A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione)

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I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI TRA TUTELA E RIMPATRIO

 

La situazione prima della legge n. 40/1998.

La mancata regolamentazione giuridica della materia da parte della legge n. 39/1990 aveva costretto diverse realtà locali ad individuare forme di intervento ispirate ai principi generali del diritto minorile e a quelli della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, con l'intento di sottrarre all'autorità di polizia i poteri di determinazione in merito a minori stranieri non accompagnati per trasferirli a quella giudiziaria, individuata alternativamente nel Tribunale per i Minorenni ovvero nel Giudice Tutelare.

Solo nel corso del 1994, le autorità centrali del Ministero dell'Interno, di quello di Grazia e Giustizia e del Lavoro decisero di avviare una serie di incontri e discussioni che condussero all'emanazione di provvedimenti amministrativi (circolari) volti a regolamentare in modo uniforme sul territorio nazionale la questione del trattamento dei minori stranieri non accompagnati. Si sancì la necessità per ogni minore straniero non accompagnato di avviare la procedura di apertura di una tutela da parte del Tribunale per i Minorenni (per i minori di anni 14) o del Giudice tutelare (per gli ultra quattordicenni), con conseguente affidamento all'Ente locale, in base ad una interpretazione "lata" dell'art. 37 della legge n. 184/83, secondo cui il giudice può emettere provvedimenti urgenti a favore del minore straniero in stato di abbandono. In base a tali circolari amministrative, all'autorità di polizia veniva sottratto ogni potere di determinazione circa la condizione ed il trattamento del minore straniero non accompagnato, demandando all'autorità giudiziaria minorile il delicato compito di individuare la soluzione più confacente agli interessi supremi del minore richiamati dalla Convenzione Internazionale sui diritti del fanciullo (art. 3) (accoglienza, integrazione o rimpatrio). Durante la tutela disposta dall'autorità giudiziaria, il minore godeva di un permesso di soggiorno per motivi di "affidamento" o di "giustizia", il cui rilascio veniva ricondotto alla previsione di cui all'art. 4.14 della legge n. 39/90 ("Per gli stranieri ricoverati in case di cura e di pena, ovvero ospitati in comunità civili o religiose, il permesso di soggiorno può essere richiesto alla questura competente da chi presiede le case, gli istituti o le comunità sopraindicati, per delega degli stranieri medesimi").

Al fine di rendere maggiormente effettiva la protezione sociale del minore non accompagnato sottoposto a tutela, venne concordata la possibilità di un suo accesso all'impiego, in via del tutto eccezionale, previo rilascio al datore di lavoro di un apposito atto di avviamento a prescindere dall'iscrizione del minore alle liste di collocamento (circ. Min. Lavoro n. 67 dd. 16.06.1994).

Venendo incontro a ragioni di carattere umanitario facilmente comprensibili, con una successiva circolare amministrativa (circ. Ministero del Lavoro dd. 19.09.1995) si consentì la possibilità per il minore straniero non accompagnato e sottoposto a tutela, una volta raggiunta la maggiore età, di rimanere in Italia, usufruendo dell'iscrizione alle liste di collocamento, alla pari degli altri cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia per motivi di lavoro, anziché essere sottoposto al provvedimento espulsivo.

Le disposizioni contenute nella legge n. 40/1998. Una riforma mancata in materia di minori non accompagnati.

Sebbene le autorità di P.S. a livello locale applicarono i provvedimenti amministrativi citati in maniera discrezionale e disomogenea a seconda delle diverse situazioni locali, si può affermare in linea generale che erano state poste le basi per un superamento della logica delle espulsioni nel trattamento dei minori stranieri non accompagnati a favore di una logica alternativa di accoglienza ed integrazione.

Con l'entrata in vigore della legge n. 40/1998, sembrò trovare ulteriore conferma questo orientamento favorevole all'integrazione.

Sebbene la questione non appaia molto definita dalla normativa in questione, importanti disposizioni vi sono peraltro contenute relativamente alla condizione dei minori non accompagnati. Così, l'art. 19.2 a) del D.L.vo n. 286/98 dispone l'inespellibilità del minore straniero non accompagnato, tranne per i motivi di sicurezza nazionale e ordine pubblico, così come l'art. 31.4 prevede che l'eventuale espulsione del minore straniero debba essere disposta dal Tribunale per i minorenni su richiesta del questore. Per quanto concerne la condizione del minore straniero non accompagnato sottoposto a tutela, una volta raggiunta la maggiore età, l'art. 32 stabilisce la possibilità del rilascio a suo favore di un permesso di soggiorno per motivi di studio o di accesso al lavoro, a prescindere dal sistema delle quote annuali introdotto dal meccanismo della programmazione dei flussi.2

Il decreto legislativo n. 133/1999. Dall'accoglienza al rimpatrio assistito. Tutela dei diritti del minore o "espulsione camuffata" ?

Il fatto, tuttavia, che non si sia voluto prevedere con la nuova legge sull'immigrazione una griglia normativa precisa ed organica della materia, ha favorito ben presto un cambio di rotta a livello governativo, improntato più che su solide basi giuridiche, su un elevato esercizio di discrezionalità amministrativa, e giustificato da considerazioni di opportunità politica nonché da asserite inconciliabilità della situazione italiana con gli standard europei.

L'aumento del numero dei minori stranieri non accompagnati affidati e accolti presso istituti e centri di accoglienza dei comuni, cui spetta tale compito anche in base a quanto chiarito da un parere del Consiglio di Stato (30 luglio 1997), ha accresciuto le difficoltà di gestione da parte degli Amministratori locali. A ciò si sono aggiunte le preoccupazioni da parte governativa di alimentare con una politica di accoglienza flussi migratori clandestini e soprattutto di favorire indirettamente le organizzazioni criminali che li gestiscono, così come di non ottemperare ai criteri - peraltro non vincolanti giuridicamente- contenuti nella Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi 3.

Con l'art. 5 del D.L.vo 13 aprile 1999, n. 113 sono state introdotte delle disposizioni correttive al Testo Unico sull'Immigrazione riferite ai poteri e alle funzioni del Comitato per i minori stranieri di cui all'art. 33 del D.L.vo. n. 286/98, che era sorto già ai tempi della "legge Martelli" con lo scopo di vigilare e regolare le modalità di ingresso e di soggiorno temporaneo in Italia dei minori stranieri nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea proposti da enti, associazioni di volontariato, enti locali (ad es. i soggiorni estivi dei bambini ucraini colpiti dalle radiazioni di Chernobyl, etc.). Accanto a queste funzioni tradizionali, già con l'art. 33 del T.U. si era fatto cenno, in verità assai sfuggevole, ad ulteriori e non precisati compiti concernenti la tutela dei diritti dei minori stranieri in conformità alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, in relazione anche all'affidamento temporaneo a al rimpatrio dei medesimi. Con l'art. 5 del D.L.vo n. 113/99 si fa esplicito rimando ad un regolamento, da emanarsi mediante DPR o decreto di un Ministro delegato, chiamato a definire i compiti del comitato anche con riferimento alle modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati da parte dei servizi sociali degli enti locali, e alle soluzioni praticabili nei loro confronti, di accoglienza, di rimpatrio assistito, di ricongiungimento con la famiglia nel paese di origine o in un paese terzo (c. 1b)). In particolare, il decreto legislativo anticipa che il provvedimento di rimpatrio del minore straniero non accompagnato sarà d'ora in avanti adottato dal Comitato e che l'autorità giudiziaria sarà chiamata a rilasciare il nulla-osta in caso di pendenza di un procedimento giudiziario, fatta salva la sussistenza di inderogabili esigenze processuali (c.2).

In sostanza, con il decreto legislativo n. 113/99 il governo ha voluto indicare che l'inespellibilità del minore straniero non accompagnato, che discende dall'art.19 c. 2 a) del T.U., non esclude di per sé l'ipotesi del rimpatrio del medesimo, istituto che va distinto da quello dell'espulsione qualora, realizzandosi mediante le garanzie sostanziali e procedurali contenute nella risoluzione europea cennata, assuma un carattere non meramente coatto, bensì "assistito". 4

Chiarito, dunque, che la non-espellibilità del minore straniero non accompagnato non esclude, secondo l'impostazione governativa, l'eventualità/opzione del suo rimpatrio "assistito", sembrano tuttavia lungi dall'apparire privi di lacune, incertezze e contraddizioni decisivi aspetti del complesso normativo prefigurato anche sulla base dello schema di regolamento previsto dal D.L.vo n. 133/90, attualmente in circolazione e che parrebbe trovarsi al vaglio della Corte dei Conti, ed in particolare:

a) la distribuzione ed il coordinamento delle competenze e delle responsabilità decisionali riguardo alla soluzione da adottare per il minore non accompagnato, tra autorità giudiziaria minorile, questura, servizi sociali degli enti locali, volontariato, comitato per i minori stranieri.

b) Il quadro delle garanzie previste per il minore affinché il rimpatrio assistito costituisca effettivamente la soluzione più vicina ai suoi interessi preminenti;

c) Il quadro dei diritti e delle facoltà connesse all'accoglienza e al soggiorno del minore non accompagnato in Italia nel corso della tutela.

Per quanto attiene al primo punto, va evidenziata innanzitutto la necessità di un coordinamento tra il disposto dell'art. 5 del D.L.vo n. 113/99 che attribuisce al Comitato per i minori stranieri la responsabilità della decisione in materia di "rimpatrio assistito" del minore e quello dell'art. 28 del DPR 31.08.1999, n. 394, che, in attuazione dell'art. 19 .2 a) del T.U. , attribuisce al Tribunale per i Minorenni la competenza per l'emanazione dei provvedimenti concernenti il minore straniero non accompagnato. Si potrebbe, dunque, supporre che l'esecutivo abbia voluto da un lato coinvolgere l'autorità giudiziaria minorile per quanto concerne l'apertura della tutela del minore individuato sul territorio nazionale privo di accompagnamento di una persona adulta di riferimento (in base all'art. 2 della legge n. 184/1983), facendo salva tuttavia la competenza del Comitato per i minori stranieri per l'assunzione della decisione in merito al "rimpatrio assistito", quale soluzione eventualmente più rispondente all'interesse del minore, in base ai principi contenuti nella Convenzione di New York sull'esigenza di garantire l'unità familiare e il rispetto dei valori culturali.

Nello schema di regolamento di attuazione del D.L.vo n. 113/99, attualmente in circolazione, si prevede infatti che i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e gli enti, che vengano a conoscenza dell'ingresso e della presenza sul territorio italiano di un minore straniero non accompagnato, saranno tenuti a darne immediata notizia al Comitato (art. 5), così come a cooperare con le amministrazione statuali cui è affidato il rimpatrio assistito (art. 7.3). E' lecito ritenere che, una volta adottata dal Comitato la decisione del "rimpatrio assistito" del minore, l'autorità giudiziaria minorile non potrà far altro che adeguarvisi, revocando la tutela precedentemente aperta, in analogia con quanto previsto dall'art. 4 della legge n. 184/1983 ?

In relazione al secondo punto, vale la pena innanzitutto ricordare che, sebbene la risoluzione europea citata non assume un atteggiamento favorevole all'integrazione dei minori stranieri non accompagnati, prediligendo la soluzione del rimpatrio ("la presenza irregolare nel territorio degli Stati membri di minori non accompagnati che non sono considerati rifugiati deve avere carattere provvisorio, per cui gli Stati membri si sforzano di collaborare tra di loro e con i paesi terzi di origine per ricondurre il minore nel suoi paese di origine..."), ugualmente essa stabilisce opportuni paletti, limitazioni e garanzie volte a proteggere il minore dal rischio di un rimpatrio indiscriminato, prevedendo che il rimpatrio possa avere luogo solo "se via siano disponibili per lui, al suo arrivo, un'accoglienza ed un'assistenza adeguate, a seconda delle sue esigenze in base all'età e al grado di indipendenza", mentre finché tali condizioni non si saranno verificate, "gli Stati membri dovrebbero, in linea di massima, offrire al minore la possibilità di restare nel loro territorio". Ugualmente trova conferma nella risoluzione l'esigenza di un pieno rispetto dei principi generali di "non refoulement" e della tutela dei minori rifugiati, che discendono rispettivamente dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dalla Convenzione di Ginevra del 1951.

Affinché il rimpatrio sia effettivamente "assistito" e non meramente coatto secondo i criteri europei occorre dunque attivare una complessa azione di identificazione del minore, di "tracing" dei famigliari e di indagine sulle opportunità assistenziali, formative e lavorative offerte nel paese di origine, e quindi di accoglienza e reinserimento nel medesimo, che veda il coinvolgimento di organismi internazionali (Croce Rossa, Unicef, Unhcr, servizi sociali del paese di origine, ONG,…). Si può realisticamente ritenere che tali compiti, spesso peraltro obiettivamente difficili da realizzare per le condizioni di povertà ed isolamento dei luoghi di origine dei minori, possano essere svolti soltanto dai servizi sociali degli enti locali cui i minori sono affidati o anche solo dal comitato costituto presso la Pres. del Consiglio dei Ministri, composto da nove rappresentanti e che si avvale di un personale di segreteria e supporto molto ristretto come quello assegnatogli dal Dipartimento affari sociali ? E' vero che nello schema di regolamento si prevede la possibilità del comitato di avvalersi dell'opera di esperti e di organismi estranei all'amministrazione statuale anche mediante la stipula di apposite convenzioni (art. 4.2) e che una convenzione di tale genere, ancor prima dell'entrata in vigore del regolamento, è stata già stipulata nell'aprile scorso tra il Dipartimento affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Servizio Sociale internazionale -Sezione Italiana, in accordo con il Ministero del Lavoro e degli Affari sociali albanese, "in supporto alle iniziative connesse al rimpatrio assistito dei minori albanesi non accompagnati presenti irregolarmente in Italia". Resta, tuttavia, ancora da verificare la possibilità di estendere tale approccio ad altri paesi di provenienza dei minori, così come la stessa effettività delle misure intraprese in base alla convenzione sui minori albanesi, rispetto agli ambizioni obiettivi prefissi, che comprendano tra l'altro "la presa in consegna del minore all'arrivo e il riaccompagnamento in famiglia o altra struttura e l'inserimento del minore in Albania in corsi professionali o apprendistato al lavoro sostenuto da una borsa lavoro", soprattutto alla luce della debolezza delle strutture educative e formative statuali in Albania e delle precarietà delle condizioni sociali e lavorative ivi esistenti.

Nello schema di regolamento viene previsto il coinvolgimento del minore nel procedimento che dovrebbe condurre il comitato ad assumere la decisione sull'eventuale "rimpatrio assistito", prevedendo che esso "sia previamente sentito, anche dagli enti interessati all'accoglienza".

Avendo in considerazione la complessità e la mole di lavoro e di contatti richiesti per accertare le condizioni per un'eventuale "rimpatrio assistito", è presumibile che la permanenza del minore in Italia si prolunghi per periodi di tempo anche lunghi, così come l'obiettiva impossibilità in molti casi di reperire sufficienti ed attendibili informazioni sulle possibilità di accoglienza, assistenza e reinserimento nel paese di origine (si pensi a minori provenienti da paesi lontani, geograficamente e culturalmente, come il Bangladesh, lo Sri Lanka,..) possono realisticamente rendere più praticabile e confacente al supremo interesse del minore la soluzione della sua integrazione, in attesa del raggiungimento della maggiore età, piuttosto che quella del rimpatrio. Diviene dunque decisiva la questione dei diritti e delle facoltà esercitabili dal minore sottoposto a tutela, al fine di evitare situazioni di mero "parcheggio" nelle strutture di accoglienza, fonte eventuale di ulteriore isolamento, segregazione ed emarginazione. Innanzitutto l'accoglienza non dovrebbe essere improntata a criteri emergenziali e improvvisati, finalizzati soltanto al soddisfacimento di bisogni primari di alloggio e vitto, ma richiedere la presenza di personale specializzato, di locali idonei e non promiscui con situazioni di accoglienza di altro genere e caratteristiche, nonché prevedere interventi mirati di accompagnamento sociale, centrati sull'assistenza medica e psicologica, sulla formazione educativa e professionale e, in caso di possesso dei requisiti di età, sull'inserimento lavorativo. Occorrerebbe, dunque promuovere, nell'ambito della gestione del Fondo per le politiche migratorie, la creazione di centri specializzati regionali, non lasciando ai singoli enti locali soltanto la gestione del problema. Ugualmente, vanno definite le caratteristiche connesse al permesso di soggiorno del minore sottoposto a tutela. Se il Testo unico ha sciolto ogni dubbio in merito all'accesso all'assistenza sanitaria (includendo il permesso di soggiorno per affidamento tra quelli che consentono l'iscrizione obbligatoria al SSN in condizione di parità con il cittadino italiano: art. 34) e all'istruzione, resta irrisolta la questione dell'accesso all'attività lavorativa, per la mancanza di previsioni al riguardo tanto nel TU quanto nel D.L.vo n. 113/99, così come per il mancato chiarimento a livello ministeriale sulla perdurante o meno vigenza delle procedenti circolari amministrative sopra richiamate sull'avviamento speciale al lavoro da parte degli uffici del lavoro.5

Lo schema di regolamento attualmente in discussione non è in grado di sciogliere i dubbi in proposito, visto che non contempla alcuna disposizione che preveda l'accesso all'attività lavorativa per i minori stranieri non accompagnati accolti, citando soltanto i diritti relativi al "soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie, all'avviamento scolastico e alle altre provvidenze disposte dalla legislazione vigente" (art. 6.1), mentre la durata del permesso di soggiorno del minore viene ridotta a novanta giorni, estensibili fino ad un massimo di 150 giorni su decisione del comitato (art. 9) . La mancata previsione di ulteriori possibilità di proroga rende di difficile interpretazione il significato di detto articolo, che potrebbe certo adattarsi alle esigenze di minori arrivati in Italia per soggiorni temporanei nell'ambito di iniziative di solidarietà promosse da enti locali ed associazioni di volontariato, ma non certo a quelle dei minori non accompagnati giunti in Italia irregolarmente, per i quali la permanenza potrebbe rendersi necessaria per più lunghi periodi di tempo, per le difficoltà ad organizzare un rimpatrio "assistito" ovvero perché l'integrazione in Italia potrebbe comunque risultare la soluzione più conforme agli interessi superiori del minore medesimo.

Se l'orientamento del governo italiano di privilegiare la soluzione del rimpatrio assistito rispetto a quella dell'integrazione viene giustificato anche con l'obiettivo proclamato di contrastare l'immigrazione irregolare e le organizzazioni che la sfruttano, non è priva di fondamento l'obiezione sollevata dagli organismi umanitari e di volontariato, secondo cui tale politica potrebbe determinare effetti esattamente opposti. I minori, percependo la concreta eventualità del rimpatrio, e spaventati da essa, potrebbero non avere interesse a emergere dalla clandestinità e a sottrarsi alle condizioni di sfruttamento cui spesso sono soggetti (accattonaggio, lavoro minorile, prostituzione, situazioni che posso determinare in molti casi la fattispecie della vera e propria "riduzione in schiavitù"), così come anche il rapporto con i servizi sociali e le comunità di accoglienza verrebbe falsato e reso problematico dall'obbligo di cooperazione di queste ultime con il comitato e le autorità di polizia ai fini dell'eventuale assunzione della decisione del rimpatrio.6

E' lecito dunque sollevare dubbi sull'effettiva capacità di una politica di rimpatrio dei minori non accompagnati a corrispondere tanto agli interessi superiori dei medesimi, quanto alle esigenze di sicurezza della collettività nazionale.

Dott. Walter Citti

 

* Le opinioni e le valutazioni esposte in questo contributo sono strettamente personali e non costituiscono una presa di posizione ufficiale dell'organizzazione cui l'autore appartiene.

DOCUMENTI

ß D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286

ß D.L.vo 13 aprile 1999, n. 113

ß DPR 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione)

ß Schema di regolamento di attuazione dell'art. 5 del D.L.vo n. 113/99

ß Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi (in "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", n. 2/1999, pp. 241-246)

ß Pres. Cons. Ministri Dip. Aff. Sociali, Scheda informativa del Comitato per la tutela dei minori stranieri non accompagnati.

ß Presidenza del Consiglio dei Ministri, Scheda informativa sulla convenzione con il Servizio Sociale Internazionale per le iniziative connesse al rimpatrio dei minori albanesi.

ß Comitato per i minori stranieri - Pres. Consiglio dei Ministri Dip. Affari Sociali, Disposizioni per l'ingresso ed il soggiorno temporaneo in Italia di minori stranieri non accompagnati.

ß Mauro Valeri, Minori non accompagnati, in "Gli stranieri", n. 3/1998, pp. 1-10.

ß ASGI e altre ONG, Nell'interesse del minore, nell'interesse della collettività. Appello per la sospensione dei rimpatri dei minori stranieri a Torino, febbraio 1999.