesso sul territorio nazionale con l'obbligo di presentarsi in questura entro otto giorni per chiedere il permesso di soggiorno per richiesta di asilo (art. 4, comma 5).

Uscendo dall'aeroporto il dittatore si guardo' in giro, in cerca della sua vittima. Non ne vide traccia, ma non se ne preoccupo' eccessivamente: incapace com'era, il fratello, di esprimersi in qualunque altra lingua che non fosse la propria, non sarebbe stato difficile trovarlo in una delle mense della Caritas o di qualche organismo simile. Un rombo sopra di lui catturo' la sua attenzione per un momento. Riconobbe con orgoglio il simbolo della compagnia di bandiera del suo paese sull'aereo che ripartiva. Che puntualita'! - penso'. Poi ripercorse mentalmente quell'ultima ora, cosi' densa di emozioni. Ripenso' al delegato di prefettura, al pre-esame, ai poliziotti italiani e a come tutto era filato nel verso giusto. Grande paese, l'Italia, e grande legge sull'asilo: la piu' aperta d'Europa! Taxiiiiii!