Cari amici,

approfittando di un magnifico sabato autunnale di fine luglio, provo a coinvolgervi nella riflessione avviata - per quel che mi riguarda - dal seminario organizzato dall'ACNUR nella dimessa cornice dell'Oratorio del Caravita, e culminata nel meeting di Cecina. Il tentativo e' reso piu' arduo dal bisogno di esternazione di un gruppo di gitanti accampatisi, per un pic-nic, a distanza troppo breve da me (vi scrivo dal Tuscolo). Confido pero' che vino e ragione possano cooperare per la composizione rapida dei conflitti in corso e che presto si ristabilisca la pace. La mia, quanto meno.

La questione che voglio affrontare e' la seguente: con l'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam la politica di immigrazione e asilo sara' trasferita, in sede europea, dal terzo al primo pilastro. Il terzo pilastro e' quello della cosiddetta coperazione intergovernativa, ed e' caratterizzato - semplificando - dall'esistenza di un paralizzante diritto di veto in capo al singolo Stato, da scarsa trasparenza dei processi decisionali (scarso coinvolgimento del Parlamento europeo), dal carattere prevalentemente non vincolante delle decisioni assunte (la cosiddetta soft-law). Il primo pilastro e' invece quello delle competenze comunitarie, e corrisponde a processi decisionali meno ingessati (maggioranza qualificata) e piu' trasparenti (meccanismo di co-decisione Consiglio-Parlamento), a un ruolo propositivo piu' rilevante della Commissione, a un carattere vincolante delle decisioni assunte, a un controllo da parte della Corte di giustizia sull'applicazione e sull'interpretazione di tali decisioni. Un passaggio di questo genere comportera' quindi il trasferimento di una buona parte delle competenze in materia di immigrazione e asilo dallo Stato all'Unione europea.

Il processo di trasferimento prevede una prima fase - della durata di cinque anni - nella quale le decisioni eventualmente assunte avranno si' carattere vincolante, ma continuera' a valere il criterio dell'unanimita' (e quindi il diritto di veto). Successivamente tale criterio lascera' il posto a quello della maggioranza qualificata. Ci si potrebbe quindi attendere che, sul piano formale, il quadro normativo di riferimento non venga significativamente modificato nei prossimi cinque anni, e che - nel bene o nel male - il trasferimento di competenze non sia comunque materia di cui occuparsi nell'immediato, soprattutto quando incombano le urgenze quotidiane di soccorso e assistenza a immigrati, rifugiati e profughi.

Tuttavia, c'e' il rischio che mentre a Roma si discute (o, nella fattispecie, si soccorre e si assiste), Sagunto sia espugnata. A espugnare Sagunto - sia detto per inciso - basterebbero i trecento pargoli vestiti di giallo che hanno invaso da un quarto d'ora quelli che ritenevo a torto, e a dispetto delle esternazioni dei gitanti, i quieti boschi del Tuscolo; essendo pero' costoro gia' impegnati a centrare, con i San Siro da quattrocentocinquanta grammi, il mio Power Book da tre chili, il compito e' assegnato a uno stock di politici e di funzionari governativi che, con o senza unanimita', lavora intanto a creare le basi culturali per le decisioni che verranno.

E' possibile evincere di quali basi si tratti esaminando i contenuti della soft-low (risoluzioni, raccomandazioni, posizioni comuni, etc., del Consiglio europeo) e delle proposte attualmente all'esame delle Istituzioni. Cerco, mentre i pargoli gialli ringraziano, con impeto ultroneo, per il pane quotidiano, di passare in rassegna i principali punti critici che da questi documenti emergono.

 

1) Asilo.

Non c'e' documento o decisione che non ribadisca la assoluta necessita' di rispettare il diritto d'asilo come stabilito dalla Covenzione di Ginevra del 1951 e dal Protocollo di New York del 1967. In piu', si riconosce come sia necessario prevedere misure di protezione anche per soggetti la cui situazione non corrisponda a quella del rifugiato come descritta dalla Convenzione di Ginevra e come i singoli Stati possano riconoscere un diritto di asilo piu' ampio, sulla base delle rispettive norme costituzionali. In contraddizione con questo riconoscimento, tuttavia, vanno (o sono andati) progressivamente rafforzandosi tre orientamenti:

a) Un'interpretazione restrittiva della Convenzione di Ginevra; in particolare, riguardo al problema dell'agente di persecuzione.

Secondo la Posizione comune sulla interpretazione armonizzata della definizione del termine "rifugiato" (G.U. 13/3/96), perche' la persecuzione sia rievante e' necessario che ad effettuarla siano i pubblici poteri ovvero che questi la tollerino o assumano, in merito, un atteggiamento passivo. Vengono cosi' a essere esclusi quei casi in cui la persecuzione sia esercitata da un potere diverso (esempio: terroristi) e i pubblici poteri risultino incolpevolmente privi della capacita' di contrastarla.

b) Il rinvio del richiedente asilo nel cosiddetto paese terzo ospitante sicuro.

Il principio alla base di questo comportamento (vedi risoluzioni del Consiglio del dicembre '92 e del giugno '95) puo' a grandi linee essere sintetizzato come segue: se un paese aderente alla Convenzione di Ginevra ha autorizzato o tollerato un soggiorno di congrua durata sul proprio territorio, senza che il richiedente presentasse li' domanda di protezione, il problema della protezione stessa e' affare che riguarda il richiedente e quel paese (da cui l'espressione "mandare il richiedente a quel paese").

La faccenda presenta due aspetti preoccupanti: il primo e' legato al fatto che, in mancanza di convenzioni o accordi internazionali, non e' garantito che il paese terzo sia disposto a riaccogliere e ad esaminare la domanda di asilo dello straniero. Piu' precisamente, la garanzia c'e' (disciplinata dala Convenzione di Dublino) nell'ambito dell'Unione europea, ma non in caso di rinvio in paese non appartenente all'Unione.

Il secondo aspetto riguarda la distinzione tra asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra (d'ora in avanti, "ginevrino") e asilo ai sensi della Costituzione (d'ora in avanti, "costituzionale"). La distinzione non e' affatto questione di lana caprina, giacche' l'asilo ginevrino spetta solo a chi tema di essere perseguitato, mentre l'asilo costituzionale puo', per certi paesi (ad esempio, l'Italia), coprire soggetti che fuggano da pericoli o limitazioni della liberta' molto piu' generali (una situazione di violenza generalizzata, ad esempio). Il rinvio di un richiedente asilo in altro Stato sulla semplice base della considerazione che tale Stato prevede l'asilo ginevrino non tutela evidentemente l'eventuale bisogno di asilo costituzionale. Lo Stato terzo potrebbe, cioe', riaccogliere temporaneamente lo straniero ma negargli, subito dopo, la protezione richiesta, in nome del fatto che le ragioni poste alla base della domanda non rientrano nell'ambito ginevrino. La cosa e' complicata dal fatto che si pretende di individuare l'esistenza di un eventuale paese terzo sicuro prima di qualunque esame di merito della domanda, mentre, da quanto detto, e' evidente come il fatto che un paese terzo sia o meno "sicuro" (disposto, cioe', ad accordare protezione) dipenda proprio dalla situazione specifica denunciata dal richiedente.

c) L'imposizione di oneri e sanzioni a carico del vettore che trasporti stranieri da respingere alla frontiera.

Piu' precisamente, gli Stati membri dell'Unione europea si impegnano (articolo 26 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen) ad adottare disposizioni che impongano l'onere del riconducimento dello straniero respinto nel paese di destinazione e che introducano sanzioni a carico del vettore che trasporti stranieri privi dei documenti richiesti per l'ingresso. Una previsione di questo genere (recepita - per inciso - dalla legislazione italiana) puo' interferire pesantemente con l'esercizio del diritto d'asilo: di fronte ad uno straniero privo degli ordinari requisiti per l'ingresso (ad esempio, il passaporto) il vettore, piuttosto che rischiare di incorrere in sanzioni e oneri, preferirebbe - e di fatto preferisce - non prenderlo a bordo. Ne' la situazione e' temperata dal riconoscimento di come il richiedente asilo sia esonerato dal possesso degli ordinari requisiti per l'ingresso: non e' detto che il nostro straniero riesca a farsi considerare richiedente asilo; potrebbe restare, infatti, intrappolato nelle maglie del pre-esame e veder considerata la propria domanda inammissibile o manifestamente infondata. In questo caso, in linea di principio, al vettore potrebbero toccare oneri e sanzioni in quantita' industriali. Non essendo la tutela dei diritti dell'uomo in cima ai pensieri del vettore, il calcolo (detto, per ovvie ragioni, "calcolo vettoriale") e' presto fatto, e l'aspirante richiedente rimane a terra.

Il risultato netto e' che al vettore viene assegnato impropriamente un ruolo a meta' strada tra quello della polizia di frontiera e quello della Commissione centrale per l'asilo, e che, stante il rigore con cui tale ruolo viene sostenuto, allo straniero non resta che rivolgersi allo scafista (piu' tollerante sul piano del diritto, ma meschino ed esoso quanto a servizi offerti).

Accanto ai pericoli associati a questi tre orientamenti attivi, merita di essere sottolineato, infine, anche quello derivante dalla lacunosita' di un altro orientamento - di per se' positivo. Mi riferisco all'intenzione (Proposta di azione comune, presentata dalla Commissione al Consiglio il 20/3/97) di introdurre misure per il riconoscimento di un regime di protezione temporanea in caso di esodi di massa. La cosa potrebbe somigliare da vicino - almeno riguardo alla fuga da situazioni di violenza generalizzata - al riconoscimento del "diritto costituzionale", se non fosse per il fatto - e questa e' la lacuna - che l'idea e' quella di far scattare le misure solo in caso, appunto, di arrivi di massa. Resterebbe cosi' priva di protezione la situazione di chi, in solitudine, chieda di essere accolto sulla base delle stesse ragioni che in altri momenti hanno causato o causeranno un esodo di massa. C'e' da dire che la definizione di criteri comuni per il riconoscimento di una tale protezione su base individuale e' tra gli obiettivi del processo di armonizzazione (vedi il Piano d'azione del Consiglio e della Commissione del 7/12/98), ma e' considerato un obiettivo di medio termine, quelo relativo agli esodi di massa essendo invece ritenuto urgentissimo.

Qui la mattinata autunnale si e' trasformata in un pomeriggio invernale. Gran parte dei pargoli gialli e' stata ormai fatta fuori dai fulmini, e con essa i gitanti esternatori. Ma diluvia, e il ritrovato silenzio non basta a compensarmi dei reumatismi. Vado cosi' a svernare a valle. Nel tempo della mia transumanza avrete agio di riflettere su quale possa essere la filosofia che si nasconde dietro queste tendenze. Potremo cosi' confrontare le rispettive conclusioni.

...

Ecco, sono transumato e vi dico qual'e' la mia impressione.

A fronte di una dichiarazione molto solenne del valore del diritto d'asilo, in realta' le Autorita' sono, in realta', molto piu' attente ai costi che derivano dall'accoglimento degli stranieri da proteggere. In linea di principio questa attenzione potrebbe trovare giustificazione nel fatto che il rispetto delle liberta' della persona e' estremamente precario in moltissimi e popolosissimi paesi, e se tutti coloro che soffrono limitazioni gravi della lberta', cosi' come concepita in Europa, chiedessero protezione i nostri Stati affonderebbero sotto il peso dei rifugiati. In realta', accanto al problema potenziale del numero molto elevato di domande d'asilo proprie vi e' quello, attuale, del numero molto elevato di domande abusive - domande presentate, cioe', al mero scopo di ottenere titolo a soggiornare in uno degli Stati membri. Quest'ultimo problema non deriva - come certe volte si tenta di far credere - da una tendenza innata alla frode di quanti hanno avuto natali fuori dal territorio dell'Unione, ma piuttosto - come cerchero' di argomentare al punto 2 - dalla assoluta inesistenza di alternative legali valide per l'immigrazione per motivi economici.

Piuttosto che in una apertura di canali legali di immigrazione capaci di alleggerire quello dell'asilo, la preoccupazione delle Autorita' si traduce nell'introduzione - esplicita o tacita - di meccanismi di frizione che calmierino il numero dei richiedenti e, a fortiori, dei fruitori del diritto. Naturalmente non vi e' alcuna garanzia, per questa strada, che quanti arrivano a godere di protezione siano effettivamente coloro che ne avevano maggior bisogno. Il meccanismo, anzi, e' tale da selezionare - semmai - i soggetti piu' forti e abili (accanto a un certo numero di persone che di protezione non avrebbero alcun bisogno).

La soluzione dovrebbe invece essere ricercata - come anticipato - in un ripensamento della politica relativa agli stranieri in arrivo in Europa che dia - per cosi' dire - all'immigrazione quello che e' dell'immigrazione e all'asilo quel che e' dell'asilo. Ne parliamo nel prossimo punto.

 

2) Immigrazione.

Fino ad oggi, la soft-law europea ha riguardato principalmente il problema del controllo delle frontiere (a mo' di difesa dall'immigrazione illegale) e quello delle espulsioni. Un'enfasi particolare e' data anche, a livello di dichiarazione di intenti, alla necessita' di favorire i processi di integrazione degli immigrati legalmente residenti. In mancanza della definizione dei criteri di ammissione degli immigrati, si tratta quindi di una politica attenta agli immigrati (participio passato) piuttosto che ai migranti (participio presente): una politica che compie sforzi immani per separare il grano degli immigrati legali dalla zizzania degli immigrati illegali, e che, completata la pulizia, classifica automaticamente come zizzania ogni migrante che diventi immigrato, rendendo necessaria una nuova bonifica. Senza fine.

Per dire la verita', una buona dose di attenzione e' stata prestata, di recente, al problema dei criteri di ammissione. La Proposta relativa a una convenzione sulle norme di ammissione, presentata al Consiglio dalla Commissione il 30/7/97, presenta infatti un quadro dettagliato di tali norme. Si tratta pero' di un'attenzione capace di far rimpiangere il primiero disinteresse. Vediamo perche', passandone in rassegna gli elementi piu' censurabili.

a) L'ingresso per lavoro subordinato e' consentito solo allo straniero chiamato da un datore di lavoro, con un contratto di durata non inferiore a un anno, per una posizione lavorativa per la quale sia stata accertata l'indisponibilita', nel territorio dello Stato membro, di lavoratori comunitari o stranieri regolarmente soggiornanti per lavoro, nonche' quella, nel territorio dell'Unione europea, di stranieri soggiornanti a titolo duraturo. Anche il rinnovo del permesso e' condizionato all'esistenza di un contratto di lavoro e all'accertamento di indisponibilita'.

E' evidente che chi ha scritto questa proposta e' un cultore delle sanatorie. Queste disposizioni infatti costituiscono un distillato della bestiale applicazione che e' stata data, dal 1987 a oggi, alla legislazione italiana in materia e che, ostacolando oltre misura l'incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro, ha reso indispensabili, per l'appunto, tre imponenti sanatorie.

b) E' consentito l'ingresso per lavoro stagionale, a condizioni analoghe - durata del contratto a parte - a quelle appena riportate, ma senza alcna possibilita' di stabilizzare la condizione di soggiorno in presenza di una opportunita' di lavoro con contratto a lungo termine.

c) L'ingresso per lavoro autonomo e' consentito allo straniero che abbia mezzi sufficienti per intraprendere l'attivita' prescelta (e fin qui niente di male), ma solo a condizione che tale attivita' possa avere - badate bene - effetti positivi sull'occupazione. Il rinnovo del permesso e' condizionato all'effettiva occorrenza di tali effetti. L'attivita' presa in considerazione e' quindi solo quella imprenditoriale di livello medio alto. Niente e' previsto esplicitamente per la prestazione di servizi, essendo rinviata a un successivo accordo tra le Parti contraenti la disciplina di questa particolare attivita' (di grande rilievo per i lavoratori stranieri - si pensi al proverbiale giardiniere che ha spadroneggiato nel dibattito sulla regolarizzazione in corso).

d) Gli studenti possono si' svolgere modeste attivita' lavorative che non intralcino il corso di studi, ma non hanno alcuna possibilita' di convertire, al termine del corso, il permesso di soggiorno in un permesso per lavoro; ne' ce l'hanno gli stranieri ammessi per svolgere un tirocinio.

e) Salve limitate eccezioni (da lavoro autonomo a lavoro subordinato e viceversa, e in caso di scioglimento del vincolo familiare che aveva motivato il rilascio di un permesso per motivi familiari), non e' consentita la conversione dei permessi di soggiorno. Il permesso e' poi revocato in caso di assenza dallo Stato ospitante di durata superiore a un trimestre per anno, e per pervenire all'equivalente di una carta di soggiorno (di durata non inferiore a dieci anni) lo straniero deve maturare un periodo di soggiorno regolare di durata compresa tra i cinque e i nove anni, a seconda del tipo di permesso posseduto.

Questi elementi risentono di un'impostazione di tipo protezionistico che puo' essere cosi' schematizzata: il valore primario da difendere e' la condizione del lavoratore nazionale. Per evitare che questa possa deteriorarsi si aborrisce la libera concorrenza tra i lavoratori nel mercato del lavoro e si protegge la quantizzazione tanto del salario quanto della quantita' di lavoro scambiata - il concetto, cioe', di "posto di lavoro", con un numero di ore di lavoro e un salario non inferiori a certi fissati minimi. Questo, se da una parte garantisce il lavoratore (occupato) nazionale, dall'altra produce bacini di disoccupazione: non tutti coloro che vorrebbero lavorare possono lavorare. Creato il disoccupato, il sistema, preso dai rimorsi, ostenta apprensione per la sua situazione; il lavoratore straniero e' ammesso cosi' solo come supplente del lavoratore nazionale, nei casi - sporadici - in cui un particolare settore del mercato del lavoro non registri offerta di lavoro, a dispetto della presenza di lavoratori, occupati o disoccupati, nazionali.

Al lavoratore straniero e' richiesto, in altri termini, di dimostrare costantemente di non essere un potenziale concorrente del disoccupato nazionale. La cosa - recepita perfino dall'iconografia solidaristica nostrana ("fanno solo i lavori che gli italiani non vogliono fare") - e' paradossale, dal momento che la vera causa del disagio del disoccupato nazionale risiede proprio nel fatto che a lui, in primo luogo, e' impedito di entrare in concorrenza con il lavoratore nazionale occupato.

Notate che se, invece di acquisto e vendita di lavoro, si trattasse si acquisto e vendita di auto o - che so io - di materassi a molle, sarebbe evidente a tutti come l'ostacolare la concorrenza portata dai venditori esterni al mercato nazionale (l'atteggiamento protezionistico), pur salvaguardando la condizione dei venditori nazionali, porti ad uno spreco di risorse per l'intera societa' tale da rendere indiscutibilmente preferibile un sistema che liberalizzi invece la concorrenza e compensi, con opportuni sussidi, i venditori nazionali da questa danneggiati.

Vi e', in questa alternativa tra una politica di chiusura del mercato e una di apertura temperata da sussidi compensativi, il nodo della questione di come l'Unione europea si pone non solo di fronte ai lavoratori stranieri, ma anche di fronte ai giovani (che, se non possono essere espulsi come i primi, possono pero' essere comunque tenuti ai margini delle attivita' produttive). Si tratta di scegliere tra la via di uno sviluppo partecipato e quella di una conservazione dello statu quo (chi c'e' c'e', chi non c'e' non c'e'). L'Europa sembra voler scegliere questa seconda via. A me sembra la strada dell'estinzione (se il lavoro a basso costo non va verso i capitali, i capitali andranno verso il lavoro a basso costo...). In ogni caso, riguardo all'immigrazione, fa si' che sia data enfasi alla lotta contro la clandestinita', e che, in manccanza di altre strade, agli stranieri non resti che appellarsi alla tutela di diritti (l'asilo) che poco hanno a che fare con la loro situazione effettiva: e' la risposta notarile ad un atteggiamento notarile. Con le conseguenze descritte al punto 1.

 

3) Conclusioni.

In questi anni, in Italia, e' stato svolto un lavoro di lobbying discretamente efficace su immigrazione e asilo. Molto dovrebbe essere ancora fatto per portarne a maturazione i frutti. Ora pero' ci accorgiamo che stanno smantellando l'impianto di irrigazione generale al quale abbiamo allacciato quello del nostro terreno. Sull'irrigazione - d'altra parte -, grazie anche ai tanti errori commessi dalle nostre parti, avremmo la nostra da dire. Dobbiamo tacere? Direi di no. E allora con chi parlarne? E con quali soggetti europei collegarci? A queste domande non so rispondere. C'e' qualcuno che sa rispondere?

Resto in attesa.

Cordiali saluti

sergio briguglio