La convenzione dell’ONU sui lavoratori migranti:

prospettive d’impegno a 10 anni di distanza

di Franco Pittau, Caritas di Roma/Dossier Statistico Immigrazione

 

 

 

Sette anni fa le organizzazioni dell’area ecclesiale operanti nell’immigrazione su iniziativa della Federazione delle Chiese Evangeliche, organizzarono presso la Facoltà Teologica Valdese un convegno dedicato alla Convenzione ONU del 18 dicembre 1990 sui diritti dei migranti, dopo un lavoro preparatorio che si protrasse per più di 10 anni, da novembre 1969 a dicembre 1990.

Presiedette i lavori il compianto Padre Bresciani, grande figura di apostolo tra i migranti; fu relatore scientifico il prof. Giovanni Kojanec, che aveva seguito per l’Italia i lavori preparatori della convenzione.

Fu quella una iniziativa opportuna, tempestiva e carica di significato perché si proponeva di sollecitare la disponibilità dei paesi di immigrazione, e in particolare di quelli europei, alla firma della convenzione. Lasciava ben sperare il fatto che il Governo Andreotti, all’inizio del 1992, avviasse le procedure di ratifica sollecitate anche in una mozione approvata dalla Camera dei Deputati il 21 gennaio 1993. In tal senso si era espressa anche la Giunta Regionale della Toscana nella decisione n.11 del 21 settembre 1992.

Alla ratifica, in concreto, non si è proceduto neppure, negli anni successivi, perché la normativa italiana, fino all’approvazione della legge 40/1998, non conteneva quei livelli di tutela richiesti dalla convenzione. E così non hanno avuto successo le iniziative svolte per caldeggiare il recepimento di quello strumento internazionale.

Anche negli altri paesi dell’Unione Europea non hanno firmato la convenzione, che pertanto non è entrata in vigore, abbisognando quanto meno di 20 strumenti di ratifica. Nove sono gli Stati che hanno approvato o ratificato la convenzione: Bosnia-Herzegovina, Capo Verde, Colombia, Egitto, Marocco, Filippine, Seychelles, Sri Lanka e Uganda.

Una forte resistenza è emersa nell’ambito degli altri paesi industrializzati, perché la ratifica comporta il recepimento di contenuti nuovi, l’adeguamento della normativa interna e una lotta più decisa allo sfruttamento dell’immigrazione irregolare unitamente ad una maggiore tutela dei soggetti coinvolti in questi flussi.

Anche in questo caso, come in precedenza per altri accordi, la mancanza di adesioni rischia di rendere storicamente inoperanti i progressi compiuti in materia di diritto internazionale e di farli incidere scarsamente sulle modifiche legislative interne.

Tutto ciò è drammaticamente contraddittorio perché da una parte la convenzione non ha perso per niente le sue virtualità operative e, dall’altra, il nuovo contesto migratorio è andato sviluppandosi in maniera così convulsa, frammentata e problematica da abbisognare ancora di uno strumento giuridico internazionale applicabile su scala mondiale.

Le migrazioni dei popoli, e la loro connessione con la salvaguardia dei diritti umani fondamentali, costituiscono per loro stessa definizione una realtà che supera l’ambito di operatività del potere legislativo di singole nazioni o la stipula di accordi bilaterali, e abbisognano invece di adeguati strumenti internazionali. Le vie seguite, a livello europeo dal Consiglio d’Europa e dalla Comunità europea e a livello mondiale dall’OIL e dall’ONU, hanno trovato a livello concettuale un complemento indispensabile con la convenzione del 1990 sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei loro familiari.

Per individuare le linee di un fruttuoso impegno operativo conviene, perciò, soffermarsi sulle esigenze dell’attuale contesto delle migrazioni internazionali e sulle risposte che può dare la Convenzione ONU sui lavoratori migranti.

 

Caratteristiche dell’attuale contesto migratorio.

La dimensione del fenomeno migratorio nel corso degli anni ’90 è andata assumendo sempre maggiore importanza, tanto da farne uno dei più rilevanti problemi su scala mondiale: non esiste ormai paese al mondo che non ne sia toccato.

Questa mobilità, che nel corso della storia è stata fonte di scontri ma ancor di più di confronto e di stimolo, non riesce a svilupparsi in condizioni di accettabile normalità.

Da un lato, nella maggior parte dei paesi del mondo, la situazione di sottosviluppo opera come una causa permanente di pressione migratoria. Rispetto al passato, pur in presenza di qualche innegabile ma limitato progresso, si è allentato l’impegno per l’aiuto dei paesi più poveri, un dovere accantonato con il pretesto dell’aggiustamento dei conti interni e della priorità dei propri problemi sociali. Eppure, come ha detto l’ambasciatore Nino Falchi nella sua bella e poco citata ricerca edita nel 1995 dall’O.I.M., dal titolo "International Migration Pressure", la pressione migratoria rischia così di trasformarsi in una vera e propria bomba migratoria.

D’altro lato, ad appesantire un contesto della mobilità, già così precaria, si aggiungono i movimenti forzati di popoli per ragioni etniche, religiose, politiche. In questo modo non solo vengono alimentati i flussi dei richiedenti di asilo e di profughi, come sta avvenendo nei Balcani, ma gli strascichi sono tali da generare per anni dalle aree coinvolte, un esodo consistente e in gran parte inarrestabile con grave pregiudizio di un ordinato governo dei flussi.

a) Il contesto dell’Unione Europea

I paesi dell’Unione Europea, dopo decenni di impostazioni nazionalistiche, hanno iniziato a trovare una certa via di intervento unitario per quanto riguarda le politiche migratorie, prima con la convenzione di Schengen e il Trattato di Maastrich e ultimamente, in maniera più vincolante (e tra 5 anni anche a maggioranza semplice), con il trattato di Amsterdam, mentre per quanto riguarda i richiedenti asilo trova applicazione la convenzione di Dublino

Si tratta, però in prevalenza di una sorta di "unità ad excludendum", per controllare meglio le frontiere ed espellere, più che per una vera politica dei flussi, obiettivo che implica anche una loro accettazione. In un contesto così restrittivo, non manca di apparire singolarmente avanzata la nuova legge italiana sull’immigrazione (n. 40/1998), per il fatto di essere improntata ad alcuni ragionevoli criteri di apertura.

Con i paesi di partenza i rapporti instaurati dai paesi di immigrazione sono, poi, tutt’altro che sufficienti.

Si vorrebbe vedere operare i paesi poveri come gendarmi di quelli più ricchi, per impedire i flussi irregolari di loro cittadini e di altri che transitano sul loro territorio e riprendersi senza storie quanti vengono espulsi: non a caso l’attività diplomatica più intensa è stata indirizzata alla stipula di accordi di riammissione. Tutto ciò mostra che si è ancora agli inizi per quanto riguarda una cogestione dei flussi tenendo conto degli specifici interessi dei paesi di accoglienza e di quelli di partenza, attribuendo anche a questi ultimi pari dignità, riconoscendo le loro specifiche esigenze e stanziando maggiori risorse per soddisfarle.

Intanto, in questo scenario di scarsa comunicabilità tra le due sponde del benessere, non solo sono aumentati nell’Unione Europei gli immigrati regolari (da 14 a circa 18 milioni nel corso degli anni ’90) ma sono anche andati proliferando i traffici clandestini di manodopera in una misura prima sconosciuta e di rilevante latitanza politica.

Questi traffici sono quanto di peggio si possa immaginare perché asservono il diritto di spostarsi e di lavorare come uomini liberi agli interessi di organizzazioni criminali e violente, come anche rischiano di pregiudicare fin dall’inizio gli itinerari di integrazione e non di rado di guadagnare manovalanza alla criminalità.

b) Il contesto mondiale

Non meno insoddisfacente è la situazione statistica dell’ONU relativa al 1990, si può stimare che circa 130 milioni di persone vivono in paesi diversi dal proprio secondo questa ripartizione continentale: Asia 35,9%, Europa 20,9%, America del Nord 20,0%, Africa 13,1%, America Latina 6,2% e Oceania 3,9%. Tra di essi i rifugiati e le categorie assimilate di competenza dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati sono più di 20 milioni.

Nella maggioranza dei casi non si tratta di spostamenti per libera scelta bensì dettati dalla necessità di sfuggire a situazioni di guerra o di disordine civile o di trovare terra da coltivare o semplicemente un lavoro per sopravvivere.

Mentre sono andati aumentando i movimenti migratori è andata diminuendo la disponibilità alla loro accoglienza, con situazioni di aperta ostilità e rifiuto e violazione dei loro diritti, a meno che non si tratti di categorie che godono di una protezione legale (rifugiati, lavoratori regolari, studenti). Al riguardo è stato giustamente osservato che la disgregazione sociale indebolisce il rispetto dell’autorità delle legge.

E’ in questo contesto che dev’essere inquadrata la Convenzione ONU sui lavoratori migranti e sui loro familiari.

Risposte che possono venire dalla convenzione ONU sui lavoratori migranti

Se questo è lo scenario attuale delle migrazioni, quale soccorso si può trovare nella trascurata convenzione dell’ONU sui diritti dei migranti?

a) Verso uno standard internazionale di protezione

Il primo grande messaggio della Convenzione ONU è che il migrante, prima ancora di essere destinatario di normative repressive, o essere considerato una forza lavoro o entità economica, è un soggetto di diritti fondamentali. Questi diritti vanno individuati tenendo conto che le migrazioni sono un processo da prendere in considerazione nel suo complesso.

Il secondo grande messaggio della Convenzione ONU è che l’elaborazione giuridica non si esaurisce a livello di enunciati concettuali, ma deve inglobare in maniera sempre più sostanziale la fase applicativa.

b) Anche i migranti irregolari soggetti dei diritti.

La Convenzione rappresenta, insomma, una forte appello all’impegno per una maggiore protezione dei diritti dei migranti e attesta che è responsabilità della comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite, provvedere a adeguate misure di protezione.

La Convenzione stabilisce standard internazionali di protezione attraverso l’elaborazione di particolari diritti umani dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, standard che serviranno anche da base per sostenere i diritti umani di altre categorie di sradicati a rischio.

La Convenzione inoltre, si propone di favorire la prevenzione e l’eliminazione dello sfruttamento di tutti i lavoratori migranti nell’ottica di superare situazioni di illegalità, clandestinità e irregolarità.

Vediamo innanzi tutto la portata innovativa di questo strumento internazionale per quanto riguarda il binomio "migrante — soggetto di diritti".

La convenzione dell’ONU ribadisce che le persone implicate nei flussi migratori, anche se in prevalenza si spostano per motivi economici, sono soggetti di diritti fondamentali e perciò inalienabili, come del resto in precedenza sancito da altre convenzioni internazionali e dalla stessa Corte costituzionale. L’ispirazione di base della Convenzione dev’essere riferita alla indivisibilità dei diritti dell’uomo tra i quali vanno inclusi sia quelli civili e politici sia quelli economico-sociali.

In altre parole, i diritti dei migranti sono diritti umani. Il migrante risulta essere così un’identità sociale, che ha dei legami familiari e che, è inserito in una politica di integrazione imperniata sull'uguaglianza di trattamento e coroborata dall’attuazione di una serie di misure positive. Il migrante, che lascia il suo stato di origine, è un soggetto vulnerabile del quale il diritto internazionale non può non cercare di farsi carico in maniera sempre più adeguata.

E’ coerente con questa impostazione il fatto che la Convenzione dell’ONU attribuisca dei diritti, seppure in misura differenziata, a tutti i lavoratori migranti e ai loro familiari a prescindere dalla titolarità o meno di una autorizzazione sulla base delle normative nazionali. Infatti la definizione di lavoratori migranti, che non per niente è risultata molto laboriosa, è quanto mai ampia e include "le persone che eserciteranno, esercitano o hanno esercitato un’attività retribuita in uno Stato di cui non sono cittadini".

Un altro aspetto innovativo della convenzione consiste nel prendere in considerazione tutte le fasi del processo migratorio, dai preparativi fino al rientro, individuando per ogni fase quali sono i diritti da tutelare. E’ questo il primo strumento internazionale a livello mondiale, che è imperniato su una visione globale del problema.

A tutti i lavoratori migranti, e ai loro familiari, quindi anche a quelli in situazione irregolare, vengono garantiti i diritti dell’uomo, definizione tutt’altro che nominalistica perché comporta (art. 8-35):

- sia l’attribuzione in positivo di una molteplicità di diritti riguardanti: lo spostamento, la vita, la libertà di coscienza di religione e di espressione, la libertà e la sicurezza personale, l’accesso alla tutela consolare, la personalità giuridica, la partecipazione associativa per difendere gli interessi economici, sociali e culturali, le cure mediche urgenti, l’identità culturale, l’accesso all’educazione, il trasferimento dei propri risparmi.

- sia una serie di divieti intesi a evitare ogni tipo di asservimento: in materia di lavoro (schiavitù, lavoro forzato e obbligatorio); di interferenze arbitrarie o illegali; di privazione arbitraria dei beni; di detenzione (che dev’essere risocializzante e perciò ispirata ai principi umanitari); di trattamento giudiziario, di pena e di detenzione; di sequestro e distruzione dei documenti personali; di espulsione collettiva; di trattamento discriminatorio in materia di lavoro e di previdenza rispetto agli autoctoni.

Gli unici limiti, cui è soggetta questa ampia e generalizzata attribuzione di diritti, sono i seguenti:

- da una parte il contenuto della convenzione non dev’essere inteso come l’equivalente di una sanatoria (art. 35), salvo restando l’impegno a recuperare le situazioni di irregolarità anche mediante la possibilità di regolarizzazione (art. 69).

- d’altra parte anche il soggetto beneficiario di tali diritti è obbligato a conformarsi alla normativa dello stato ospitante (art. 34).

Ovviamente la regolarità è una situazione incentivante dei diritti.

Merita essere sottolineato che il migrante sprovvisto di autorizzazione al soggiorno viene definito irregolare ma non illegale, essendo questa una qualifica la cui attribuzione spetta più propriamente all’istanza giudiziaria.

c) Tutela più pregnante dei migranti regolari.

Secondo la convenzione ONU i lavoratori migranti e i loro familiari che si trovano in situazione regolare, oltre ai diritti dell’uomo spettanti ad ogni persona, godono di ulteriori diritti da ritenersi per l’appunto specificamente connessi con la loro situazione di regolarità (art. 35-36):

Questa parte della Convenzione è di grande interesse perché non solo delinea in positivo ulteriori livelli di tutela, ma sul piano concettuale porta ad avvicinare la figura del migrante a quello del cittadino e impegna gli Stati a rispettare il principio della dignità umana nella regolamentazione delle condizioni di vita e di lavoro dei migranti in situazione regolare (art. 70).

Una serie di diritti è maggiormente centrata sul migrante come lavoratore ospite (libera circolazione, assenze temporanee, uguaglianza di trattamento, ricongiungimento familiare, scolarizzazione dei figli, insegnamento della lingua e cultura materna, trattamento fiscale, ricerca del lavoro, espulsione) mentre altri lo configurano come cittadino (diritto a partecipare alle elezioni dello Stato di origine, diritto a strutture di consultazione e di rappresentanza e, dove previsto, diritto di partecipazione alla vita politica; diritto di partecipazione alla vita culturale). Il ricongiungimento familiare, a dire il vero, non si configura come un vero e proprio diritto, ma a ciò ha posto rimedio la Convenzione di New York del 1991 sul diritto dei minori.

L’originalità riscontrata in questo strumento dell’ONU non consiste solo nell’enunciazione della gamma dei diritti ma anche nella definizione dei percorsi che devono garantire la loro concreta attribuzione.

La Convenzione ONU, facendo tesoro delle esperienze del passato per non confinare a livello formale gli standards più avanzati di tutela dei migranti, contiene accorgimenti operativi più efficaci quali:

1- la costituzione di servizi per trattare le questioni relative alle migrazioni internazionali e essere così di supporto a una più adeguata formulazione delle politiche (art. 65);

2- la cooperazione per evitare i flussi clandestini e l’impiego illegale con sanzioni efficaci in caso di scorretta informazione, di organizzazione di traffici, di istigazione alla violenza contro i migranti, di assunzione abusiva da parte dei datori di lavoro (art. 68);

3- l’impegno di ciascun Stato ad adottare i provvedimenti legislativi e di altra natura necessari per l’applicazione della convenzione (art. 83), l’impegno a non esercitare pressioni sui lavoratori migranti e sui loro familiari perché si astengano o rinuncino in via contrattuale ai diritti riconosciuti dalla convenzione (art. 82) e l’impegno a garantire sempre la possibilità di ricorso in caso di violazione dei diritti (art. 83);

4- la previsione di consultazione e cooperazione tra gli Stati per promuovere più adeguate condizioni di trattamento sotto molteplici aspetti (art. 64, 66, 70, 71);

5- il divieto di aderire alla convenzione solo per alcune parti o per alcune categorie (art. 88);

6- l’istituzione di un Comitato per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei loro familiari (art. 72-78), incaricato di redigere un rapporto annuale sull’applicazione della convenzione, di esaminare i rapporti dei singoli Stati e le loro eventuali comunicazioni di inadempimento di obblighi, di ricevere le comunicazioni di privati che denunciano le violazioni dei loro diritti individuali stabiliti dalla convenzione, perché la questione non sia all’esame di un’altra istanza internazionale e siano stati già esauriti in tempi ragionevoli tutti i ricorsi interni allo stato interessato.

Non è escluso che ad aver resa difficile la fase di ratifica della Convenzione sia stata proprio la previsione di una serie di vincoli nei confronti dell’autorità legislativa dei vari Stati.

 

Prospettive d’impegno

a) A livello internazionale

Considerato che il contesto delle migrazioni internazionali è così problematico e che non pochi possono essere gli esiti negativi, desta sorpresa e amarezza che gli Stati si mostrino riluttanti ad accettare uno strumento come la Convenzione ONU che può favorire invece uno sbocco positivo.

A operare da freno sembra siano in maniera particolare le istanze di tutela che la Convenzione ONU fa valere a favore dei migranti in situazione irregolare.

L’esigenza di legalità, che gli Stati fanno valere nei confronti dei singoli migranti, porta anche ad auspicare che tali Stati esercitino il loro potere normativo nell’ambito di regole concordate a livello internazionale e sottoposte a verifica, unendo così la legalità dei singoli a una base comune di legalità internazionale. Prendendo come termine di riferimento la Convenzione ONU, si può affermare che nelle vigenti politiche migratorie è ancora troppo accentuato l’unilateralismo nazionalistico, senza che le migrazioni siano considerate nella loro completezza per quanto riguarda i vari aspetti del fenomeno e i vari paesi coinvolti. In questo modo non si riesce ad esprimere la comune responsabilità tra paesi di partenza e paesi di arrivo, mentre la responsabilità del fenomeno migratorio va trasferita alla comunità degli Stati.

Un altro mito, che la Convenzione ONU consente di sfatare è quello che nel settore della mobilità abbiano un’efficacia prioritaria le normative repressive. La Convenzione invita innanzi tutto alla moderazione perché destinatari delle sanzioni sono delle persone umane, i cui diritti fondamentali non possono essere comunque calpestati. Aggiunge ancora la Convenzione che la regolarità costituisce per i migranti una situazione di maggiore pienezza giuridica, per cui i flussi regolari vengono concepiti come forza incentivante della regolarità e come forza dissuasiva dei traffici clandestini.

Probabilmente questo intreccio dialettico meriterebbe una più attenta considerazione, stabilendo però, specialmente nell’Unione Europea, quote ragionevoli in entrata, senza ancorarsi a una sorta di immigrazione zero, un obiettivo impossibile in un mondo drammaticamente contrassegnato da diversi gradi di sviluppo. Per questo non manca di suscitare delle riserve l’affermazione contenuta nel Rapporto SOPEMI 1998 (Tendances des migrations Internationales, Paris, OCDE, 1998, p. 68): "La risposta principale é senza dubbio la più efficace all’immigrazione illegale consiste nel rafforzamento dei controlli alle frontiere insieme sull’inasprimento della legislazione sugli ingressi degli stranieri".

Il senso di accoglienza degli stranieri è gravemente deficitario; è diffusa la paura per la diversità di lingua, di cultura, di religione; anche i paesi più liberali improntano le loro politiche a una mentalità restrittiva per soddisfare l’opinione pubblica.

Invece la nostra esperienza come paese di emigrazione ci deve portare a valorizzare la dinamica, cui è ispirata la Convenzione ONU, per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza. In realtà in Italia non si è sviluppato un grande dibattito in merito alla ratifica della Convenzione, che prima poteva trovare un certo impedimento nel fatto che non fosse stata approvata la legge 40/1998, la quale recepisce in maniera ampia i contenuti di quello strumento internazionale.

L’impostazione innovativa della Convenzione ONU consiste nel puntare sulle persone umane come centro di convergenza delle istanze giuridiche. Rispetto a questa impostazione :

b) A livello italiano

L’Italia, che con l’ultima legge sull’immigrazione (n.40/1998) ha recepito gli standard di tutela proposti dalla Convenzione ONU, è stata fatta oggetto di critiche al suo interno e da parte di altri paesi per aver così abdicato al rigore della politica migratoria. E’ tempo di rovesciare i termini della questione, rimuovere l’impegno per la piena applicazione della legge e ricordare che la linea da seguire in questa materia è quella proposta dalla Convenzione ONU, che fa salvi i diritti dei migranti e porta i singoli stati a muoversi nel contesto di un insieme di regole condivise e verificabili. Anche prima della legge 40/1998 alcune di queste misure di tutela erano state recepite in qualche misura da diverse leggi approvate dalle Regioni (in materia di sanità e di alloggio, ad esempio).

Il decimo anniversario della firma della Convenzione ONU è un’occasione propizia per chiedere all’Italia a essere il primo tra i paesi di immigrazione a ratificarlo, mostrando così di essere cosciente della sua funzione di cerniera geografica tra paesi ricchi e paesi poveri, di saldare più strettamente la sua storia di emigrazione con l’attuale immigrazione, di non pentirsi delle aperture legislative sancite nei confronti degli immigrati e di dare l’esempio agli altri Stati procedendo senza remore alla ratifica della Convenzione.

Anche se il nucleo sostanziale delle previsioni contenute nella Convenzione è stato già resa operante dal sistema normativo italiano, l’iniziativa dispiegherebbe una grande efficacia. Innanzi tutto servirebbe da stimolo per gli altri paesi di immigrazione, creando con essi una base comune d’incontro. Sul piano interno, poi, la ratifica servirebbe ad ancorare alla normativa internazionale recenti sviluppi normativi sulla tutela degli immigrati, sottraendoli agli umori del dibattito politico italiano.

Questi sviluppi costituiscono l’auspicio di quanti, sia cristiani che laici, sono personalmente e con le loro organizzazioni impegnate nel sociale, e considerano la mondialità, il diritto internazionale, la solidarietà tra i popoli in termini ben diversi da un rapporto di sforzo o di scambio egoistico. Verrebbe così esaurito l’auspicio che Giovanni Paolo II espresse già il 12 aprile 1991 (e venne ribadito in successive occasioni) di un adeguamento delle normative nazionale e internazionali tramite la ratifica della Convenzione ONU, alla cui elaborazione il Vaticano aveva attivamente partecipato

Un forte movimento di pressione in Italia come negli altri paesi, per favorire l’adesione dei politici alla Convenzione ONU, sarebbe una iniziativa significativa per caratterizzare in positivo questa fine di secolo. Passi in tale direzione sono stati chiesti in tempi brevi in una mozione approvata il 1° ottobre 1998 dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati. Purtroppo dagli altri paesi europei l’Italia viene tutt’altro che incoraggiata ad essere l’apripista per quanto riguarda l’approvazione della Convenzione ONU. Anche a livello interno questa impostazione diventa più difficile perché si vuole o abrogare la legge 40/1998 o quanto meno renderla più restrittiva.

Per quanto riguarda i diritti dei lavoratori migranti la ratifica della Convenzione ONU serve per non abbassare la guardia. Se la Convenzione non diventa concretamente operativa dopo aver raggiunto un numero sufficiente di ratifiche, difficilmente potrà diventare fonte concreta di ispirazione per gli altri Stati. Per evitare questa impasse è stata lanciata una campagna mondiale per la ratifica della Convenzione ONU sui diritti dei migranti, nel cui comitato promotori, che ha sede a Ginevra, sono rappresentati istituzioni operanti nel settore dei diritti umani, sindacati, organizzazioni ecclesiali. Obiettivo del Comitato è quello di assicurare nei vari contesti nazionali il più ampio sostegno societario alla Convenzione attraverso il coinvolgimento di funzionari pubblici, partiti politici, sindacati, gruppi religiosi, organizzazioni di donne e così via. L’Italia, che come si è visto ha una normativa interna già in sintonia con i contenuti della Convenzione ONU, è stata scelta come uno dei paesi in cui spingere a fondo questa campagna.

Il 2000, che induce alla speranza in quanto apre un nuovo secolo e un nuovo millennio sotto l’impulso del Grande Giubileo, potrà finalmente, favorire — come propone la Convenzione ONU — il riconoscimento dei diritti dei migranti come diritti umani? Sarà possibile che il 18 dicembre, giorno di approvazione della Convenzione ONU, venga celebrato in tutto il mondo come "Giornata nazionale dei diritti dei lavoratori migranti?".