In singolare coincidenza con il deposito di un’importante sentenza della Corte di Cassazione (Il Manifesto, 10.2.99), nella quale si afferma, da un lato, che l’impugnativa proposta dallo straniero contro il decreto di espulsione non può non presupporre la "denuncia della lesione di un diritto soggettivo", dall’altro che contro la decisione del pretore è possibile proporre reclamo al Tribunale, il governo ha previsto — nel decreto legislativo di modifiche al testo unico — di introdurre sostanziali restrizioni al diritto di difesa dello straniero.

Al di là delle disposizioni sulla "sanatoria" (senz’altro positive, nella misura in cui permettono di separare le regolarizzazioni dai nuovi ingressi e lasciano immutate le condizioni previste dal decreto Prodi) e degli inasprimenti della procedura per la confisca dei mezzi utilizzati dagli "scafisti", gli aspetti centrali e di lungo periodo del provvedimento varato dal governo vanno infatti cercati in altre parti del decreto, che non hanno trovato alcuna eco nelle notizie finora diffuse dalla stampa e dalla televisione.

E’ bene chiarire innanzitutto che il testo non è ancora in vigore, perché si tratta di una schema di decreto legislativo, correttivo delle disposizioni del testo unico e deliberato dal Consiglio dei ministri in base alla delega contenuta nell’articolo 47 L. 40/98 (di dubbia costituzionalità, trattandosi di una delega sostanzialmente in bianco…). Lo schema di decreto dovrà ora essere esaminato dalle competenti commissioni parlamentari, che dovranno esprimersi entro 45 giorni. Nel merito del provvedimento, gli aspetti più inquietanti riguardano l’ulteriore compressione del diritto di difesa degli stranieri nei confronti dei provvedimenti di espulsione, rispetto alle già deboli garanzie previste dalla legge 40.

Le modifiche alla procedura, che appaiono in aperto quanto "lungimirante" contrasto con la contemporanea pronuncia della Cassazione, consistono sostanzialmente in due punti: 1) il giudice competente per l’esame del ricorso viene individuato nel pretore del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione (nel testo originario, era invece il pretore del luogo di residenza o di dimora dello straniero); 2) ponendo fine ai contrasti giurisprudenziali che la Cassazione sembrava aver risolto in senso favorevole al ricorrente straniero, il decreto prevede espressamente che "la decisione non è reclamabile, ma è impugnabile per Cassazione".

Le due disposizioni sono di segno chiaramente restrittivo perché:

a) il termine già ridottissimo di 5 giorni per proporre ricorso diventa praticamente impossibile da osservare quando il decreto di espulsione è adottato in un luogo diverso da quello in cui lo straniero vive e dove tra l’altro ha la possibilità di dimostrare il suo inserimento sociale (legami familiari, lavoro, ecc.). Come farà lo straniero a presentare personalmente il ricorso o a rivolgersi ad un avvocato in un luogo che non conosce e nel termine di 5 giorni? Oltre tutto, lo straniero deve comparire personalmente davanti al pretore, così come può avere la necessità, per difendersi, di far ascoltare testimoni: come faranno queste persone a trasferirsi nel giro di pochi giorni in una località che può distare centinaia di chilometri? E’ evidente che in questi casi il diritto di ricorso viene di fatto soppresso;

b) poiché la competenza del pretore viene così concentrata nei capoluoghi di provincia, è inevitabile che ciò produca una giurisprudenza locale "monolitica" (una volta affermato un principio, ben difficilmente potrà essere contraddetto da decisioni successive…) e l’instaurarsi di una "inattaccabile" prassi amministrativa;

c) di fronte all’incertezza circa la possibilità di fare reclamo al Tribunale contro il provvedimento del pretore (sul punto, i Tribunali hanno finora adottato decisioni diverse), il governo ben poteva prevedere espressamente questa possibilità, conformandosi alla recente decisione della Cassazione. Invece ha scelto la strada opposta, negando il doppio grado di giudizio e prevedendo il solo ricorso in Cassazione: una possibilità ovviamente molto più onerosa e che soprattutto non consente un riesame nel merito del provvedimento.

E’ chiaro che, così facendo, si restringono ulteriormente i diritti dello straniero e si rafforza il potere dell’amministrazione.

Indicative della volontà del governo in questo senso sono anche due sorprendenti quanto inutili modifiche previste dallo schema di decreto. Per ben due volte, infatti, il nuovo testo si preoccupa di ribadire che "il ricorso presentato fuori termini è inammissibile" e che il pretore fissa l’udienza in camera di consiglio soltanto "se il ricorso è tempestivamente proposto". Posto che nel nostro ordinamento la valutazione circa l’ammissibilità o meno di un ricorso è di stretta competenza del giudice e non del legislatore (il quale già aveva posto il termine di 5 giorni), la doppia ripetizione ha il sapore di una "blindatura" del termine, nel tentativo di escludere a priori tutte le eccezioni che lo straniero potrebbe sollevare nell’ambito dell’esercizio del suo diritto di difesa (incostituzionalità del termine breve, errore scusabile, rimessione in termini, nullità della notifica, inespellibilità del soggetto, ecc.).

Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’immigrazione)