Una velocissima lettura del testo, ad oggi non ancora pubblicato, del Regolamento d’attuazione, rende lampante e chiarissima la volontà di sottrarre completamente al sindacato giurisdizionale la legittimità dei provvedimenti emessi dalle Questure nei confronti degli stranieri.

A questo punto, pertanto, prima di iniziare con l’analisi e l’interpretazione del nuovo testo sarebbe doveroso chiedersi per quanti operano nell’ambito dell’Immigrazione, se sia ancora dignitoso paventare la sussistenza di un sistema di garanzie a tutela dei diritti degli stranieri.

Più in generale, sarebbe oltremodo opportuno che i "particolarissimi" principi enunciati per gli stranieri fossero divulgati e conosciuti fra gli studiosi di diritto che credo a prescindere dall’orientamento politico dovrebbero prendere oramai posizione circa l’introduzione degli stessi nel nostro ordinamento.

La premessa riguarda il secondo comma dell’articolo 12 del Regolamento d’Attuazione che dispone "Con il provvedimento di cui al comma 1, il questore concede allo straniero un termine, non superiore a quindici giorni lavorativi, per presentarsi al posto di polizia di frontiera indicato e lasciare volontariamente il territorio dello Stato, con l’avvertenza che, in mancanza, si procederà a norma dell'art. 13 del testo unico".

Il provvedimento cui si riferisce il comma 1 richiamato nel comma sopra riportato è il provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno, atto amministrativo avverso il quale, ai sensi del testo unico della legge sull’immigrazione e più in generale secondo i principi generali, può formularsi ricorso nel termine di 60 giorni innanzi al Giudice amministrativo.

E’ evidente come solo la mancata impugnazione del provvedimento, o il rigetto del ricorso da parte del Giudice, in sostanza la definitività del provvedimento stesso crei il presupposto per l’emanazione del provvedimento d’espulsione a carico dello straniero, provvedimento quest’ultimo di competenza ai sensi di legge del Prefetto e non del Questore.

Orbene con la disposizione sopra riportata, di fatto, il provvedimento di rifiuto emanato dalle Questure contiene una espulsione, o meglio, come intende, evidentemente, inquadrarlo il secondo comma dell’art. 12 una intimazione a lasciare il territorio italiano, con possibilità di procedere a norma dell’art. 13 del testo unico.

Quest’ultimo articolo contiene invero diversi commi e come si noterà il regolamento d’attuazione non specifica quale disposizione venga in rilievo, pertanto potrebbe ad esempio applicarsi il comma 4 che recita "L’espulsione è eseguita dal Questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, quando lo straniero:

a) è espulso ai sensi del comma 1 o si è trattenuto indebitamente nel territorio dello Stato oltre il termine fissato con l’intimazione"

Ecco chiuso pertanto il cerchio: scomparsi i termini di impugnazione del provvedimento di rifiuto innanzi al TAR, quindi inibita ogni valutazione in merito alla legittimità del rifiuto, la competenza ad emanare di fatto un provvedimento (l’avvertenza a lasciare il territorio italiano nel termine di 15 giorni) propedeutico all’accompagnamento forzato alla frontiera, o, nel caso di impossibilità, al trattenimento nei centri di permanenza temporanea, diviene di competenza del Questore, e non più del Prefetto, senza la possibilità di alcun sindacato da parte di un organo terzo nella specie il Giudice; il tutto in considerazione che allo stato non si comprende quali strumenti giurisdizionali possano venire in rilievo per dolersi dell’"avvertenza" contenuta nel provvedimento di rifiuto.

Daniela Consoli — Casa dei Diritti Sociali