PAOLO BONETTI

Ricercatore in diritto costituzionale

nella Facoltà di Giurisprudenza

dell’Università degli studi di Milano Bicocca

 

 

PROSPETTIVE DI ATTUAZIONE

DEL DIRITTO COSTITUZIONALE DI ASILO IN ITALIA

 

SOMMARIO:

1. Il diritto d’asilo nella Costituzione italiana.

1.1. L’asilo nelle intenzioni dei costituenti

1.2. Oggetto e natura giuridica del diritto d’asilo

1.3. La nozione di "libertà democratiche"

1.4. La condizione giuridica dello straniero titolare del diritto d’asilo

1.5. Le "condizioni" del diritto d’asilo stabilite dalla legge

1.6. Asilo provvisorio e asilo definitivo

2. L’attuazione legislativa del diritto d’asilo e della nozione di rifugiato dall’entrata in vigore della Costituzione al 1997

3. La separazione della disciplina legislativa dell’immigrazione da quella del diritto d’asilo e le misure di protezione temporanea per motivi umanitari

4. Aspetti di legittimità costituzionale del ddl governativo in materia di diritto d’asilo e protezione umanitaria

4.1. "Titolari del diritto d’asilo" e "decisione di impossibilità temporanea al rimpatrio".

4.2. Accesso alla procedura (pre-esame e audizione) e ricorsi giurisdizionali. Il trattamento del richiedente asilo e compiti dei Comuni.

4.3. Aspetti costituzionali dell’esame della domanda di asilo e composizione e poteri della "Commissione centrale per il riconoscimento del diritto d’asilo"

4.4. L’esame della domanda di asilo e il principio del contraddittorio

4.5. I ricorsi giurisdizionali contro le decisioni in materia di asilo adottate dalla Commissione

4.6. Il trattamento dell’asilante; misure di assistenza e di integrazione a carico degli enti locali. Il problema dell’effettiva protezione in Italia dell’asilante

4.7. Problematiche della tutela dell’unità familiare dell’asilante

4.8. La cessazione dell’asilo e i casi di espulsione del rifugiato

4.9. La mancata tutela esplicita dei rifugiati "sur place"

4.10. La disciplina degli esodi di massa e la determinazione di gruppo del diritto d’asilo

4.11. Anomalie della configurazione dei regolamenti di attuazione della futura legislazione sul diritto d’asilo

 

 

Per poter esaminare le prospettive di attuazione del diritto d’asilo previsto dalla Costituzione italiana pè anzitutto essenziale i caratteri essenziali della disciplina costituzuionale del diritto d’asilo e della sua attuazione e poi soffermarsi sugli aspetti costituzionali del disegno di legge in materia di diritto d’asilo e protezione umanitaria approvato dal Senato il 10 novembre 1998 e attualmente all’esame della Camera dei deputati .

 

1. Il diritto d’asilo nella Costituzione italiana

1.1. L’asilo nelle intenzioni dei costituenti

I costituenti, usciti da un periodo di incredibili persecuzioni politiche e razziali, erano ben coscienti che oltre ad un'immigrazione economica, esiste anche un'immigrazione, involontaria, per motivi politici. Bisogna ricordare che il diritto d’asilo previsto in forma ampia dall’art. 10, comma 3, Cost. non è il frutto di una svista o di una cattiva preveggenza, ma è il frutto di una ben ponderata e consapevole scelta, che non soltanto fu formulata dai costituenti in situazione internazionale assai più drammatica di quella attuale, ma conserva intatta tutta la sua attualità.

Infatti una notevole parte dei deputati all’Assemblea costituente durante il regime fascista e durante la guerra aveva goduto del diritto d’asilo in altri Paesi, sicchè ne conosceva in prima persona il valore e la natura ampia e ciò spiega perchè la disposizione che disciplina il diritto d’asilo fu vivacemente discussa e perchè fu respinto un emendamento proposto dagli onn. Basso, Nobili, Tito Oro e altri che voleva limitare la titolarità del diritto d’asilo al solo "straniero perseguitato a causa della sua azione a favore della libertà" (), come invece prevedeva il preambolo - ancor oggi in vigore - della Costituzione della IV Repubblica francese del 27 ottobre 1946, che, come è noto, fu tra le costituzioni più prese a modello della nuova Costituzione italiana. Si ritenne sufficiente che allo straniero siano negati i diritti di libertà e si volle precisare che, anche se i diritti di libertà reclamati dal richiedente asilo siano previsti dalla Costituzione del Paese di provenienza, si debba comunque verificare l’effettività del loro concreto esercizio.

La scelta in materia di asilo fu così consapevole che si fece carico degli eventuali problemi posti in caso di esodi di massa.

Invero i costituenti ben erano consapevoli di vivere in un periodo caratterizzato da esodi di massa di persone: durante i primi anni del secondo dopoguerra in tutti i Paesi di Europa e in Italia la vita quotidiana individuale e collettiva era caratterizzata dall’esodo drammatico di decine di milioni diprofughi nazionali, di sfollati e rifugiati stranieri costretti a fuggire sia per motivi politici, sia per non soggiacere alla sovranità degli Stati vincitori a causa delle modificazioni territoriali derivanti dai trattati di pace. Ed è noto che che fu proprio a causa dei problemi giuridici e sociali verificatisi durante tale drammatica esperienza che si giunse alla convocazione della conferenza internazionale al termine della quale nel 1951 fu aperta alla firma la convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato.

Ed è proprio al fine di consentire eventuali limitazioni massime al numero degli ingressi di richiedenti asilo in caso di esodi massicci di persone che l’Assemblea costituente aggiunse nel 3^ comma dell’art. 10 Cost. che lo straniero ha diritto d’asilo "alle condizioni stabilite dalla legge", dopo l’intervento preveggente (si pensi all'esodo degli albanesi nel 1991 e nel 1997) dell’on. Nobile che ammonì l'Assemblea costituente dicendo che il fatto che "il diritto d'asilo debba concedersi a rifugiati politici isolati è cosa fuor di questione; ma domani potrebbero battere alle nostre porte migliaia di profughi politici di altri Paesi e noi saremmo costretti a dar loro asilo senza alcuna limitazione, quando restrizioni potrebbero venir consigliate anche da ragioni di carattere economico" ().

 

1.2. Oggetto e natura giuridica del diritto d’asilo

La Costituzione italiana contiene dunque una esplicita tutela dell'asilo territoriale (): l'art. 10 c. 3 Cost. prevede che "lo straniero al quale sia impedito l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge".

Il predetto inquadramento storico avvalora l’interpretazione del diritto d’asilo previsto dall’art. 10, comma 3, Cost., condivisa dalla dottrina e dalla recente giurisprudenza, quale diritto soggettivo perfetto dello straniero, al quale nel suo Paese sia effettivamente impedito l’esercizio anche di una sola delle libertà garantite dalla Costituzione italiana, all’ingresso e al soggiorno nel territorio dello Stato, almeno al fine della presentazione della domanda di asilo alle autorità italiane, diritto immediatamente azionabile anche in mancanza delle leggi ordinarie che fissino alcune condizioni per il suo esercizio (), sicchè l’insieme degli stranieri titolari del diritto d’asilo previsto dalla Costituzione è ben più ampio dei soli perseguitati individuali previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato () e in particolare comprende anche gli stranieri che fuggano dal proprio Paese per la necessità di salvare la propria vita, sicurezza o incolumità dal pericolo grave ed attuale derivante da situazioni di guerra, guerra civile, disordini gravi e generalizzati, ferma restando la possibilità che nei soli casi di esodo di massa siano legittimi provvedimenti dello Stato che fissino limiti all’ammissione degli stranieri nel territorio nazionale (), compresa la fissazione di un limite numerico complessivo degli stranieri ammissibili al fine di salvaguardare quegli interessi generali che trovano diretta protezione in principi previsti dalla stessa Costituzione ().

E’ opinione comune nella dottrina che lo straniero in generale è titolare di un mero interesse legittimo all'ingresso ed al soggiorno, così come ha affermato la Corte Costituzionale ricordando che "lo straniero non ha di regola un diritto acquisito di ingresso e di soggiorno nello Stato e pertanto le relative libertà ben possono essere limitate a tutela di particolari interessi pubblici, quale quello attinente alla sicurezza intesa come ordinato vivere civile" ().

Invece lo straniero al quale nel suo Paese, al di là di ciò che dichiarano le norme scritte nelle rispettive leggi e Costituzioni, non sia effettivamente consentito di esercitare anche una sola delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione è titolare di un diritto soggettivo all'ingresso e al soggiorno nel territorio dello Stato ( ).

Si tratta di un diritto soggettivo perfetto all'ingresso ed al soggiorno, anche indipendentemente dall'esistenza di leggi ordinarie che fissino alcune condizioni per il suo esercizio (p. es. un tetto numerico massimo di ingressi di stranieri richiedenti asilo) (): "il carattere precettivo e la conseguente immediata operatività della disposizione costituzionale sono da ricondurre al fatto che essa, seppure in una parte necessita di disposizioni legislative di attuazione, delinea con sufficiente chiarezza e precisione la fattispecie che fa sorgere in capo allo straniero il diritto di asilo, individuando nell’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche la causa di giustificazione del diritto ed indicando l’effettività quale criterio di accertamento della situazione ipotizzata" () .

 

1.3. La nozione di "libertà democratiche"

Circa la nozione di "libertà democratiche" occorre ricordare che l'Assemblea costituente intendeva alludere a tutte le libertà garantite nell'ordinamento italiano, tra le quali sono da ritenersi incluse sia il diritto alla vita, presupposto per l'esercizio di tutti gli altri diritti, ma anche le libertà economiche, tra le quali vi sono senz’altro la libertà di organizzazione sindacale (art. 39 Cost.), il diritto di sciopero (art. 40 Cost.) (), ma anche la libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), il diritto del lavoratore a ricevere una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del proprio lavoro e in ogni caso sufficiente a garantire a sè ed alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.). Sembra peraltro da escludersi che il semplice stato di disoccupazione nel Paese di provenienza possa configurarsi quale titolo all’asilo (), anche perchè il diritto al lavoro previsto dall’art. 4 Cost. non soltanto non comporta il diritto al conseguimento di un’occupazione, ma è comunque ritenuto riservato al cittadino ().

In ogni caso l'asilo dovrebbe essere negato sia a coloro che siano perseguiti nelle forme legali per aver contribuito a sovvertire l'ordinamento costituzionale di uno Stato (), a condizione che però si tratti di un ordinamento costituzionale nel quale risultano essere effettivamente tutelate le libertà democratiche (), sia a coloro che, pur provenendo da Paesi in cui tali libertà non siano effettivamente garantite, vogliano godere dell'ospitalità non per il fatto di non aver potuto usufruire di tali libertà, ma per potersi sottrarre alle autorità che li perseguono per aver compiuto delitti di criminalità comune ().

1.4. La condizione giuridica dello straniero titolare del diritto d’asilo

In ogni caso la condizione dello straniero che gode del diritto d'asilo sembra dover ricevere un trattamento più tutelato, differente rispetto a quello degli altri stranieri (). E ciò sembra essere stato indirettamente confermato anche dalla Corte costituzionale, quando essa è stata investita del problema in una sola occasione, giudicando illegittime le norme che subordinavano alla condizione di reciprocità l'accesso alla professione giornalistica anche dello straniero che godeva del diritto d'asilo garantito ai sensi dell'art. 10 c. 3 Cost., affermando che "in sè considerato il presupposto del trattamento di reciprocità per l'accesso alla professione giornalistica non sia illegittimamente disposto e ciò perchè è ragionevole che intanto lo straniero sia ammesso ad una attività lavorativa, in quanto al cittadino italiano venga assicurata una pari possibilità nello Stato al quale il primo appartiene" ().

Peraltro la diversità tra la condizione giuridica degli asilanti e quella degli altri stranieri, immigrati e non, appare poco rilevante ai fini dell’elaborazione di una nuova legislazione.

In realtà immigrazione e asilo sono aspetti complessivamente considerati in modo congiunto dal Trattato di Maastricht: come più volte ribadito degli organi dell’Unione europea (), i diversi flussi migratori (perchè anche gli asilanti sono tecnicamente stranieri "immigrati") dovrebbero essere regolamentati contemporaneamente in un unico testo legislativo, soprattutto in considerazione del fatto che dopo il 1990 i flussi degli asilanti si confondono con gli altri flussi e che la situazione dell’asilante è in gran parte simile a quella degli altri stranieri (). Infatti la differenziazione del trattamento dell’asilante rispetto a quello degli altri stranieri prevista dalle norme internazionali (tra le quali si segnalano, oltre a quelle della Convenzione sullo status dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, ratificata e resa esecutiva con L. 24 luglio 1954, n. 72, quelle della Convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee, firmata a Dublino il 15 giugno 1990, ratificata e resa esecutiva con L. 23 dicembre 1992, n. 523) e dalla norma prevista dall’art. 10 c. 3 Cost. si incentra soprattutto sulle fasi dell’ammissione al territorio nazionale e dell’esame iniziale della domanda di asilo, sul trattamento più favorevole e soprattutto sulla protezione dalla persecuzione e dal rischio dell’allontanamento del territorio nazionale.

 

1.5. Le "condizioni" del diritto d’asilo stabilite dalla legge

La Costituzione prevede che il legislatore stabilisca le condizioni secondo le quali si esercita il diritto d’asilo e in base al comma 2 dell'art. 10, trattandosi di norme in materia di condizione giuridica dello straniero, il contenuto delle norme in materia dovrebbe comunque essere conforme alle norme ed ai trattati internazionali.

Peraltro la giurisprudenza e la dottrina hanno da tempo affermato che il diritto d'asilo è immediatamente esercitabile, anche in mancanza di una norma che vi dia concretamente attuazione, nel senso che esso fonda in capo allo straniero un diritto soggettivo perfetto ad essere ammesso nel territorio italiano e a soggiornarvi ().

Come ha recentemente ricordato la Cassazione (), il precetto costituzionale sul diritto d’asilo "e la normativa sui rifugiati politici non coincidono dal punto di vista soggettivo, perchè la categoria dei rifugiati politici è meno ampia di quelli aventi diritto all’asilo, in quanto la citata Convenzione di Ginevra prevede quale fattore determinante per la individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in concreto, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito che non è considerato necessario dall’art. 10, terzo comma, Cost. In secondo luogo tale Convenzione non prevede un vero e proprio diritto di asilo in favore dei rifugiati". Peraltro la stessa Cassazione ricorda che il fatto che manchi una disciplina legislativa del diritto d’asilo ha notevoli conseguenze pratiche per gli asilanti: in mancanza di una legge di attuazione del precetto di cui all’art. 10, terzo comma, Cost., infatti allo straniero il quale chiede il diritto di asilo null’altro viene garantito se non l’ingresso nello Stato, mentre il rifugiato politico, ove riconosciuto tale, viene a godere, in base alla Convenzione di Ginevra, di uno status di particolare favore".

La dottrina è oggi concorde nell’affermare che il rinvio alla legge non conferisce al legislatore la facoltà di circoscrivere o di limitare il diritto di asilo, bensì soltanto il potere di precisare le modalità procedimentali o i requisiti soggettivi del richiedente (), nonchè di stabilire le condizioni e gli obblighi di soggiorno dell’asilante ().

Come si è ricordato, dai lavori dell'Assemblea costituente (in particolare dall'intervento dell'on. Nobile) si ricava comunque che le "condizioni" a cui potrebbe essere sottoposto il diritto d'asilo secondo l'intenzione dell'Assemblea costituente potrebbero essere soltanto quantitative e non qualitative, sicchè il legislatore potrebbe soltanto introdurre un limite numerico massimo di ingressi di stranieri che possano complessivamente godere dell'asilo (), al fine di salvaguardare quegli interessi generali direttamente protetti dalla Costituzione ().

 

1.6. Asilo provvisorio e asilo definitivo

Occorre da ultimo precisare che in base all’art. 10 c.3 Cost. presupposto perchè sorga il diritto d'asilo in capo al richiedente è la sussistenza della situazione di effettivo impedimento allo esercizio delle libertà democratiche in cui si trova lo straniero nel Paese al quale appartiene o comunque risiede (), e che invece non è necessario che tale situazione sia stata già accertata: allo straniero che richiede di godere dell'asilo deve essere anzitutto consentito l'ingresso ed il soggiorno temporaneo nel territorio dello Stato (asilo provvisorio), ma dopo l'ingresso i pubblici poteri potranno verificare la sussistenza di tale situazione per garantire allo straniero un asilo a tempo indeterminato ().

Il diritto d’asilo deve cioè intendersi non tanto come un diritto all’ingresso nel territorio dello Stato, quanto piuttosto, e anzitutto, quale diritto dello straniero di accesso alla procedura di esame della domanda di asilo ().

 

2. L’attuazione legislativa del diritto d’asilo e della nozione di rifugiato dall’entrata in vigore della Costituzione al 1997.

La configurazione costituzionale del diritto d'asilo non appare tuttora attuata completamente.

In ogni caso l'art. 10 c. 3 Cost. rimase inattuato almeno fino a quando l'Italia non ratificò e diede esecuzione (con la l. 24 luglio 1954, n. 72) alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 sui rifugiati. E' vero che in base all'art. 10 c. 3 Cost. la legge deve stabilire le "condizioni" del diritto d'asilo, ma è anche vero che il diritto d'asilo non ha trovato una compiuta applicazione neppure con la l. n. 39/1990, perchè, come si dirà meglio più oltre, la nozione di rifugiato accolta dalla Convenzione di Ginevra del 1951 appare più limitata di quella derivante dalla Costituzione ().

E' opportuno dunque distinguere tra "asilo" e "rifugio".

Il "diritto di asilo" si può definire come il diritto soggettivo di cui gode lo straniero e consiste nella facoltà di entrare per soggiornare in un territorio straniero in cui trova protezione contro l'espulsione e il respingimento verso un Paese nel quale la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate o, come meglio dichiara l'art. 10 c. 3 Cost., nel quale sia impedito l'effettivo esercizio delle libertà democratiche (anche di una sola) garantite dalla Costituzione italiana; a tale diritto corrisponde per lo Stato l'obbligo di ammettere lo straniero nel proprio territorio.

Il termine "rifugiato" non è invece menzionato dalla Costituzione e non coincide con quello del richiedente asilo: un individuo può ricevere asilo territoriale senza perciò rivestire la condizione di rifugiato. Infatti in base alla Convenzione di Ginevra il termine "rifugiato" si applica soltanto a colui che "temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, ap partenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese di cui aveva la residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può e non vuole tornarvi per il timore di cui sopra. Nel caso di persona con più di una cittadinanza, l'espressione 'del Paese di cui è cittadino indica ognuno dei Paesi di cui la persona è cittadino. Pertanto non sarà più considerato privato della protezione del Paese di cui è cittadino colui che, senza valido motivo fondato su timore giustificato, non abbia richiesto la protezione di uno dei Paesi di cui ha la cittadinanza".

Tralasciando di approfondire gli elementi della definizione di rifugiato (), occorre ricordare che, malgrado per effetto dell’art. 1 L. n. 39/1990 il Governo abbia ritirato le riserve che erano state poste dal Governo italiano al momento della ratifica della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, essa riguarda soltanto una parte degli stranieri che in base alla Costituzione hanno diritto d'asilo, perchè il rifugiato (sottoinsieme) è soltanto una delle categorie di stranieri (insieme) che dovrebbero avere diritto all'asilo nel territorio italiano in base all'art. 10 c. 3 Cost., e ciò è indirettamente confermato dall’art. 17, comma 2, della legge 30 novembre 1993, n. 388 di ratifica ed esecuzione degli accordi di Schengen del 14 giugno 1985 e della sua Convenzione di applicazione del 19 giugno 1990, secondo il quale e in conformità con l’art. 29, par. 4, della Convenzione stessa, "le disposizioni della medesima Convenzione relative alle domande e ai richiedenti asilo non escludono l’obbligo delle competenti autorità nazionali di esaminare direttamente una domanda di asilo presentata ai sensi dell’articolo 10 della Costituzione della repubblica come attuato dalla legislazione vigente".

Restano esclusi in particolare dalla nozione di rifugiato coloro che, pur non essendo individualmente perseguitati, siano fuggiti (spesso con esodi di massa) dal proprio Paese per altre situazioni (aggressioni esterne, occupazioni straniere, guerre civili ecc.) che rappresentino in concreto una lesione dei diritti fondamentali della persona umana ("displaced persons") ( ).

La nozione di tale ultima categoria di persone è stata già meglio precisata in alcune convenzioni internazionali delle quali l'Italia non è parte, tra le quali vi è anzitutto la Convenzione della Organizzazione dell'Unità Africana (OUA) che regola gli aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa (adottata ad Addis Abeba il 10 settembre 1969 ed entrata in vigore il 20 giugno 1974) che prevede (sez. I, art. 1, par. 2) che il termine rifugiato, oltre che nei casi previsti dalla Convenzione di Ginevra, si applichi anche ad "ogni persona che, a causa di aggressione esterna, occupazione, dominio straniero o gravi turbamenti dell'ordine pubblico in tutto o una parte del Paese di origine o di cittadinanza, è obbligata ad abbandonare la propria residenza abituale per cercare rifugio in un altro luogo fuori del Paese di origine o di cittadinanza". Quest'ultima nozione è stata ritenuta la definizione più appropriata, aggiornata e precisa di rifugiato da tutti gli esperti interpellati dalla "Commissione giuridica e per i diritti dei cittadini del Parlamento europeo", come precisato nella premessa della Risoluzione in materia di asilo del Parlamento europeo del 12 marzo 1987.

Il riconoscimento giuridico a livello legislativo di tale figura avrebbe una notevole rilevanza pratica poichè oggi molti dei richiedenti asilo che non ottengono il riconoscimento dello status di rifugiato si trova proprio in tali condizioni (si pensi a stranieri che oggi provengano dalla Somalia, da alcune delle Repubbliche dell'ex Jugoslavia, da Sri Lanka, dall'Afghanistan, dalla Liberia, dal Sudan, dall’Algeria).

Vi è poi una categoria più ambigua di stranieri che si potrebbero definire, a titolo del tutto indicativo, come "rifugiati economici", cioè persone che sono costrette ad espatriare alla ricerca di un miglior standard di vita () a causa di situazioni oggettive, permanenti e generalizzate di sottosviluppo economico (spesso conseguenti a carestie, epidemie, catastrofi naturali ecc.) nelle quali le condizioni di vita non raggiungono le più elementari possibilità di sopravvivenza e sono tali da costituire una concreta minaccia ai fondamentali diritti alla vita e ad adeguati mezzi di sussistenza tutelati dall'art. 6 Patto internaz. dir. civ. e pol. e dall'art. 2 Conv. eur. dir. uomo. Poichè si tratta di una figura più difficile da definire con esattezza, perchè potrebbe confondersi con quella di coloro che per libera scelta lasciano il proprio Paese alla ricerca di un lavoro, essa di solito non è riconosciuta dagli Stati, che invece la considerano sempre con molta diffidenza, come una surrettizia figura di immigrazione per lavoro () e molte delle persone che richiedono oggi di ottenere lo status di rifugiato di fatto invocano proprio questi motivi a sostegno della propria domanda (si pensi ai profughi albanesi del marzo 1991 e nel 1997), la quale, appunto, è quasi sistematicamente rigettata (), malgrado la possibile protezione dell’ACNUR ().

In ogni caso, salvo che si tratti di stranieri che consapevolmente attraverso la presentazione di una pretestuosa richiesta di asilo vogliano al fine di eludere le norme che disciplinano l'immigrazione per motivi di lavoro, anche le "displaced persons" e, in molti casi, i "rifugiati economici" rientrerebbero tra gli stranieri titolari del diritto d'asilo previsto dalla Costituzione.

Proprio perciò, poichè il diritto d'asilo previsto dall'art. 10 c. 3 Cost. si configura come diritto soggettivo, in alcuni casi si è ricorso ad una azione di accertamento di status personale presso il giudice civile, diretta ad accertare che lo straniero si trovi nella situazione prevista dalla Costituzione. All’esito di un regolamento preventivo di giurisdizione le sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno infatti confermato che "poichè l’art. 10, c. 3, Cost. prevede un diritto soggettivo al quale non è applicabile la normativa che disciplina lo status di rifugiato, ne consegue che le controversie che riguardano il riconoscimento di tale diritto rientrano nella giurisdizione del’autorità giudiziaria ordinaria" ().

Si tratta peraltro di tentativi simbolici e costosi, poichè un'azione civile di accertamento può durare diversi anni, ha esito incerto (pur essendo ammessi nel giudizio tutti i mezzi di prova) e fino alla decisione definitiva lo straniero resta in situazione ambigua ed in certa ed in ogni caso manca una precisa disciplina normativa di quale debba essere il comportamento delle diverse Amministrazioni nei con fronti dello straniero a cui il giudice civile abbia accertato la sussistenza dei presupposti per godere del diritto d'asilo.

Malgrado la norma costituzionale sia ritenuta di immediata applicazione, soltanto a partire dalla fine del 1990 sono state introdotte nell'ordinamento italiano alcune figure di "asilo umanitario", distinte dallo status di rifugiato, mediante una disciplina tardiva e sostanzialmente improvvisata con forme disomogenee, dapprima quelle introdotte "una tantum" - con apposite ordinanze di necessità - per gli albanesi sbarcati in massa in Italia dal settembre 1990 al marzo 1991, poi (a partire dall'autunno 1991) per gli sfollati dagli eventi bellici nelle repubbliche dell'ex Jugoslavia (d.l. n. 350/1992, conv. in l. n. 390/1992), dal settembre 1992 per tutti i cittadini somali (D. Min. Affari esteri 9 settembre 1992), nel 1994 per gli sfollati del Ruanda, nel 1997 per i nuovi sfollati dall’Albania (D.L. 20 marzo 1997, n. 60).

A tale proposito sembrò assumere una portata definitoria potenzialmente più ampia la definizione di "sfollato" enunciata dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 aprile 1994 in materia di controllo delle entrate dei cittadini delle Repubbliche dell’ex Jugoslavia, cioè di colui che " a causa di eventi bellici o di disordine pubblico generalizzato, diffuse violazioni dei diritti umani, gravi forme di violazione in base all’appartenenza ad una comunità etnica o religiosa, è stato costretto ad abbandonare il luogo di abituale residenza ed i propri beni".

Peraltro al di là di tali ambigui istituti la Costituzione resta non pienamente attuata nella prassi, perchè tuttora manca una disciplina organica dell'asilo umanitario che in generale consenta allo straniero che ne goda, di ottenere almeno una protezione temporanea e di soggiornare per lavorare e per studiare fino alla cessazione degli eventi che lo hanno costretto alla fuga.

Perciò oggi gli stranieri in fuga dal suo Paese senza essere individualmente perseguitati utilizzano la sola via praticabile per poter godere almeno di un asilo provvisorio, presentando la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, pur non avendone i requisiti. Ciò comporta che decine di migliaia di domande di riconoscimento dello status di rifugiato siano state finora respinte, mentre gli stranieri che avevano richiedesto asilo sono restati illegalmente nel territorio nazionale proprio a causa della situazione nel paese di origine.

Peraltro anche circa gli stranieri che richiedono lo status di rifugiato l’effettiva attuazione del diritto d'asilo resta scarsa, poichè l’attuale procedimento di fronte alla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato (previsto dal D.P.R. n. 136/1990) appare inadeguato rispetto all'esigenza di un esame serio, equo ed approfondito di ogni singolo caso.

 

3. La separazione della disciplina legislativa dell’immigrazione da quella del diritto d’asilo e le misure di protezione temporanea per motivi umanitari

Dopo la caduta dei regimi comunisti è convinzione diffusa che negli attuali movimenti migratori l'immigrazione per motivi politici od umanitari non può certo essere più distinta chiaramente dagli altri tipi di flussi migratori, in particolare da quella per motivi politici.

E' dunque necessario che una legge organica sulla condizione giuridica dello straniero in Italia o qualsiasi altra legge preveda una nuova disciplina dell'esercizio del diritto d'asilo, che miri ad attuare con completezza il diritto d'asilo previsto dall'art. 10 c. 3 Cost.

A tale proposito prima di valutare il merito del disegno di legge approvato dal Governo recante "Norme in materia di protezione umanitaria e di diritto d’asilo" (AS n. 2425, presentato al Senato il 13 maggio 1997) occorre premettere un’osservazione sul metodo della legislazione.

Il Governo presentanto un disegno di legge in materia di diritto d’asilo distinto dal disegno di legge sulla disciplina dell’immigrazione e sulla condizione giuridica dello straniero (AC n. 3240 presentato alla Camera dei deputati il 19 febbraio 1997), oggi approvato con la legge 6 marzo 1998, n. 40 ha di fatto fatto proprie le opinabili affermazioni, secondo le quali asilanti ed immigrati sarebbero soggetti diversi e pertanto sarebbe stato preferibile regolare le due materie con leggi separate, malgrado, come si è sopra illustrato, la differenziazione del trattamento dell’asilante rispetto a quello degli altri stranieri prevista dalle norme internazionali e dalla norma prevista dall’art. 10 c. 3 Cost. si incentra soprattutto sulle fasi dell’ammissione al territorio nazionale e dell’esame iniziale della domanda di asilo, sul trattamento più favorevole e soprattutto sulla protezione dalla persecuzione e dal rischio dell’allontanamento del territorio nazionale.

A causa dell’allarme sociale suscitato ancora una volta dalla situazione di emergenza verificatasi in Albania e dal nuovo esodo di massa in atto da tali zone, rendeva prevedibile che una disciplina dell’esercizio del diritto d’asilo elaborata in un periodo così emotivo avrebbe finito per trascurare la piena attuazione dell’art. 10 comma 3 Cost. e per tenere conto delle irrazionali paure suscitate dall’opinione pubblica da tale situazione. Tali preoccupazioni sono state ampliamente confermate e anzi rafforzate dall’esame delle disposizioni del disegno di legge successivamente approvato dal Governo recante "Norme in materia di protezione umanitaria e di diritto d’asilo".

Infatto, come si illustrerà, qualora le disposizioni di tale disegno di legge — nel testo approvato dal Senato - non siano modificate dall’esame della Camera, è ragionevole affermare che il diritto d’asilo previsto dall’art. 10, comma 3, Cost. resterà ancora privo di una piena attuazione legislativa, poichè entrambi i disegni di legge si limitano a confermare la sola protezione generale dei rifugiati ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 (cioè dei perseguitati individualmente), omettendo di disciplinare organicamente la figura della protezione temporanea nei confronti di stranieri che fuggano da situazioni di guerra, guerra civile, disordini gravi e generalizzati che mettano in pericolo la vita e sicurezza delle persone.

Peraltro una piccola parte della disciplina dell’asilo è presente nella nuova disciplina legislativa sull’immigrazione. Si tratta della disciplina eccezionale prevista nei casi di esodo di massa, cioè la disciplina delle misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali prevista dall’art. 18 legge n. 40/1998. Esso prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato d’intesa con i Ministri degli affari esteri, dell’interno e per la solidarietà sociale e con agli altri minstri interessati, sono stabilite, nei limiti delle risorse preordinate allo scopo nell’ambito del Fondo nazionale per le politiche migratorie, le misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga a disposizioni della legge sull’immigrazione, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione europea. Si prevede altresì che il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato riferiscano annualmente al Parlamento sulle misure adottate.

Una simile disposizione appare di assai dubbia legittimità costituzionale sia perchè la vaghezza della disposizione elude la riserva di legge prevista dall’art. 10 c. 2 Cost., sia perchè tale disposizione di legge finisce per violare l’art. 70 Cost. non indicando criteri idonei a delimitare la discrezionalità del Presidente del Consiglio dei Ministri a cui è attribuito il potere di stabilire misure di protezione temporanea anche in deroga alle disposizioni della stessa legge ().

In ogni caso l’inopportunità e la dubbia utilizzabilità pratica di una disposizione così scarna e vaga e legata alle esigue disponibilità finanziarie di un fondo nazionale che dovrebbe provvedere ad erogare molte altre provvidenze, sembra essere indirettamente confermata dal comportamento del Governo stesso se solo si pensa che un mese dopo la presentazione alla Camera del disegno di legge sull’immigrazione lo stesso Governo di fronte alla evoluzione della situazione di esodo di massa dei cittadini albanesi ha invece ritenuto indispensabile intervenire con il complesso decreto-legge 20 marzo 1997. n. 60, conv. in legge, con modificazioni, dalla legge 19 maggio 1997, n. 128, a sua volta modificato dall’art. 6 D.L. 24 aprile 1997, n. 108, conv. con modif. dalla legge 20 giugno 1997, n. 174.

Ad oggi tale disposizione, che oggi prevista dall’art. 20 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è stata applicata soltanto in un caso (cfr. D.P.C.M. 12 maggio 1999) per gli eventi dell’esodo di massa dei kosovari e del conflitto nell’area balcanica.

 

 

4. Aspetti di legittimità costituzionale del ddl governativo in materia di diritto d’asilo e protezione umanitaria

Nella presente sede si intende esaminare la legittimità costituzionale dei punti più qualificanti del disegno di legge in materia di asilo, nel testo approvato dal Senato della Repubblica il 5 novembre 1998 e all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati.

Si osserva anzitutto che appaiono apprezzabili i miglioramenti, rispetto alla disciplina previgente, che il testo del ddl prevede sia circa il trattamento dello straniero a cui è riconosciuto il diritto d’asilo, sia circa l’intento di dare finalmente piena attuazione al diritto d’asilo previsto dall’art. 10, comma 3 Cost., sia circa le misure di sostegno degli organismi pubblici e privati preposti al sostegno degli asilanti, sia la disciplina di talune procedure e delle garanzie per il richiedente asilo durante l’esame della domanda di asilo.

Tuttavia nel complesso il testo del ddl prevede molte disposizioni che appaiono tuttora assai criticabili dal punto di vista giuridico perché recano gravi difetti, alcuni non privi di profili di illegittimità costituzionale, e numerose lacune, a proposito dei seguenti 10 aspetti fondamentali della disciplina del diritto d’asilo:

1) la definizione dei titolari del diritto d’asilo;

2) la disciplina del pre-esame delle domande di asilo;.

3) la composizione e i poteri della Commissione centrale per il riconoscimento del diritto d’asilo;

4) i rifugiati "sur place";

5) la tutela dell’unità familiare durante e dopo l’esame della domanda di asilo;

6) le garanzie procedurali durante l’esame della domanda di asilo;

7) il provvedimento generale di "determinazione di gruppo" del diritto d’asilo o dell’impossibilità temporanea al rimpatrio;

8) i ricorsi giurisdizionali contro le decisioni in materia di asilo;

9) le garanzie in materia di cessazione del diritto d’asilo;

10) i collegamenti tra le nuove disposizioni e le altre norme vigenti, in particolare quelle in materia di condizione giuridica dello straniero.

 

4.1. "Titolari del diritto d’asilo" e "decisione di impossibilità temporanea al rimpatrio".

La nuova versione dell’art. 2 del disegno di legge fa la scelta fondamentale di prevedere che "hanno diritto di asilo nel territorio dello Stato" non soltanto gli stranieri e gli apolidi che siano riconosciuti rifugiati ai sensi della Convenzione di Ginevra, ma anche "allo straniero o all’apolide che non possa o non voglia avvalersi della protezione del Paese del quale è rispettivamente cittadino o residente abituale, in quanto effettivamente impedito nell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ed esposto a pericolo attuale per la vita propria o di propri familiari ovvero a restrizioni gravi della libertà personale".

Peraltro anche questa definizione dei titolari del diritto d’asilo appare assai mal formulata perché prevede elementi che configurano una restrizione costituzionalmente illegittima del diritto d’asilo previsto dall’art. 10, c. 3 Cost.

Occorre infatti riconoscere che il testo approvato dal Senato appare sostanzialmente migliorato rispetto al testo originario presentato dal Governo. Tuttavia poiché l’art. 2, comma 1, ddl afferma che "nella presente legge, con il termine << rifugiato >> si intende qualsiasi straniero o apolide cui sia stato riconosciuto il diritto d’asilo, salvo che sia espressamente disposto" è evidente che l’intero disegno di legge sembra ancora fondarsi in modo ostinato su un presupposto inesistente e da tempo smentito, che cioè il diritto d’asilo e lo status di rifugiato siano figure pressochè coincidenti, così dimenticando che la dottrina e la giurisprudenza più recenti, come si è sopra ricordato, sono concordi nel ritenere che il diritto d’asilo garantito dall’art. 10 c. 3 Cost. è figura diversa e soggettivamente più ampia dello status di rifugiato previsto dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951.

Il disegno di legge non prevede dunque alcuna forma di asilo umanitario distinta dallo status di rifugiato ai sensi della Convenzione, ma la disciplina della "domanda di asilo" prevista dal ddl non appare molto diversa dalla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, tanto che i due termini sono spesso confusi nelle diverse disposizioni del disegno di legge

Si presentano inoltre due problemi sostanziali circa la definizione deui titolari del diritto d’asilo.

Infatti da un lato l’art. 2, comma 1 lett.a) ddl in modo impreciso e confuso intende correttamente estendere la persecuzione ai motivi di sesso e di appartenenza ai gruppi etnici, ma lo fa in collegamento alla definizione di rifugiato prevista dalla Convenzione di Ginevra che invece aveva omesso tali tipi di persecuzione. E’ evidente infatti che il sesso deve essere ritenersi compreso nei motivi di persecuzione per appartenenza ad un determinato gruppo sociale e che i motivi di appartenenza ad un gruppo etnico devono rientrare tra i motivi di persecuzione per appartenenza ad una nazionalità o ad una razza.

Inoltre la definizione ivi prevista riconosce in modo giuridicamente errato il diritto d’asilo non già a coloro che abbiano i requisiti previsti dall’articolo 1 della Convenzione di Ginevra per essere risconosciuti rifugiati, bensì a coloro che già abbiano ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato, il che appare evidentemente il frutto di un grave refuso o di un’espressione giuridicamente priva di alcuna razionalità, essendo evidente che il diritto d’asilo è situazione giuridica soggettiva di cui è titolare chi chieda di godere dell’asilo in Italia avendo i requisiti (timore di persecuzione) per essere riconosciuto rifugiato e non già soltanto chi tale formale riconoscimento abbia già ottenuto.

Dall’altro lato l’art. 2, comma 1, lett. b) ddl sembra collegare gli impedimento all’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana al solo pericolo attuale per la propria vita o a restrizioni gravi della libertà personale, dimenticando che la Costituzione prevede molte altre libertà democratiche oltre alla libertà personale e dimenticando che comunque la gravità o meno delle restrizioni appare assai opinabile allorchè un Paese si trovi in tutto o in parte nel corso di una guerra civile, di un conflitto o di disordini gravi e generalizzati.

E’ dunque indispensabile che nel testo del ddl sia inserita una definizione delle categorie di asilanti che correttamente si riferisca ai requisiti per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e che colleghi espressamente tutte le libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana con il pericolo attuale per lo straniero o per l’apolide di subire nel territorio del Paese di origine o di residenza danni ingiusti alla propria vita, sicurezza, libertà personale o ad altre libertà democratiche, a causa di situazioni di guerra, di guerra civile, di aggressione esterna, di occupazione o di dominio straniero, di violenza generalizzata, di gravi, persistenti e generalizzati turbamenti dell`ordine pubblico.

Occorre poi soffermarsi ad analizzare l’art. 9 ddl che prevede che la commissione centrale per il riconoscimento del diritto d’asilo "qualora accerti la mancanza dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto d’asilo e tuttavia rilevi, anche sulla base di elementi comunicati dalla competente rappresentanza diplomatica, l’inopportunità del rinvio del richiedente nel Paese di origine o di abituale residenza per gravi e fondati motivi di carattere umanitario, può decidere che sussiste l’impossibilità temporanea al rimpatrio", provvedimento che dà titolo "ad una autorizzazione al soggiorno per il medesimo motivo, della durata di un anno, esteso al lavoro e allo studio, rinnovabile per lo stesso periodo qualora la commissione centrale accerti la permanenza delle condizioni di impossibilità al rimpatrio con riferimento al caso concreto".

E’ infine previsto che possano ottenere lo status di rifugiato o, in mancanza dei relativi requisiti, la "decisione di impossibilità temporanea al rimpatrio" anche quegli stranieri che, accolti temporaneamente con le misure straordinarie adottate dal Governo nei casi di conflitti, disastri o altri eventi di particolare gravità, ne facciano richiesta al momento in cui cessano le misure di cui hanno beneficiato.

La figura del provvedimento di "impossibilità temporanea al rimpatrio" appare di dubbia legittimità costituzionale sotto diversi profili.

A parte la denominazione infelice di tale figura di asilo che sembra voler insistere circa la sua natura di misura temporanea, provvisoria e, in ultima analisi, precaria, essa non si sottrae al rilievo della elusione delle riserve di legge in materia di condizione giuridica degli stranieri e degli asilanti previste dai commi 2 e 3 dell’art. 10 Cost.

Infatti le oscure e vaghe indicazioni indicate all’esercizio della discrezionalità della Commissione finiscono con lo sconfinare nell’arbitrio. E’ indubbio infatti che il testo della disposizione conferisce alla Commissione una facoltà che consiste in una valutazione circa la "inopportunità del rinvio del richiedente nel Paese di origine o di stabile residenza" e che si fonda su non meglio definiti "gravi e fondati motivi di carattere umanitario".

A tale proposito appare indiscutibile che anche qualora si voglia istituire una forma precaria di asilo umanitario, denominandolo "impossibilità temporanea al rimpatrio, esso deve sorgere non già in base ad una discrezionale valutazione di opportunità operata in via eccezionale, bensì in base alla sussistenza, verificata in via ordinaria, di una ben determinata situazione soggettiva che deve essere fondata sui presupposti indicati nell’art. 10 c. 3 Cost e che deve essere conforme alla natura giuridica di diritto soggettivo perfetto - e perciò non suscettibile di valutazioni discrezionali - che ha il diritto d’asilo.

Invero circa l’individuazione precisa di tale figura gli esempi non mancano: se è legittimo che non si adotti, come invece si è sopra ipotizzato, la medesima definizione indicata nei rapporti tra gli Stati africani da parte dell’OUA, non si comprende per quale motivo, essendo l’Italia vincolata a considerare la politica di asilo una questione di interesse comune per gli Stati membri dell’Unione europe (cfr. art. K.1 Trattato sull’Unione europea), un disegno di legge che è espressamente intitolato anche alla "protezione umanitaria" non abbia dato una definizione precisa dell’asilo umanitario almeno non dissimile da quella delle "persone che necessitano di una protezione internazionale" in corso di elaborazione a livello comunitario e proposto dalla Commissione al Consiglio dell’Unione europea nella proposta di azione comune ai sensi dell’art. K.3, par. 2, lett. b) del trattato sull’Unione europea in materia di protezione temporanea degli sfollati il 20 marzo 1994 (), e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee 36 giorni prima dell’approvazione del disegno di legge da parte del Consiglio dei Ministri.

A parte i predetti rilievi, è facile osservare che ben pochi stranieri potrebbero comunque essere destinatari del provvedimento di "impossibilità temporanea al rimpatrio": poichè l’art. 6 del disegno di legge istituisce un pre-esame delle domande di asilo e poichè le domande di asilo giungerebbero all’esame della Commissione solo se fossero ritenute non manifestamente infondate da uno dei suoi membri al termine del pre-esame, e poichè tale valutazione dovrebbe essere effettuata con riferimento alla sussistenza dei presupposti per riconoscere lo status di rifugiato e alla competenza dell’Italia ad esaminare la relativa domanda, di fatto la "impossibilità temporanea al rimpatrio" potrebbe essere dichiarata soltanto quando gli altri commissari smentissero chi ha effettuato il pre-esame o quando prima della decisione della commissione siano cessate le condizioni oggettive che legittimerebbero il riconoscimento dello status di rifugiato.

Discutibile appare infine la scelta di dotare gli stranieri di cui sia stata dichiarata la "impossibilità temporanea al rimpatrio" non di un permesso di soggiorno, bensì di una non meglio precisata "autorizzazione al soggiorno", che, seppur consente l’accesso al lavoro regolare e allo studio, sembra quasi voler scoraggiare ingressi finalizzati ad ottenere l’asilo e la progressiva intergrazione degli asilanti.

 

4.2. Accesso alla procedura (pre-esame e audizione) e ricorsi giurisdizionali. Il trattamento del richiedente asilo e compiti dei Comuni.

Poichè, come si è sopra illustrato, l’essenza stessa dell’asilo consiste nel diritto soggettivo perfetto dello straniero di fare ingresso almeno temporaneo nel territorio dello Stato per ottenerne protezione, il tipo di configurazione della disciplina di accesso alla procedura di riconoscimento dell’asilo è in ogni caso decisivo per comprendere il grado di effettiva attuazione del diritto d’asilo costituzionalmente tutelato.

La procedura di esame delle domande (che potrebbero essere presentate sia ai valichi di frontiera, sia durante la navigazione al comandante della nave e dell'aereo italiani, sia alle autorità di pubblica sicurezza italiane, anche nel caso di domande di asilo presentate da stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia ad altro titolo) dovrebbe comunque prevedere un colloquio preliminare da parte di personale preparato, da svolgersi presso un ufficio pubblico diverso da quelli di polizia (p. es. della prefettura, che nella legislazione italiana è tradizionalmente l’organo amministrativo incaricato di esercitare le funzioni amministrative statali concernenti i richiedenti asilo e i rifugiati ()), e poi un'audizione di fronte alla Commissione centrale per il riconoscimento del diritto d'asilo.

Di enorme importanza è invece l’introduzione della procedura del pre-esame della domanda di asilo.

L’art. 6 ddl prevede infatti che un delegato della Commissione centrale assistito da un funzionario di polizia e alla presenza (eventuale) del delegato ACNUR e della persona che assiste lo straniero svolga il pre-esame della domanda per accertare

a) se l’Italia è il Paese competente per l’esame della domanda in applicazione delle convenzioni internazionali e, in caso affermativo,

b) se la domanda sia ammissibile, cioè priva delle circostanze ostative indicate dall’art. 6, comma 4 ddl e, in caso affermativo

c) se la domanda non sia manifestamente infondata secondo gli indizi indicati nell’art. 6, comma 5 ddl.

Occorre riconoscere che, seppure fortemente migliorata nel testo approvato dal Senato, la disciplina del pre-esame appare assai criticabile, perchè fa sì che l’impianto dell’intero ddl contraddica l’essenza stessa del diritto d’asilo, che è configurato nell’art. 10, comma 3, della Costituzione come diritto soggettivo - come ricordano la dottrina e la giurisprudenza più recente (cfr. Cass. sez. un. civ. 12 dicembre 1996, n. 04674/97) e come conferma lo stesso ddl allorchè prevede la giurisizione esclusiva estesa al merito del giudice amministrativo nei ricorsi contro le decisioni negative della Commissione - del quale è parte essenziale anzitutto il diritto di accesso dell’individuo alla procedura di esame della domanda di asilo.

Il ddl infatti impedisce fin dall’inizio l’accesso alla procedura di esame delle domande sia attraverso un’assai criticabile disciplina dei casi di inammissibilità e di manifesta infondatezza delle domande di asilo da valutarsi durante la fase di pre-esame della domanda, casi che appaiono andare ben oltre i casi giuridicamente obbligatori in base alla riserva di legge rinforzata prevista ai commi 2 e 3 dell’art. 10 Cost., sia attraverso un sostanziale svuotamento del diritto alla difesa dello straniero di fronte ad una decisione negativa in caso di pre-esame.

In primo luogo dunque alcuni casi di inammissibilità e di manifesta infondatezza della domanda di asilo appaiono assai discutibili sotto il profilo giuridico, per il fatto che ognuno di essi casi si configura sia come una incostituzionale restrizione del diritto d’asilo garantito dall’art. 10, comma 3 Cost., sia come un’illegittima violazione della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati.

Si prevede infatti l’inammissibilità della domanda in caso di persona che abbia transitato verso un Paese terzo firmatario della Convenzione di Ginevra, ma il testo omette di prevedere che - per evitare il noto fenomeno dei "rifugiati in orbita" — occorre che tale Stato dia effettive garanzie circa il rispetto dei diritti fondamentali ed un’effettiva riammissione del richiedente asilo ad una procedura equa ed imparziale di esame delle domande di asilo. A tal fine si deve altresì ricordare che il testo del ddl omette di dare attuazione all’art. IV, par. 22 della risoluzione del Consiglio dell’Unione europea del 20 giugno 1995 sulle garanzie minime per le procedure di asilo che prevede che "le autorità dello Stato terzo devono, all’occorrenza, essere messe al corrente del fatto che la domanda di asilo non è stata esaminata quanto al merito".

Soprattutto si deve criticare la previsione dell’inammissibilità della domanda di asilo in caso di condanna non definitiva per un grave delitto di diritto comune commesso all’estero. Tale previsione appare costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 10, comma 4, della Costituzione che vieta l’estradizione dello straniero per motivi politici, poichè il ddl sembra riferirsi a qualsiasi tipo di condanna subita all’estero. Proprio al fine di dare effettività al diritto d’asilo è indispensabile limitare tale causa di inammissibilità ai soli casi in cui l’ordinamento già ora consente caso per caso di presumere che lo straniero presenti la domanda di asilo per sottrarsi ad un giusto processo penale o ad una condanna legalmente subita per motivi non politici, cioè ai casi in cui nei confronti del richiedente siano state pronunciate sentenze di condanna all’estero per le quali sia già stato adottato dalle competenti autorità italiane il provvedimento di estradizione o di riconoscimento della sentenza penale straniera, sulla base della formale richiesta presentata dalle autorità del Paese interessato. Infatti, come è noto, al fine di adottare il provvedimento di estradizione o di riconoscimento della sentenza penale straniera è obbligatoria una verifica preventiva che la condanna non sia avvenuta per reati politici o connessi a reati politici o comunque per intenti persecutori, che all’estero siano stati rispettati i diritti della difesa e che la persona non debba subire una condanna a morte o trattamenti inumani o degradanti o comunque contrari ai diritti fondamentali. Si tratta di un obbligo che è previsto sia dalle norme nazionali (artt. 698, 705 e 731 del codice di procedura penale) sia da precise disposizioni di tutte le convenzioni internazionali in vigore in materia (cfr. art. 2 della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 e resa esecutiva con legge 23 febbraio 1961, n. 215; art. 3 della Convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 e resa esecutiva con legge 30 gennaio 1963, n. 300; art. 7 della Convenzione europea per la sorveglianza delle persone condannate o liberate con la condizionale, adottata a Strasburgo il 30 novembre 1964, resa esecutiva con legge 15 novembre 1973, n. 772; art. 6 Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi, adottata a L’Aja il 28 maggio 1970, reso esecutivo con legge 16 maggio 1977, n. 305; art. 9 della Convenzione internazionale contro la cattura di ostaggi, aperta alla firma a New York il 18 dicembre 1979, reso esecutivo con legge 26 novembre 1985, n. 718), nonchè dall’articolo 2 della legge 3 luglio 1989, n. 257.

Il ddl prevede inoltre l’inammissibilità della domanda di asilo a causa di condanne anche non definitive in Italia per i reati indicati dall’art. 380 Cod. proc. pen. Tale clausola da un lato viola il principio costituzionale di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva previsto dall’art. 27, comma 2 Cost., dall’altro viola il celebre principio del non refoulement previsto dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, la quale consente di espellere o respingere il rifugiato soltanto quando, essendo stato condannato in via definitiva per un crimine o delitto particolarmente grave, costituisca una minaccia per la comunità del Paese in cui si trova. Tale ultima condizione potrebbe dunque essere adempiuta soltanto se si prevedesse l’inammissibilità della domanda in caso di condanna definitiva in Italia per la quale il giudice abbia disposto nella sentenza anche la misura di sicurezza dell’espulsione, misura che, come è noto, è disposta soltanto nel caso in cui (e fino a quando) lo straniero condannato sia ritenuto dal giudice pericoloso socialmente, nel senso che sussistono elementi per ritenere che la persona possa compiere nuovamente reati.

Si prevede altresì l’inammissibilità della domanda di asilo nei casi in cui l’autorità amministrativa ritenga che la persona appartenga alle categorie delle persone sottoponibili per legge a misure di prevenzione, senza prevedere che si tratti di casi in cui l’autorità giudiziaria abbia già verificato, sulla base della segnalazione dell’autorità di pubblica sicurezza, la sussistenza dei concreti ed attuali elementi della pericolosità del soggetto e perciò abbia già applicato nei suoi confronti una determinata misura di prevenzione.

Si prevede poi che la manifesta infondatezza delle domande sia valutata non soltanto in base ai criteri indicati dalla legge, ma anche (in violazione delle riserve di legge previste dall’art. 10, commi 2 e 3 Cost.) sulla base di atti dell’Unione europea, "anche non vincolanti" in materia di asilo.

Si consente altresì ai funzionari di prefettura competenti a svolgere il pre-esame di decidere la manifesta infondatezza della domanda anche mediante parametri ("dichiarazioni o elementi inconsistenti, generici e privi di sostanza"; "domanda incoerente o contraddittoria o inverosimile") che appiaono tanto vaghi che di fatto consentono agli addetti al pre-esame, privi di alcuna approfondita preparazione in materia, di entrare nel merito dell’esame delle domande di asilo (e così si impedisce un esame del merito della domanda da parte della Commissione centrale), con una valutazione immediatamente esecutiva e sostanzialmente improntata ad una accentuata discrezionalità amministrativa, le cui conseguenze sono gravi ed irreparabili per l’effettivo godimento di un diritto soggettivo costituzionalmente previsto di cui è titolare lo straniero, se si pensa che il ddl non ne consente all’interessato l’impugnazione dall’Italia . E’ comunque evidente che tali previsioni vanno ben oltre la qualifica di "domande chiaramente fraudolente o non aventi nesso alcuno con i criteri per il riconoscimento dello status di rifugiato previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo status dei rifugiati e con altri criteri che giustifichino la concessione dell’asilo", così come raccomandato alla lettera d) della conclusione N sul problema delle domande manifestamente infondate o abusive dello status di rifugiato o di asilo, adottata dal comitato esecutivo dell’ACNUR (34^ sessione) nel 1983.

Infine si prevede una causa di manifesta infondatezza della domanda di asilo anche nel caso in cui la domanda sia strumentale ad impedire l’adozione di un provvedimento di allontanamento dello straniero dal territorio italiano. La formulazione ambigua di tale norma potrebbe violare l’art. 31 della Convenzione di Ginevra, il quale prevede che non può essere punito il richiedente asilo che è entrato o soggiorna illegalmente nel territorio di un Paese per chiedere asilo a condizione che si presenti senza ritardo alle autorità del Paese. Poichè è evidente che ogni domanda di asilo entrato illgalmente in Italia può impedire l’adozione o l’esecuzione di provvedimento di respingimento o di espulsione occorre prevedere che non si fa luogo a tali provvedimenti nei confronti di persona che entro un breve termine (p. es. 8 giorni) dall’ingresso illegale in Italia si sia spontaneamente presentata alle autorità di polizia (posti di frontiera o questure) per presentare la domanda di asilo e che in ogni caso non si deve disporre nei confronti del richiedente asilo il respingimento o l’espulsione amministrativa per ingresso o soggiorno illegali nel territorio italiano.

In secondo luogo il ddl prevede che la decisione negativa alla fine del pre-esame impedisce l’esame del merito della domanda di asilo ed è impugnabile dallo straniero con un ricorso al TAR, la cui presentazione è priva di effetto sospensivo dei provvedimenti di espulsione o di respingimento: il richiedente asilo è subito rinviato con la forza nel territorio di quel Paese da cui fugge e da là ha facoltà di presentare ricorso al TAR

Le gravissime conseguenze di una disposizione del genere sono evidenti: nei casi in cui il provvedimento negativo del pre-esame fosse illegittimo e dunque la domanda di asilo fosse non manifestamente infondata lo straniero sarebbe rinviato in quello stesso territorio nel quale a causa della persecuzione subita o temuta o di eventuali situazioni belliche difficilmente potrebbe accedere ai consolati italiani per presentare il ricorso e nel quale, soprattutto, potrebbe subire quei pregiudizi gravi e irreparabili alla propria vita e libertà personale e alla libertà democratiche, che sono a fondamento stesso del diritto di asilo.

La mancanza di un effetto sospensivo del ricorso contro l’esito negativo del pre-esame costituisce dunque un’ulteriore violazione del diritto d’asilo previsto dall’art. 10, comma 3, Cost., e non dà sufficienti garanzie di effettivo rispetto del fondamentale principio del non refoulement previsto dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.

Nel complesso è dunque evidente che una simile disciplina del pre-esame deve essere profondamente mutata perchè altrimenti finisce per violare sia il diritto d’asilo previsto dall’art. 10, comma 3 Cost., sia il diritto alla difesa garantito dall’art. 24 Cost., sia le norme delle convenzioni internazionali al cui rispetto l’Italia è comunque obbligata anche ai sensi della riserva di legge rinforzata in materia di condizione giuridica degli stranieri prevista dall’art. 10, comma 2 Cost.

Se la disciplina del pre-esame non fosse profondamente riformata sarebbe inevitabile affermare che le disposizioni del ddl che migliorano il trattamento degli asilanti e l’esame del merito della domanda di asilo sarebbero comunque poco fruibili da molti richiedenti asilo, poichè talune delle sue norme di fatto consentono discrezionalmente alla P.A. di sopprimere la base stessa del diritto d’asilo, cioè l’accesso alla procedura.

E’ invece possibile individuare modalità e termini che consentano di contemperare l’effettivo esercizio del diritto alla difesa e del diritto d’asilo con l’esigenza di evitare comportamenti dilatori che evitino la diffusione anche in Italia del fenomeno dell’abuso del diritto d’asilo.

In terzo luogo insuperabili vizi di legittimità costituzionale, per violazione della riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 Cost., inficiano gli artt. 7 e 14 ddl allorchè sembrano configurare, peraltro in modo piuttosto ambiguo, un obbligo di permanenza del richiedente asilo presso i posti dei valichi di frontiera (almeno presso i "punti di accoglienza provvisoria" da istituirsi dal Ministro dell’Interno presso i valichi di frontiera presso i quali sia stato registrato negli ultimi tre anni il maggior numero di richieste di asilo) durante l’espletamento del pre-esame, senza che sia previsto alcun formale provvedimento di limitazione provvisoria della libertà personale, da comunicare entro le successive 48 ore ad un giudice che abbia l’onere di convalidarlo se ne ricorrono i presupposti legali.

In quarto luogo si osserva che la norma che nel ddl prevede l’allontanamenento arbitrario del richiedente asilo dal territorio del Comune in cui avrebbe dovuto restare nei casi in cui il pre-esame abbia una durata più lunga del normale abbia come effetto automatico l’adozione del trattenimento del richiedente asilo nei centri di permanenza temporanea viola l’art. 13 Cost., che prevede che misure limitative della libertà personale devono comunque essere disposte dall’autorità giudiziaria e che possano essere adottati provvisoriamente dall’autorità di pubblica sicurezza soltanto allorchè vi siano i requisiti dell’eccezionalità, della necessità, dell’urgenza e della tassatività, requisiti che nel caso concreto non paiono sussistenti, essendo evidente che la misura del trattenimento è configurata dal ddl come misura ordinaria e non come misura eccezionale proporzionata ad esigenze gravi ed urgenti. Pertanto sarebbe più semplice e legittimo prevedere che il predetto comportamento del richiedente asilo, con il quale di fatto egli si sottrae alle autorità alle quali in precedenza aveva spontaneamente presentato la domanda di asilo, produca il solo effetto di legittimare la facoltà (e non l’obbligo) di richiedere al pretore di applicare nei confronti del richiedente asilo la misura del trattenimento nei centri di permanenza temporanea e assistenza.

Analogamente stupisce il fatto che il ddl preveda un trattamento deteriore a carico del richiedente asilo, cioè nei confronti di persone che potrebbero trovarsi nelle condizioni di fruire di un diritto costituzionalmente tutelato, rispetto a quello previsto dalle norme vigenti a carico degli altri stranieri che abbiano fatto ingresso o soggiorno illegali in Italia e che si trovino in situazioni analoghe: infatti l’art. 6, comma 9 ddl prevede l’applicazione dell’articolo 650 del codice penale nei confronti del richiedente asilo trattenuto nel centro di permanenza temporanea che se ne allontani indebitamente prima della conclusione del pre-esame, quando invece nei casi di stranieri non richiedenti asilo sottoposti ad analogo provvedimento di trattenimento che si allontanino indebitamente dal centro l’art. 12 della legge 6 marzo 1998, n. 40 prevede soltanto il ripristino immediato del trattenimento.

In quinto luogo occorre altresì osservare che appare assai inopportuna la creazione all’interno dei medesimi centri di permanenza temporanea e assistenza previsti dalla legge n. 40/1998 per gli stranieri che debbano essere respinti o espulsi di sezioni speciali in cui debbano essere trattenuti i richiedenti asilo durante il pre-esame. Infatti è evidente che in tali centri potrebbero essere trattenute insieme persone aventi caratteristiche profondamente diverse. Si pensi alla grave inopportunità (anche ai fini della vigilanza interna ai centri) di mantenere nello stesso luogo persone che prevedibilmente dovranno essere respinte od espulse, e cioè dovranno essere allontanate con la forza, e persone che hanno invece la ragionevole prospetiva di essere ammesse ad ottenere protezione nel territorio italiano. Si pensi alla grave inopportunità (anche ai fini organizzatvi) di mantenere nello stesso luogo individui singoli, anche socialmente pericolosi, e nuclei familiari con la presenza di minorenni. Occorre dunque prevedere che i centri di permanenza temporanea dei richiedenti asilo siano completamente distinti da quelli previsti per gli altri stranieri. L’unica eccezione a tale totale distinzione potrebbe essere ragionevolmente ipotizzata soltanto nei primissimi giorni successivi all’ingresso in Italia nei casi in cui si debba organizzare il transito dei richiedenti asilo verso i centri specializzati a loro riservati.

In sesto luogo il testo del ddl sembra non prevedere in modo chiaro un termine massimo per la conclusione del pre-esame.

Infatti l’art. 6, comma 2, prevede un termine di due giorni, mentre l’art. 6, commi 9, 10 e 12, menziona casi in cui il pre-esame potrebbe non esaurirsi in tale termine, ma in tali casi (i cui contorni sono peraltro vaghi e lasciati all’apprezzamento dell’autorità amministrativa) non si indica un termine massimo per il pre-esame e, di conseguenza, per il trattenimento del richiedente asilo ed è evidente che in tali ipotesi si consentirebbe di protrarre in modo indefinito nel tempo una situazione che non soltanto produce incertezza sulla condizione giuridica degli individui, ma comporta anche provvedimenti limitativi per la libertà personale. Al fine di non protrarre nel tempo una situazione pregiudizievole per i diritti fondamentali della persona occorre dunque prevedere nel testo un termine espresso, pur nella consapevolezza che peraltro l’esito positivo del pre-esame non impedisce una decisione negativa sul merito della domanda di asilo. Pertanto occorre prevedere un termine massimo (p. es. 30 giorni, così come previsto dalla legge n. 40/1998 per il termine massimo di trattenimento nei centri di permanenza temporanea) entro il quale in mancanza di una decisione sul pre-esame sia previsto un meccanismo di silenzio-assenso all’ingresso nel territorio italiano e al conseguente esame della domanda.

In materia di assistenza al richiedente asilo si impogono poi due altri rilievi.

Anzitutto è curioso il compito assegnato al Comune nei confronti del richiedente asilo che risiede sul suo territorio: esso è tenuto a fornire, a richiesta, l’assistenza e l’accoglienza immediata, nonchè se il Comune successivamente ne accerta lo stato di bisogno, a dargli assistenza, vitto e alloggio per tutto il tempo dell’esame della domanda di fronte alle autorità amministrative. Le spese per l’accoglienza sono anticipate dal Comune e poi rimborsate (sic) dal Ministero dell’Interno.

E’ poi contraddittoria con la nuova legge sull’immigrazione che prevedono il diritto-dovere del richiedente asilo di iscriversi al servizio sanitario nazionale e che in ogni caso prevedono anche la tutela della maternità e l’erogazione delle vaccinazioni obbligatorie anche in favore dei non iscritti al Servizio sanitario nazionale (cfr. artt. 32 e 33 L. n. 40/1998), la previsione del ddl che in materia di assistenza sanitaria del richiedente asilo gli consente soltanto cure ospedaliere ed ambulatoriali per infortunio e malattia (e non anche per maternità) e sembra non consentirgli di iscriversi al Servizio sanitario nazionale.

 

 

4.3. Aspetti costituzionali dell’esame della domanda di asilo e composizione e poteri della "Commissione centrale per il riconoscimento del diritto d’asilo"

L’esame della domanda di asilo consiste nel valutare la sussistenza nel caso singolo di una situazione giuridica soggettiva, quella prevista dall’art. 10, comma 3 Cost., nel tassativo rispetto delle altre norme costituzionali, internazionali e legislative vigenti, sicchè l’interesse pubblico da tutelare sarebbe già predefinito da tali norme e perciò sarebbe esclusa ogni valutazione di opportunità, come invece avviene in altri ordinamenti nei quali l’asilo è configurato in tutto o in parte non già come un diritto soggettivo dello straniero, bensì come una concessione dello Stato.

Si tratta dunque di un giudizio tecnico in cui non vi è alcun margine di discrezionalità amministrativa, ma in cui occorre che, anche attraverso una procedura di tipo contenzioso, siano messi in luce e valutati con neutralità tutti gli elementi che consentano di bilanciare adeguatamente le esigenze connesse alla sovranità dello Stato () e un diritto soggettivo perfetto dello straniero costituzionalmente tutelato. Occorre dunque un giudizio effettuato con imparzialità, cioè estraneo e indifferente rispetto agli interessi coinvolti, che nel caso dell’asilo appaiono da un lato quello dello straniero a veder riconosciuto il proprio diritto a fruire dell’ammissione e della permanenza nel territorio dello Stato a cui chiede protezione, e dall’altro l’interesse dello Stato a escludere dal proprio territorio ogni persona che possa concretamente porre in pericolo la piena tutela dei diritti individuali e collettivi costituzionalmente garantiti dei cittadini e ad ottemperare ai propri obblighi internazionali, cioè a tutelare la propria sicurezza e le proprie relazioni internazionali, le quali in una forma di governo parlamentare sono gestite dal Governo, secondo i modi e i fini conformi all’indirizzo politico fissato nel rapporto fiduciario con le Camere, in conformità con le norme costituzionali e legislative. E’ evidente dunque che un giudizio in materia di diritto d’asilo dovrebbe essere affidato ad un organo comunque non legato da un rapporto gerarchico col Governo stesso, che in tal caso è portatore di uno dei due interessi contrapposti.

In teoria poichè la valutazione in materia di diritto d’asilo è diretta ad accertare lo status delle persone, essa potrebbe fin dal momento iniziale essere devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario in materia civile, che è organo comunque dotato dalla Costituzione della necessaria indipendenza, la quale, come ricorda la giurisprudenza costituzionale, consiste proprio nell’autonoma potestà decisionale, non condizionata da interferenze dirette o indirette provenienti dall’autorità di governo o da qualsiasi altro soggetto () ed è volta proprio a garantire l’imparzialità del giudice, assicurandogli una posizione "super partes" che escluda qualsiasi, anche indiretto, interesse alla causa da decidere (). Occorre peraltro rilevare che una simile procedura avrebbe non poche controindicazioni pratiche: a parte i lunghi tempi per addivenire al giudizio, trattandosi di un giudizio diffuso e non accentrato in un unico organo nazionale sarebbero sempre possibili valutazioni difformi da parte di diversi giudici delle medesime situazioni dei Paesi di provenienza degli stranieri. Inoltre il giudizio del giudice ordinario potrebbe essere comunque assai ostacolato e rallentato dalla frequente necessità per il giudice di acquisire, per il tramite dei Ministeri competenti, delle informazioni tecniche e politiche precise sulle situazioni individuali e collettive in atto in diversi Paesi. Di fatto il giudice sarebbe assai condizionato dai tempi e dai modi dell’effettiva collaborazione da parte delle autorità amministrative centrali e locali (incluse le rappresentanze diplomatico-consolari italiane all’estero e i servizi di informazione e sicurezza). Tutto ciò rende prevedibile che la contraddittorietà, la lentezza e la farraginosità di simili procedure giudiziarie di accertamento delle domande di asilo potrebbero incoraggiare un numero crescente di stranieri ad abusare del diritto d’asilo.

E’ peraltro noto che di per sè l’indipendenza è concettualmente distinta dall’imparzialità e poichè ciò che è rilevante nel caso del diritto d’asilo è proprio la valutazione imparziale, non si può dimenticare che in base all’art. 97 Cost. l’impazialità è caratteristica essenziale anche dell’amministrazione pubblica, intesa come esclusivo perseguimento degli scopi prefissati dalle norme giuridiche e dagli atti di indirizzo mediante la valutazione ponderata degli interessi collettivi ed individuali coinvolti caso per caso. Tuttavia, poichè, come si è in precedenza illustrato, nel caso di specie l’azione amministrativa sarebbe tenuta a tutelare un interesse pubblico già predefinito dalle norme costituzionali, internazionali e legislative vigenti, sicchè sarebbe esclusa ogni valutazione di opportunità, è necessario un esercizio rafforzato dell’imparzialità, cioè l’indipendenza dalla necessità di attuare qualsiasi indirizzo politico. Si tratta cioè di quella medesima indipendenza rispetto al potere politico, burocratico ed economico () di cui godono quegli organi che la legge - con forme peraltro disomogene - ha introdotto anche nell’ordinamento italiano, denominati dalla dottrina quali "autorità amministrative indipendenti", organi a cui è delegato dalla legge l’esercizio di particolari particolari poteri amministrativi che, essendo finalizzati alla tutela imparziale di diritti e interessi costituzionalmente tutelati (), non sono soggetti al controllo diretto e all’influenza del Governo () e sono invece caratterizzati dall’esclusione da "ogni forma di subordinazione e gerarchia" (), tanto che in genere il loro operato è sottoposto soltanto a tenui controlli e indirizzi, rimanendo soggette soltanto alla legge () e a volte sono anche dotate di potestà normativa secondaria nei limiti fissati dalla legge ().

Proprio al fine di dare una corretta e completa attuazione del diritto d’asilo è pertanto preferibile che l’accertamento tecnico della sussistenza della complessa situazione giuridica soggettiva dell’asilante sia, almeno all’inizio, affidata ad un organo collegiale, accentrato a livello nazionale, configurato come autorità amministrativa indipendente, in cui siano disponibili in tempo reale cognizioni specialistiche diverse (giuridiche, internazionali, sociali, di sicurezza pubblica), non tutte già reperibili nelle pubbliche amministrazioni statali gerarchicamente dipendenti dal Governo.

La prima valutazione del merito delle domande di riconoscimento o di cessazione dell’asilo dovrebbe dunque essere affidata ad un organo siffatto, composto di persone che possano essere in grado di applicare al caso singolo conoscenze diverse, di persone esperte nei diversi settori (in materia giuridica, in materia sociale, diplomatica, "poliziesca") e provenienti da ambienti differenti (ordine giudiziario, diplomazia, forze di polizia, ricerca scientifica universitaria, associazionismo privato), che siano posti in concreto nelle condizioni materiali di chiedere ed acquisire ogni tipo di documentazione da tutti i tipi di autorità e di essere costantemente aggiornati, quasi in tempo reale sulla effettiva protezione dei diritti fondamentali nei diversi Paesi del mondo.

Perciò appare opportuno che la Commissione nazionale per il diritto d'asilo abbia una composizione mista, in cui in ciascuna sua sezione siano presenti in modo equilibrato per metà persone qualificate provenienti dalle Amministrazioni centrali dello Stato competenti in materia e designati dai rispettivi Ministri (ciascuna proveniente dalla carriera prefettizia, dalla carriera diplomatica e dalle forze di polizia) e per metà persone ad essa estranee, cioè docenti universitari esperti in materia di diritti dell’uomo e degli stranieri designati dal Consiglio universitario nazionale, rappresentanti di organizzazioni non governative di tutela dei diritti dell’uomo, designati dalla stessa rappresentanza italiana dell’ACNUR, e magistrati ordinari, anche a riposo, designati dal Consiglio superiore della magistratura. La funzione di presidente di ogni sezione e della Commissione dovrebbe essere affidata al magistrato, cioè al commissario la cui formazione dà le maggiori garanzie di equilibrio e di indipendenza. Per assicurare effettiva indipendenza ed imparzialità ciascun componente dovrebbe essere posto fuori ruolo o in aspettativa per tutta la durata dell’incarico, che non dovrebbe essere rinnovabile, e dovrebbe essere posto nell’impossibilità di svolgere altre attività professionali.

La Commissione dovrebbe esercitare una autonomia normativa, cioè la potestà di emanare norme regolamentari per disciplinare, in conformità degli standard individuati dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e degli orientamenti elaborati dall’Unione europea, gli ulteriori aspetti non direttamente previsti dalla legge - della procedura di raccolta, esame e decisione delle istanze in materia di asilo, nonchè i criteri generali a cui siano tenuti gli operatori di polizia per l’individuazione dei casi in cui le domande di asilo debbano essere considerate inammissibili), di autonomia gestionale e di autonomia contabile.

Come si è sopra illustrato la natura di diritto soggettivo del diritto d’asilo esigerebbe che l’accertamento della sua sussistenza avvenga nell’ambito di una procedura contenziosa ispirata al principio del contraddittorio svolta di fronte ad un’autorità dotata della piena indipendenza di giudizio e di valutazione, e cioè o mediante un giudizio di accertamento di status delle persone svolto di fronte al giudice ordinario in materia civile o mediante un primo giudizio sul merito della domanda svolto con un apposito procedimento ispirato al principio del contraddittorio di fronte ad un’autorità amministrativa indipendente.

Da tali criteri appaiono lontane sia la composizione, sia le attribuzioni della nuova "Commissione centrale per il riconoscimento del diritto d’asilo" proposta nell’art. 3 ddl.

Anzitutto la composizione di tale organo appare simile a quella, del tutto inadeguata, dell’attuale Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato istituita dall’art. 2 D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136. La sola novità sostanziale è l’introduzione tra i componenti di un "professore universitario esperto in materia dei diritti civili ed umani designato dal Ministro dell’Università e della ricerca scientifica". Per il resto si ristruttura e si rafforza l’estrazione meramente burocratica degli altri componenti della Commissione e si provvede all’articolazione della Commissione in tre sezioni, ciascuna presieduta da un dirigente rispettivamente della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della carriera prefettizia e della carriera diplomatica. Vi compaiono un prefetto, in funzione di presidente della Commissione e, in ogni sezione, di altrettanti dirigenti (di cui uno appartenente ai ruoli della Polizia di Stato) provenienti dalle medesime tre Amministrazioni centrali dello Stato. Peraltro la posizione giuridica dei membri non appare paritaria: solo le amministrazioni hanno l’onere di designare un membro supplente per ogni membro della Commissione e solo per i dirigenti statali presidenti della Commissione e delle sue sezioni è previsto il collocamento fuori ruolo per tutta la durata della carica. La nomina dei componenti spetta ogni tre anni al Presidente del Consiglio dei Ministri, ma non è prevista alcun divieto di conferma dei commissari in carica, salvo il divieto che il Presidente della Commissione sia rinnovabile per più di una volta consecutivamente. Infine è previsto che il personale addetto a tale Commissione sia messo a disposizione dalla direzione generale dei servizi civili del Ministero dell’Interno.

E’ dunque evidente che ogni altro componente che sia funzionario di estrazione burocratica mantiene un rapporto di subordinazione gerarchica e di servizio con l’Amministrazione di designazione, della quale dunque restano organicamente i diretti "rappresentanti" nella Commissione.

Il solo membro della Commissione che non appartenga alle amministrazioni centrali dello Stato oltre ad essere in netta minoranza si trova in condizione oggettivamente più svantaggiata rispetto agli altri. E’ infatti evidente che se davvero la nomina di un esperto deve essere specializzata ed estranea ad influenze governative appare poco opportuno che la designazione dei professore universitari avvenga da parte del Ministro e non da parte del Consiglio Universitario nazionale (il che sarebbe stato più conforme alle libertà di insegnamento e di ricerca, nonchè all’autonomia universitaria garantite dall’art. 33 Cost.) e che costoro possano svolgere le loro funzioni con maggiori difficoltà rispetto agli altri membri della Commissione, a differenza dei quali non soltanto non sono posti in aspettativa, ma non possono essere sostituiti da persone aventi la medesima estrazione. Ciò comporta che in pratica sarebbe assai difficile che possano essere nominati delegati della Commissione a svolgere il delicatissimo pre-esame altri membri che non siano quelli di appartenenza governativo-amministrativa.

Alla luce di tali rilievi è ovvio concludere che la Commissione non è posta nelle condizioni organiche e organizzative per funzionare con piena autonomia rispetto al Governo, sicchè non soltanto essa non è in grado di effettuare un esame dei singoli casi con indipendenza di giudizio e di valutazione, ma è ragionevole dubitare della stessa possibilità di valutarli con imparzialità, essendo essa chiamata a bilanciare due interessi in gioco, di cui uno è portatore il Governo a cui quasi tutti i membri della Commissione sono più o meno gerarchicamente sottoposti. Infatti essa, lungi dall’avere natura di autorità amministrativa indipendente, non è altro che un organo tecnico interministeriale del Governo, poichè è organicamente collegato con almeno tre Amministrazioni centrali dello Stato ed esercita funzioni analoghe a quella di una conferenza di servizi, nella quale ciascuna Amministrazione è chiamata ad esprimere istituzionalmente il proprio parere su ogni caso.

Tale conclusione non può che confermare che è ulteriormente vanificata un’effettiva attuazione del diritto d’asilo.

La composizione e i poteri della Commissione centrale per il riconoscimento del diritto d’asilo appaiono insomma non conformi alla necessità che l’esame delle domande sia improntata alla massima imparzialità, che è conseguente alla natura di diritto soggettivo del diritto d’asilo, il che comporta il mero accertamento della sussistenza delle situazioni giuridiche soggettive che di per sè fanno sorgere il diritto d’asilo in capo al richiedente, senza che tale accertamento comporti valutazioni politiche o margini di discrezionalità amministrativa.

A tale proposito si deve ricordare che la piena indipendenza ed autonomia di giudizio sono espressamente richiesti anche dai più recenti orientamenti dell’Unione europea: l’art. III, par. 3, della risoluzione del Consiglio dell’Unione europea del 20 giugno 1995 sulle garanzie minime per le procedure di asilo, prevede che "le domande di asilo sono esaminate da un’autorità pienamente qualificata per quanto concerne le questione relative al diritto d’asilo e ai rifugiati. Le decisioni vengono prese in modo indipendente, cioè in base ad un esame obiettivo ed imparziale di tutte le singole domande di asilo.".

L’imparzialità deve perciò condurre a riformare la Composizione secondo un modello analogo a quello delle Autorità amministrative indipendenti poste a garanzia di altri diritti garantiti dalla Costituzione (Garante per la protezione dei dati, Autorità garante della concorrenza e del mercato, Autorità garante delle comunicazioni, Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali ecc.), prevedendo cioè sia una composizione più equilibrata di ogni sezione, sia un’effettiva indipendenza di ogni membro, sia una completa autonomia di giudizio e un’effettiva autonomia di organizzazione dei lavori della Commissione.

L’imparzialità comporta anzitutto che nei giudizi di ogni sezione confluiscano non soltanto le conoscenze delle Amministrazioni centrali dello Stato (i cui membri costituiscono l’assoluta maggioranza di ogni sezione e di cui occorre comunque garantire una estrazione qualificata effettivamente pertinente alla competenze della Commissione) e della ricerca universitaria, ma anche le conoscenze delle organizzazioni del privato sociale stabilmente operanti in favore degli stranieri e dei diritti umani e designate dal rappresentante in Italia dell’alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati.

L’imparzialità comporta poi l’indipendenza di ogni membro da altri organi e l’effettiva disponibilità di tempo di ogni membro da altre occupazioni e ciò deve essere assicurato mediante la previsione di una espressa irrevocabilità dei membri della Commissione, la messa in aspettativa di tutti i membri che appartengano alla P.A. (il che rende superflua la previsione della nomina di sostituti dei componenti della Commissione), e la previsione di una retribuzione significativa (p. es. pari a quella dei magistrati di cassazione).

L’imparzialità comporta infine la necessità di prevedere espressamente che la Commissione opera in piena autonomia di giudizio e di valutazione, nei limiti previsti dalla legge, e gode di autonomia organizzativa, finanziaria e contabile.

 

4.4 L’esame della domanda di asilo e il principio del contraddittorio

L’esame della domanda di asilo da parte della Commissione centrale è aspetto fondamentale, perchè è il momento essenziale al fine di consentire ai pubblici poteri e all’individuo un equilibrato ed approfondito esame della sussistenza dei requisiti in presenza dei quali deve essere riconosciuto il diritto d’asilo.

Infatti, poichè è noto che per attuare il principio dell’imparzialità dell’azione amministrativa previsto dall’art. 97 Cost. è importante un regolare contraddittorio tra le parti attraverso il quale l’amministrazione è in grado di assicurare un ponderato raffronto di tutti gli interessi presenti nel procedimento amministrativo, un’effettiva attuazione del diritto d’asilo esige che anche al richiedente asilo siano estesi i principi fondamentali della legge sul procedimento amministrativo (). Infatti, poichè molto spesso i richiedenti asilo abbandonano precipitosamente e in modo avventuroso il Paese di provenienza raramente le loro dichiarazioni rese di fronte all’autorità di polizia o alla Commissione potranno essere comprovate da un’idonea documentazione e poichè l’impossibilità di dimostrare la propria situazione particolare rischia di produrre un esito negativo della domanda di asilo e perciò il conseguente obbligo di far rientro in patria rischia di compromettere irrimediabilmente gran parte dei diritti fondamentali della persona, occorre garantire al richiedente asilo ogni opportunità per metterli in grado di comprovare le dichiarazioni da rendersi dinnanzi all’autorità ().

Pertanto la procedura di esame delle domande di asilo (che dovrebbe essere dettagliatamente disciplinata dalla legge) dovrebbe essere ispirata al principio del contraddittorio nonchè alle procedure e ai criteri per la determinazione dello status di rifugiato enunciati dall’ACNUR () e negli atti e nelle raccomandazioni degli organi dell’Unione europea ().

Il principio del contraddittorio esige che — come ora prevede il testo del ddl - durante l’intera procedura al richiedente asilo sia garantita l’assistenza di un difensore o di una persona di sua fiducia, che egli possa in qualsiasi momento produrre memorie, atti e documenti e porre domande durante l’esame dello straniero che la Commissione avrebbe l’obbligo di valutare espressamente nella decisione. Esso comporta il diritto di accesso agli atti del procedimento, impone all’amministrazione procedente di sottoporre all’attenzione degli interessati tutti gli elementi di prova che si sono posti in essere durante l’istruttoria (accertamenti tecnici e perizie) e consente l’intervento ad adiuvandum delle associazioni e organizzazioni di volontariato che si occupano di salvaguardia dei diritti umani e dei diritti degli stranieri soprattutto allorchè essa sia in grado di reperire la documentazione che assicuri riscontri oggettivi ai fatti narrati dallo straniero.

Un ulteriore rafforzamento delle garanzie durante l’esame delle domande appare peraltro necessario se si considera che l’accettazione o il rigetto della domanda di asilo comportano rispettivamente l’accesso o la negazione allo straniero al godimento di un diritto soggettivo costituzionalmente previsto e che dunque, soprattutto in caso di diniego della domanda, la decisione sulla domanda può produrre effetti gravi e irreparabili sulla vita, sicurezza e libertà dello straniero e della sua famiglia.

Inoltre si osserva che nell’individuazione da parte del Ministero dell’Interno dei posti di frontiera e delle questure specializzati nella raccolta delle domande di asilo e del pre-esame il ddl sembra omettere ogni considerazione per l’essenziale esigenza di rendere effettiva la possibilità per l’ACNUR, per le organizzazioni non governative e per il difensore del richiedente asilo di essere presenti nel luogo in cui si trova il richiedente asilo al momento della presentazione formale della domanda e dello svolgimento del pre-esame.

Occorre poi prevedere espressamente garanzie perchè la traduzione sia svolta in modo fedele e mantenga riservati i fatti e le persone emersi durante l’audizione e che, ove ne faccia richiesta la donna richiedente asilo, sia presente una donna interprete, così come previsto dall’art. V, par. 28 della risoluzione del Consiglio dell’Unione europea del 20 giugno 1995 sulle garanzie minime per le procedure di asilo.

Infine al fine di fugare ambiguità ed evitare equivoci appare indispensabile prevedere espressamente un carattere volontario ad ogni programma di rientro in patria delle persone a cui non sia stato riconoscuto l’asilo.

 

4.5. I ricorsi giurisdizionali contro le decisioni in materia di asilo adottate dalla Commissione

Anche la tutela giurisdizionale contro le decisioni della Commissione dovrebbe conformarsi alla natura giuridica di diritto soggettivo perfetto del diritto d’asilo. Contro la decisione che pronuncia il diniego o la cessazione dell'asilo dovrebbe dunque essere consentito, seppur con termini abbreviati, ricorso al giudice ordinario in materia civile ovvero al giudice amministrativo, con giurisdizione esclusiva estesa al merito, e dovrebbe essere consentito al ricorrente l'accesso temporaneo a regolari rapporti di lavoro fino alla decisione definitiva. Per perfezionare un simile sistema è poi indispensabile che si preveda che la presentazione del ricorso abbia effetti sospensivi e che qualora la decisione giudiziaria che annulli la decisione della Commissione riconosca che lo straniero ha i requisiti per essere titolare del diritto d’asilo la sentenza del giudice produca i medesimi effetti della decisione positiva della Commissione.

In tal senso assai significativa è la previsione dell’art. 10 ddl che la presentazione del ricorso al TAR contro il diniego dell’asilo pronunciato dalla Commissione (da presentarsi entro 10 giorni dalla comunicazione o notificazione del provvedimento) ha un effetto sospensivo (che è peraltro escluso in caso di impugnazione al Consiglio di Stato) e consente il rilascio di un permesso di soggiorno (peraltro "per motivi di giustizia") che consente l’accesso a regolari rapporti di lavoro subordinato qualora siano trascorsi più di sei mesi dal deposito del ricorso senza che vi sia stata decisione del TAR.

Altrettanto significativa è la previsione che il giudice amministrativo giudica con giurisdizione esclusiva estesa al merito.

Tuttavia la disciplina dei ricorsi giurisdizionali contro le decisioni in materia di asilo appare tuttora insufficiente a dare effettività al diritto alla difesa dei richiedenti asilo.

In primo luogo vengono in rilievo i "motivi di ordine pubblico, di sicurezza dello Stato o di tutela delle relazioni internazionali" che in base all’art. 10, comma 1, ddl impedirebbero il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di giustizia al richiedente asilo che abbia presentato ricorso contro la decisione negativa adottata dalla Commissione.

E’ evidente che il riferimento alla tutela delle relazioni internazionali dell’Italia non ha alcun senso allorchè si operi nell’ambito del riconoscimento del diritto d’asilo, cioè di una materia in cui l’individuo gode di un diritto soggettivo e dell’inviolabile diritto alla difesa, il cui godimento non gli può essere indirettamente negato per motivi di carattere "politico", anche qualora la competente autorità amministrativa (cioè la Commissione centrale) abbia negato la sussistenza dei presupposti del diritto d’asilo.

Infatti la previsione della tutela delle relazioni internazionali dell’Italia finirebbe con l’impedire il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di giustizia al ricorrente ogni volta che il Governo italiano ritenesse politicamente opportuno non incrinare i rapporti con il Governo di un Paese che direttamente o indirettamente abbia manifestato un forte interesse all’immediato rientro sul territorio di quel Paese di quel cittadino straniero fuggito in Italia. E’ ovvio che un tale forte interesse nasconde molto spesso un intento persecutorio che potrebbe costituire la prova più evidente che, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione centrale, sussistono gli elementi per riconoscere il diritto d’asilo allo straniero e pertanto si tratterebbe di casi in cui con molta probabilità il giudice amministrativo potrebbe giungere ad annullare la decisione della Commissione.

Occorre comunque rilevare che ogni eccezione al rilascio del permesso di soggiorno per motivi di giustizia appare costituzionalmente illegittima per violazione della riserva di legge rinforzata in materia di stranieri prevista dall’art. 10, comma 2 Cost., poichè si configura come violazione del fondamentale principio del non-refoulement previsto dalla Convenzione di Ginevra.

In secondo luogo poichè la materia del diritto d’asilo attiene comunque ad un diritto soggettivo (per il quale si prevede una giurisdizione esclusiva estesa al merito), occorre che per il ricorrente straniero, spesso privo di mezzi di sussistenza, sia prevista un’effettiva gratuità degli atti relativi al procedimento giurisdizionale.

In terzo luogo proprio al fine di semplificare e abbreviare gli adempimenti conseguenti ad una sentenza che riconosca l’effettiva sussistenza del diritto d’asilo occorre prevedere che tale sentenza del giudice sostituisca a tutti gli effetti la decisione della Commissione centrale.

In quarto luogo al fine di rispettare effettivamente il predetto principio del non-refoulement è indispensabile che si preveda anche che l’esecuzione di ogni tipo di provvedimento di allontanamento del richiedente asilo sia sospesa fino al raggiungimento di una decisione definitiva sulla domanda di asilo e pertanto appare indispensabile prevedere l’effetto sospensivo anche della presentazione del ricorso in appello avverso la sentenza di 1° grado, almeno nei casi in cui il ricorso in appello sia stato depositato entro termini non dilatori.

Più in generale tuttavia occorre osservare che il pieno controllo giurisdizionale sulle decisioni della Commissione risulta assolutamente centrale per una effettiva tutela del richiedente asilo, anche perché il sistema italiano non prevede, a differenza di altre legislazioni europee, una decisione in seconda istanza da parte della stessa Commissione centrale.

In questa ottica si deve affermare che il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale così come previsto dal ddl. rischia di essere inefficace, pur considerando i correttivi introdotti, in particolare l’estensione della giurisdizione esclusiva al merito.

A questo proposito nella realtà processuale effettiva la giurisdizione esclusiva estesa al merito, nelle materie ove è prevista, si risolve assai spesso in una mera formalità, nel senso che è comunque rara l’assunzione di mezzi di prova ed è impossibile l’interrogatorio formale delle parti. Si ricordi che anche per tali motivi l’art. 68 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 ha trasferito quasi tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo al giudice ordinario competente per le materie di lavoro. Si pensi altresì al fatto che l’assunzione dei mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile è stata recentemente espressamente prevista dall’art. 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 40 per le controverisie in materie di gestione dei pubblici servizi o di provvedimenti concernenti l’edilizia e l’urbanistica devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Proprio per tali casi il predetto articolo conferma l’esclusione dell’interrogatorio formale e del giuramento.

Si conferma dunque che anche nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva nel giudice amministrativo è strutturalmente rarissima l’audizione della parte o di eventuali testimonianze e il ricorso mantiene quei caratteri di formalità che costituiscono un grave ostacolo all’accertamento della attendibilità delle affermazioni del richiedente, che in una materia così delicata come quella riguardante l’asilo sono assai raramente supportate da elementi di carattere documentale.

Occorre in ogni caso sottolineare che la nuova formulazione del diritto di asilo, così come previsto dal ddl., che dà piena attuazione al diritto soggettivo in cui consiste il diritto di asilo ai sensi dell’art. 10 della Costituzione italiana, appare costituire un ostacolo decisivo alla previsione di un effettivo controllo giurisdizionale della decisione in merito adottata dall’Autorità amministrativa, anche alla luce della citata sentenza delle Sezioni unite della Corte suprema di Cassazione, n. 4674 del 12 dicembre 1996, che ha ribadito la competenza del Giudice ordinario in tale ipotesi.

A tale proposito è lo stesso legislatore che da decenni conferma l’inidoneità della giurisdizione, anche nelle materie deferite alla giurisdizione amministrativa, a decidere delle questioni relative allo stato delle persone. In tal senso è significativa la previsione dello stesso articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 che introduce nell’art. 7, comma 3, della legge 6 marzo 1971, n. 1034 una norma che conferma che anche nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "restano riservate all’autorità giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità dei privati individui".

Per tali motivi si deve concludere che la previsione dell’affidamento dei ricorsi in materia di asilo alla giurisdizione amministrativa esclusiva estesa al merito appare comunque inidonea ad assicurare un’effettiva tutela del diritto d’asilo.

Appare invece più idonea, più semplice e nello stesso tempo efficace sulla base delle considerazioni sopra esposte la procedura prevista (a seguito delle modifiche previste dalla legge 11 agosto 1973, n. 533 e da ultimo dal decreto legislativo n. 29/1993 e dal decreto legislativo n. 80/1998) per le controversie individuali di lavoro dagli artt. 409 e seguenti del codice di procedura civile, in quanto applicabili, cioè il ricorso da presentarsi al tribunale ordinario in funzione del giudice del lavoro.

Infatti le caratteristiche di speditezza, oralità, la stessa previsione esplicita di fissazione dell’udienza di discussione nel termine di 60 giorni, richiama l’esigenza e la stessa durata indicata nel ddl. Altro elemento importante della predetta procedura è costituito dalla pronuncia della sentenza che deve avvenire esaurita la discussione finale, confermando così l’esigenza di speditezza. Tale esigenza è altresì salvaguardata dal fatto che nella indicata procedura sono espressamente vietati i rinvii meramente strumentali. In ogni caso tale procedura è già di per sè configurata quale giudizio su un ricorso.

D’altra parte il ruolo del giudice ordinario (Pretore) è già previsto nella L. n. 40/1998 in sede di ricorso avverso i provvedimenti di espulsione secondo il rito previsto dalla volontaria giurisdizione, così come avverrebbe se il giudice ordinario — come qui si auspica — sia individuato quale Autorità Giudiziaria preposta al controllo delle decisioni conseguenti all’esito negativo del pre-esame della domanda del richiedente asilo.

Infine il dimezzamento dei termini previsti dagli artt. 413 e segg. C.P.C. risulta confacente alle ragioni di speditezza sopra ricordate.

Si sottolinea ancora come il ricorso previsto dalla normativa sulle controversie di lavoro sia già esentato dall’imposta di bollo, con evidente contenimento dei costi.

 

4.6. Il trattamento dell’asilante; misure di assistenza e di integrazione a carico degli enti locali. Il problema dell’effettiva protezione in Italia dell’asilante

L’art. 12 ddl prevede che il riconoscimento del diritto d’asilo dà allo straniero titolo ad ottenere un permesso di soggiorno per asilo avente durata quinquennale, rinnovabile per la medesima durata previo giudizio quinquennale di conferma della permanenza dei relativi requisiti da parte della Commissione centrale.

Questa e altre disposizioni del disegno di legge in materia di asilo circa il trattamento del rifugiato appaiono nel complesso conformi alla citata Convenzione relativa allo status dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951.

La sola importante omissione riguarda la mancata previsione di un divieto espresso di espulsione e di una disciplina dei soli casi eccezionali in cui l’espulsione è consentita ai sensi dell’art. 32 della medesima Convenzione (a differenza degli altri stranieri un rifugiato regolarmente residente può essere espulso soltanto per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, in esecuzione di una decisione presa conformemente alla procedura prevista dalla legge, e al rifugiato espulso deve essere concesso un periodo ragionevole di tempo per per mettergli di tentare di farsi ammettere regolarmente in un altro Paese. Resta imprecisato come nella prassi tale periodo di soggiorno possa essere autorizzato).

Per il resto il ddl prevede invece che il riconoscimento dello status di rifugiato comporta per lo straniero che ha presentato domanda di asilo, nonchè per il suo coniuge non separato legalmente, per i suoi figli minori non coniugati con lui conviventi e per i suoi genitori a carico che con lui convivano in Italia:

a) il rilascio di un documento di viaggio per rifugiati e di un permesso di soggiorno per asilo politico della durata di cinque anni rinnovabile per la medesima durata fino a quando sia diventata definitiva la decisione di cessazione dell’asilo; in ogni caso lo straniero sei mesi prima di ogni scadenza quinquennale del permesso di soggiorno per asilo politico, ha l’onere di richiedere alla Commissione nazionale, secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione e per il tramite della questura della provincia in cui dimora, una decisione di accertamento della permanenza dello status di rifugiato; qualora la Commissione nazionale deliberi in senso favorevole all’accertamento della permanenza dello status di rifugiato, il questore rinnova per ulteriori cinque anni il permesso di soggiorno per asilo politico;

b) il medesimo trattamento previsto per il cittadino italiano in materia di lavoro subordinato, lavoro autonomo, di corsi di istruzione di ogni ordine e grado, di accesso agli interventi di sostegno al diritto allo studio, di previdenza sociale, di assistenza sanitaria, nonchè di ricongiungimento familiare con familiari stranieri;

c) l`accesso al pubblico impiego nei casi e nei modi consentiti dalla legge ai cittadini degli altri Stati membri dell`Unione europea;

d) l`accesso a specifici programmi di accoglienza, di assistenza, di integrazione, di rimpatrio volontario in condizioni di sicurezza e dignità, di integrazione lavorativa finalizzata al raggiungimento dell’autosufficienza economica, nonché a corsi di lingua italiana; tali programmi sono attuati, sulla base dei criteri stabiliti con il regolamento di attuazione, dai comuni in via diretta o mediante convenzioni con organizzazioni non governative di protezione dei diritti civili ed umani o con altre associazioni aventi i criteri indicati nel regolamento; per l’attuazione di tali programmi sono trasferite ai Comuni apposite risorse finanziarie in proporzione al numero dei rifugiati legalmente residenti nei rispettivi territori (si tratta peraltro di norma che pone come parametro un criterio opinabile);

e) il medesimo trattamento previsto dalle norme vigenti in favore dei profughi italiani in materia di riserva di alloggi di edilizia residenziale pubblica;

f) l’erogazione, da parte del comune in cui dimora il rifugiato che si trovi in stato di bisogno, ma con oneri a carico del Ministero dell’Interno, di un contributo giornaliero di prima assistenza per un periodo massimo di 180 giorni , il cui importo è determinato dal regolamento di attuazione della presente legge, o, in alternativa, di vitto e alloggio in centri di accoglienza;

g) l’erogazione da parte delle prefetture secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione, di contributi finanziari per il rimpatrio volontario in condizione di sicurezza e di dignità.

Occorre peraltro osservare che la previsione del rilascio di un documento di viaggio per rifugiati appare impropria, nel senso che un documento di viaggio per rifugiati (internazionalmente riconosciuto) è previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951 soltanto nei confronti degli stranieri o degli apolidi a cui sia stato riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi della medesima Convenzione. Pertanto occorre prevedere che agli stranieri ai quali il diritto d’asilo sia riconosciuto ai sensi della più ampia nozione costituzionale sia rilasciato un analogo titolo di viaggio per stranieri, secondo la vigente legislazione in materia di passaporti.

Si può infine rilevare che il ddl omette di prevedere specifiche norme recanti misure di protezione dei richiedenti asilo e degli asilanti da minacce a loro rivolte in Italia da soggetti dei Paesi di origine: si sono a volte verificati casi in cui effettivamente alcuni richiedenti asilo o rifugiati sono stati oggetto anche in Italia di minacce o di pericoli gravi o di ritorsioni svolte contro di loro e contro i loro familiari da agenti persecutori dei Paesi di origine (appartenenti ad apparati governativi o ad organizzazioni segrete o criminali o terroristiche).

Come è noto il diritto d’asilo non consiste soltanto nel diritto di soggiornare nel territorio di un determinato Paese, ma anche nella effettiva protezione per la propria vita ed incolumità di cui si può godere in tale territorio, derivante dalla sicurezza che le autorità di tale Paese faranno tutto quanto in loro potere per porre tale persona al riparo dai pericoli (soprattutto dalla persecuzione) che l’hanno indotta a lasciare il proprio Paese.

E’ evidente infatti che proprio nel caso del perseguitato individuale è assai probabile che lo straniero neppure nel Paese ospitante può ritenersi del tutto al riparo da eventuali ripercussioni della persecuzione ordita contro di lui nel Paese di origine. La mancanza di una disciplina espressa di tale essenziale aspetto del diritto d’asilo ha impedito la tempestiva adozione di misure di prevenzione e di sicurezza per la vita e l’incolumità di richiedenti asilo e rifugiati e ciò in un recentissimo passato ha addiritura consentito che a Roma fosse compiuto l’omicidio di un oppositore politico del regime iraniano, riconosciuto rifugiato dall’Italia, ad opera di sconosciuti. Per dare effettività al diritto d’asilo occorre dunque prevedere l’adozione di specifiche misure di sorveglianza qualora sussista il pericolo concreto ed attuale che il richiedente asilo o il rifugiato possa subire minacce o pericoli per la vita e l’incolumità propria e dei familiari presenti in Italia.

 

4.7. Problematiche della tutela dell’unità familiare dell’asilante

Le disposizioni del ddl in materia di diritto all’unità familiare sembrano in gran parte recepire la giurisprudenza costituzionale () che, anche sulla base delle convenzioni internazionali in materia di protezione dei diritti del fanciullo, estende anche allo straniero - salvi eventuali limiti derivanti dalla necessità di un bilanciamento con altri valori dotati di pari tutela costituzionale (come la necessità di assicurare ai familiari "normali condizioni di vita") - la protezione assicurata dalla Costituzione alla famiglia e ai figli minori, così affermando che spettano anche allo straniero il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con sè, il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita nell’unità della famiglia, il diritto del minore a vivere, ove possibile, con entrambi i genitori e il diritto di questi a realizzare il ricongiungimento con i figli.

Tuttavia il ddl presenta talune rilevanti lacune circa la tutela dell’unità familiare durante e dopo l’esame della domanda di asilo e in caso di decisione di impossibilità temporanea al rimpatrio ed è perciò necessario impedire che di fatto si produca una separazione dei nuclei familiari di persone che abbiano ottenuto il riconoscimento del diritto d’asilo in Italia.

Anzitutto occorre estendere il più possibile gli effetti di una decisione positiva in materia di asilo o di una decisione di impossibilità temporanea al rimpatrio a ciascuno dei componenti il medesimo nucleo familiare che abbiano contestualmente presentato la domanda di asilo.

Al fine di tutelare l’unità familiare e di dare effettività al diritto d’asilo è altresì necessario prevedere Il rilascio di permessi di soggiorno per motivi di giustizia anche nei confronti di ciascuno dei membri del nucleo familiare in caso di ricorso giurisdizionale presentato da uno solo dei membri avverso il provvedimento negativo della Commissione che produca effetto nei confronti di tutti i membri del nucleo familiare che ha chiesto asilo

Inoltre è indispensabile assicurare agli stranieri a cui sia stato riconosciuto il diritto d’asilo l’effettiva possibilità di attuare legalmente il ricongiungimento familiare con i propri familiari che si trovino ancora nel Paese di origine o in altri Paesi. E’ noto infatti che spesso l’effettiva persecuzione a cui erano sottoposti i rifugiati dopo la fuga si estende ai loro familiari, sicchè costoro difficilmente hanno la possibilità di lasciare il Paese per recarsi in modo regolare verso il Paese in cui si trova il familiare riconosciuto rifugiato, nel senso che frequentemente le autorità dei Paesi di origine impediscono a tali familiari di disporre di validi documenti di viaggio, di ricevere documetazione proveinente dall’estero e di accedere ai luoghi in cui hanno sede le Rappresentanza diplomatiche straniere.

E’ dunque altrettanto frequente il caso in cui il familiare del rifugiato è costretto a lasciare clandestinamente il proprio Paese.

Anche il legislatore è stato consapevole di tale fenomeno, tanto che l’art. 28, comma 1 lett. c) della legge 6 marzo 1998, n. 40 sull’immigrazione consente il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari al familire di rifugiato anche a prescindere dal possesso di un permesso di soggiorno (ancorchè scaduto) rilasciato ad altro titolo.

Tuttavia resta una lacuna nell’ordinamento: oltre a consentire il rilascio di un permesso di soggiorno a tali familiari 45 giorni (cfr. art. 17, comma 27, L. 15 maggio 1997, n. 127).