ALCUNE OSSERVAZIONI GIURIDICHE SULLE CONDIZIONI DI RILASCIO DEL PERMESSO DI SOGGIORNO PER RAGIONI UMANITARIE A FRONTE DI DINIEGO DI RICONOSCIMENTO DELLO STATUS DI RIFUGIATO NEI RIGUARDI DI PROFUGHI DALLA REGIONE DEL KOSOVO/JUGOSLAVIA

 

1.

Come è noto, non esiste purtroppo nella normativa italiana l’istituto dell’asilo "umanitario", ovvero non risulta definito uno status giuridico chiaro per coloro che, pur non avendo i requisiti per vedersi riconosciuto lo status di rifugiato previsto dalla Convenzione di Ginevra, hanno un bisogno oggettivo di protezione non potendo fare rientro nel proprio paese di origine o di provenienza a causa di effettivi ed attuali pericoli per la propria vita ed incolumità derivanti da situazioni di guerra o di violenza generalizzata o ad altre condizioni di pericolo.

2.

Ciò non vuol dire che sia possibile espellere o respingere uno straniero direttamente verso un territorio nel quale possa essere oggetto di persecuzione, ovvero verso un paese terzo nel quale possa rischiare di venire rinviato nel paese di origine o provenienza. Tale divieto di "non refoulement", limitato, in base alla Convenzione di Ginevra, ai soli rifugiati (o richiedenti asilo), è invece esteso a tutti gli stranieri, comunque presenti nel territorio, dalla Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo , nonché dalla stessa L. 40/98, recante norme sulla condizione giuridica dello straniero . Non per ultimo va inoltre ricordato il dettato costituzionale (art. 10, co. 3), norma immediatamente precettiva, che configura l’asilo come diritto soggettivo dell’individuo.

L’incertezza della norma che caratterizza la situazione italiana relativa al cosiddetto "asilo umanitario" pone certamente il problema di quale protezione (e quindi quale condizione di soggiorno) assicurare a coloro, rifugiati extra convenzione di Ginevra, ovvero rifugiati "de facto" nei cui confronti la Repubblica italiana ha tuttavia precisi obblighi di protezione umanitaria.

L’incertezza o, spesso, l’assenza di una norma positiva non può in alcun caso significare che la persona che per ragioni umanitarie non può essere ne espulsa ne respinta possa rimanere nel territorio priva di un titolo di soggiorno, come in una sorta di condizione di "invisibilità" alla legge. Il dettato costituzionale prevede infatti, come è noto, una riserva assoluta di legge in materia di condizione giuridica dello straniero (art. 10 co. 2)

3.

Fatte queste necessarie premesse si comprende che la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato non può "riconoscere" al richiedente asilo che a suo giudizio non rientri nella nozione di rifugiato prevista dalla Convenzione di Ginevra, uno status "umanitario" diverso, giuridicamente definito non trovandosi conforto nella normativa in relazione ad una procedura di "riconoscimento" di tale status. Essendo tuttavia la Commissione l’unico organo competente per l’esame di merito delle istanze di asilo presentate ai sensi delle norme vigenti, con l’autorità che da ciò deriva, essa, a partire circa un anno, nel motivare il diniego al riconoscimento dello status di rifugiato a persone che pure debbono comunque godere di altre, adeguate forme di protezione umanitaria , ha assunto l’abitudine di rammentare alla P.A. e in particolare alle autorità preposte al rilascio dei permessi di soggiorno, l’esistenza di due norme, contenute entrambe nella L. 40/98, dalla cui lettura incrociata ben si evince come sussista un obbligo di assicurare una regolare posizione di soggiorno a coloro che abbisognano di adeguata protezione. Si tratta da un lato, del già citato divieto di "non respingimento" di cui all’articolo 17 co. 1, dall’altro, dell’art. 5 co. 6 .

4.

L’attuazione di quanto previsto dall’art. 5 co. 6 non risulta in alcun modo subordinato ad una esplicita indicazione positiva della citata Commissione; essa, come già detto, può limitarsi ad indicare come, a suo autorevole parere, sussistano i seri motivi di carattere umanitario che permettono, per così dire, di "azionare" il disposto normativo, prevedendo il rilascio di un opportuno permesso di soggiorno. L’assenza esplicita di riferimento all’attuazione dell’art. 5 co. 6 non comporta affatto che l’Autorità competente al rilascio dei permessi di soggiorno non sia tenuta a verificare l’esistenza o meno di seri motivi di carattere umanitario, in riferimento al caso concreto in cui versa lo straniero che ha chiesto protezione, e a dare, se ne ricorrano i presupposti, attuazione al dispositivo di legge.

5.

Rilevando l’esistenza di una grave situazione di emergenza umanitaria lo stesso governo italiano ha provveduto a dare attuazione a quanto previsto dall’art. 20 del D.Lgs 286/98, emanando un apposito DPCM in data 12.05.99 recante "Misure di protezione temporanea, a fini umanitari, da assicurarsi nel territorio dello Stato, a favore delle persone provenienti dalle zone di guerra dell’area balcanica". Tale DPCM dispone una misura generalizzata di protezione da applicarsi nei riguardi delle persone provenienti dall’area interessata, tramite il rilascio di un permesso di soggiorno per "motivi di protezione temporanea valido per la permanenza nel solo territorio nazionale fino al 31.12.1999" (art. 2 co. 1) Tale DPCM è ancora in vigore non essendo intervenuto alcun decreto di revoca di tali misure di accoglienza e tutela. Sulla base delle disposizioni predette, diverse migliaia di profughi dal Kosovo sono infatti tuttora accolti in Italia, regolarmente soggiornanti.

Una circolare telegrafica del Ministero dell’Interno diffusa in data 6.08.99 impartiva istruzioni ai competenti uffici di P.S. di non provvedere al rilascio di nuovi permessi di soggiorno in base al citato DPCM ritenendo cessate le condizioni di emergenza. Tale nota del Ministero dell’Interno, consistendo di disposizioni di natura amministrativa non può in alcun modo annullare o modificare la portata del citato DPCM, che è da ritenersi pienamente in vigore, come opportunamente ricordato dal giudice delegato del Tribunale di Brindisi, nell’accogliere il ricorso di alcuni profughi del Kosovo contro un provvedimento di espulsione (vedi ordinanza n. 1179/99 RGCC)

 

6.

Un’interpretazione diversa da quella che qui viene proposta, basata su una valutazione che ponga l’accento sulle mutate condizioni in cui si viene a trovare la regione del Kosovo, porterebbe ad un’applicazione arbitraria e discrezionale delle norme in vigore, con grave pregiudizio del principio dell’uniformità e dell’imparzialità nell’applicazione della legge. Non si comprende infatti la ragione per la quale una parte di cittadini stranieri profughi dal Kosovo godano delle misure di protezione umanitaria previste dalla legge, mentre altri profughi la cui situazione sotto il profilo oggettivo è identica o assimilabile si vedano negare la stessa protezione.

Tale inaccettabile difformità di trattamento risulta tanto più evidente se si pone a danno di coloro che sono giunti in Italia prima dell’entrata in vigore della citata DPCM 12.05.99 e che, pertanto, hanno avuto come unica procedura per accedere a delle forme di protezione quella di inoltrare istanza di asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra.

Colui che, giunto in Italia prima della dichiarazione dello stato di emergenza, che ha presentato istanza di asilo e a cui viene negato il riconoscimento dello status di rifugiato, ha pertanto diritto di chiedere di potere accedere ai benefici delle misure di protezione umanitaria sopraccitate con parità di trattamento rispetto agli altri profughi del Kosovo regolarmente presenti in Italia, potendo godere di un permesso di soggiorno rilasciato in base a quanto disposto dall’art. 5 co. 6 del D.Lgs 286/98, o da quanto disposto dal DPCM 12.05.99.

 

A conclusione della presente disamina si ritiene della massima importanza fare osservare che l’ACNUR, massima autorità in materia, nel ricordare che, nonostante la presenza delle forze multinazionali di pace, la situazione in Kosovo non può in alcun modo dirsi sicura, in un documento ufficiale della sede di Ginevra ha raccomandato a tutti gli stati europei che hanno accolto rifugiati dal Kosovo che " la protezione di cui tuttora godono i kosovari di etnia albanese venga mantenuta e che, fino alla primavera del 2000, quando allora la situazione potrà venire riesaminata, i rimpatri siano realizzati solo su base volontaria"

 

 

nota a cura del Consorzio Italiano di Solidarietà — Ufficio Rifugiati

34133 TRIESTE — v. G. Marconi 36/b tel: 040/52.248 — fax: 040/515.72 - e-mail: icsts@tin.it

 

 

Trieste, novembre 1999