Tenuto conto che il decreto sulla protezione temporanea affida ai questori il compito di valutare la sussistenza dei requisiti individuali, la nota diramata dal Ministero dell’interno significa di fatto la cessazione dell’applicazione di tali misure per i profughi, prevalentemente di etnia rom, che giungono in questi giorni dalle regioni del Kosovo. E’ risaputo che la cessazione delle operazioni belliche e l’insediamento della comunità internazionale in quella regione non hanno fatto venir meno le esigenze di protezione umanitaria di determinati gruppi di profughi, nel caso specifico dei cittadini di etnia rom, esposti a rischi per la loro incolumità e libertà personale a causa delle ritorsioni operate nei loro confronti da gruppi armati albanesi. Tale realtà è confermata dagli organismi internazionali e dalle ONG presenti nella regione.

La posizione espressa dal Ministero dell’interno sembra ignorare del tutto questa realtà e, sollecitando l’adozione automatica ed immediata di misure di respingimento ed espulsione, mediante l’applicazione degli accordi di riammissione tra l’Italia e la Repubblica federale di Iugoslavia (stipulati con il governo di Milosevic!) espone questi cittadini al rischio di rientro nei luoghi di origine e dunque ad essere sottoposti alle violenze e persecuzioni da cui stanno fuggendo. Ciò in aperta violazione del principio di non refoulement, norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e riaffermata anche dalla legislazione italiana sull’immigrazione. E’ gravissimo inoltre che nella nota del Ministero dell’interno non si faccia alcun cenno alla possibilità per i profughi provenienti dal Kosovo di richiedere comunque il riconoscimento dello status di rifugiato secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, possibilità che non può certo essere impedita in base a valutazioni di opportunità politica e che può essere esclusa solo in base ai criteri di cui all’art. 1 comma 4 della legge 39/90, sicuramente non applicabili in questo caso, essendo il Montenegro parte integrante della RFJ e quindi non considerabile alla stregua di un "paese terzo sicuro".

Ci appelliamo perciò alla sensibilità del Ministro dell’interno perché riveda urgentemente una decisione che, per i modi e per i tempi con cui viene attuata, inevitabilmente appare dettata da motivi di pregiudizio verso un particolare gruppo etnico, piuttosto che da una ponderata valutazione delle obbiettive esigenze di sicurezza e protezione umanitaria.

Giampiero Cioffredi (ARCI)

Walter Citti, Massimo Pastore (ASGI)

Stefano Kovac (ICS)