CONTRIBUTO PER UN CONFRONTO E UN CHIARIMENTO SU

"COSCIENZA CIVILE, COSCIENZA CRISTIANA E IMMIGRAZIONE CLANDESTINA IN ITALIA"

(Articolo di P. Virginio Spicacci S.J., Civiltà Cattolica 1999 I 425-438)

 

 

 

L’articolo della Civiltà Cattolica a firma di P. Virginio Spicacci esige, proprio in nome della coscienza civile e cristiana, cui si fa riferimento già nel titolo e ripetutamente nel seguito del discorso, esige che si apra un confronto su molti assenti e sulla stessa impostazione generale. Il prestigio e le benemerenze della rivista, come pure dell’autore, anche nel trattare di migrazioni dà fiducia che, nella chiarezza e nello sforzo di una comprensione reciproca, si possa venire a un chiarimento che da posizioni almeno in apparenza distanziate, quasi per la dinamica contrapposizione di tesi e antitesi, ci consenta di fare il balzo in avanti verso una più ricca sintesi. Non si tratta di una dissertazione accademica, bensì di un problema di forte attualità, che sentiamo scottare sulla carne viva di tanti che chiamiamo fratelli; pur nella consapevolezza che fra questi si nascondono - ma certamente in piccola minoranza - anche criminali, avventurieri e sprovveduti, non osiamo sparare nel mucchio e dare, di fatto anche se non di proposito, mano forte a chi minaccia e progetta una specie di esecuzione sommaria. La campagna per il referendum abrogativo della legge si è aperta con un proclama inequivocabile: "Cari amici extracomunitari, dovete andarvene!".

 

I - I tanti punti d’incontro

E’ quasi superfluo premettere che si condivide in pieno l’obiettivo di fondo enunciato fin dall’inizio: quello "di una immigrazione legale, cioè regolare e regolata nei flussi" (p. 425) e del massimo sforzo per "controllare l’immigrazione clandestina" (p. 427 e passim), nell’intento di eliminarla del tutto o almeno, se un certo realismo ci dice che questo non è possibile, di ridurla da sistema a eccezione, così che non costituisca rilevante problema.

Si condividono anche molte valutazioni sui danni e pericoli che l’immigrazione clandestina causa o almeno favorisce, quali:

- la carica di sofferenze e di precarietà,

- il lavoro nero e condizioni di vita subumane,

- il degrado dell’immagine stessa dell’immigrato,

- il traffico spregiudicato di carne umana,

- ripiego facilitato verso forme di devianza,

- reclutamento da parte di bande criminali,

- rigurgiti di intolleranza e di razzismo,

- il prolungarsi della fase dell’emergenza e il ritardo del processo integrativo,

- conseguente logorio e senso di frustrazione del volontariato.

Inoltre è giusto insistere che si tratta di questione non solo nazionale ma internazionale, particolarmente in ambito di Unione Europea; che sono necessari accordi bilaterali o multilaterali per prevenire e contrastare questa immigrazione già nei Paesi di partenza e di transito. E’ altrettanto giusto affermare che il Governo e in genere le Istituzioni pubbliche fin all’inizio del movimento migratorio lo hanno lasciato andare allo sbando ed hanno disatteso dopo il 1990 la stessa Legge Martelli anche in ciò che aveva di più valido, non hanno adeguato alla nuova realtà emergente l’apparato amministrativo: in una parola hanno dato una forte impressione di incuria, di latitanza e, in certe circostanze, di connivenza (basti pensare al sistema di rilascio dei visti da parte di certe rappresentanze diplomatiche o all’incuria nel porre i visti d’ingresso alla frontiera). E tutto questo ha comportato l’altro grosso inconveniente che le forze di volontariato abbiano svolto un ruolo di prolungata e sistematica supplenza in ciò che era compito e dovere dell’apparato pubblico.

Sarebbe pertanto ingenuo e irresponsabile mostrare tolleranza e rassegnazione per il quadro attuale e fare l’apologia della normativa vigente fino all’inizio del 1998 e di chi doveva gestirla; ma tutto ciò fa guardare indietro non di mesi, bensì di anni. Sarebbe però altrettanto inspiegabile fare l’analisi del momento attuale senza fare esattamente il punto sulle novità della nuova legge in confronto della precedente e senza mettere in conto che il Governo ora in carica nei confronti di questa nuova legge, del resto non ancora entrata pienamente in vigore, è alle prime battute.

Ciò premesso, mi permetto ora di entrare in argomento su diversi punti generali e particolari dell’articolo che mi fanno maggiore difficoltà, che anzi non posso accettare così come suonano. Ho motivo di ritenere che la mia posizione sia ampiamente condivisa nel mondo ecclesiale più impegnato in questo settore.

 

II - Appunti sugli aspetti più generali

1. Clandestini e irregolari

Non è questione marginale o di buon gusto lessicale fare la dovuta distinzione fra clandestini e irregolari, non sotto il profilo del vocabolario giuridico ma del linguaggio corrente, quello che evoca immagini e suscita emozioni; veramente anche i testi legislativi e le pubbliche autorità ora sembrano più cauti nell’uso dei termini. Clandestino è chi entra nel territorio eludendo i controlli di frontiera oppure, una volta entrato per le vie legali, poi rimane imboscato. Non tale è il profugo o richiedente asilo che volutamente si dà in mano alle forze dell’ordine magari senza alcun documento, né lo straniero che si è visto scadere anche per futili motivi il regolare permesso di soggiorno, né chi nei mesi scorsi è emerso dalla "clandestinità" ed ha preso contatto con questura, ufficio del lavoro e anagrafe.

Nel Congresso internazionale, indetto su "Immigrati clandestini in Europa" dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e Itineranti (Monaco di Baviera il 29 settembre-1° ottobre 1994), la voce ricorrente era "sans papier" o "indocumentati", espressa delle varie lingue dei 40 partecipanti di 17 diverse nazioni europee. L’agenzia di stampa della Migrantes apre la cronaca sul convegno con queste parole: "Non clandestini, ma irregolari o immigrati in posizione irregolare" (Migranti-press, anno XVI, n. 40). Nel documento finale fin da principio si precisa: "Nous préférons utiliser le terme de "illégal" ou "sans papier" pour désigner les étrangers qui vivent dans un pays sans y être légalement autorisés". Di fatto in questo documento finale lo stesso titolo del convegno cambia nome: "Les étrangers in situation illégale en Europe".

 

2. Di fatto la nuova "sanatoria" si doveva o non si doveva fare?

Domanda: dobbiamo deprecare le situazioni pregresse che hanno costretto il precedente e l’attuale Governo ad avviare e proseguire la sanatoria ora in corso oppure dobbiamo imprecare contro il Governo stesso che in nessun modo avrebbe dovuto avviarla e proseguirla? Insomma era evitabile e da evitare quest’ultima sanatoria o, al contrario, era inevitabile, indispensabile?

L’autore sembra stare in modo inequivocabile per questa seconda parte del dilemma e scaricare sul passato le responsabilità: "La politica dei governi precedenti non ha fatto altro che preparare, fino a renderla indispensabile, una sanatoria" (pp. 426-427).

D’altra parte si dà un giudizio così severo sul "Governo" (e qui si mescola assieme il Governo precedente e l’attuale) circa la sanatoria e lo si carica di così pesanti responsabilità, che sembra molto palese la contraddizione con quell’indispensabile sopra enunciato. Riporto qualche affermazione: "L’ultima sanatoria, varata dal Governo italiano alla fine del 1998, in favore degli immigrati clandestini, ha provocato una reazione a catena analoga - se non più disastrosa - a quella provocata dalla sanatoria introdotta nel 1990" (p. 425). Questo, naturalmente, va riferito al Governo precedente, mentre è a carico dell’attuale l’ "improvviso cambiamento" in fatto di sanatoria che l’ha portato "a progetti ben più ambiziosi" di quelli iniziali (p. 426). Non è il caso di proseguire con le citazioni perché la sanatoria in questione dà spunto ed è al centro di tutto l’articolo ed in particolare dell’appunto fatto al direttore dell’ufficio immigrati della Migrantes-CEI (cfr. più avanti a pagina 10, n. 3).

Si è pienamente d’accordo che le sanatorie sono in se stesse un male, sono vulnus alla legge, provocano un pericoloso effetto di richiamo ed altro di simile: ma pur tenendo presente questo quadro, torniamo alla domanda: il Governo, chiamato a gestire l’immigrazione in base alla nuova legge, doveva o non doveva procedere a una sanatoria? Questa era o non era "indispensabile"? E l’alternativa alla non-sanatoria quale poteva essere? Sono così importanti questi interrogativi che val la pena riprenderli e tentare una risposta sotto altre due angolature.

 

3. Sanatoria: problema di coerenza con una linea politica

L’articolista cita il Ministro degli interni, on. R: Jervolino Russo, che giustifica così l’ultima decisione del Governo sulla sanatoria: "Il provvedimento intende risolvere una volta per tutte una situazione pregressa" (p. 427). Pregressa non è solo la sacca di clandestinità, ma pure la chiara indicazione del Senato e del Governo precedente. Torniamo un po’ indietro.

Al momento di varare definitivamente la legge, il Senato non ha accolto la proposta di aggiungere all’art. 49 una disposizione transitoria (che avrebbe rinviato il testo all’altra Camera per la terza lettura), circa la "regolarizzazione degli stranieri presenti sul territorio dello Stato"; però con un ordine del giorno (n. 100) impegnava il Governo "a valutare... quali siano le opportune proposte ed iniziative da finalizzare all’emersione dall’area delle irregolarità, da attuarsi in modo mirato, per cittadini stranieri che vivono in Italia inseriti in contesti familiari, di lavoro anche autonomo e di studio".

Come prima risposta, il governo indiceva un’indagine sulla presenza straniera in Italia e sulle situazioni di irregolarità. All’inizio dell’estate viene pubblicata a conto del Ministero dell’Interno la relazione sui risultati dell’indagine: fra le tante cose vi leggiamo che "i punti più qualificanti ed innovativi della nuova legge sull’immigrazione tengono in grande considerazione le più attuali caratteristiche dei flussi migratori che, precedentemente non disciplinate, sono alla base degli ingressi irregolari" (p. 7). E’ quanto dire che se l’elaborazione dell’attuale legge (i cui inizi si possono far risalire a settembre 1993) non avesse marciato al rallentatore, tanta gente sarebbe entrata in Italia non per vie traverse, ma per quelle giuste. Perciò fra i possibili casi di regolarizzazione si prevedono anche quelle "situazioni di irregolarità... le cui cause sono da imputare prevalentemente al tentativo di aggirare le norme per raggiungere obiettivi che la nuova legge sull’immigrazione prevede".

Il 5 agosto è pubblicato, con decreto del Presidente della Repubblica, il "documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione" nei prossimi tre anni, a mente dell’art. 3 della nuova legge. Tale documento, dopo aver sottolineato che "non può essere sottovalutato il fenomeno della presenza in Italia di lavoratori che, entrati regolarmente, non si trovino più in regola con le norme di soggiorno, nonché di stranieri in situazioni di irregolarità per quanto concerne l’ingresso in Italia i quali siano, comunque, in grado di regolarizzare un loro verificabile inserimento di fatto nel mondo del lavoro", prosegue: "La programmazione dei flussi di ingresso per gli anni a venire deve tener conto dell’attuale presenza in Italia e la possibile normalizzazione di specifiche situazioni in armonia con i principi ispiratori della legge" (Gazzetta Uff. 15-9-1998, parte II, n. 2), anzi prevede per il 1998 e 1999 "per un limitato contingente di lavoratori presenti in Italia anche in situazione di irregolarità l’attivazione del meccanismo delle garanzie prestate da terzi ai sensi dell’art. 21" (ibid. II, 5, d). Di quest’ultima possibilità non si avvalgono i due decreti di regolarizzazione di cui diremo. Da parte di molte forze sociali e di volontariato si era fatta insistente pressione presso il Governo perché non continuasse a differire l’emanazione del decreto applicativo di queste direttive: ogni ulteriore ritardo, oltre ad essere logorante, sarebbe diventato uno spazio aperto, anzi una corsa per gli ingressi clandestini in Italia, come giustamente a più riprese fa notare l’articolista (pp 425-427). Questo primo decreto, a firma ancora di Romano Prodi, riguarda soltanto 38.000 o, più esattamente, 32.000 casi di regolarizzazione e si esplicita che il provvedimento si riferisce all’anno 1998.

Possibili provvedimenti di regolarizzazione non sono dunque circoscritti al 1998; il Governo si è fatto premura di precisarlo fin da principio; del resto, con quali criteri si sarebbe proceduto a selezionare i 32.000 escludendo definitivamente gli altri? Questo avrebbe comportato "inevitabilmente discriminazioni gravi di trattamento...e quindi gravi ingiustizie" (p. 426), come dice l’autore stesso benché in contesto un po’ diverso. Non fa dunque meraviglia né si tratta di "un improvviso cambiamento dell’atteggiamento" (p. 426) se l’attuale Governo ha sollecitato gli stranieri irregolari a presentarsi con i documenti richiesti alle questure, almeno per fare una prenotazione della domanda di regolarizzazione e poi, con la bozza di decreto legislativo del 5 febbraio scorso, ha provveduto a proseguire la regolarizzazione senza porre un tetto numerico; in teoria potrebbe trattarsi di 250.000, però col debito sconto di quanti hanno presentato domanda in più prefetture o non si presenteranno (cose che stanno già accadendo) o non riescono a dimostrare di possedere i medesimi requisiti già stabiliti nel 1998. La quota dei 100.00, di cui a pagina 426, non è mai stata ufficialmente proposta dal Governo; era una delle ipotesi nel caso che alla regolarizzazione si procedesse anche nel 1999 inserendola in una o più programmazioni dei flussi, anziché con apposito decreto legislativo, come poi di fatto è avvenuto.

Ciò posto, risulta che il nuovo provvedimento di regolarizzazione per il Governo era un atto dovuto e pienamente coerente con molteplici interventi ufficiali, successivi all’emanazione della nuova legge. Questo è il senso della nota riportata in appendice, dove elenco i dieci motivi tutti di pragmatica concretezza per i quali il recente provvedimento governativo di procedere nella regolarizzazione durante il 1999 è ritenuto "saggio e necessario". Qualcuno potrà apparire discutibile, non però tutti i motivi presi nel loro insieme.

Quanto al numero consistente delle possibili regolarizzazioni non dovrebbe sollevarsi eccessivo allarme, come bene si dice a pagina 433: "Non sono gli extracomunitari attualmente presenti in Italia, anche se clandestini, che fanno problema. Prima o poi potranno essere assorbiti". Che se poi fa paura il sottofondo di criminalità che si nasconde con più frequenza tra i clandestini che tra i regolari, sembra ne consegua un motivo in più per prosciugare questo bacino di irregolarità il più possibile, così da rendere più facile l’individuare e il perseguire nel fondame residuo il torbido della criminalità.

 

4. Fra le sanatorie passate e quelle future sta la sanatoria in corso

Distinguere i tempi è essenziale: torniamo a dire che tutti deprechiamo le sanatorie passate e diciamo con energia no a sanatorie future, ma fra il passato e il futuro c’è il presente. Scrivevo in una nota su "Avvenire" del 20 marzo: "Fra le sanatorie passate e le future ci sono le presenti, quelle cioè che...sono state predisposte, anche se con eccessivi dannosi ritardi, dal Governo precedente e portate avanti dall’attuale; con pressanti sollecitazioni si è data assicurazione agli immigrati che, se avessero dimostrato di possedere determinati requisiti, potevano mettersi in fila per ottenere il permesso di soggiorno. Così essi, su questa parola ufficiale e autorevole, hanno consegnato alle questure nome, recapito e documenti. Per alcuni la pratica si è già conclusa positivamente, per la grande maggioranza è ancora in corso. Che dovrà fare ora il Governo? Chi sta raccogliendo firme per l’abolizione della legge sull’immigrazione e contro gli immigrati clandestini ha nel mirino proprio questa categoria di irregolari che ormai, emersi allo scoperto, sarebbe ingeneroso e aberrante continuare a chiamare clandestini. Col loro coraggio a farsi avanti e mettersi nelle mani delle forze dell’ordine, con la fiducia nelle assicurazioni date dalle autorità governative, sono ormai in possesso di un diritto acquisito da non porre in discussione. Sarebbe disonesto tendere ora l’imboscata".

Quando il Cardinale Ruini il 15 marzo nella prolusione al Consiglio Permanente della CEI ha parlato della necessità di "evitare in futuro ulteriori sanatorie", i giornali laici con impressionante convergenza, starei per dire cospirazione, hanno scambiato il "futuro" col presente e a grandi titoli hanno sbandierato un "no alle sanatorie", comprese quelle che sono già in corso in forza dei predetti interventi del Governo precedente e dell’attuale. Questi giornali si fanno forti della parola del Cardinale e quasi tutti portano a conferma la presa di posizione della Civiltà Cattolica. Ecco alcuni titoli del 16 marzo: "Basta con le sanatorie" (Repubblica, Il Secolo XIX), "Basta immigrati clandestini" (La Stampa), "Basta immigrazione selvaggia" (Il Tempo), "Fermiamo i clandestini" (Corriere della Sera), "Evitiamo altre sanatorie" (Il Giornale), "Alt all’immigrazione selvaggia" (Il Tempo), "Alt alle sanatorie" (Il Messaggero); dopo le spaccature, "Ruini schiera i vescovi" (Repubblica), ne consegue "La linea dura dei Vescovi" (Corriere della Sera), naturalmente contro la sanatoria in corso. Di tutta la lunga prolusione del Cardinale e dell’ampia parte riservata al tema immigrazione i titoli dei quotidiani non hanno messo in evidenza che questa presunta impennata contro la sanatoria.

Si spera che a far chiarezza su questo equivoco sia sufficiente l’autorevole e tempestiva precisazione del Vescovo Alfredo Garsia, Presidente della CEMi e della Migrantes e per di più membro del Consiglio Permanente: "I giornali hanno letto nelle parole del Cardinale un rifiuto della recente sanatoria, facendola diventare una critica alla regolarizzazione dei 300.000 immigrati già entrati in Italia che nei mesi scorsi si sono autodenunciati per ottenere il permesso. Il Card. Ruini si riferiva alle linee di una futura politica per governare il fenomeno" (Osservatore Romano, 19 marzo ‘99, pag. 12).

A conferma di questa precisazione interviene nella "conferenza stampa" di martedì 23 marzo ’99 lo stesso segretario generale della CEI, Mons. E. Antonelli, secondo il quale, a quanto riferisce il SIR, "tutti (i vescovi) sono concordi sulla necessità di arginare l’immigrazione clandestina" e di "programmare i flussi di immigrati regolari". C’è accordo, ha notato Antonelli, anche sulla necessità di mantenere l’attuale sanatoria poiché revocarla "sarebbe una slealtà".

 

5. La sfida per il futuro

Di fronte al proposito del governo di chiudere in futuro con le sanatorie, è comprensibile che l’autore commenti: "Peccato che anche le sanatorie degli anni passati fossero state giustificate nello stesso modo dai Governi precedenti" (p. 427). Il timore del perpetuo ritorno è comprensibile e il rischio che il fenomeno fugga di mano è grosso. Occorre qualche vera novità che dia una svolta decisiva.

Veramente qualcosa di nuovo possiamo riscontrarlo: una nuova legge che, a differenza delle precedenti, si presenta più completa, organica; una volontà politica di contrastare il movimento clandestino dichiarata fin dalla prima presentazione del disegno di legge e continuamente ripetuta; più efficaci mezzi di controllo già in atto sia nazionali che intergovernativi (Sistema SIS); la stipula, in alcuni casi già perfezionata, di accordi bilaterali con i Paesi più esposti alle migrazioni irregolari; l’apertura presso le nostre rappresentanze diplomatiche di liste di prenotazione per i candidati all’espatrio, ecc.

Si può comprendere che tutto questo, senza qualche altra aggiunta, non dia sufficiente affidamento contro l’immigrazione irregolare, come non può darlo la proposta, interessante sotto certi aspetti ma difficilmente praticabile, di costituire nostre "teste di ponte, veri e propri avamposti della futura accoglienza" (p. 436) nei Paesi di origine o di immediata provenienza degli immigrati. Molta perplessità desta inoltre l’affermazione che "un Paese come il nostro...deve estendere il proprio controllo anche alle frontiere (almeno) e al territorio (se necessario e possibile) del Paese da cui i clandestini provengono" (434); allo scopo dovrebbero intercorrere dei chiarissimi accordi internazionali (qualche assaggio si sta già facendo con l’Albania) a garanzia della sovranità dei singoli Stati.

Ma attenzione: ogni sforzo darà risultati incerti e comunque insoddisfacenti se, per far fronte ai flussi irregolari, non si apre la possibilità, finora rimasta sulla carta, di ingressi regolari anche per motivi di lavoro, come apertamente avverte nel citato intervento il Cardinale Ruini. "Per poter conseguire simili risultati sono indispensabili una reale e credibile regolazione dei flussi migratori e in particolare un forte impegno per fermare e scoraggiare l’immigrazione clandestina". Cerchiamo di cogliere il senso integrale di questa affermazione:

- la "regolazione dei flussi" è formula generica che in termini tecnici va tradotta principalmente, anche se non esclusivamente, in quella programmazione annuale dei flussi d’ingresso per motivi di lavoro, di cui parla la nuova legge (art. 3, c. 4) e il documento programmatico triennale;

- tale provvedimento è ritenuto indispensabile come l’impegno contro l’immigrazione clandestina;

- anzi i due obiettivi vengono coniugati assieme quasi a dire che non si otterrà il secondo se non ci si impegna seriamente sul primo.

Questa sembra la vera novità che dà forza anche alle altre ed è ribadita dal Segretario Generale della CEI nella citata conferenza stampa: "proseguire una politica complessa che comprende programmazione dei flussi, raccordo a livello europeo e patti con i Paesi di provenienza".

Va aggiunto, o piuttosto premesso il terzo obiettivo di fondo: la cooperazione allo sviluppo dei Paesi di origine; questo è ormai un luogo comune ed è stato espresso dal Cardinale con una formula molto incisiva là dove parla di "situazioni di povertà spesso estreme" che rendono l’esodo "una tragica necessità". La "tragica necessità" spiega il perché della forte pressione alle frontiere e del tentativo disperato di sfondarle o di eluderle imboccando le vie irregolari e clandestine.

Come si è già detto, in linea di principio tutti deprechiamo queste vie e giustifichiamo il controllo delle frontiere con i conseguenti respingimenti ed espulsioni, provvedimenti che in determinati casi si rendono necessari, anche se dolorosi e difficili ad eseguire. Ma non possiamo pronunciare queste parole senza mettere una mano sul petto e domandarci, di fronte a questi disperati che sono più vittime che autori della loro tragica vicenda, quali siano le responsabilità dei Paesi a sviluppo avanzato, troppo impegnati nella difesa e crescita del loro benessere e di conseguenza troppo impegnati, attraverso le loro politiche restrittive e le chiusure ermetiche delle frontiere, nella esclusione degli affamati "a partecipare alla comune mensa della creazione" (Giovanni Paolo II). Questa considerazione dovrebbe fare irruzione nelle politiche migratorie; comunque inquieta la coscienza civile e cristiana, senza sconfinare nel buonismo.

 

6. "E’ necessario rivedere l’ultima legge sull’immigrazione"?

Così propone P. Spicacci espressamente (p. 435) o implicitamente in tutto il contesto del discorso. Anche il Cardinale Ruini entra in argomento ma con espressione più sfumata: "Sembra necessario introdurre integrazioni e modifiche nell’attuale legislazione". Questa formula si presenta pienamente condivisibile in base ad alcune precisazioni come le seguenti:

1. Il Regolamento di attuazione della legge a tutt’oggi non è stato ancora emanato: esso può contenere fin d’ora o in successive redazioni interpretazioni più o meno restrittive o estensive, capaci di dare risposta almeno parziale a difficoltà suscitate dal testo di legge.

2. La nuova legge (art. 47, c. 2) dà la delega al Governo di adottare entro i primi due anni dal 27 marzo 1998 decreti legislativi per correggere singoli punti della nuova legge. Una facoltà amplissima (per alcuni costituzionalisti fin troppo ampia), della quale il Governo si è già avvalso il 5 febbraio scorso; dunque è una strada percorribile per integrare e modificare la legge con lo strumento offerto dalla legge stessa.

3. Infine il Governo e gli altri soggetti stabiliti dalla Costituzione possono prendere iniziativa per leggi complementari su problemi specifici non sufficientemente affrontati dalla legge. Di questa facoltà il Governo ha già fatto uso nel Consiglio dei Ministri del 9 marzo dove si è espresso per la modifica dell’art. 602 del codice penale sulla riduzione in stato di schiavitù; e ciò a sostegno e integrazione di quanto disposto dalla nuova legge all’art. 16 (art. 18 del Testo unico) come misura di protezione sociale contro la tratta delle donne straniere a scopo di abuso sessuale.

Dopo l’uscita dell’articolo della Civiltà Cattolica e la prolusione del Cardinale Ruini alcune forze politiche, con l’orchestrazione di organi di stampa, hanno esultato quasi che la Chiesa si sia schierata al loro fianco nello sconfessare la legge in questione; e non si tratta soltanto delle forze mobilitate a raccogliere firme per il noto referendum. E’ più che evidente l’infelice strumentalizzazione di autorevoli parole, sconfessata nel modo più palese da Mons. E. Antonelli nella conferenza stampa: "è molto lontano dalla posizione della Chiesa...; è una prospettiva che non può non preoccupare, perché si presta a diffondere sentimenti di tipo razzista e certo non bisogna soffiare sul fuoco".

 

7. "Misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali"

P. Spicacci è particolarmente severo a riguardo di questo articolo 16 della legge ( è l’art. 18 del Testo Unico) che prevede "misure di protezione temporanea da adottarsi... per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolari gravità". Egli in commento aggiunge: "Bastano queste sei righe della legge per vanificarne tutta l’applicazione" (p. 431). Tale disposto, che viene visto come il "tallone d’Achille", lo si dovrebbe invece ritenere il fiore all’occhiello della nostra tradizionale civiltà giuridica. Come mai poco dopo egli dice: "le esigenze umanitarie, rilevanti e non, sono sacrosante"? Vanno dunque accolte o vanno disattese? La prospettiva che "col passaporto delle esigenze umanitarie, passa tutto; anche i malavitosi e i trafficanti di droga" (ibid) ci rende cauti e vigilanti o diffidenti fino al punto di farci cancellare questo articolo? Anche a questo riguardo è chiara la parola di Mons. Antonelli: "Bisogna distinguere tra immigrati e profughi: davanti a chi fugge dalle bombe non si può chiedere se è regolare. E a situazioni estreme si risponde con soluzioni eccezionali". Questa previsione deve far cancellare il provvedimento o soltanto suggerire la cautela nel servirsene? Insomma il tallone d’Achille è il dettato legislativo o l’apparato politico e amministrativo, di cui o per principio o per lunga esperienza non ci si potrebbe fidare? Anche qui è importante far chiarezza.

E’ poi il caso di tener presente che fino al 25 marzo il Governo non si è mai avvalso della facoltà attribuitagli da questo articolo. In tempi precedenti per emergenze straordinarie, come quella dei profughi somali nel 1992 o degli ex-Jugoslavi nell’anno successivo, era intervenuto il Parlamento con una legge straordinaria. La novità è tutta qui: a questi casi di repentina emergenza si dà al Presidente del Consiglio la possibilità di intervenire con altrettanta repentinità attraverso un decreto, senza ricorrere alle lungaggini di una apposita legge da approvarsi dal Parlamento, al quale il Governo si limita anno per anno a riferire in merito.

 

III - Alcune annotazioni in ambito più strettamente ecclesiale

 

1. Coscienza civile e cristiana

"Che fare?", si domanda l’articolista (p. 428). Tutti ci poniamo questa domanda scabrosa e sarebbe ingenuità se da qualche parte si dicesse di avere la risposta pronta. Eppure una risposta bisogna pur trovarla proprio nella direzione della ordinata gestione del flusso migratorio e del contrasto alla clandestinità, così da poter voltar pagina quanto alle sanatorie. Opportunamente il Cardinale Ruini avverte che "soprattutto occorre porre le condizioni per poter davvero evitare in futuro ulteriori sanatorie". Non basta dunque imprecare contro le sanatorie, si devono "soprattutto porre le condizioni" perché queste non avvengano, altrimenti il nostro è un imprecare alle stelle.

Certo, una delle condizioni è il "controllo efficace delle frontiere", non sembra tuttavia questa la condizione cui dare l’assoluta priorità. L’autore sembra usare in proposito formule troppo categoriche: il controllo delle frontiere andrebbe perseguito "in tutti i modi" (p. 435), con "tutti i mezzi di persuasione possibili, di natura diplomatica, economica e militare" (p. 437). La formula altrove si attenua: "è necessario adottare tutti i mezzi utili allo scopo e che (s’intende) siano leciti dal punto di vista sia morale, sia giuridico" (p. 421). Veramente, data l’esasperazione di tanti animi e la sbrigativa tendenza di mettere in un solo mucchio, senza troppe distinzioni, extracomunitari, clandestini e criminali, si dovrebbe con assoluta chiarezza indicare le categorie verso le quali il senso morale e giuridico impone di avere un particolare riguardo. Lo esplicita molto bene il Cardinale Ruini nella pericope di cui si è già citato un frammento: "Rimane sempre valido e primario l’impegno ad aiutare concretamente quei popoli che, per varie cause, si trovano in situazioni di difficoltà, spesso estreme, così che l’abbandono della propria terra e il distacco dai congiunti e da tutto il proprio ambiente di vita non siano più una tragica necessità per troppe persone e famiglie, e talvolta per intere popolazioni".

Dunque la coscienza civile e cristiana pone dei limiti all’ "alt! zona invalicabile!", quando si tratta di certe categorie di persone; pone dei limiti anche quanto ai "mezzi e modi" da adottare. Fa bene rinfrescare un po’ la memoria. Il triste venerdì santo di due anni fa la collisione fra un mezzo della nostra marina militare e un natante albanese carico di fuggitivi ha turbato profondamente non solo l’Italia ed ha fatto riflettere su quanto sia rischioso il pattugliamento in alto mare e perfino dei pressi delle coste. Il tragico naufragio non era nelle intenzioni e nemmeno nelle previsioni della nostra marina eppure quella decisa azione di controllo non ebbe il plauso di nessuno.

Soprattutto in casi come questi tra il dire e il fare c’è di mezzo un largo tratto di mare. Fuori metafora si vuole solo affermare che la fermezza di certe azioni repressive stenta talora ad essere portata avanti sul piano esecutivo e ciò non va tutto ascritto alla mala volontà o all’incapacità dei governanti e del loro apparato, ignorando la complessità dell’operazione e le difficoltà obiettive. Anche per il traffico della droga o delle armi, dei minori da sfruttare e delle straniere da immettere nel "nostro" mercato della prostituzione si è dichiarata lotta senza quartiere, ma i risultati non sono entusiasmanti. Tuttavia non è il caso di concludere, ed anche qui concordiamo con l’autore, che si deve "gettare la spugna" perché "contro l’immigrazione clandestina non c’è nulla da fare" (p. 434); bisogna anzi cogliere l’invito di raddoppiare lo sforzo per "elaborare nuove strategie" (ibid.), facendo pressione, se necessario anche molesta, sulle istituzioni nazionali e internazionali perché facciano la loro parte. E’ soprattutto in questa prospettiva, pur senza risparmiare critiche e denunce verso le pubbliche Istituzioni, che si stanno impegnando da anni molte forze ecclesiali.

 

2. Gli appelli del Papa a proposito delle situazioni di irregolarità

Ci saremmo aspettati almeno un accenno indiretto agli appelli del Papa a prendere in favorevole considerazione certe situazioni di irregolarità, per ragioni anche specificamente religiose ed evangeliche che si aggiungono alle ragioni di civiltà e di umanità, recepibili anche dal mondo politico e laico. L’ultimo appello del S. Padre è contenuto nel discorso rivolto il 9 ottobre ’98 ai 400 partecipanti di 103 diverse nazioni al Congresso mondiale della pastorale per i migranti tenutosi in Vaticano. Anche in questa circostanza il S. Padre non parla di benevolenza e misericordia, ma di equità e giustizia, quasi di doverosa riparazione di quei tanti danni e dissesti che lo spadroneggiare delle nostre economie e politiche occidentali ha causato nei loro Paesi di origine.

A conclusione di questa riflessione egli aggiunge quasi a voce dimessa: "Risulterebbe certamente significativo un gesto per il quale la riconciliazione, dimensione propria del Giubileo, trovasse espressione in una forma di sanatoria per una larga fascia di quegli immigrati che, più degli altri, soffrono il dramma della precarietà e dell’incertezza, cioè gli illegali". Queste parole non possono non richiamare alla mente le riflessioni sui "clandestini" che il S. Padre più ampiamente svolge nel Messaggio per la Giornata mondiale delle migrazioni dedicato al tema "Come accogliere lo straniero" e alle quali dedica interamente l’analogo Messaggio del 1996 dal titolo "La condizione di irregolarità legale non consente sconti sulla dignità del migrante".

Del resto è del 1990 la Convenzione ONU sulla "tutela dei diritti dei lavoratori migranti e di tutti i membri delle loro famiglie" che riserva l’art. 69 ai migranti in " situazione irregolare" e impegna gli Stati aderenti a "prendere appropriate misure per garantire che tale situazione non persista"; una Convenzione di altissimo valore morale per la quale ripetutamente la S. Sede ha sollecitato gli Stati alla ratifica.

Se ci poniamo in questo contesto, ci si rende conto che la fermezza, con cui oggi diciamo no a ulteriori sanatorie, non si basa su un principio di chissà quale rigidità giuridica o morale o di dottrina sociale della Chiesa; è dovuto a contingenze storiche e sociali, al di fuori delle quali questa rigidità non è affatto giustificata e perde di assolutezza, almeno per il cristiano, benché al momento attuale vada tenuta in massima considerazione.

Un qualche esplicito riferimento, quando si parla di simile tema, a questi autorevoli interventi sarebbe più che mai opportuno, anche per controbilanciare certe uscite della stampa laica che mette in bocca al Papa ciò che il Papa non ha mai detto; è infatti del tutto gratuito farlo patrocinatore, e per di più verso il Governo italiano, di una "maxi-sanatoria" (cfr. E. Caiano, Corriere della sera, 7 marzo) o addirittura di una "sanatoria generalizzata", come fa A. Ronchey (Corriere della Sera, 14 marzo); non è da meno A. Panebianco che dice Mons. Garsia "favorevole ad accogliere tutti i clandestini" (Corriere della Sera, 11 marzo). Come mai una sintonia così perfetta delle tre illustri penne sullo stesso giornale?

 

3. Che significa esattamente buonismo?

Nell’articolo della Civiltà Cattolica il "direttore dell’ufficio della CEI-Migrantes" su un fronte che "si spacca in due" (p. 428) viene posto dalla parte di coloro "che inneggiano alla solidarietà, all’accoglienza", egli infatti "esprime il giorno stesso il proprio compiacimento per la maxi-sanatoria" (ibid.). Di fatto questo direttore diventa il capofila di chi vuole "praticare la carità ignorando la giustizia" (p. 437); ne andrebbe di mezzo, oltre alla "coscienza civile...anche la coscienza cristiana...prigioniera, tra ideologismi e provvidenzialismi, di un pericoloso luogo comune, a un tempo teorico e pratico: il cosiddetto buonismo" (ibid.). E su questo buonismo, attribuito per la prima volta - a quanto pare - a questo partito della "solidarietà ad ogni costo" da Galli Della Loggia circa due anni fa, l’articolista gioca con una certa insistenza, identificandolo con "logica buonista", "pressappochismo e inconcludente del buonismo" (p. 436), derivante dal "cosiddetto buon cuore" (p. 433 e passim); non del tutto buono se "dal punto di vista civile e morale è falsa solidarietà" , "caricatura dell’amore" (p. 437). Francamente le battute suonano un po’ forti, tanto più che si leggono dopo il sottotitolo: "Considerazioni ecclesiali".

 

 

IV - Altre puntualizzazioni importanti

 

Vengono qui presentate altre annotazioni sull’articolo di P. Spicacci, quasi a modo di appendice e in forma molto schematica, benché abbiano una notevole importanza.

 

1. Respingimento alla frontiera (cfr. p. 428). Non risulta dalle statistiche ufficiali e dalle cronache quotidiane che il respingimento di cui all’art. 8 della legge (art. 10 del T. U.) "abbia trovato scarsa applicazione". Si tratta di decine di migliaia di casi, come viene riportato a pagina 430. Nemmeno risulta che siano "pochi i clandestini che si fanno sorprendere alla frontiera o nelle sue vicinanze" e che "la maggior parte dei clandestini raggiunge l’Italia via mare" (p. 429). La via classica probabilmente anche oggi continua ad essere quella degli aeroporti a titolo di turismo.

 

2. Espulsioni (cfr. pp. 429-431). L’espulsione-tipo non è quella di cui parla l’autore, che raggiungerebbe quota zero. Infatti secondo la nuova legge (art. 11, T.U. art. 13) quando non è o non può essere disposto l’accompagnamento immediato alla frontiera, il prefetto può di fatto sempre cautelarsi contro l’eventuale pericolo di fuga dell’espellendo col rinchiuderlo in un centro di permanenza temporanea (cfr. commi 2-6). Quindi né l’intimazione a lasciare entro 15 giorni l’Italia né il ricorso entro i primi 5 giorni comporta automaticamente la possibilità di sottrarsi all’espulsione. E’ vero che dopo 30 giorni di trattenimento nel centro l’espellendo, se non è stata definita la sua identità e la disponibilità del Paese di provenienza di accoglierlo, deve essere rilasciato. Ma quale alternativa si propone? Come si potrebbe procedere con maggior rigore? Non sembra che l’autore dia risposte persuasive e praticabili. Non si esclude che ciò possa avvenire con la stipula di accordi bilaterali, col perfezionamento dei controlli Schengen, con l’acquisizione di una maggiore esperienza e disponibilità di mezzi da parte della nostra amministrazione; speriamo nessuno pensi al carcere o al protrarsi all’indefinito di questa permanenza. Speriamo soprattutto che il ridursi, attraverso politiche più adeguate, del contingente dei destinati all’espulsione renda meno acuto questo problema.

 

3. Criminalità (cfr. p. 431-433).

Si riconosce che è un problema molto serio e non va sottovalutato; però c’è motivo di affermare che, ulteriormente approfondito, il fenomeno della criminalità tra gli extracomunitari può essere di molto ridimensionato per quanto riguarda non solo i regolari ma pure gli irregolari. Non si tratta di contestare le cifre e riflessioni di M. Barbagli, riportate dall’autore, ma di integrarle con altre cifre e riflessioni, per esempio quelle del "Dossier Statistico Immigrazione degli ultimi anni e dell’ampio studio "Stranieri e giustizia penale" apparso su "Studi Emigrazione" (1998, n. 131, pp. 427-450). Ne riportiamo tre stralci (pp.434-435):

- "Pochi sono gli stranieri che commettono reati contro la persona, pari ad una percentuale metà di quella degli italiani, mentre i mass media enfatizzano in modo abnorme i reati commessi dagli stranieri".

- "La posizione giuridica più rilevante in Italia per i detenuti è quella di imputato in attesa di giudizio: è elevata per gli italiani, intorno al 50%, ma è oltre il 75% per gli stranieri".

- "Su 100 denunciati italiani ne vengono messi in carcere 15, mentre nel caso degli stranieri su 100 denunciati ne vengono ristretti (incarcerati) 75" Cfr. anche intervista del Direttore della Caritas Italiana, Don E. Damoli, sul Corriere della Sera, 11 marzo).

"Si può allora concludere che gli stranieri sono dieci volte più criminali degli italiani? Questa conclusione si manifesta del tutto errata ad una attenta analisi".

Serve infine sottolineare, come fa l’autore, a scanso di indebite generalizzazioni, che la criminalità interessa molto di più l’immigrazione clandestina che la regolare (in ragione dell’80% secondo il ministro dell’Interno) ed in particolare alcune etnie a differenza di altre: secondo i dati del Ministero dell’Interno al 20/1/1998 i marocchini detenuti erano 2.733, pari al 24,37% dei carcerati stranieri, mentre i filippini erano 18, pari allo 0,16% (benché il contingente filippino in Italia con 61.000 immigrati regolari risultasse al terzo posto).

 

4. La categoricità di certe affermazioni è mortificante oltre che deviante dalla realtà (cfr. p.426). I soliti operatori dal "buon cuore", facilmente identificabili, sarebbero facili a rilasciare dichiarazioni false, rendendosi responsabili di "illecito giuridico di rilevanza penale. Nessuno, però, sembra rendersene conto". Non si esclude che possa verificarsi qualche caso del genere, dà invece inquietudine del "nessuno", particolarmente a chi potrebbe addurre una valanga di testimonianze in contrario.

A conclusione si può dire che l’articolo di padre Spicacci ha messo a nudo molti problemi, non tutti però con sufficiente obiettività e completezza, ai quali peraltro è ben lontano dal dare adeguata risposta, anche perché non rimuove l’impressione che talora ci si porti del mondo della "fantapolitica" e del "ius condendum" (cfr. p. 435). Non saranno queste mie note a sciogliere gli interrogativi rimasti aperti, ma forse aiuteranno a intravedere che uno schietto confronto può portare a utili risultati, il primo dei quali la felice constatazione che sui principi ispiratori si vive già una profonda sintonia e sul piano operativo si è alla ricerca, tenace, sincera e sofferta, di un sostanziale accordo.

Va al di là del segno Panebianco quando, nel citato articolo, dice: "Urge un chiarimento. E il chiarimento riguarda un punto su cui la Chiesa non ha mai fatto, in tutti questi anni, realmente chiarezza"; è sua convinzione che la Chiesa "eviti di prendere posizioni chiare e responsabili" e, per rincarare la dose si domanda: "Perché (la Chiesa) non dice finalmente, contro l’immigrazione clandestina, una parola chiara?". Probabilmente Panebianco è piuttosto disinformato ed anche troppo esigente se vuole tagliare, con un secco colpo di scure, una realtà così complessa e difficile. Credo che per un giudizio complessivo deve anche lui tener conto che in ambito ecclesiale si dà un giudizio severo sulla clandestinità passata, ma la severità più che sui clandestini o sui troppo deboli interventi di controllo e di repressione va sulle responsabilità dei nostri Paesi occidentali che provocano con le loro politiche quelle situazioni insostenibili che sono all’origine di queste migrazioni clandestine; si dice un no energico ai flussi clandestini futuri, ma insieme si fa presente che questi continueranno inesorabilmente se non si pongono, come dice il Cardinale, le condizioni perché questo non avvenga; diciamo sì alla regolarizzazione ora in corso per senso di realismo e di onestà verso la parola data.

Con tutto ciò non ci stracciamo le vesti se, in un problema così complicato e diverso nei suoi concreti risvolti quotidiani, ci siano opinioni e posizioni non di perfetta sintonia; una sintonia d’altra parte che è oggetto di persistente, appassionata e sofferta ricerca. Di questo atteggiamento è interprete il Cardinale Ruini nella spesso citata prolusione: "Diversità di accenti e di opinioni si sono manifestate anche in ambito ecclesiale, ciò che non deve sorprendere o scandalizzare, trattandosi di una questione difficile e complessa, dove sono molteplici, e talvolta apparentemente contrastanti, i valori da promuovere e tutelare. Ma proprio questa complessità va ricondotta, il più possibile, ad una sintesi che risponda alle diverse esigenze etiche, giuridiche e sociali ed al vero bene sia del nostro Paese sia degli immigrati. Servono, a questo fine, serenità d’animo, capacità di ascolto reciproco, senso della realtà e apertura del cuore".

In questo spirito, fra le tantissime iniziative in corso, anche la Migrantes tenta di fare un suo servizio, invitando nei prossimi giorni attorno a un tavolo le varie istanze ecclesiali che nelle scorse settimane si sono trovate maggiormente nel vortice del dibattito.