Varato il regolamento di attuazione della legge 40, il governo si accinge ad affrontare ora la sfida piu' importante degli ultimi anni riguardo alla politica di immigrazione nel nostro paese. Pochi se ne accorgono, perche' non si tratta di dare risposte a situazioni di emergenza, ne' di allinearsi al generale - fugacissimo - interesse dell'opinione pubblica di fronte a uno sbarco piu' numeroso o sfortunato degli altri. Si tratta invece di colmare una lacuna clamorosa di quella politica: la mancanza di un canale di ingresso legale per i lavoratori immigrati. Un comitato interministeriale, coordinato dal sottosegretario all'interno Maritati, sta preparando il decreto-flussi per l'anno prossimo. Fino ad oggi, a dispetto di un piu' ampio dettato delle leggi in vigore, il lavoratore straniero e' potuto entrare in Italia solo se preventivamente chiamato da un datore di lavoro. Dato che nessuno assumerebbe mai un lavoratore mai visto in precedenza, un meccanismo del genere e' servito solo quale escamotage per legalizzare la posizione di quanti avessero conquistato, sul posto e illegalmente, la fiducia di un datore di lavoro italiano. Data pero' anche la difficolta' della procedura (si pensi al rimpatrio e al reingresso in Italia del lavoratore da regolarizzare) e la scarsa propensione alla legalita' del nostro mercato del lavoro, gran parte degli immigrati di fatto occupati in Italia ha dovuto attendere nell'ombra le successive, benedette, sanatorie. Senza escamotage e sanatorie, oggi in Italia avremmo pochi immigrati legali e circa un milione di clandestini, e lo slogan con cui e' stata presentata la nuova legge sull'immigrazione - piena integrazione dell'immigrazione legale, lotta contro quella illegale - si rivelerebbe una formidabile corbelleria. Stante pero' la sempre minore proponibilita' di provvedimenti che diano legalita' a chi non ha potuto, suo malgrado, averla ab origine, c'e' il rischio che quello slogan continui a vestire i panni augusti della corbelleria. Provo a spiegare perche'.

La nuova legge prevede un istituto significativamente diverso dalla chiamata preventiva: quello dell'inserimento nel mercato del lavoro. Il lavoratore puo' entrare in Italia, entro i limiti fissati, con apposita quota, dal governo, se sponsorizzato da un garante che ne protegga la fase precaria di ricerca di lavoro. Qualora entro sessanta giorni dall'emanazione del decreto-flussi, le sponsorizzazioni non abbiano raggiunto la quota fissata, possono entrare, fino ad esaurimento della quota stessa, anche in mancanza di garanzia, i lavoratori iscritti in liste di prenotazione da istituire nei consolati italiani. E' forse l'aspetto piu' innovativo della legge, e consente di far avvenire alla luce del sole cio' che fino ad oggi e' andato avanti, con silenziosa efficacia, nel nascondimento. Perche' la cosa funzioni devono essere soddisfatte, pero', tre condizioni: che una quota di ingressi per inserimento nel mercato del lavoro sia effettivamente contemplata nel decreto, che questa quota sia di dimensioni ragionevoli, che le liste siano istituite e gestite con trasparenza.

La prima condizione sembra oggi a riparo da sorprese: quanto affermato da Maritati in diverse occasioni fa escludere che possa essere trascurato proprio il meccanismo di ingresso piu' efficace che la legge offre. Sulle altre due incombe invece grave pericolo, per scongiurare il quale e' richiesto un supplemento di pragmatismo e di fantasia. Sanatorie e chiamate ex post hanno consacrato, negli ultimi dodici anni, l'inserimento proficuo di un flusso di circa centomila unita' per anno. Il Governo potrebbe avere esitazioni nell'ammettere, per il 2000, una quota di queste dimensioni, dopo anni di decreti striminziti e pavidi. Non deve, a mio parere; e a parere, soprattutto, di CGIL, Caritas, Migrantes, ARCI e altri organismi esperti. Gia' gli studi demografici allegati al documento programmatico triennale sull'immigrazione mostravano come perfino flussi di questo genere siano insufficienti a bilanciare la tendenza all'invecchiamento del nostro mercato del lavoro. In piu', merita considerazione la posizione di quanti siano entrati successivamente alla data di entrata in vigore della legge (27 marzo 1998) e siano rimasti cosi' esclusi dalla sanatoria in corso o, avendo comunque presentato istanza, rischino di vedersela respingere: se solo un buon decreto-flussi fosse stato emanato per tempo, quegli ingressi avrebbero potuto gia' essere legali. Qualunque sottodimensionamento, oggi, delle quote ammesse per inserimento nel mercato del lavoro richiedera' domani uno sforzo, in termini di repressione ed espulsione, che ne' la nostra societa' ne' gli immigrati meritano.

L'altra minaccia grava sulla realizzazione delle liste. I consolati nicchiano al riguardo. Per semplice paura dell'ignoto - mi auguro. C'e' allora il rischio che le liste vengano istituite solo in due o tre paesi fortunati, e che ai lavoratori degli altri paesi non resti che il solito canale clandestino. Per la consolazione dei nostri consolati, la soluzione c'e': si istituisca una lista centralizzata, presso uno dei ministeri competenti, nella quale possano confluire anche le prenotazioni spedite per posta dagli interessati, con graduatoria basata sulla data di spedizione e, in via transitoria, per chiudere bene la sanatoria in corso, sull'esistenza di una istanza di regolarizzazione che, per "insufficienza di prove", non potrebbe avere buon esito. Si dia informazione, ai lavoratori, sulle modalita' di iscrizione nella lista e, successivamente, sulla loro posizione in graduatoria. Laddove l'ammissione in Italia riguardi un immigrato che abbia presentato, senza fortuna, una istanza di regolarizzazione, si applichi poi il dettato dell'articolo 5 del Testo unico, che consente il rilascio di un permesso (sul posto) per il sopravvenire di elementi nuovi rispetto a quelli - insufficienti - posti alla base di una prima richiesta. Si ammetta infine anche una quota ampia di lavoratori autonomi, conditio sine qua non perche' quelli ammessi per inserimento nel mercato del lavoro possano stabilizzare il proprio soggiorno anche sulla base dell'effettuazione - autonoma, appunto - di piccoli servizi.

Le competenze in materia di immigrazione, al ministero dell'interno, sono oggi al loro massimo storico. E' un'occasione forse irripetibile per l'avvio effettivo della politica dell'immigrazione: una politica che si affranchi dal dilemma - doloroso ed inutile - tra sanatorie tardive ed espulsioni insensate. C'e' da augurarsi che non vada sprecata.

 

Sergio Briguglio