Un paio di settimane fa, si e' dato grande risalto all'approvazione, in Consiglio dei Ministri, di uno schema di decreto legislativo che dovrebbe dare compimento alla regolarizzazione di immigrati avviata nei mesi scorsi. Vi sono pero' segnali preoccupanti del fatto che, al di la' del solito scontro superficiale tra maggioranza e opposizione, questa scelta apparentemente coraggiosa possa svilirsi in una colossale beffa per gli immigrati. Provo a spiegare come, ripercorrendo le tappe di questa regolarizzazione.

In settembre, dopo essersi tenacemente opposto a qualunque emendamento alla legge 40 che introducesse una regolarizzazione rapida e generalizzata della posizione degli stranieri presenti all'entrata in vigore della legge (il 27 marzo del 1998), il Governo Prodi approva uno schema di decreto di programmazione dei flussi con il quale, piuttosto che programmare flussi, definisce criteri e limiti per la suddetta regolarizzazione. Lo schema di decreto - carente e borbonico - stabilisce che trentottomila permessi potranno essere rilasciati a chi, in possesso di documenti di identita', dimostri con prove inoppugnabili di essere in Italia dal 27 marzo (ma siamo gia' a settembre!), di disporre di un alloggio e di una opportunita' di lavoro (nella forma di un datore di lavoro pronto all'assunzione, ovvero di un nulla-osta della camera di commercio per l'avvio di un'attivita' autonoma unito alla disponibilita' di un reddito non inferiore a sedici milioni annui).

In Commissione affari costituzionali, alla Camera, AN solleva - ed e' difficile darle torto - la questione del fondamento giuridico di una regolarizzazione varata con un decreto di programmazione dei flussi (che non ha valore legislativo). Il Governo sa che in mancanza di una norma transitoria nella legge 40 non si puo' fare nessuna regolarizzazione legittima. Potrebbe ammetterlo e usare la delega legislativa amplissima che la stessa legge 40 gli ha conferito, emanando un decreto legislativo che aggiunga al testo della legge una siffatta norma. Ma le parole "abbiamo sbagliato" raramente fanno parte del vocabolario dei nostri politici, e si preferisce far trascorrere il tempo limite previsto per la formulazione del parere della commissione. Il decreto di programmazione entra cosi' in vigore, con una macroscopica forzatura, il 16 ottobre.

Ai primi di novembre, aperti i termini per la regolarizzazione e rimasta incerta la sorte di chi non rientrera' nei trentottomila, si formano - ovviamente - file spaventose di immigrati davanti alle questure. La situazione si calma quando viene data assicurazione agli immigrati che cio' che conta e' prenotarsi entro il 15 dicembre: qualcosa, poi, si fara'. Gli immigrati, che degli italiani sembrano fidarsi, si tranquillizzano; poco importa se non c'e' niente di scritto. Allo scadere del termine per la prenotazione le richieste di regolarizzazione ammontano cosi' ad un numero compreso tra trecento e quattrocentomila.

Il Governo D'Alema sa a questo punto che la faccenda non puo' essere risolta con altri decreti sui flussi, perche' AN aspetta al varco. E' necessario rimettere mano alla legge: un decreto legislativo, appunto, sulla base della delega. I termini per la prenotazione sono chiusi. Non c'e' piu' il pericolo di un effetto di richiamo dall'estero. I criteri per la regolarizzazione potrebbero essere ora ridefiniti, in modo da chiudere bene la partita con questi tre o quuattrocentomila. No: il Governo impiega cinquantacinque giorni per mettere nero su bianco quello che aveva gia' assicurato sul proprio onore: che tutti i richiedenti in possesso dei requisiti gia' fissati avranno il permesso! Il Ministro Jervolino si affretta pero' a rassicurare la temutissima opinione pubblica che chiunque sia trovato privo anche di un solo requisito sara' espulso.

Comincia l'esame delle domande: si scopre che a Roma, per esempio, si' e no un immigrato su quattro riesce a centrare il terno al lotto (presenza, alloggio, lavoro). Non e' che gli altri siano arrivati ieri, vivano sotto i ponti e giochino a biliardo tutto il giorno; e' solo che non hanno una ricevuta fiscale nominativa rilasciata prima del 27 marzo, o vivono in affitto da un lestofante che non vuole dichiarare di averli in casa, o lavorano per qualcuno che non ci tiene troppo a pagar loro i contributi. La cosa non sarebbe grave se coloro che ci governano puntassero a dare soluzione ai problemi: penserebbero, con l'Adriano della Yourcenar, che "ogni legge trasgredita troppo spesso e' cattiva", e inviterebbero i questori a badare alla sostanza , piuttosto che a dei requisiti impasticciati. I nostri governanti invece lasciano che i questori raccomandino di espellere immediatamente quei tre su quattro che non ce la fanno a produrre la documentazione completa. Poco importa se, cosi' facendo, vengono giudicate inadeguate documentazioni che sono invece perfettamente complete. Ancor meno importa se cosi' si espellono due o trecentomila persone che lavorano e producono in Italia (i delinquenti, che pure ci sono, nessuno li scomoda, dato che non sono certo andati a fare la fila davanti alla questura per dare nome, cognome e indirizzo).

Gustavo Selva, pochi giorni fa, ha accusato la Jervolino di non parlare da Ministro dell'interno, ma da presidente della Caritas. Puo' darsi che la Caritas sbagli a difendere, con le altre associazioni e i sindacati, la posizione di coloro che oggi chiedono di regolarizzarsi. Puo' darsi che sia invece giusto espellerli tutti. Ma identificare le attuali scelte della Jervolino con quelle della Caritas non e' consentito neanche a un vecchio rimbambito. Figuriamoci se puo' esserlo a Gustavo Selva.