Il dibattito sull'immigrazione, in questi giorni, si e' arricchito di nuovi interventi (incluso quello del Presidente della Repubblica), che poco hanno pero' aggiunto, sul piano dei contenuti e delle proposte, al quadro esistente. Sembra che incomba, su questo tema, una sorta di maledizione, che impedisce agli osservatori della societa' di centrare i nodi della questione. Si registrano cosi' i proclami di chi vuole fermezza contro i clandestini, da una parte, e di chi raccomanda apertura e solidarieta' a loro riguardo, dall'altra. Tutti concordano, ovviamente, sul rispetto da riservare all'immigrato regolare. Quasi nessuno cerca di valutare, pero', se le leggi vigenti e l'applicazione che ne viene data rendano possibile l'esistenza di questa figura. E' come se, dicutendo della riforma della scuola, ci si accapigliasse sulla sorte da riservare agli studenti che non superano lo scrutinio finale - corsi integativi o bocciatura senza appello? -, e ci si dimenticasse di stabilire l'obbligo, per presidi e insegnanti, di farlo effettivamente quello scrutinio. Il dibattito assumerebbe toni drammatici per il semplice fatto che, mancando lo scrutinio, tutti gli studenti figurerebbero, a quel punto, tra coloro che non l'hanno superato.

E' noto - o dovrebbe esserlo - come negli ultimi dodici anni si sia consentito, formalmente, di immigrare per lavoro ai soli stranieri che fossero stati chiamati in Italia, preventivamente e nominativamente, da un datore di lavoro. E' ovvio a tutti - con l'eccezione dell'ottanta per cento della nostra classe politica - come un requisito del genere (superficialmente invocato, oggi, anche in sede europea) non possa essere soddisfatto da alcuno: chi di noi assumerebbe "al buio" un lavoratore mai incontrato prima? L'unica possibilita' di ingresso nel nostro mercato del lavoro e' stata cosi' rappresentata, per anni, da ingressi o permanenze irregolari, seguiti da una ricerca di lavoro sul posto. Questo processo, che ha gonfiato il fenomeno dell'immigrazione irregolare per la gioia degli scafisti grandi e piccini, ha consentito a interi settori della domanda di lavoro di incontrarsi con quell'offerta che i lavoratori nazionali non erano disposti a garantire. La stragrande maggioranza degli stranieri che sono cosi' pervenuti ad un inserimento lavorativo sono poi approdati alla regolarita' grazie a sanatorie o a un ricorso "ex post" alla procedura di chiamata nominativa (previo costoso e inutile ritorno nel paese d'origine). Ci si puo' scannare sul fatto che sia giusto o meno l'uso dello strumento della sanatoria o di queste chiamate nominative dall'estero di stranieri di fatto presenti in Italia; non e' questo, pero', in chiave strategica, il punto rilevante. Si tratta invece di adottare criteri di ammissione dei lavoratori stranieri radicalmente diversi da quelli utilizzati fino ad oggi. La nuova legge sull'immigrazione contiene una norma (al comma 4 dell'articolo 23) che consente al governo di ammettere in Italia, nell'ambito della programmazione dei flussi, quote di immigrazione per ricerca di lavoro (senza, cioe', che vi sia una chiamata preventiva), sulla base della anzianita' di iscrizione in liste di prenotazione da tenersi nelle ambasciate e nei consolati italiani. A condizione di isituire effettivamente le liste, di gestirle senza corruzione e di programmare quote rilevanti di ingresso per ricerca di lavoro (centomila lavoratori per anno rientrerebbero agevolmente nella attuale capacita' di assorbimento fisiologico del nostro mercato del lavoro), e' possibile restituire alla legalita' i flussi migratori e rimandare a mani vuote gli scafisti. Della questione si sta discutendo - una delle poche eccezioni alla sciatteria del dibattito sull'immigrazione -, in Commissione affari costituzionali, alla Camera, nell'ambito della definizione del parere sul regolamento attuativo della legge sull'immigrazione presentato dal governo. Il relatore, Maselli, ha raccomandato che il testo del regolamento venga emendato definendo esplicitamente l'istituzione delle liste di prenotazione nelle ambasciate e nei consolati. Il rappresentante di Forza Italia, Rivolta, ha contestato che in tal modo si favorirebbe l'ingresso di stranieri privi di occupazione. Bene: ha capito perfettamente; sbaglia solo nel considerare il fatto una jattura. Gli immigrati vendono lavoro; pretendere che vengano a venderlo solo se hanno gia' un acquirente e' come imporre che i salumieri facciano scorta di prosciutto solo su preventiva ordinazione da parte della clientela. E se il prosciutto resta invenduto? Problema del salumiere; perche' dovrebbe occuparsene la massaia?

La questione in gioco in questi giorni alla Camera costituisce il bivio per la politica di immigrazione italiana: se prevarra' senza annacquamenti il punto di vista del Relatore e se il governo dara' attuazione alla novita' contenuta nella legge, l'Italia potra' guidare l'Europa fuori dal pantano nel quale, in fatto di immigrazione, si sta cacciando. In caso contrario, tra dieci anni, sentiremo ancora dire: "fermezza con i clandestini, pieno inserimento per i regolari". E banalita' del genere.