Immaginate che il Ministro della sanita' emani un decreto del tipo: "Dal
momento che e' cessata l'epidemia di colera, non solo dichiaro cessata
l'emergenza e ordino di smantellare i padiglioni speciali istituiti negli
ospedali, ma stabilisco che qualunque paziente si presenti al pronto
soccorso - con o senza sintomi di colera - sara' sottoposto alle ordinarie
cure previste per il ginocchio della lavandaia".
Ne chiederemmo il ricovero, con o senza ginocchio della lavandaia.
Ora, forse per non farci sentire la mancanza del simpatico ministro
Napolitano, che, in nome del giusto equilibrio tra severita' e accoglienza,
un anno fa piazzava profughi e immigrati in comodi e soleggiati locali in
lamiera, ieri il Ministero dell'interno ha annunciato che, essendo finita
la guerra nei Balcani, quanti, da oggi in poi, arriveranno in Italia
provenendo da quel territorio non saranno piu' considerati meritevoli di
protezione temporanea, ma rientreranno nella piu' adeguata categoria dei
clandestini, e saranno prontamente respinti alla frontiera.
In linea di principio non desta orrore il fatto che si dichiari conclusa
una fase di emergenza, dal momento che la guerra ha effettivamente avuto
termine. C'e' da augurarsi - ma puo' darsi che le notizie di stampa siano
semplicemente imprecise a riguardo - che tale conclusione - comportando la
cessazione dell'applicazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri - sia sancita da qualcosa di un po' piu' solenne di un comunicato
stampa del Ministero.
Nell'attesa, comunque, vale la pena fare osservare quanto segue.
1) Cessata la fase di emergenza, il quadro di riferimento resta quello
delle norme "a regime". Tra queste le piu' rilevanti in materia sembrano
essere, piuttosto che quelle sul respingimento e sulla detenzione nei
centri di custodia, l'articolo 1 della legge 39/90 e l'articolo 19 del
Testo unico delle disposizioni sull'immigrazione.
L'articolo 1 della legge 39 stabilisce che qualunque domanda d'asilo sia
presentata in Italia, anche da straniero privo dei documenti usualmente
richiesti per l'ingresso, sia esaminata. Si deroga a questa disposizione
solo in caso di inammissibilita' della domanda, che puo' sussistere o in
relazione alla grave pericolosita' del richiedente, o perche' il
richiedente e' stato gia' riconosciuto rifugiato da altro Stato, o perche'
lo stesso ha trascorso un congruo periodo di tempo in uno Stato "sicuro"
(che aderisca cioe' alla Convenzione di Ginevra) senza chiedere li' asilo.
Nessuna di queste tre condizioni si applica - in via generale - ai Rom che
oggi sbarcano sulle nostre coste: la pericolosita' e' questione che ha a
che fare col comportamento ed i trascorsi del singolo; nessuno di loro e'
stato probabilmente riconosciuto come rifugiato altrove; provengono tutti
direttamente dal Paese dove sostengono di rischiare la persecuzione, ovvero
dall'Albania (che, certo, per un Rom mal visto dalla popolazione di etnia
albanese non puo' oggi essere considerato un paese sicuro).
L'articolo 19 del Testo unico afferma un principio ancora piu' forte: che
chieda o meno asilo in Italia, che sia o meno pericoloso, che venga o meno
da un paese che aderisce alla Convenzione di Ginevra, in nessun caso uno
straniero puo' essere espulso o respinto verso uno Stato in cui "possa
essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua,
di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un
altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione". E che i Rom o
qualsiasi altra persona che arrivi oggi in Italia provenendo dai Balcani
corrano rischi di persecuzione non lo si puo' escludere sulla base della
semplice conclusione della guerra. Le tensioni e i rischi permangono.
Abbiamo mandato per questo i nostri soldati, ed e' evidente che non sempre
i loro sforzi sono sufficienti (si veda l'episodio riferito recentemente da
Laura Boldrini, dell'ACNUR, sui serbi trovati carbonizzati).
2) Quand'anche l'Amministrazione vigilasse attentamente sull'applicazione
delle disposizioni citate, e procedesse, esclusa la necessita' di qualunque
forma di protezione, al respingimento o all'espulsione degli stranieri
giunti in Italia, non si dovrebbe ritenere che essa abbia assolto a tutti i
compiti che le incombevano. Bollare gli stranieri in questione come
clandestini avrebbe infatti un senso preciso se il loro modo di giungere in
Italia non fosse altro che un tentativo di aggirare le giuste procedure
previste dalla legge per l'ingresso, danneggiando cosi' quanti invece a
queste procedure si attengano. In Italia pero' non esiste - l'avro'
ripetuto mille e trecento volte in questi ultimi sette anni - alcuna
possibilita' di migrazione legale per lavoro.
La nuova legge offre al Governo - come del resto la vecchia offriva - gli
strumenti per ammettere flussi legali per lavoro nel nostro paese.
L'articolo 23 del Testo unico, per di piu', consente di ammettere flussi
per ricerca di lavoro - senza, cioe' che il lavoratore sia chiamato da un
datore di lavoro cui qualcuno abbia svelato nottetempo, come vorrebbe
Turandot, "il nome dello straniero".
Questa disposizione e' in vigore da quasi sedici mesi. Il Governo non l'ha
ancora utilizzata. Il motivo? Dovrebbero essere istituite delle liste, nei
consolati, in cui i lavoratori stranieri possano iscriversi, prenotandosi
per venire in Italia. Ma il Ministero degli affari esteri non ha voglia di
farle. I suoi funzionari, come e' noto, sono sottopagati (rispetto a Del
Piero), e rischierebbero una sindrome da stress. Il Ministero del lavoro,
dal canto suo, ritiene che la cifra di seimila lavoratori potrebbe
costituire una quota appropriata per il 1999 (al Ministero del lavoro gli
spaghetti, da quando non c'e' Bassolino, li preferiscono evidentemente,
senza salsa di pomodoro, oppure pensano di andare loro stessi a raccogliere
i pomodori). Al Ministero dell'interno, infine, dopo aver sperperato un
patrimonio ragguardevole di competenze, se la prendono calma, dato il
pericolo di essere beccati dall'autovelox.
3) Il comunicato del Viminale e' accompagnato da una precisazione: quanti,
per incancrenita fiducia nello Stato italiano, oseranno arrivare con i
traghetti di linea, verranno rispediti indietro immediatamente, con il
traghetto medesimo; quanti invece usufruiranno dei servigi degli scafisti
saranno respinti solo dopo un certo periodo di trattenimento negli appositi
centri (oggi non piu' in lamiera), e potranno cosi' beneficiare - aggiungo
io - di forme minime di tutela giurisdizionale.
Questa precisazione, da un punto di vista puramente formale, si limita a
descrivere i contenuti della normativa vigente, ed e' difficilmente
censurabile. Su un piano sostanziale, pero', costituisce l'ennesima
benedizione del lavoro degli scafisti.
Personalmente sono convinto che gli scafisti non siano affatto dei mercanti
di carne umana, ma dei semplici figli di mignotta, e un riconoscimento
cosi' autorevole del ruolo da essi svolto a sostegno di politiche piu'
aperte di immigrazione e asilo non puo' che farmi piacere. Resto pero'
convinto che debbano restare uno strumento residuale al quale lo straniero
possa fare ricorso in casi estremi. Cosi', invece, li si promuove al rango
di dispositivo di ingresso piu' conveniente, col risultato di far salire
anche i prezzi del servizio.