N E W S PROGETTO ATLANTE

POLITICHE LEGISLATIVE

15 ottobre 1999

a cura dell'

ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione

SOMMARIO

 

- ASILO

- Il Tribunale Civile di Roma riconosce il diritto d'asilo costituzionale a Abdullah

Ocalan.

- Una circolare del Ministero dell'Interno stabilisce la cessazione dell'applicazione della protezione temporanea ai nuovi arrivi dalla Repubblica Federale di Jugoslavia. Prese di posizione critiche dell'associazionismo. Un primo bilancio dell'applicazione del decreto sulla protezione temporanea.

- Ripreso alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati l'iter del disegno di legge in materia di asilo politico e di protezione temporanea. L'ACNUR e gli organismi non governativi elaborano un documento con puntuali e sostanziali richieste di emendamento.

- Nominata la nuova presidenza del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR)

- Nuove disposizioni in materia di ingresso e soggiorno dei cittadini somali in Italia.

- PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI MIGRATORI (Ingresso, soggiorno, espulsioni).

- Varata la direttiva sulla programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro

- dei cittadini extracomunitari per l'anno 1999.

- La Corte Costituzionale giudica conforme alla Costituzione l'espulsione come misura sostitutiva alla detenzione disposta dal giudice anche contro la volontà dell'interessato, prevista dalla legge sull'immigrazione.

- In vigore le nuove disposizioni correttive alla legge sull'immigrazione in materia di

regolarizzazione ed espulsioni.

- Circolare del Ministero dell'Interno sulle modalità e possibilità di regolarizzazione ai

sensi del DPCM dd. 16.10.1998 per gli stranieri pregiudicati e quelli in stato di detenzione.

- Iscrizione degli studenti extracomunitari alle Università italiane. Le disposizioni per

l'A.A. 1999-2000.

- Un progetto di assistenza al rimpatrio volontario di cittadini albanesi e delle Repubbliche della ex-Jugoslavia.

 

 

- INTEGRAZIONE SOCIALE

- Entrate in vigore le disposizioni per la concessione degli assegni familiari e dell'assegno per maternità. Discriminati i nuclei familiari misti, quelli composti da stranieri e le donne straniere che vengono esclusi dall'applicazione delle nuove misure assistenziali. I possibili rimedi giudiziari a tale discriminazione.

- Consegnata al Governo italiano la relazione della Commissione per le politiche di integrazione contenente le proposte di modifica della legislazione sull'acquisto della cittadinanza italiana.

- Una storica sentenza della Corte di Cassazione estende il principio della risarcibilità del danno subito dal cittadino in relazione a provvedimenti della Pubblica Amministrazione che abbiano leso "interessi legittimi". Le possibili applicazioni nel campo della tutela degli immigrati.

- Il CNEL mette sotto accusa Governo e Regioni per le inadempienze e i ritardi nell'applicazione della legge sull'immigrazione rispetto alle politiche per l'integrazione degli immigrati.

- Quali possibilità per l'autocertificazione da parte dei cittadini extracomunitari in base alle circolari del Ministero dell'Interno, di Grazia e Giustizia e dei Trasporti e della Navigazione, applicative delle norme in materia di semplificazione amministrativa ?

- La Corte Costituzionale riconosce il diritto dei cittadini extracomunitari invalidi civili all'iscrizione alle liste del collocamento obbligatorio.

- Fissati i termini per il procedimenti di riconoscimento dei titoli di studio extracomunitari ai fini dello svolgimento delle professioni sanitarie.

- Introdotta l'assicurazione obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale per i cittadini dell'Unione Europea residenti in Italia.

- IMMIGRAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

- La "legge Bassanini" ed il riordino delle competenze in materia di immigrazione.

- ACCORDI INTERNAZIONALI

- Ratificati e resi esecutivi gli accordi di adesione dei governi di Svezia, Danimarca e

Finlandia agli accordi di Schengen, nonché l'accordo di cooperazione tra gli Stati parte degli Accordi di Schengen e la Repubblica di Islanda ed il Regno di Norvegia per la soppressione dei controlli alle persone alle frontiere comuni.

- Ratificato e reso esecutivo l'accordo tra Italia e Argentina sul riconoscimento dei titoli di studio a livello elementare e medio firmato a Bologna il 3 dicembre 1997.

- Ratificate e rese esecutive le Convenzioni con la Slovenia e la Croazia in materia di sicurezza sociale.

- Entrato in vigore l'accordo tra il governo italiano e quello della Repubblica di Macedonia sulla mutua promozione e protezione degli investimenti, firmato a Skopje il 26.02.1997. Ratificati e resi esecutivi gli accordi sulla protezione degli investimenti tra Italia e Uzbekistan e Uganda, firmati rispettivamente a Taskent il 17.09.1997 e a Roma il 12.12.1997. La possibilità dell'acquisto di immobili ad uso abitativo da parte di immigrati stranieri.

- Entrato in vigore il Trattato tra Italia e Perù sul trasferimento di persone condannate e di minori in trattamento speciale.

- Entrata in vigore la Carta sociale europea, firmata a Strasburgo il 3 maggio 1996.

- Ratificato e reso esecutivo l'accordo tra il governo italiano e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugosalvia, firmato a L'Aja il 06.02.1997.

- Sospesa nei confronti della Bosnia Erzegovina l'efficacia dell'accordo tra l'Italia e la ex Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia sul reciproco riconoscimento dei titoli di studio universitari, sottoscritto a Roma il 18 febbraio 1983.

-

SPECIALE N E W S

- "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza". Uscito il secondo numero della rivista promossa

da Magistratura Democratica e dall'ASGI dedicata ai temi dell'immigrazione e dell'asilo.

- Entrato in vigore il 1° maggio scorso il Trattato di Amsterdam sull'Unione Europea. Le prospettive delle politiche europee in materia di immigrazione e asilo in occasione del Vertice europeo straordinario di Tampere (Finlandia) del 15-16 ottobre. I documenti propositivi di organismi italiani ed europei.

- Campagna internazionale per la ratifica della Convenzione ONU per la protezione dei

diritti dei migranti e dei membri delle loro famiglie. Un'iniziativa in Italia.

- Famiglia multietnica e diritto di famiglia. La Corte di Cassazione conferma il limite

all'applicazione della legge straniera nei rapporti di famiglia se i suoi effetti sono

contrari all'ordine pubblico e ai principi fondamentali del nostro ordinamento e di

quello internazionale. Negata l'applicazione della legge marocchina che non ammette

l'istituto del riconoscimento della filiazione naturale.

 

 

ASILO

1. Il Tribunale Civile di Roma riconosce il diritto di asilo costituzionale a Abdullah Ocalan.

Con sentenza depositata il 1 ottobre scorso, il Tribunale Civile di Roma ha riconosciuto il diritto di asilo politico in Italia, ai sensi e per gli effetti dell'art. 10.3 della Costituzione ("Lo straniero al quale sia impedito l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni della legge") , al leader curdo Abdullah Ocalan, a seguito dell'istanza da questi presentata il 21 dicembre 1998.

Senza sottovalutare l'importanza della pronuncia del tribunale romano per il diretto interessato, quale anche mezzo di pressione nei confronti delle autorità turche per impedire la conferma della sua condanna a morte pronunciata in primo grado, la sentenza trascende certamente il caso in questione. Non può sfuggire il fatto che si tratta del primo caso di un pronunciamento giudiziario volto a dichiarare il riconoscimento del diritto costituzionale di asilo politico, rimasto tuttora inattuato.

Il dispositivo della sentenza conferma innanzitutto la giurisprudenza avviata con la famosa pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. Unite 12.12.1996-26.05.1997, n. 4674, circa la natura precettiva ed immediatamente operativa e non meramente programmatica della norma costituzionale sull'asilo, tale dunque da vincolare l'autorità giudiziaria civile anche in assenza di una disciplina attuativa. Ugualmente, viene ribadita la distinzione concettuale tra la nozione di asilo costituzione e quella di rifugiato ricavabile dalla Convenzione di Ginevra del 1951: la prima legata a criteri di natura oggettiva (la mancanza di libertà democratiche nel paese di origine dell'asilante), la seconda a presupposti di natura soggettiva (il timore individuale di persecuzione).

Va rilevato inoltre il modo esemplare con il quale il giudice civile ha respinto uno dei motivi di inammissibilità che erano stati addotti dall'Amministrazione Italiana quale parte convenuta, cioè la sostanziale inopportunità politica, in mancanza di una normativa di attuazione del diritto d'asilo costituzionale, di affidare al giudice la valutazione sulla democraticità di un ordinamento straniero che "significherebbe accettare ipotesi di responsabilità internazionale dello Stato italiano per attività del suo potere giudiziario". Giustamente, qui il giudice ha ricordato i contenuti della Dichiarazione sull'Asilo territoriale adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 15 dicembre 1967 che stabilisce che "la concessione da parte di uno Stato dell'asilo a persone che possano invocare l'art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo costituisce un atto pacifico e umanitario che, in quanto tale, non deve essere considerato un atto ostile nei confronti di un altro Stato".

Una volta respinti i presupposti di inammissibilità avanzati dal Governo italiano, il giudice ha riconosciuto il diritto di asilo costituzionale a Ocalan ritenendo, in base alla documentazione prodotta ( i dossier sulla situazione dei diritti umani in Turchia redatti tra l'altro dal Dipartimento di Stato USA, dal Parlamento europeo, da Amnesty International, le pronunce di condanna della Turchia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, ecc) e alle risultanze di prove testimoniali, l'esistenza del presupposto di base dell'assenza in Turchia delle libertà democratiche riconosciute, invece, dalla nostra Costituzione, con particolare accenno al rispetto dell'integrità della persona, al rispetto delle libertà civili, alla proibizione della discriminazione in relazione alla razza. Secondo il giudice, inoltre, la previsione costituzionale dell'asilo politico va integrata e completata alla luce di quella sul divieto di estradizione dello straniero per motivi politici (art. 10.4 Cost.) successivamente ribadito sul piano internazionale dalla Convenzione Europea di estradizione di Parigi del 1957 che stabilisce, ad ulteriore garanzia dell'estradando, che l'estradizione non verrà concessa nel caso in cui lo Stato richiesto "abbia dei seri motivi di credere che la domanda, pur motivata da un reato di diritto comune, sia stata presentata per perseguire o punire un individuo per considerazioni di razza, religione, nazionalità ed opinioni politiche oppure che la situazione di detto individuo rischi di essere aggravata da una qualsiasi di queste ragioni". Il giudice non ha ritenuto nemmeno che il riconoscimento del diritto di asilo per Ocalan debba essere negativamente condizionato dall'entità, indubbia, dell'attività delittuosa a lui contestata, in base all' orientamento giurisprudenziale per cui occorra ai fini estradizionali contemperare il rilievo del delitto politico con la tutela dei valori umani di carattere universale che il delitto invece ha offeso o posto in pericolo (Cass. I^ Sez. pen. 27.02.1989; Cass. I^ Sez. Pen. 17.02.1992). Secondo il giudice, infatti, la motivazione dell'attività di Ocalan -"politica sul piano dei valori assoluti e certamente degna di considerazione sia nell'attuale contesto (della lotta per il riconoscimento dei diritti del popolo curdo, diritti fino ad ora contestati e conculcati) che in una prospettiva storica - funge da contrappeso all'entità delle offese arrecate".

Va rilevato, infine, come il giudice abbia respinto la tesi del Governo italiano dell'infondatezza dell'istanza di asilo per la sopravvenuta mancanza nell'attore dell'interesse ad agire, in ragione del suo abbandono del territorio italiano e della sua attuale condizione di detenuto in Turchia.

Il giudice di Roma non ha ritenuto di dover ricondurre il caso Ocalan alla fattispecie prevista dalla giurisprudenza di Cassazione (Cass. 9.10.98 n. 10062 e Cass. 23.05.1982 n. 3198), secondo la quale "è inibito al giudice di risolvere questioni meramente teoriche al fine di una pronuncia dal contenuto astratto e congetturale", sostenendo al contrario che "permanga tuttora un interesse concreto e attuale dell'attore (Ocalan ndr) ad una pronuncia favorevole", per le implicite implicazioni politiche scaturenti da "un accertamento - in una sede giudiziaria neutra ed imparziale - dell'esistenza del problema del popolo curdo e del suo diritto all'autodeterminazione o, comunque, a spazi di libertà e democrazia, obiettivi dell'azione politica di Ocalan" medesimo.

La sentenza "Ocalan" è motivo di particolare soddisfazione per l'ASGI, che era intervenuta in giudizio a sostegno dell'istanza, assieme ad altre associazioni, quali il CIR e l'Associazione Giuristi Democratici.

2. Una circolare del Ministero dell'Interno stabilisce la cessazione dell'applicazione della protezione temporanea ai nuovi arrivi dalla Repubblica Federale di Jugoslavia. Prese di posizione critiche dell'associazionismo. Un primo bilancio dell'applicazione del decreto sulla protezione temporanea.

Con una circolare telegrafica datata 5 agosto 1999, Il Ministero dell'Interno ha disposto la cessazione dell'applicazione delle misure di protezione temporanea per i nuovi arrivati dal territorio della Repubblica Federale di Jugoslavia.

Con un comunicato stampa diramato il 20 luglio scorso, il Ministero dell'Interno aveva già annunciato la decisione di non continuare ad applicare la protezione temporanea ai nuovi arrivi dalla Repubblica Federale di Jugoslavia. La decisione del Ministero dell'Interno giunge a seguito dell'arrivo sulle coste pugliesi di diverse centinaia di profughi, prevalentemente di etnia rom, in fuga dal Kosovo a seguito delle rappresaglie, intimidazioni e violenze cui sono sottoposti da parte di gruppi armati albanesi, presumibilmente appartenenti all'UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo).

La decisione del Ministero dell'Interno ha suscitato critiche da parte delle associazioni di tutela dei diritti dei richiedenti asilo. L'ASGI e l'ICS hanno sollevato perplessità sul fatto che la revoca dell'applicazione delle misure di protezione temporanea venga disposta per il tramite di una circolare amministrativa, e cioè di una fonte di diritto gerarchicamente inferiore al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che aveva introdotto tali misure. Le suddette organizzazioni inoltre paventano il rischio che la revoca delle misure di protezione temporanea possa essere arbitrariamente ed erroneamente interpretata dagli organi locali di polizia come un segno di infondatezza delle istanze di protezione provenienti da questi nuovi gruppi di profughi e possa di conseguenza condurre all'applicazione degli accordi di riammissione tra Italia e Repubblica Federale di Jugoslavia, ovvero all'emanazione di provvedimenti espulsivi. Ciò costituirebbe un'aperta violazione del principio di "non refoulment", in considerazione del rischio che questi profughi vengano sottoposti a violenze e persecuzioni successivamente al rientro nei luoghi di origine. La precaria situazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali degli appartenenti all minoranze etniche in Kosovo, ed in particolare di quelle serba e rom, vittime di atti quotidiani di uccisione sommaria, rapimento, intimidazione e limitazioni nella libertà di circolazione e nell'accesso ai mezzi di sostentamento, è confermata da due recenti rapporti dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, diffusi rispettivamente il 26 luglio ed il 15 settembre scorsi ("Preliminary and Second assessment of the Situation of Ethnic Minorities in Kosovo". I testi possono essere richiesti alla delegazione italiana dell'ACNUR (e-mail: itaro@unhcr.ch).

Anche in risposta ad un comunicato dell'ACNUR, diffuso il 21 luglio, in cui si sottolineava che "la decisione di non continuare ad applicare la protezione temporanea ai nuovi arrivi di profughi non deve intaccare in nessun modo il diritto d'asilo e la normale applicazione dell'art. 1 della legge n. 39/90 che definisce i criteri per l'ammissione alla procedura d'asilo", il Ministero dell'Interno, nella citata circolare del 5 agosto, specifica che la cessazione delle misure di protezione temporanea fa comunque salve le disposizioni in materia di asilo e dunque di accesso alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. Il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), da parte sua, aveva sottolineato l'esigenza che presso i centri di accoglienza e di smistamento predisposti sulle coste pugliesi venga garantito l'accesso a personale umanitario e interpreti in grado di orientare i profughi e garantire a coloro che ne abbiano i requisiti l'accesso alla procedura di asilo, evitando respingimenti ed espulsioni che risulterebbero in violazione sia del diritto internazionale che della normativa italiana in materia di "non refoulement".

Da più parti, tuttavia, si segnala l'adozione di provvedimenti di espulsione, mediante intimazione a lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni, adottati dalle questure pugliesi al momento dello sbarco di gruppi di profughi di etnia rom originari dal Kosovo.

Il problema principale incontrato durante l' applicazione del decreto sulla protezione temporanea è stato la disparità di trattamento a seconda delle aree di arrivo dei profughi, con particolare riferimento a due questioni principali:

a) l'individuazione dei beneficiari delle misure di protezione temporanea;

b) l'applicazione delle misure di assistenza.

a) Per quanto concerne il primo punto, l'art. 1 del decreto offriva una definizione piuttosto generica dei beneficiari delle misure di protezione, identificandoli come le "le persone provenienti dalle zone di guerra dell'area balcanica".

Ai questori - e dunque agli uffici di Pubblica Sicurezza locali - veniva affidato il compito di verificare, per quanto possibile, la provenienza e la nazionalità degli interessati (art. 2 c.1), con conseguente attribuzione della qualifica di rifugiato temporaneo ovvero esercizio della facoltà di respingimento o di espulsione dal territorio dello Stato, nel caso di persone ritenute non ammissibili sul territorio o il cui soggiorno non poteva essere consentito ovvero doveva essere revocato (art. 2 c.2). Una successiva circolare del Ministero dell'Interno datata 27 maggio aveva specificato che per le condizioni di esclusione e di inammissibilità alla protezione temporanea si doveva fare riferimento all'art. 4 comma 6 del D.L.vo n. 286/98, che riguarda gli stranieri già espulsi dall'Italia e privi di autorizzazione al rientro, così come quelli segnalati nel SIS (Sistema Informativo Schengen) ai fini della non ammissione, oltre a coloro che risultavano pericolosi alla sicurezza nazionale, all'ordine pubblico e al quadro delle relazioni internazionali. Al riguardo va anche ricordato il disposto dell'art. 10 comma 4 del TU delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione dove è prevista la non applicazione delle misure di respingimento nei casi previsti dalle disposizioni che regolano l'asilo politico e l'adozione di misure di protezione temporanea.

Un punto su cui il decreto, ma soprattutto l'interpretazione che ne è stata offerta dagli organi ministeriali, è apparsa irragionevolmente restrittiva, è quello che ha escluso di fatto dalla sua applicazione molte persone che potevano definirsi "réfugiés sur place", cioè che, al momento dell'entrata in vigore del provvedimento, già si trovavano in Italia, con permesso di soggiorno ad altro titolo o anche illegalmente, ed erano impossibilitate a fare rientro nei territori di origine in condizioni di dignità e sicurezza per gli eventi nel frattempo maturati. La circolare amministrativa del M.I. datata 27 maggio fissava quale requisito essenziale all'accesso alle misure di protezione temporanea, previa sospensione anche di eventuali provvedimenti espulsivi nel frattempo emanati, l'ingresso in Italia successivo all'inizio degli eventi bellici, che è stato fatto coincidere con il 26 marzo, data di dichiarazione dello stato di emergenza per fronteggiare un eventuale afflusso di rifugiati mediante l'apposito DPCM (pubblicato sulla GU n. 75 del 31.03.1999). Motivi di perplessità ha suscitato il riferimento alla data di ingresso in Italia, che ha fatto prevalere un elemento di natura tutto sommato formale sulla necessaria valutazione dei motivi sostanziali per cui le persone avrebbero potuto invocare la protezione umanitaria in ragione degli eventi sopravvenuti nel paese di origine. Appare opinabile, inoltre, l'aver fatto coincidere l'inizio degli eventi bellici con l'avvio delle operazioni militari della NATO nella Repubblica Federale di Jugoslavia, avendo trovato queste ultime giustificazione ufficiale quale forma di "ingerenza umanitaria" a fronte di massicce violazioni dei diritti umani in Kosovo che avevano già provocato la fuga forzata di quattrocento mila persone, tra profughi e sfollati interni.

Ad ogni modo, la circolare del M.I. del 27 maggio confermava la validità delle istruzioni precedentemente impartite con circolare del 7 aprile, limitatamente ai cittadini della Repubblica Federale di Jugoslavia che non potevano accedere alle misure di protezione temporanea a causa di provvedimenti espulsivi emanati prima del 26 marzo. In base a tali istruzioni, tali cittadini non potevano comunque essere assoggettati alle misure di detenzione amministrativa finalizzate dall'esecuzione del provvedimento espulsivo, tranne nei casi di comprovata pericolosità sociale. Anche tali disposizioni sono ora revocate per mezzo della circolare del 5 agosto, per cui le espulsioni di cittadini della Repubblica Federale di Jugoslavia tornano ad essere eseguibili, anche mediante l'internamento nei centri di detenzione amministrativa.

b) In merito alle misure assistenziali, l'indicazione di inviare i beneficiari "quando è necessario, alle strutture di primo soccorso individuate o realizzate sul territorio nazionale", è stata letta da alcune Prefetture come un obbligo di assistenza da assicurare a tutti i profughi attraverso l'attivazione di una vasta gamma di possibili risorse (ad es. accordi con gli enti locali), mentre altre Prefetture hanno ritenuto di dover procedere ad interventi assistenziali solo in determinati casi, o di non intervenire affatto.

Si rammenta che il riconoscimento della protezione umanitaria temporanea ha comportato il rilascio di un permesso di soggiorno valido per il solo territorio italiano fino al 31 dicembre 1999, ma rinnovabile con cadenza semestrale fino al perdurare dello stato di emergenza conseguente al conflitto e, dunque, fino al venir meno di ogni impedimento ad un rimpatrio in condizioni di dignità e sicurezza (art. 2 c.4, art. 4).

Il permesso di soggiorno per motivi di protezione temporanea consente l'esercizio dell'attività lavorativa e l'accesso allo studio (art. 2 c. 4). I beneficiari della protezione temporanea che versino in stato di bisogno e che siano privi di assistenza fornita da altri soggetti pubblici e privati possono accedere ai centri di accoglienza che il Ministero dell'Interno, il dipartimento protezione civile e quello degli affari sociali e i prefetti hanno predisposto (art. 3 c. 1), servendosi dei poteri derogatori alle procedure ordinarie fissati con la proclamazione dello stato di emergenza (DPCM dd. 26.03.1999 in G.U. n. 73 del 29.03.1999) e la successiva ordinanza applicativa del Ministero dell'Interno (in G.U. n. 75 del 31.03.1999). Alle stesse condizioni di cui sopra, i beneficiari della protezione temporanea hanno il diritto agli interventi a carattere sanitario (art. 3 c. 1). La predisposizione di strutture di strutture di primo soccorso e accoglienza dei rifugiati temporanei deve avvenire, per quanto possibile, coinvolgendo gli enti locali, enti pubblici e privati, organizzazioni di volontariato e associazioni di tutela degli stranieri, mediante la stipula di apposite convenzioni e accordi con gli organismi ministeriali competenti, ma come abbiamo visto tali disposizioni hanno trovato un'applicazione disomogenea sul territorio nazionale, anche in mancanza di un vero e proprio piano nazionale di accoglienza.

Dalla fine di giugno, con la cessazione delle operazioni belliche in Kosovo e l'insediamento della missione multinazionale nella regione, la maggior parte dei 6.000 profughi kosovari albanesi che erano stati accolti nella ex base militare di Comiso, in Sicilia, sono rimpatriati, spontaneamente o nell'ambito del programma di rimpatrio volontario assistito dell'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni). Per circa 150 dei 300 rimasti, un coordinamento di associazioni del privato sociale, tra le quali il CIR e l'ICS, ha predisposto e già realizzato un inserimento alloggiativo in altre strutture diffuse sul territorio italiano, nell'ambito del progetto "Azione Comune", finanziato dalla Commissione europea per l'accoglienza di profughi provenienti dalle zone di conflitto nella RFJ.

Nel frattempo, gli arrivi in Italia di richiedenti asilo provenienti dal Kosovo riguardano in particolare, come abbiamo visto, appartenenti all'etnia rom (più di 5.000 persone, di cui 2.000 minori, nel mese di luglio). Nel caso venga consentito loro l'accesso alla procedura di determinazione individuale dello status di rifugiato, dopo un'iniziale accoglienza presso i centri di smistamento delle Puglie, vengono dirottati in altri centri istituiti in altre regioni italiane, oppure in mancanza di alternative, cercano di recarsi in altri paesi europei o finiscono nei campi nomadi alla periferia di grandi città italiane quali Venezia, Firenze, Bergamo, Bologna, Roma, aggravando situazioni di sovraffollamento e di degrado sociale e sanitario già presenti. La situazione diviene ancora peggiore in caso di assoggettamento al provvedimento espulsivo al momento dello sbarco in Italia, che rende impraticabile da parte delle autorità locali la predisposizione di qualsiasi intervento di assistenza sociale a favore di queste persone.

Per informazioni sulla tutela dei rifugiati provenienti dal Kosovo, ci si può rivolgere all'ICS di Trieste, tel. 040/52248, e-mail: icsts@tin.it oppure al Consiglio Italiano per i Rifugiati, Via del Velabro 5/A, Roma tel. 06/69200114.

Informazioni aggiornate sulla situazione dei rifugiati e delle popolazioni civili del Kosovo sono reperibili sui siti Internet dell'UNHCR di Ginevra (http: //www.unhcr.ch/news/media/kosovo.htm) e su quello del Consorzio Italiano di Solidarietà, l'ONG italiana maggiormente presente nell'ara balcanica (http://www.mir.it/ics/profughi/kosovo.html).

3. Ripreso alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati l'iter del disegno di legge in materia di asilo e protezione temporanea. L'ACNUR e gli organismi non governativi elaborano un documento con puntuali e sostanziali richieste di emendamento.

Dopo la pausa estiva, è ripresa in settembre in seno alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati - (presidente l'on. Cananzi (Partito Popolare), relatore l'on. Soda (Democratici di Sinistra) - la discussione sul disegno di legge in materia di asilo e di protezione temporanea, già approvato al Senato il 5 novembre scorso.

GIà prima della pausa estiva, il relatore, on. Soda, aveva illustrato sommariamente i contenuti del provvedimento, sottolineando anche alcuni limiti del testo approvato dal Senato che necessiterebbe di modifiche e correzioni durante la discussione alla Camera dei Deputati. In particolare, l'on. Soda ha rilevato l'eccessiva limitazione dei presupposti per la concessione del diritto d'asilo, facenti riferimento al pericolo di vita, rispetto ai contenuti del testo costituzionale, che fanno riferimento unicamente all'impedimento all'esercizio delle libertà democratiche. L'on. Soda inoltre ha sottolineato l'esigenza di escludere dal pre-esame i richiedenti asilo costituzionali, che non dovrebbero essere sottoposti alle procedure di determinazione del paese d'asilo in base alla Convenzione di Dublino, da riservare esclusivamente ai richiedenti lo status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra del 1951.

In contemporanea alla ripresa dell'iter del DDL, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha convocato un gruppo di lavoro delle ONG per la formulazione di proposte di emendamento migliorative del testo approvato dal Senato. A tale gruppo di lavoro hanno preso parte il Consiglio Italiano per i Rifugiati, l'ASGI, l'ICS, il Gruppo di riflessione dell'area religiosa e Médicins sans frontières. Le richieste di emendamento sono state ufficialmente consegnate all'on. Maritati, Sottosegretario agli Interni, e all'on. Soda, durante un incontro svoltosi a Roma martedì 12 ottobre. Gli elementi più rilevanti delle proposte avanzate dal gruppo di lavoro dell'associazionismo e dell'ACNUR riguardano: a) la ridefinizione dei criteri in base ai quale concedere il diritto d'asilo costituzionale, con l'inclusione delle persone in fuga da situazioni di violenza generalizzata; b) la previsione di un effetto sospensivo del ricorso in caso di esito negativo del pre-esame; c) l'assegnazione al giudice ordinario piuttosto che al TAR della competenza dell'esame del ricorso avverso la decisione negativa della Commissione centrale. Altri emendamenti sostanziali riguardano una dozzina di altri punti del DDL.

Il testo delle proposte di emendamento formulate dall'ACNUR e dalle ONG sopra richiamate può essere richiesto all'ACNUR, via Caroncini, 19, ROMA, tel. 06/8079085, e-mail: itaro@unhcr.ch.

4. Nominata la nuova presidenza del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR).

Il Consiglio direttivo del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), l'organismo di tutela dei rifugiati e dei richiedenti asilo che gode del patrocinio della delegazione in Italia dell'ACNUR, ha nominato il nuovo ufficio di presidenza. Alla presidenza è stato nominato Vincenzo Conso, già presidente della Corte Costituzionale e Ministro di Grazia e Giustizia, mentre alla Vice-Presidenza è stata nominata Anne-Marie Dupré, del Servizio Migranti e Rifugiati della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e animatrice del Gruppo di Riflessione Religiosa sulle migrazioni.

5. Nuove disposizioni in materia di ingresso e soggiorno di cittadini somali in Italia.

Ritenendo non più attuale la situazione di eccezionalità che aveva determinato l'automatico rilascio di appositi permessi di soggiorno umanitari per i cittadini somali fuggiti dalla guerra civile, il Ministero Affari Esteri con decreto 1 febbraio 1999 (G.U. 17.2.1999 n. 39) ha abrogato le precedenti disposizioni contenute nel decreto ministeriale dd 9.09.1992. Il nuovo decreto prevede di conseguenza che i cittadini somali che facciano soltanto ora ingresso in Italia potranno accedere eventualmente alla procedura individuale di riconoscimento dello status di rifugiato. Per coloro che hanno già beneficiato della protezione umanitaria in base alle disposizioni ora abrogate varranno le disposizioni emanate con direttiva del PdCdM del 6 agosto 1998, con la possibilità di convertire il permesso di soggiorno umanitario in permesso per motivi di lavoro della durata biennale in caso di rapporto di lavoro in corso o di formale impegno di assunzione ovvero con la permanenza del possesso di un permesso annuale in caso di stato di disoccupazione.

Il Ministero degli Affari Esteri italiano ha inoltre ritenuto di non riconoscere più alcuna validità ai passaporti somali rilasciati o rinnovati dopo il 31 gennaio 1991, in conseguenza della dissoluzione delle strutture statuali della Somalia. Pertanto, i cittadini somali presenti in Italia, per recarsi all'estero al di fuori dello Spazio Schengen. e fare poi rientro in Italia, debbono chiedere alle questure il rilascio di un apposito titolo di viaggio per stranieri, della stessa durata del permesso di soggiorno. In mancanza del passaporto, il rilascio o adeguamento del permesso di soggiorno può avvenire previa esibizione della carta di identità rilasciata dal Comune italiano di residenza

 

PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI (Ingresso, Soggiorno, Espulsioni).

6. Varata la direttiva sulla programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro dei cittadini extracomunitari per l'anno 1999.

In attesa del varo del regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione, una direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri dd. 4 agosto 1999 (G.U. n. 209 dd. 06.09.1999) ha previsto un tetto massimo di 58.000 nuovi ingressi in Italia per motivi di lavoro di cittadini non appartenenti all'Unione Europea per l'anno 1999.

La quota è comprensiva degli ingressi già previsti ed in parte già effettuati sulla base delle circolari del Ministero del Lavoro nn. 23 e 27 che avevano indicato una quota massima di 13.700 ingressi in Italia nel corso del 1999 per motivi di lavoro stagionale, ripartiti per regioni, nonché una quota riservata di 4.000 ingressi per cittadini albanesi (anche tra quelli rimpatriati nel corso del 1997), marocchini e tunisini. La direttiva del 6 agosto specifica che una quota di 3.500 permessi di soggiorno sarà riservata agli stranieri non comunitari per l'esercizio di attività di lavoro autonomo, ivi compreso lo svolgimento di attività professionali. Per la concreta implementazione della direttiva nella parte concernente gli ingressi per motivi di lavoro autonomo e di esercizio di attività professionali, si dovrà peraltro attendere l'emanazione del regolamento di attuazione.

La mancata emanazione del regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione, nuovamente al vaglio della Corte dei Conti, rende inoltre ancora inattuabili le modalità di programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro attraverso i meccanismi, pur previsti dalla legge, della sponsorizzazione e del rilascio del visto per motivi di ricerca di lavoro, sulla base del criterio di anzianità di iscrizione in apposite liste che dovrebbero essere istituite presso le rappresentanze consolari e diplomatiche italiane all'estero. L'unico strumento attualmente attuabile per la concreta applicazione della direttiva in materia di ingressi di immigrati per motivi di lavoro resta dunque la chiamata nominativa da parte di un datore di lavoro.

Parimenti, in assenza del regolamento di attuazione, non può a tutt'oggi trovare attuazione la possibilità di conversione del permesso di soggiorno rilasciato per motivi di studio in quello per motivi di lavoro, prevista dall'art. 6 c.1 del TU in materia di immigrazione (D.lgs. n.286/98).

 

7. La Corte Costituzionale giudica conforme alla Costituzione l'espulsione come "sanzione sostitutiva" alla detenzione disposta dal giudice anche contro la volontà dell'interessato, prevista dalla legge sull'immigrazione.

Con ordinanza n. 369 dd. 14-28 luglio 1999 (in G.U. Serie speciale n. 31 dd. 04.08.1999), la Corte Costituzionale ha respinto le eccezioni di illegittimità costituzionale che erano state sollevate dal Pretore di Roma con ordinanza emessa il 5 maggio 1998 riguardante l'art. 15 del D.L.vo n. 286/98 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione) che consente al giudice di espellere lo straniero extracomunitario presente irregolarmente sul territorio, condannato a pena detentiva non superiore a due anni, sempre che non debba esser sospesa, anche indipendentemente o contro la sua volontà. Il Pretore di Roma, sollevando la questione dinanzi alla Corte Costituzionale, aveva ritenuto che tale disposizione sarebbe in contrasto con tutta una serie di parametri costituzionali ed in particolare con l'art. 27, in quanto l'immediata esecuzione dell'espulsione prima ancora che la condanna diventi definitiva, confliggerebbe con il principio di presunzione di innocenza, così come con quello della finalità rieducativa e di reinserimento sociale della pena. Inoltre, il Pretore di Roma aveva sostenuto che la mancanza di criteri in base ai quali il giudice dovrebbe scegliere se applicare la sanzione sostitutiva e per quale durata (la norma legislativa prevede un termine minimo di cinque anni di interdizione dal territorio, ma non uno massimo) contrasterebbe con l'art. 25, secondo comma, e art. 24, secondo comma, della Costituzione.

La Corte Costituzionale ha ritenuto non fondate e pertinenti tali argomentazioni in quanto l'espulsione prevista dalla norma in esame non può ritenersi una sanzione penale, bensì soltanto una misura amministrativa, che infatti, per la sua esecuzione è affidata al questore, nelle modalità dell'accompagnamento coatto alla frontiera. Il Pretore di Roma aveva invece sviluppato la tesi dell'illegittimità costituzionale sul presupposto interpretativo, giudicato erroneo dalla Corte, che la norma avesse introdotto un istituto dell'espulsione quale vera e propria "sanzione sostitutiva" di ordine penale e non semplice misura amministrativa.

8. In vigore le nuove disposizioni correttive alla legge sull'immigrazione in materia di

regolarizzazione ed espulsioni.

Con lo scadere della "vacatio legis", sono entrate in vigore il 12 maggio le disposizioni correttive alla legge sull'immigrazione contenute nel decreto-legislativo 13 aprile 1999, n. 113 (G.U. 27.04.1999 n. 97). Il decreto contiene diverse modifiche alla normativa sull'immigrazione varata con la legge n. 40/1998, poi confluita nel D.L.vo n. 286/98.

In materia di prevenzione e lotta contro l'immigrazione clandestina e con lo scopo di contrastare più efficacemente l'azione degli "scafisti", con l'art. 2 del D.L.vo vengono inasprite le procedure per la confisca dei mezzi utilizzati per l'introduzione illecita di immigrati nel territorio dello Stato. Viene rivista la composizione della Consulta per i problemi degli stranieri immigrati (art. 6), così come quella della Commissione per le politiche di integrazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 7).

Gli aspetti centrali del provvedimento riguardano tuttavia la materia delle regolarizzazioni e quella delle espulsioni.

A) Regolarizzazione.

Per quanto concerne il tema delle regolarizzazioni, il decreto-legislativo introduce disposizioni transitorie alla legge sull'immigrazione, prevedendo così la possibilità di regolarizzare la propria presenza in Italia per gli stranieri già presenti in Italia alla data del 27 marzo 1998, in possesso dei requisiti previsti dal DPCM del 16.10.1998 e che hanno presentato le relative istanze entro il 15 dicembre 1998.

Il Ministero dell'Interno, con circolare datata 10 maggio 1999, diramata alle questure, ha dato avvio alle procedure per il rilascio del permesso di soggiorno agli stranieri che avevano presentato istanza di regolarizzazione, fornendo nel contempo significativi chiarimenti sull'applicazione e l'interpretazione dei requisiti previsti per la regolarizzazione.

Per quanto concerne le prove di presenza in Italia prima del 27 marzo 1998, si dispone l'ammissibilità della documentazione proveniente da organismi umanitari ed assistenziali, incluse apposite certificazioni sottoscritte da responsabili provinciali dei suddetti organismi appositamente designati e comunicati alle questure. Ugualmente viene ammessa la presentazione di corrispondenza postale ricevuta in Italia dallo straniero recente timbratura delle Poste italiane con data certa anteriore al 27 marzo 1998.

Viene inoltre disposto il rinvio della dimostrazione del reddito da lavoro autonomo al momento del primo rinnovo del permesso di soggiorno, qualora questo non potesse essere verificato o risultasse insufficiente in sede di regolarizzazione.

Viene inoltre previsto l'accoglimento della richiesta di regolarizzazione anche nei casi in cui l'offerta di assunzione da parte del datore di lavoro, esibita al momento della presentazione dell'istanza, sia nel frattempo venuta meno visto il protrarsi dei tempi della regolarizzazione. In tale caso viene previsto il rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro, della durata di un anno, sottoposto alla verifica dei mezzi di sostentamento alla scadenza.

Ulteriori chiarimenti vengono forniti nella circolare in merito ai requisiti della sistemazione alloggiativa, alla possibilità di ottenere nuove proroghe in caso di presentazione di domande incomplete, così come alla durata dei relativi permesso di soggiorno per regolarizzazione, di norma biennali, tranne nei casi citati di mancata verifica del reddito minimo da lavoro autonomo e di perdita nel frattempo intervenuta dell'offerta di lavoro subordinato, in relazione ai quali il permesso avrà durata annuale.

Le istruzioni emanate dal Ministero dell'Interno sono contrassegnate dunque da spirito di apertura e rendono possibile anche l'eventuale riesame delle istanze già eventualmente in precedenza rigettate dalle questure sulla base di disposizioni maggiormente restrittive in precedenza diramate.

Una circolare del Ministero del Lavoro, di cui ha dato notizia "Il Sole-24 ore" (edizione del 1 agosto) specifica invece l'impossibilità di stipulare contratti di lavoro per gli stranieri in attesa di regolarizzazione ed in possesso del solo cedolino di richiesta di permesso di soggiorno.

B) Espulsioni.

Al contrario delle disposizioni in materia di regolarizzazione, che sono per loro natura transitorie, quelle concernenti le espulsioni sono invece definitive e "a regime" e mirano nel complesso a restringere ulteriormente i diritti di difesa dello straniero rispetto ai provvedimenti espulsivi, rafforzando invece il potere dell'amministrazione.

Le modifiche alla procedura di ricorso contro il provvedimento espulsivo consistono sostanzialmente in due punti: 1) il giudice competente per l'esame del ricorso viene individuato nel pretore del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione (mentre nel testo originario era invece il pretore del luogo di residenza o di dimora dello straniero espulso); 2) viene esplicitamente esclusa la possibilità di una reclamabilità della decisione assunta dal Pretore, negando il doppio grado di giudizio e prevedendo il solo ricorso in Cassazione.

Viene inoltre prevista l'inammissibilità di ricorsi presentati fuori dai termini di legge (5 giorni), nel tentativo di escludere a priori tutte le eccezioni che lo straniero potrebbe sollevare dinanzi al Pretore nell'ambito dell'esercizio del suo diritto di difesa e che avevano già trovato riconoscimento nella giurisprudenza maturata dall'entrata in vigore della legge n. 40/1998 (incostituzionalità del termine breve, errore scusabile, inespellibilità del soggetto, ecc.)

L'ASGI ha espresso serie riserve e critiche rispetto a questa parte del provvedimento, in quanto restringe in maniera intollerabile l'esercizio del diritto di difesa in caso di espulsione, costringendo lo straniero a presentare ricorso in un luogo che non necessariamente è quello in cui dimora o vive abitualmente. L'ASGI sottolinea inoltre il rischio che si produca una giurisprudenza locale "monolitica" concentrando la competenza del pretore nei capoluoghi di provincia, dove hanno sede le prefetture che emanano i provvedimenti espulsivi.

La decisione di eliminare il secondo grado di giudizio e dunque di escludere il reclamo al Tribunale contro il provvedimento dl pretore suscita amarezza dopo che il principio di reclamabilità era stato riconosciuto da un'importante sentenza della Corte di Cassazione nel febbraio scorso, non a caso proprio alla vigilia della decisione governativa.

Il decreto legislativo n. 113/99 rivede infine le norme in materia di modalità di accoglienza o di rimpatrio assistito dei minori stranieri non accompagnati. Mentre con la legge n. 40/998 i minori stranieri non accompagnati erano inespellibili, rientrando in una delle categorie di stranieri protetti dall'espulsione, con le nuove disposizioni si prevede (art. 5) che con un apposito DPCM o di un Ministro da lui delegato saranno definiti i compiti del Comitato per i minori stranieri anche con riferimento alle modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati presenti in Italia, ai fini dell'accoglienza, del rimpatrio assistito e del ricongiungimento con la sua famiglia nel paese di origine o in un paese terzo e che ogni provvedimento di rimpatrio del minore straniero non accompagnato sarà adottato dal suddetto comitato, fatto salvo il nulla-osta dell'autorità giudiziaria nel caso risulti instaurato un procedimento giurisdizionale.

In sostanza, tali disposizioni lasciano presagire un cambio di rotta governativa sulla problematica dei minori stranieri non accompagnati, da un atteggiamento fondato sull'accoglienza e l'inespellibilità ad uno orientato preferibilmente verso l'adozione di provvedimenti di rimpatrio assistito. Tale nuovo orientamento ha trovato già significative anticipazioni in alcune realtà locali, come ad esempio a Torino.

 

9. Circolare del Ministero dell'Interno sulle modalità e possibilità di regolarizzazione ai sensi del DPCM dd. 16.10.1998 per gli stranieri pregiudicati ed in stato di detenzione.

Il Ministero dell'Interno, Servizio Immigrazione e frontiere, con circolare dd. 30 gennaio 1999, ha emanato istruzioni relative alle possibilità e modalità di accesso alla regolarizzazione di cui al DPCM 16.10.1998 di stranieri pregiudicati o in stato di detenzione al momento della presentazione dell'istanza.

La circolare chiarisce che la condanna per taluno dei reati di cui all'art. 380 c.p.p. non esclude di per sé lo straniero dall'accesso alla regolarizzazione. Viene ribadito pertanto, in linea con la precedente circolare n. 74/98, che l'esclusione riguarda solo gli stranieri che siano stati destinatari di un provvedimento espulsivo, salva la possibilità di revoca da richiedere al Prefetto in caso di espulsione amministrativa o all'autorità giudiziaria in caso di espulsione a titolo di misura di sicurezza accessoria alla condanna penale.

La circolare precisa che un 'ulteriore condizione di esclusione dal beneficio della regolarizzazione riguarda gli stranieri nei cui confronti l'autorità di pubblica sicurezza intenda applicare le misure di prevenzione, per l'appartenenza del richiedente a taluna delle categorie di persone indicate nell'art. 1 della legge 1423/56 o nell'art. 1 della legge 575/65, richiamate all'art. 13 comma 2 lettera c) del D.L.vo 286/98 (stranieri ritenuti pericolosi per la sicurezza e la pubblica moralità o indiziati di appartenere ad organizzazioni di tipo mafioso).

La circolare chiarisce infine che anche gli stranieri attualmente detenuti in carcere possono accedere alla regolarizzazione, sulla base di promesse di lavoro futuro, purché queste siano state debitamente formalizzate mediante contratti di lavoro corredati dal relativo nulla-osta del Ministero del Lavoro. Analoghe considerazioni sono svolte dal Ministero dell'Interno per gli stranieri che per accedere alla sanatoria hanno vantato promesse di impiego per i soli mesti estivi (lavoratori stagionali).

10. Iscrizione degli studenti extra-comunitari alle Università italiane. Le disposizioni per l'A.A. 1999-2000.

Il Ministero degli Affari Esteri ha diramato il 1 aprile 1999 le nuove disposizioni relative all'iscrizione ai corsi di laurea o di diploma, presso Università italiane, di studenti extracomunitari non residenti in Italia.

La principale novità rispetto al passato è che la circolare (consultabile sui siti del M.A.E. - www.esteri.it - e del MURST - www.murst.it(atti/1999/dis0401.htm -) riguarda soltanto gli studenti stranieri non soggiornanti in Italia. Per quanto concerne gli stranieri già legalmente residenti in Italia (per i quali verranno emanate nuove e diverse disposizioni), l'accesso ai corsi universitari è consentito direttamente dall'art. 39, co. 5 del testo unico sull'immigrazione, per le seguenti categorie: stranieri titolari di carta di soggiorno, ovvero di permesso per uno dei titoli indicati (lavoro subordinato o autonomo, motivi familiari, asilo politico o umanitario, motivi religiosi), ovvero ancora regolarmente soggiornanti e in possesso di titolo di studio superiore conseguito in Italia o equipollente.

Queste le principali disposizioni impartite con la circolare del 1 aprile:

1) le domande di preiscrizione dovranno essere presentate alle Rappresentanze italiane (corredate della richiesta documentazione, tradotta in italiano e confermata dalla Rappresentanza) tra il 12 aprile ed il 14 maggio 1999. Nella domanda dovrà essere indicato un solo corso di laurea o Diploma, scelto fra quelli per i quali le singole Università hanno riservato specifici contingenti per gli studenti stranieri (gli elenchi sono consultabili sui siti Internet del MAE - www.esteri.it : Attività -Promozione culturale - I nostri servizi - e del MURST - www.murst.it)

2) entro il 3 agosto 1999, le Rappresentanze italiane all'estero pubblicheranno gli elenchi degli studenti ammessi alle prove;

3) a partire da tale data, gli studenti ammessi dovranno fare richiesta di visto d'ingresso, corredata di documentazione comprovante: a) la copertura economica, par a Lit. 1.000.000 mensili, fino al 31.12.1999, dimostrabile in uno dei modi indicati nella circolare; b) la copertura assicurativa per cure mediche e ricoveri ospedalieri (mediante assicurazione privata estera o nazionale, ovvero stipula dell'apposita polizza INA - tranne per gli studenti provenienti da Paesi con i quali sono in vigore accordi speciali in materia di diritto all'assistenza sanitaria);

4) il visto d'ingresso sarà rilasciato come visto nazionale, valido almeno 90 giorni o, preferibilmente, fino al 31.12.1999;

5) dopo l 'ingresso in Italia, oltre che richiedere il permesso di soggiorno entro 8 giorni, lo studente straniero dovrà sostenere le prove di ammissione presso l'Università prescelta. E' obbligatoria la prova di conoscenza della lingua italiana. I risultati saranno affissi entro il 28 settembre 1999.

6) Dopo la prova di ammissione e per la durata del corso di studi, il permesso di soggiorno potrà essere prorogato, di regola alla fine dell'anno solare, dietro dimostrazione: a) della copertura economica di Lit. 1.000.000 mensili per almeno 6 mesi; b) del rispetto del c.d limite minimo di merito, previsto dall'art. 4 co. 4 DPCM 30.04.1997, consistente nell'aver superato due esami annuali per ciascun anno accademico. Non è invece più previsto il limite del secondo anno fuori corso, oltre il quale (in base ad una disposizione della legge n. 39/90, ora abrogata) non era più possibile chiedere il rinnovo del permesso per studio.

Per quanto riguarda la possibilità per gli studenti stranieri di svolgere attività lavorativa, la circolare del Ministero del Lavoro n. 112 del 24.08.1998, anticipando i contenuti del regolamento di attuazione del testo unico sull'immigrazione, in attesa di definitiva approvazione, ha stabilito la possibilità di autorizzare tali attività per un periodo non superiore a 20 ore settimanali (part-time).

11. Un progetto di assistenza al rimpatrio volontario di cittadini albanesi e delle Repubbliche della ex-Jugoslavia.

Il Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS), con il sostegno ed il contributo finanziario della Commissione Europea- Task force per la cooperazione in materia di giustizia e affari interni, ha avviato un progetto, denominato "Strade di ritorno", finalizzato ad assistere cittadini dell'Albania e delle Repubbliche della ex-Jugoslavia che si trovino a diverso titolo in Italia, e che intendano rimpatriare volontariamente nei luoghi di origine. Il progetto prevede il finanziamento di corsi di formazione, il sostegno economico ad iniziative di micro-imprenditoria, il contributo alle spese del viaggio. Per informazioni: ICS, via S. Luca 15/11 - 16124 Genova, tel. 010/2468099, fax. 010/2471188.

 

 

 

INTEGRAZIONE SOCIALE

12. Entrate in vigore le disposizioni per la concessione degli assegni familiari e dell'assegno di maternità. Discriminati i nuclei familiari misti, quelli composti da stranieri e le donne straniere che vengono esclusi dall'applicazione delle nuove misure assistenziali. I possibili rimedi giudiziari a tale discriminazione.

Le disposizioni applicative dei provvedimenti per l'assegno familiare e per l'assegno di maternità, introdotte dalla legge finanziaria 1998/99 (artt. 65 e 66 della legge 23.12.1998, n. 448 come modificati dalla legge 17.05.1999, n. 144) sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale (D.M. 15 luglio 1999, n. 306 pubblicato sulla G.U. n. 209 del 06.09.99 Suppl. ord. N. 169) e sono entrate in vigore il 21 settembre. Il legislatore ha inteso riservare queste nuove provvidenze assistenziali, rispettivamente, ai nuclei familiari a basso reddito (non superiore a 36 milioni, ma in caso di reddito superiore l'assegno potrà ugualmente essere concesso, ma sarà di importo inferiore proporzionalmente) e con almeno tre figli minori, composti da cittadini italiani residenti e alla madri cittadine italiane residenti prive di copertura previdenziale (reddito familiare non superiore a 50 milioni), per i figli nati dopo il 1 luglio 1999. I nuclei familiari misti, quelli composti da stranieri e le donne straniere restando così esclusi dall'applicazione delle nuove disposizioni assistenziali, con profili di dubbia legittimità costituzionale.

L'esclusione dei cittadini dell'Unione Europea da queste misure assistenziali sembra cozzare contro il principio generale di non-discriminazione in ragione della nazionalità e quello di libertà di circolazione sancito dalle norme comunitarie (rispettivamente artt. 12 e 39 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, come modificato alla luce del Trattato di Amsterdam, nonché art. 7 (2) del Regolamento comunitario n. 1612/68 e Regolamento comunitario n.1408/71). Al fine di rendere effettivo il principio della libertà di circolazione per i cittadini comunitari, gli organi comunitari hanno emanato dei regolamenti volti a rimuovere gli ostacoli che potrebbero derivare dalla disomogeneità dei trattamenti previdenziali e assistenziali dei singoli Stati membri, che potrebbero infatti influire negativamente sulla propensione o convenienza ad accettare impieghi o, comunque, a risiedere all'estero. Così il regolamento comunitario n. 1408/71 ha dettato una serie minuta di disposizioni miranti a realizzare, per quanto possibile, una tendenziale unitarietà dei vari regimi nazionali in materia di sicurezza sociale attraverso l'affermazione, tra l'altro, di due principi: quello di territorialità (per cui i lavoratori migranti comunitari sono assoggettati al sistema vigente nel paese membro in cui essi prestano la loro attività o comunque vi risiedono) e quello di non-discriminazione (per cui i lavoratori hanno diritto alle medesime prestazioni riservate ai cittadini dello Stato membro). Sebbene l'art. 4, n. 4 del medesimo regolamento escluderebbe le misure di assistenza sociale dalla disciplina comunitaria, in diverse occasioni la Corte di giustizia europea ha fatto rientrare questioni attinenti trattamenti e provvidenze assistenziali (nella fattispecie interventi rivolti a garantire un reddito minimo per le pensione anziane) nel quadro delle regole comunitarie - assoggettandoli dunque al principio di "non discriminazione" -, sebbene non in applicazione del regolamento n. 1408/71, bensì dell'art. 7, n. 2 del regolamento n. 1612/68, qualificando come "vantaggi sociali" tali misure anziché come prestazioni di sicurezza sociale (sentenza 12 luglio 1984, Castelli, causa 261/82, sentenza 27 marzo 1985, Hoeckx, causa 249/83 e sentenza 6 giugno 1985, Frascogna, causa 157/84. L'articolo citato del regolamento n.1612/68 stabilisce la parità di trattamento per i lavoratori degli Stati membri con riferimento ai "vantaggi sociali"). Merita di essere ricordato inoltre che la nostra Corte di Cassazione, con sentenza 21.09.1991, n. 9884, ha affermato l'applicabilità del regolamento comunitario n. 1408/71 anche a prestazioni che, secondo le nostre categorie giuridiche, non rientrano nella previdenza sociale, ma piuttosto nell'assistenza sociale, come le pensioni sociali e di invalidità. Appare dunque evidente l'illegittimità dell'esclusione dei cittadini comunitari dall'applicazione delle misure in materia di assegni familiari e di maternità. Come più volte chiarito dalla Corte di giustizia, l'art. 48 del Trattato CE (ora art. 39) produce effetti diretti e prevale quindi su qualsiasi norma interna contrastante, così come l'esigenza di applicare la norma del Trattato si pone anche per i giudici, investiti di eventuali controversie (sentenza 4 aprile 1974, Commissione c. Francia, causa 163/73).

L'esclusione dei rifugiati politici riconosciuti ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 dagli assegni familiari e per maternità costituisce una diretta violazione innanzitutto dell'art. 23 della Convenzione medesima che prevede il trattamento riservato ai cittadini per quanto concerne l'assistenza sociale. Inoltre, vale la pena rilevare che anche la Convenzione Europea sull'Assistenza Sociale e Medica, ratificata e resa esecutiva in Italia, stabilisce il principio di eguaglianza di trattamento con riferimento non solo ai cittadini degli Stati contraenti, ma anche ai rifugiati secondo la Convenzione di Ginevra del 1951.

In virtù del principio di "riserva di legge rinforzata" di cui all'art. 10.2 della Costituzione, per cui le disposizioni interne attinenti alla condizione giuridica dello straniero debbono conformarsi ai principi sanciti dalle norme e dai trattati internazionali, che risultano quindi di immediata applicazione nel nostro ordinamento e hanno portata prevalente rispetto alle norme interne eventualmente contrastanti, appare evidente che il giudice chiamato eventualmente ad esprimersi su un ricorso presentato da un/a rifugiato/a avverso l'esclusione sua personale o del nucleo familiare dall'assegno familiare o per maternità non potrebbe che disapplicare il carattere discriminatorio della normativa interna ovvero sollevare una questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale.

Per quanto attiene, infine, ai cittadini extracomunitari in generale, residenti regolarmente nel nostro Paese, la discriminazione operata nei loro confronti dalle disposizioni in materia di assegno familiare e per maternità appare illegittima alla luce dell'art. 41 del Testo unico n. 286/98 in materia di immigrazione e condizione giuridica dello straniero extracomunitario, che prevede "l'equiparazione ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale". Avendo il legislatore conferito alle disposizioni contenute nel TU il carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica (art. 1 c.4 D.lgs. n. 286/98), non si vede come possa trovare giustificazione e legittimità la deroga sostanziale al sopraccennato principio di parità di trattamento in materia di assistenza sociale introdotta dalla sopraccennata disposizione contenuta nella legge finanziaria 1998/99, anche se successiva temporalmente al TU. Vale la pena citare, inoltre, come la Corte Costituzionale abbia già avuto modo di esprimersi in merito alla portata estensiva del principio di parità di trattamento con i cittadini italiani per i cittadini extracomunitari regolarmente residenti, nella sentenza n. 454/98 : "Una volta che i lavoratori extracomunitari siano autorizzati al lavoro subordinato stabile in Italia, godendo di un permesso di soggiorno rilasciato a tale scopo o di altro titolo che consenta di accedere al lavoro subordinato nel nostro Paese, e siano posti a tal fine in condizioni di parità con i cittadini italiani, e così siano iscritti o possano iscriversi nelle ordinarie liste di collocamento(…), essi godono di tutti i diritti riconosciuti ai lavoratori italiani".

E' auspicabile, dunque, che nei prossimi mesi vengano promossi ricorsi dinanzi al giudice unico civile avverso provvedimenti di esclusione di stranieri, comunitari, rifugiati politici o extracomunitari, dai benefici introdotti dalla legge finanziaria 1998/99 in materia di assegno familiare e per maternità, confidando che per le vie giudiziarie si potrà trovare rimedio ad un'odiosa, irragionevole ed infondata discriminazione che il legislatore ha voluto introdurre.

13. Consegnata al Governo italiano la relazione della Commissione per le politiche di integrazione contenente le proposte di modifica della legislazione sull'acquisto della cittadinanza italiana.

La Commissione per le politiche di integrazione, presieduta dalla prof.ssa Giovanna Zincone, ha consegnato al Ministero per la Solidarietà Sociale che l'aveva commissionata, la relazione contenente le proposte di modifica delle modalità di acquisto della cittadinanza italiana attualmente previste dalla legge n. 91/92. La relazione constata innanzitutto che le legislazioni sulla cittadinanza dei paesi europei tendono sempre più a convergere su quattro punti: a) favorire i minori nati sul territori, cioè le seconde e ancor più le terze generazioni di immigrati; b) facilitare l'acquisizione della cittadinanza per gli stranieri non comunitari se residenti da lungo tempo e integrati nel paese di immigrazione; c) scoraggiare i matrimoni di comodo; d) attuare la parità tra uomo e donna.

La Commissione rileva in proposito che sui primi due punti, l'Italia è decisamente più severa di altri paesi, dando spazio assai limitato all'acquisto della cittadinanza per nascita sul territorio dello Stato (principio dello jus soli) e prevedendo criteri e requisiti particolarmente severi ed esigenti in materia di naturalizzazione, a partire da quello della residenza decennale (il termine più elevato previsto nell'Unione Europa). La nostra legislazione, sostiene la Commissione, è invece decisamente più generosa sulla naturalizzazione per matrimonio, contraddicendo anche le linee suggerite dal Consiglio di Europa sulla cittadinanza e dal Consiglio dei Ministri dell'Unione sulla lotta ai matrimoni di comodo. Prendendo spunto dal parere di molti studiosi, secondo cui la doppia cittadinanza costituisce un forte incentivo alle naturalizzazioni e, dunque, all'integrazione degli immigrati, la Commissione auspica il ritiro della circolare del Ministero dell'Interno (n. K.60.1 dd. 22.11.1994) che prevede lo svincolo dalla cittadinanza di origine quale condizione per la concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione. Le considerazioni e le proposte contenute nella relazione della "Commissione Zincone" intendono avviare una discussione su una nuova normativa sulla cittadinanza che sappia "inserirsi in un progetto più ampio di integrazione ragionevole degli immigrati nella società italiana, un progetto che non pretenda assimilazioni culturali a tappe forzate, ma richieda il rispetto della legalità e la disponibilità ad apprendere gli strumenti necessari ad interagire con la società in cui si risiede e si intende vivere". Copia della relazione della Commissione può essere richiesta alla segreteria dell'ASGI (tel. e fax 040/382651, e-mail: ledaz@tin.it ).

14. Una storica sentenza della Corte di Cassazione estende il principio della risarcibilità del danno subito dal cittadino in relazione ad atti della Pubblica Amministrazione che abbiano leso "interessi legittimi". Le possibili applicazioni nel campo della tutela degli immigrati.

In virtù di una giurisprudenza consolidata, la risarcibilità del "danno ingiusto" (prevista dall'art. 2043 del Codice Civile) provocato da un atto della Pubblica Amministrazione poteva essere invocata ed ottenuta in sede giudiziaria solo in caso di lesione di diritti soggettivi e non di interessi legittimi. Con una storica sentenza resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. N. 500 del 27 luglio 1999) tale orientamento è stato superato, venendo meno quella che i giudici stessi hanno definito come "un'isola di immunità e di privilegio" di cui godeva la Pubblica Amministrazione e che "mal si concilia con le esigenze più elementari di giustizia".

In pratica, per tutti gli atti amministrativi che producevano un danno ai cittadini, si poteva chiedere solo l'annullamento da parte del giudice amministrativo (TAR e Consiglio di Stato), senza però ricevere alcun risarcimento. D'ora in avanti, invece, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, il cittadino che si ritiene vittima di un danno ingiusto prodotto da un atto della PA che abbia violato un suo interesse legittimo, sia a carattere oppositivo (che mira cioè ad evitare un provvedimento sfavorevole) che pretensivo (che voglia ottenere un provvedimento favorevole), potrà proporre dinanzi al giudice ordinario un'azione risarcitoria ex art. 2043 CC.

Il risarcimento potrà essere disposto dal giudice solo previo accertamento non solo dell'illegittimità dell'azione amministrativa, bensì in base ad una più complessa valutazione, estesa anche all'accertamento della colpa della PA, che presuppone la violazione delle regole di imparzialità, correttezza e di buona amministrazione cui la PA deve riferirsi nell'esercizio delle sue funzioni. Poiché l'accertamento diretto da parte del giudice ordinario dell'illegittimità dell'azione amministrativa è un elemento costitutivo della valutazione attinente la sussistenza del "danno ingiunto", la sentenza della Corte di Cassazione apre la strada alla possibilità per il cittadino di rivolgersi direttamente al giudice ordinario anche a prescindere dalla declaratoria di illegittimità del provvedimento da parte del giudice amministrativo, naturalmente nei casi in cui non sia prevista la giurisdizione piena ed esclusiva del secondo in base al D.L.vo n. 80/1998.

La sentenza della Corte di Cassazione è suscettibile di possibile ed estese applicazioni anche nel campo della tutela degli interessi legittimi dei cittadini immigrati extracomunitari rispetto ad atti lesivi prodotti dalla Pubblica Amministrazione. Si pensi al caso del cittadino immigrato che si veda rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno ovvero che questo gli venga illegittimamente revocato e da questo atto degli uffici di polizia gli derivi un danno economico, quale la perdita del posto di lavoro precedentemente posseduto. Finora tale cittadino poteva soltanto chiedere l'annullamento del provvedimento di rifiuto/revoca del permesso di soggiorno al giudice amministrativo e, anche in caso di esito favorevole, magari dopo diversi anni, non aveva diritto ad alcuna forma di risarcimento. Oggi, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, potrebbe rivolgersi direttamente al giudice ordinario (civile) per chiedere il risarcimento dei danni in base alla nuova lettura dell'art. 2043 del Codice Civile, e l'eventuale esito favorevole implicherebbe anche la dichiarazione di illegittimità dell'atto amministrativo.

15. Il CNEL mette sotto accusa Governo e Regioni per le inadempienze e i ritardi nell'applicazione della legge sull'immigrazione rispetto alle politiche di integrazione degli

immigrati.

Lo scorso 19 luglio, il CNEL ha diffuso i risultati di un'indagine sulle politiche per l'integrazione degli immigrati nella società italiana ad un anno di distanza dall'entrata in vigore della legge n. 40/1998. Nell'indagine sono state evidenziate le inadempienze e i ritardi, tanto del governo italiano, quanto delle Regioni. Per quanto riguarda il primo, è stata sottolineata il mancato varo del regolamento attuativo della legge, attualmente all'esame della Corte dei Conti e che potrà essere definitivamente approvato non prima di settembre. Per quanto concerne le regioni, il CNEL denuncia il loro sostanziale disinteresse e l'inefficienza con le quali stanno affrontando la questione dell'immigrazione, evidenti dal mancato utilizzo dei fondi messi a disposizione dal governo.

Con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dd. 17.12.1998 (in G.U. n. 64 del 18.03.1999), erano stati fissati i criteri per la ripartizione del 20% residuo dello stanziamento del Fondo nazionale per le politiche migratorie per l'anno 1998. La prima ripartizione, relativa all'80% dell'importo di 70,5 miliardi di lire assegnato al Fondo nazionale con Decreto del Ministero del Tesoro del 18.05.1998, era stata programmata con DPDCM del 28.09.1998 (in G.U. n. 271 del 19.11.1998). Il fondo per il 1998 è stato ripartito destinandone l'80% alle Regioni ed il 20% a interventi di carattere statale. La parte destinata alle regioni è stata ripartita in base a tre criteri: la presenza di immigrati, il rapporto tra immigrati e popolazione residente e le condizioni di disagio socio-economico (indice di disoccupazione).

Al 30 giugno 1999 -secondo i dati del CNEL - soltanto dieci regioni hanno approvato le delibere per la destinazione delle risorse più altre tre che in qualche modo hanno messo in moto il meccanismo per l'uso dei fondi. Nel rapporto del CNEL viene denunciata anche un'assenza di programmazione e di scelte di priorità da parte delle Regioni che hanno deliberato l'utilizzo dei fondi. Ciò provoca l'insoddisfazione dei comuni e degli enti locali che chiedono che le risorse del fondo per le politiche migratorie vengano loro messe direttamente a disposizione senza essere filtrate attraverso le amministrazioni regionali, tacciate di inadempienza ed inefficienza. Per il 1999 sono previsti fondi per 68 miliardi per l'integrazione degli immigrati, che potranno essere destinati alle regioni solo dopo l'emanazione del regolamento applicativo. Le regioni, tuttavia, saranno obbligate ad affiancare ai finanziamenti statali una quota di risorse tratte dai propri bilanci (elaborato da fonte ANSA 19 luglio).

 

16. Quali possibilità per l'autocertificazione da parte dei cittadini extracomunitari in base alle

circolari dei Ministeri dell'Interno, di Grazia e Giustizia e dei Trasporti e della

Navigazione, applicative delle norme in materia di semplificazione amministrativa ?

Il Ministero dei Trasporti e della Navigazione ha diramato in data 24 marzo 1999 (G.U. 15.07.1999, n. 164) un nuova circolare in materia di attuazione delle disposizioni sulla semplificazione amministrativa (leggi n. 127/97, 191/1998, D.P.R. 20.10.1998 n. 403), che si affiancano alle istruzioni già impartite con circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 22.02.1999 (G.U. 25.02.1999 n. 46) e del Ministero dell'Interno del 21.01.1999.

Il 23 febbraio scorso sono entrate in vigore le norme di semplificazione amministrativa che hanno esteso l'autocertificazione, inanzi a qualsiasi pubblica amministrazione, ivi compreso nelle procedure amministrative di competenza della motorizzazione civile, ad una serie di dati o qualità personali, quali le situazioni anagrafiche e di stato civile, i titoli di studio, la situazione reddituale e lavorativa, ecc.

Le medesime disposizioni hanno apportato significative modifiche alle norme sulle dichiarazioni sostitutive di atto notorio, le quali se corrispondenti a dichiarazioni di conoscenza relative all'avvenuto accadimento di eventi materiali, circostanze, o a situazioni giuridicamente rilevanti (e non dunque a manifestazioni di volontà, quali procure, deleghe, che restano di competenza notarile), possono essere effettuate direttamente dinanzi al funzionario dell'ufficio della pubblica amministrazione competente per la presentazione di una determinata istanza.

Per quanto concerne i cittadini di paesi appartenenti all'Unione Europea, le norme sulla semplificazione amministrativa si applicano con le stesse modalità previste per cittadini italiani.

Per i cittadini extracomunitari residenti in Italia, invece, la possibilità di accesso all'autocertificazione è limitata e soggetta a particolari vincoli e modalità.

Stando a quanto previsto dalle istruzioni amministrative finora emanate, per i cittadini extracomunitari residenti in Italia, è ammessa la possibilità dell'autocertificazione solo nel caso si tratti di comprovare fatti, stati o qualità personali certificabili o attestabili d parte di soggetti pubblici o privati italiani (tra cui ad esempio il possesso del permesso di soggiorno in corso di validità, tranne nei casi in cui sia prescritto l'obbligo di esibirlo). Negli altri casi, l'autocertificazione non viene esclusa, ma vi si può accedere secondo le specifiche modalità previste dall'art. 5 del decreto del Ministero di Grazia e Giustizia 22 maggio 1995, n. 431, "mediante dichiarazioni rese dinanzi ai funzionari dei consolati dei paesi d'origine, sulla base del mutuo riconoscimento e fatto comunque salvo quanto previsto dalle vigenti Convenzioni internazionali in materia di legalizzazione e di autenticazione di documenti e di firme". E' poi facoltà delle autorità italiane effettuare i controlli sulla veridicità delle dichiarazioni rese dai cittadini stranieri extracomunitari, ricorrendo alle competenti autorità diplomatiche e consolari italiane all'estero.

Le norme di semplificazione amministrative sono suscettibili dunque di produrre significativi effetti anche per i cittadini extracomunitari regolarmente residenti nei loro rapporti con la nostra burocrazia, ma non è scontato che il Servizio Immigrazione del Ministero dell'Interno -chiamato dai diversi Ministeri interessati ad esprimersi sull'argomento - condividerà tale impostazione. Occorre al riguardo specificare che già il testo del regolamento attuativo della legge sull'immigrazione, di prossima pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, restringe la portata dell'applicazione delle norme sull'autocertificazione da parte dei cittadini stranieri extracomunitari. Dopo aver ribadito la possibilità dell'utilizzo di dichiarazioni sostitutive, limitatamente agli stati, fatti e qualità personali certificabili o attestabili da parte dei soggetti pubblici o privati italiani, salvo nei casi in cui si preveda esplicitamente l'esibizione dei documenti o certificati richiesti (art. 2 comma 1), il testo del regolamento esclude negli altri casi la possibilità dell'autocertificazione dinanzi ai funzionari consolari dei paesi di origine, prevedendo esclusivamente la documentazione mediante certificati e attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati da traduzione legale e dichiarazione di conformità all'ordinamento locale dell'autorità consolare italiana.

17. La Corte Costituzionale riconosce il diritto dei cittadini extracomunitari invalidi civili

all'iscrizione alle liste del collocamento obbligatorio.

Con sentenza n. 454 dd. 30 dicembre 1998, pubblicata sulla G.U. Serie speciale dd. 13.01.1999, la Corte Costituzionale ha riconosciuto il diritto dei cittadini extracomunitari invalidi civili di iscriversi alle liste del collocamento obbligatorio disciplinate dalla legge n. 482/1968., alla pari dei cittadini italiani. La Corte Costituzionale ha ritenuto illegittima la posizione del Ministero del Lavoro che si ostinava a negare l'accesso degli stranieri extracomunitari al collocamento obbligatorio, rilevandone il contrasto con i principi di parità di trattamento ed eguaglianza di opportunità dei lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti rispetto ai cittadini italiani, stabiliti già con l'adesione e la ratifica dell'Italia alla Convenzione n. 143 dell'OIL, successivamente ribaditi dalla legge n. 943/86 e, da ultimo, con la legge n. 40/1998, che è andata ancora più in là, stabilendo per gli stranieri extracomunitari la garanzia del godimento dei diritti in materia civile in condizioni di piena uguaglianza con i cittadini italiani. Frattanto, il Parlamento italiano ha approvato definitivamente la legge che stabilisce "le norme per il diritto al lavoro dei disabili" (legge 12 marzo 1999, n. 68 Suppl. G.U. n. 57/L dd. 23.03.1999), abrogativa della legge n. 482/1968. In base alle nuove norme, i datori di lavoro con oltre 50 dipendenti saranno tenuti ad assumere persone invalide nella misura del 7 per cento del proprio personale, mentre quelli con un numero di dipendenti compreso tra 35 e 50 saranno tenuti ad assumere almeno due persone disabili e quelli con un numero di dipendenti di almeno 15 ed inferiore a 35 almeno una persona disabile. L'assunzione di persone disabili, oltre ad evitare le sanzioni previste nei casi di trasgressione, comporterà per i datori di lavoro incentivi sotto forma di sgravi contributivi. Il collocamento obbligatorio verrà decentrato alle Regioni. La nuova normativa entrerà in vigore a partire dal gennaio del 2000.

18. Fissati i termini per il procedimento di riconoscimento dei titoli di studio extracomunitari

ai fini dello svolgimento delle professioni sanitarie.

Con decreto del Ministero della Sanità dd. 18.11.1998, n. 514 (G.U. 08.03.1999, n. 55) è stato, fra l'altro, fissato in 120 giorni il termine entro il quale deve concludersi il procedimento amministrativo relativo ad istanze di riconoscimento (equipollenza) di titoli di studio acquisiti in paesi extracomunitari, per lo svolgimento delle professioni sanitarie in Italia, da parte di cittadini italiani, immigrati extracomunitari o rifugiati politici. L'ufficio competente per detto procedimento è il Dipartimento delle professioni sanitarie, delle risorse umane e tecnologiche in sanità e dell'assistenza sanitaria di competenza statale, ufficio III.

La disciplina del riconoscimento dei titoli di studio professionali ai fini dell'esercizio delle professioni in Italia da parte di cittadini extracomunitari, di cui all'art. 37 del D.L.vo. n. 286/98, non è peraltro ancora operativa, facendo infatti riferimento al regolamento di attuazione non ancora emanato.

19. Introdotta l'assicurazione obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale per i cittadini

dell'Unione Europea residenti in Italia.

A seguito delle osservazioni formulate dalla Commissione europea, in sede di procedura di infrazione aperta nei confronti dell'Italia, il Ministro della Sanità, con decreto 18 marzo 1999 (G.U. 26.03.1999 n. 71) ha stabilito che, a decorrere dal 1 gennaio 1999, gli stranieri aventi la cittadinanza degli Stati appartenenti all'Unione Europea, regolarmente residenti in Italia, sono iscritti obbligatoriamente al Servizio Sanitario Nazionale, a parità di condizioni con i cittadini italiani residenti, per la durata di validità del loro permesso di soggiorno o della carta di soggiorno.

L'iscrizione al SSN si estende anche ai familiari a carico, indipendentemente dalla cittadinanza (e dunque anche extracomunitari), individuati secondo le disposizioni dell'art. 4 del decreto legge 2 luglio 1982, n. 402, convertito nella legge 03.09.1982, n. 627.

IMMIGRAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

20. La "legge Bassanini" ed il riordino delle competenze statali in materia di immigrazione.

(a cura di Paolo Bonetti)

Il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (pubblicato in G.U. 30 agosto 1999, suppl. ord.) provvede alla storica riforma del numero, delle attribuzioni e dell’organizzazione di tutti i ministeri in attuazione della delega legislativa disposta dalla legge n. 59/1997 (c.d. "legge Bassanini") e in tale sede si occupa anche delle competenze statali in materia di immigrazione.

La quarta area funzionale del Ministero dell’Interno, a cui corrisponderà l’istituzione di un apposito dipartimento che sostituirà tutte le precedenti strutture organizzative, si occuperà della tutela dei diritti civili, inclusi i rapporti con le confessioni religiose, nonché di cittadinanza, immigrazione e asilo (art. 14, comma 2, D. lgs. n. 300/1999).

Il riferimento alla materia della "cittadinanza" sembra alludere alle previgenti competenze del Ministero riguardo ai procedimenti di concessione della cittadinanza italiana e di riconoscimento dello stato di apolidia, mentre le materie "asilo" e "immigrazione" potrebbero alludere alle funzioni attinenti sia al sistema di ammissione, permanenza e allontanamento degli stranieri (comunitari ed extracomunitari), sia al trattamento degli stessi.

Si potrebbe ritenere pertinenti a tali materie le funzioni attinenti ai servizi sociali conservate allo Stato dall’art. 129, comma 1, lett. h) e l), D. Lgs. n. 112/1998, cioè rispettivamente "gli interventi di prima assistenza in favore dei profughi, limitatamente al periodo necessario alle operazioni di identificazione ed eventualmente fino alla concessione del permesso di soggiorno, nonché di assistenza temporanea degli stranieri da respingere o da espellere" e "le attribuzioni in materia di riconoscimento dello status di rifugiato ed il coordinamento degli interventi in favore degli stranieri richiedenti asilo e dei rifugiati, nonché di quelli di protezione umanitaria per gli stranieri accolti in base alle disposizioni vigenti".

Appare inoltre probabile che tale area funzionale (ed il relativo dipartimento di prossima istituzione) sia destinataria di tutte le competenze attribuite dalle leggi vigenti (cfr. T.U. approvato col D. lgs. n. 286/1998) all’amministrazione centrale del Ministero dell’Interno, incluse quelle attinenti con l’ordine e la sicurezza pubblica (il piano generale degli interventi per il potenziamento ed il perfezionamento dei controlli di frontiera, il decreto di espulsione per motivi di ordine pubblico o sicurezza nazionale, l'autorizzazione al reingresso anticipato degli stranieri espulsi, i contatti con i Paesi di origine degli stranieri anche ai fini della stipula di accordi di riammissione e di politiche migratorie, la definizione dei criteri di reperimento e di gestione dei centri di permanenza e di assistenza in cui devono essere trattenuti gli stranieri extracomunitari respinti o espulsi).

Poiché la materia dell’immigrazione straniera rientra tra le attribuzioni e i compiti che il D. Lgs. n. 300/1999 conferisce anche ad altri ministeri, concreto è il rischio che venga vanificato l'obiettivo della delega legislativa di "eliminare le duplicazioni organizzative e funzionali sia all'interno di ciascuna amministrazione, sia fra di esse".

L’immigrazione è espressamente inclusa tra le attribuzioni del Dipartimento per gli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri che sono trasferite al nuovo Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali (art. 45, comma 3, D. Lgs. n. 300/1999) che sarà istituito dalla prossima legislatura e ingloberà i Ministeri del Lavoro e della Previdenza Sociale e della Sanità e il predetto Dipartimento per gli Affari Sociali. Tra i compiti di tale ministero si include anche la "vigilanza sui flussi di entrata dei lavoratori esteri non comunitari" (art. 46,. comma 1, lett. d)); sulla base della vigente legislazione statale in materia di immigrazione a tale Ministero spettano altresì le competenze in materia di misure di integrazione sociale degli stranieri regolarmente soggiornanti e di gestione degli stanziamenti del fondo nazionale per le politiche migratorie che l’art. 133, comma 3, D. Lgs. n. 112/1998 destina al fondo nazionale per le politiche sociali, le cui risorse sono ripartite secondo criteri stabiliti dallo stesso nuovo ministero (art. 46, comma 1, lett. c) D.Lgs. n. 300/1999).

Ulteriori compiti in materia di immigrazione spettano altresì implicitamente al nuovo Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (che sarà istituito dalla prossima legislatura unificando i Ministeri della Pubblica Istruzione e dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica), nelle cui aree funzionali sono espressamente menzionati il riconoscimento dei titoli di studio stranieri e le condizioni di accesso al sistema scolastico e alle Università (art. 50 D. Lgs. n. 300/1999).

Si può altresì ritenere che la materia dell’immigrazione si possa considerare implicitamente mantenuta anche tra quelle attribuite al Ministero degli Affari Esteri sotto la voce (impropria) della "emigrazione" (art. 12, comma 1, D. Lgs. n. 300/1999) e tale conclusione può ritenersi scontata sia sulla base della vigente legislazione in materia di immigrazione che attribuisce al Ministero le competenze in materia di rilascio dei visti di ingresso, sia sulla base del recentissimo regolamento (emanato con D.P.R. 11 maggio 1999, n. 267) recante norme per l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, nonché delle relative funzioni, dell’Amministrazione centrale del Ministero degli Affari Esteri, il quale espressamente istituisce una direzione generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, che ha tra i suoi compiti quello di provvedere agli affari consolari e di trattare "le questioni concernenti gli stranieri in Italia".

Per il resto nulla si può dire neppure circa le competenze in materia di immigrazione nell’ambito del nuovo ordinamento dell’amministrazione periferica, nella quale sono conservate le Questure e le Prefetture sono trasformate in Uffici territoriali del governo che, pur se inseriti nel Ministero dell’Interno, dipenderanno funzionalmente da ogni ministero ed eserciteranno tutte le competenze statali residue a livello periferico, escluse quelle delle amministrazioni della Pubblica Istruzione (sono soppressi i provveditorati agli studi e istituiti gli uffici scolastici regionali). L’ordinamento concreto dell’Ufficio territoriale del governo è infatti lasciato ad un successivo regolamento governativo. E’ dunque aperta alla possibilità (futura ed incerta) che ben si possano ordinare in modo strutturalmente omogeneo in tali uffici tutti i compiti e funzioni statali in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza, mentre il mantenimento delle figura distinta delle questure rende più improbabile che di tali compiti e funzioni del nuovo Ufficio territoriale del governo possano far parte anche quelli in materia di rilascio, rinnovo, revoca e conversione dei permessi di soggiorno e delle carte di soggiorno che la legge oggi affida al Questore.

ACCORDI INTERNAZIONALI

21. Ratificati e resi esecutivi gli accordi di adesione dei Governi di Svezia, Danimarca e

Finlandia agli Accordi di Schengen, nonché l'accordo di cooperazione tra gli Stati parte

degli Accordi di Schengen e la Repubblica di Islanda ed il Regno di Norvegia per la

soppressione dei controlli alle persone alle frontiere comuni.

Con leggi 27 maggio 1999, n. 197 e 198 (G.U. Suppl. dd 25 giugno 1999 n. 122/L), il Parlamento italiano ha ratificato e reso esecutivi rispettivamente gli accordi di cooperazione tra gli Stati parte degli Accordi di Schengen e la Norvegia e l'Islanda per la soppressione dei controlli delle persone alle frontiere comuni, e gli accordi di adesione di Svezia, Danimarca e Finlandia all'accordo di Schengen e alla relativa Convenzione applicativa.

Con l'adesione di Svezia, Danimarca e Finlandia, avvenuta il 19 dicembre 1996, sono saliti a tredici gli Stati membri dell'Unione Europea parte dell'accordo di Schengen e alla relativa Convenzione di Applicazione, dalle quali restano estranei invece soltanto il Regno Unito e l'Irlanda.

L'adesione dei paesi scandinavi membri dell'Unione Europea ha determinato la necessità di estendere le disposizioni dell'accordo di Schengen e della relativa Convenzione anche agli altri paesi membri della c.d "Unione Nordica dei passaporti", sottoscritta a Copenghen il 12 luglio 1957 e che prevede uno spazio di libera circolazione alla frontiere nordiche comuni, cioè l'Islanda e la Norvegia. Considerato che per essere parte della Convenzione di Schengen occorre essere membri dell'Unione Europea e che Islanda e Norvegia non lo sono, si è resa necessaria la stipula di un accordo di cooperazione con questi due paesi, sottoscritto congiuntamente all'adesione all'accordo di Schengen di Svezia, Danimarca e Finlandia il 19 dicembre 1996 a Lussemburgo.

L'effettiva entrata in vigore dell'accordo di cooperazione con Norvegia e Islanda e la soppressione dunque dei controlli alla frontiere comuni con gli Stati membri dell'accordo di Schengen potrà peraltro avvenire solo una volta che entreranno in vigore gli accordi specifici con gli Stati membri dell'Unione Europea per l'adesione di Islanda e Norvegia alle disposizioni della Convenzione di Dublino sulla determinazione dell'unico Stato responsabile dell'istanza di asilo, che ha sostituito le disposizioni del Capitolo 7 del Titolo II della Convenzione di Applicazione dell'accordo di Schengen.

22. Ratificato e reso esecutivo l'accordo tra Italia e Argentina sul riconoscimento dei titoli di

studio a livello elementare e medio firmato a Bologna il 3 dicembre 1997.

Con legge 7 giugno 1999, n. 210 (in G.U. 01.07.1999 n. 152), è stata autorizzata la ratifica e l'esecuzione dell'accordo tra Italia e Argentina sul reciproco riconoscimento dei titoli di studio a livello elementare e medio, firmato a Bologna il 3 dicembre 1997.

In virtù di questo accordo, i titoli di studio elementare e medi (inferiori e superiori) conseguiti nel territorio di uno dei due Stati da un cittadino italiano o argentino saranno automaticamente riconosciuti nel territorio dell'altro Stato, ma ai soli fini della prosecuzione degli studi. Il riconoscimento automatico non potrà invece essere chiesto ai fini lavorativi (per l'accesso ad esempio a concorsi pubblici che richiedano un particolare livello di studi) per i quali si dovrà seguire il complesso iter procedurale previsto dai D.M. 1.02.1975 e 02.04.1980 (rispettivamente Suppl. G.U. n. 58/1975 e n. 135/1980), richiamati dal TU delle leggi in materia di istruzione del 1994.

Tra le previsioni dell'accordo italo-argentino, va segnalato l'esonero dalla prova di conoscenza della lingua italiana o spagnola per l'accesso alla rispettive Università o istituti di istruzione superiori, per gli studenti che abbiano conseguito un titolo di istruzione media che abbia compreso nel piano di studio l'insegnamento per almeno cinque anni della lingua italiana in Argentina o di quella spagnola in Italia (art. 2.2). L'accordo prevede il riconoscimento non solo dei titoli di studio finali, ma anche dei certificati attestanti la promozione di anni scolastici intermedi (art. 3).

Nell'allegato all'accordo sono indicate le corrispondenze tra gli indirizzi scolastici italiani e quelli argentini ai fini dell'applicazione dell'accordo medesimo.

23. Ratificate e rese esecutive le Convenzioni con la Slovenia e la Croazia in materia di

sicurezza sociale.

Con leggi 27 maggio 1999 n. 167 e 199 (rispettivamente G.U. Suppl. ord. N. 114/L e n. 147), il Parlamento italiano ha approvato la ratifica e l'esecuzione delle convenzioni in materia di sicurezza sociale firmate con la Repubblica di Slovenia a Lubiana il 7 luglio 1997 e con la Repubblica di Croazia a Roma il 27 giugno 1997.

Tali convenzioni sostituiranno in tutte le sue parti la Convenzione sulle assicurazioni sociali stipulata tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia il 14 novembre 1957, che ha continuato ad essere applicata anche dopo la dissoluzione dello Stato jugoslavo.

Le Convenzioni riguardano gli aspetti dell'assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia, l'assicurazione per malattia e maternità, contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disoccupazione involontaria e le prestazioni familiari e si applicheranno ai cittadini degli Stati contraenti, nonché ai rifugiati in base alla Convenzione di Ginevra del 1951 residenti nei due Stati.

In particolare, le Convenzioni prevedono la possibilità del cumulo e della totalizzazione dei periodi assicurativi maturati nei due Stati contraenti ai fini dell'accesso alle prestazioni.

24. Entrato in vigore l'accordo tra il governo italiano e quello della Repubblica di Macedonia

sulla mutua promozione e protezione degli investimenti, firmato a Skopje il 26.02.1997.

Ratificati e resi esecutivi gli accordi sulla protezione degli investimenti tra Italia e

Uzbekistan e Uganda, firmati rispettivamente a Taskent il 17.09.1997 e a Roma il

12.12.1997. La problematica dell'acquisto di immobili ad uso abitativo da parte di

immigrati stranieri.

Con comunicato del Ministero degli Affari Esteri (in G.U. dd. 12.06.1999 n. 136), il 28 maggio scorso è entrato in vigore l'Accordo sulla mutua promozione e protezione degli investimenti, firmato tra il governo italiano e quello macedone il 26 febbraio 1997 a Skopje (Macedonia) (in Suppl. G.U. n. 78/L del 20 aprile 1999).

Accordi similari con la Repubblica dell'Uzbekistan e dell'Uganda sono stati ratificati e resi esecutivi dal Parlamento italiano rispettivamente con l. 27 maggio 1999, n. 168 (Suppl. G.U. n. 114/L) e l.27 maggio 1999, n. 190 (G.U. dd. 23.06.1999 n. 145).

Per quanto concerne gli aspetti specificatamente legati agli interessi dei cittadini extracomunitari residenti in Italia, tali accordi hanno perso molta della loro importanza con l'entrata in vigore della legge organica in materia di immigrazione che ha disposto l'abrogazione della verifica della condizione di reciprocità per quanto attiene l'esercizio dei diritti civili da parte del cittadino extracomunitario regolarmente residente (tra cui va ricompreso l'esercizio dell'attività di lavoro autonomo e l'acquisto di immobili), salvo nei casi espressamente previsti dalla legge medesima e dalle convenzioni internazionali (art. 2.2 TU n. 286/98) Cosi' come ha riconosciuto lo stesso Ministero degli Affari Esteri, con circolare del 11 giugno 1998, la disposizione contenuta nell'art. 2 c. 2 del D.L.vo n. 286/98 consente al cittadino extracomunitario regolarmente residente in Italia di svolgere attività di lavoro autonomo, di costituire società di capitali e di investire e parteciparvi, senza essere sottoposto alla verifica della condizione di reciprocità. Maggiori difficoltà sono registrate invece nella prassi per l'affermazione del medesimo principio di esenzione dalla condizione di reciprocità per l'acquisto di beni immobili (ad uso innanzitutto abitativo) da parte del cittadino extracomunitario residente in Italia. All'assenza di una chiara presa di posizione sull'argomento da parte dei Ministeri degli Esteri e dell'Interno, ha peraltro fatto riscontro l'iniziativa del Ministero di Grazia e Giustizia - Ufficio Centrale degli Archivi Notarili, che con parere del 15.01.1999, ha rilevato che "sembra che, per quanto riguarda i diritti in materia civile, con l'entrata in vigore della legge n. 40 del 1998, l'art. 16, primo comma, delle preleggi, non sia più applicabile allo straniero regolarmente soggiornante, munito cioè di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno". Già in precedenza non erano mancate iniziative locali volte a far applicare correttamente le nuove disposizioni introdotte dalla legislazione nazionale sull'immigrazione. Così, il Collegio notarile di Brescia, con delibera del 29 ottobre 1998 aveva ritenuto "non essere contrario alla legge e quindi non costituire violazione della Legge Notarile ricevere atti, i quali abbiano oggetto l'acquisto da parte di cittadini di Paesi extracomunitari di beni immobili in Italia, e l'eventuale relativo finanziamento degli stessi, prescindendo dalla condizione di reciprocità, alle seguenti condizioni: a) che i cittadini extracomunitari abbiano un regolare permesso di soggiorno e siano residenti in Italia; b) che siano iscritti nelle liste di collocamento o esercitino una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo; c) che l'acquisto degli immobili abbia per oggetto la prima casa di abitazione, con caratteristiche non di lusso, secondo quanto previsto dall'attuale normativa fiscale agevolativa in tema di acquisto della prima casa" (entrambi i documenti sono pubblicati sul secondo numero della rivista dell'ASGI e di Magistratura Democratica "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", edita da Franco Angeli di Milano).

Un elenco aggiornato degli accordi vigenti tra l'Italia e i paesi terzi in materia di mutua promozione e protezione degli investimenti è disponibile sul sito Internet del Ministero degli Affari Esteri: www.esteri.it/attivita/operatori/index.htm

25. Entrato in vigore il trattato bilaterale tra Italia e Perù sul trasferimento di persone

condannate e di minori in trattamento speciale.

Con comunicato del M.A.E. pubblicato sulla G.U. 05.10.1999 n. 234, è stata resa nota l'entrata in vigore, a partire dal 17 agosto 1999, del trattato sul trasferimento di persone condannate e di minori in trattamento speciale tra il Governo italiano e quello peruviano, fatto a Roma il 24 novembre 1994 (e ratificato con legge n. 90 del 24 marzo 1999, in G.U. n. 86 dd. 14.04.99). Il trattato prevede la possibilità per i cittadini di uno dei due Stati, privati della propria libertà in conseguenza di una sentenza penale commutata dall'autorità dell'altro Stato, di scontare la condanna nel paese di appartenenza, ottenendo, a determinate condizioni il trasferimento nel medesimo.

26. Entrata in vigore la Carta sociale europea, riveduta con annesso, firmata a Strasburgo il 3

maggio 1996.

Con comunicato del M.A.E. pubblicato sulla G.U. dd. 05.10.1999 n. 234, è stato reso noto l'avvenuto deposito, in data 6 luglio 1999, dello strumento di ratifica italiana della Carta sociale europea, riveduta con annesso, firmata a Strasburgo il 3 maggio 1996, dopo che con legge 09.02.1999, n. 30, pubblicata sulla G.U. n. 44, Suppl. ord. dd 23.02.1999, detta ratifica era stata autorizzata dal Parlamento italiano.

I diritti e le misure previsti dalla Carta sociale europea, attinenti essenzialmente il campo dei diritti sociali, nella sfera lavorativa o della sicurezza sociale, solo garantiti soltanto ai cittadini degli Stati contraenti, facenti parte del Consiglio d'Europa. L'appendice della Carta Sociale Europea specifica, infatti, che le persone interessate dagli articoli 1 - 17 "includono gli stranieri solo fintantoché sono cittadini di Stati parte della Carta Sociale Europea legalmente residenti o regolarmente impiegati nel territorio dello Stato parte interessato…". Ugualmente, gli articoli 18 e 19 (attinenti i diritti dei lavoratori migranti, ivi compreso il principio di parità di trattamento) sono garantiti solo ai cittadini degli Stati parte della Carta . La Carta Sociale Europea è attualmente in vigore per i seguenti paesi: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Spagna, Svezia, Turchia e Regno Unito. Di conseguenza, è del tutto evidente l'impatto assai limitato e marginale della Carta sociale europea sulle questioni attinenti l'immigrazione.

Il comunicato del MAE informa che al momento del deposito della ratifica, l'Italia ha formulato una riserva sull'art. 25 della Carta, che prevede il diritto dei lavoratori alla protezione delle loro spettanze in caso di insolvenza da parte del datore di lavoro, mediante la costituzione di appositi fondi di garanzia pubblici. L'Italia dunque non si ritiene impegnata al rispetto di tale disposizione.

27. Ratificato e reso esecutivo l'accordo tra il governo italiano e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia, firmato a L'Aja il 6 febbraio 1997.

Con legge 7 giugno 1999, n. 207 (G.U.30.06.1999 n. 151), il Parlamento italiano ha autorizzato la ratifica e l'esecuzione dell'accordo firmato a L'Aja il 06.02.1997 tra il governo italiano e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia.

L'Italia, infatti, è uno dei Paesi che ha indicato al Consiglio di Sicurezza dell'ONU la propria disponibilità a dare esecuzione alle sentenze pronunciate dal Tribunale penale Internazionale dell'Aja per i crimini di guerra compiuti nel territorio della ex-Jugoslavia, e dunque a garantire la reclusione nelle proprie strutture carcerarie delle persone condannate dal suddetto tribunale. L'accordo regola tra l'altro gli aspetti procedurali dei rapporti tra le autorità italiane e quelle del tribunale sugli aspetti dell'esecuzione della sentenza (ivi compresi quelli concernenti l'eventuale applicazione di misure non detentive e di eventuali provvedimenti di condono), nonché sulle ispezioni del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

28. Sospesa ufficialmente nei confronti della Bosnia Erzegovina l'efficacia dell'accordo tra la

Repubblica Italiana e la ex Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia sul

riconoscimento dei diplomi e dei titoli accademici rilasciati dalle università, effettuato a

Roma il 18 febbraio 1983.

Con comunicato pubblicato sulla G.U. 20 aprile 1999 n. 91, il Ministero degli Affari Esteri ha reso nota la decisione di non considerare più efficace a partire dal 22 marzo scorso nei confronti della Bosnia Erzegovina l'accordo a suo tempo sottoscritto con la ex-Jugoslavia per il reciproco riconoscimento dei titoli d studio universitari. Pari decisioni erano state negli anni scorsi assunte nei confronti di altre Repubbliche sorte dalla dissoluzione dell' ex Stato jugoslavo.

In verità, fin dal 1993 le università italiane non procedevano al riconoscimento automatico, in vi amministrativa, dell'equipollenza dei titoli di studio conseguiti nelle Università della ex-Jugoslavia, in virtù di una circolare in questo senso diramata dal Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica.

In virtù delle regole di diritto internazionale, gli Stati sorti dalla dissoluzione di formazioni statuali preesistenti, possono ritenersi successori degli accordi internazionali di portata generale e non aventi contenuto di carattere territoriale solo in presenza di un atto esplicito di assenso da parte dell'altro Stato firmatario degli accordi o di una prassi indicante tale assenso. Poiché il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica italiano aveva già raccomandato particolare cautela alle Università nel procedere all'equipollenza dei titoli di studio conseguiti nella ex-Jugoslavia, si può dire che l'accordo tra Italia e ex-Jugoslavia in materia non poteva essere più invocato fin dal 1993, ancora prima delle comunicazioni ufficiali diramate dal Ministro degli Affari Esteri. L'unica eccezione riguarda la Slovenia, con la quale il nostro paese ha rinegoziato un nuovo accordo, entrato in vigore il 6 agosto 1997 (legge 7 aprile 1997 n. 104 G.U. n. 93 dd 22 aprile 1997).

 

S p e c i a l e N E W S

"Diritto, Immigrazione e Cittadinanza": Uscito il secondo numero della rivista promossa da Magistratura Democratica e dall'ASGI dedicata ai temi dell'immigrazione e dell'asilo.

E' uscito nelle librerie agli inizi di ottobre il secondo numero della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", promossa da Magistratura Democratica e dall'ASGI ed edita da Franco Angeli di Milano. Da segnalare su questo numero le analisi sulla costituzionalità delle deleghe legislative previste dalla legge sull'immigrazione (P. Bonetti), sull'(in)ammissibilità del referendum leghista abrogativo della legge sull'immigrazione (A. Caputo), sulle prospettive della cittadinanza europea (B. Nascimbene), sui provvedimenti in materia di protezione temporanea dei rifugiati dalla Repubblica Federale di Jugoslavia (W. Citti), nonché un commento sulla giurisprudenza inglese in materia di riconoscimento delle status di rifugiato a favore delle donne maltrattate in famiglia nei paesi di provenienza (O. Casagrande). Il volume contiene inoltre una raccolta della più significativa giurisprudenza finora maturata in materia di espulsioni, minori stranieri, ricongiungimento familiare, ecc. dopo l'entrata in vigore della legge n. 40/98, commentata da esperti dell'ASGI e di MD.

La rivista si propone come strumento di informazione e approfondimento, prevalentemente giuridico, sui temi dell'immigrazione e dell'asilo, destinato a tutti i soggetti che operano nel settore (associazioni, enti locali, sindacati, scuole, uffici pubblici, avvocati).

I promotori della rivista ritengono infatti che con l'entrata in vigore della legge organica in materia di immigrazione e con la prospettata riforma di quella sull'asilo politico, nonché con l'annunciata definizione di una normativa comunitaria europea sulla materia, prevista dal Trattato di Amsterdam recentemente entrato in vigore, vi sia un urgente bisogno in Italia di conoscenza e confronto sulle regole del diritto che presiedono al governo e al controllo dei fenomeni migratori. Ciò con lo scopo innanzitutto di dotare coloro che operano a fianco degli immigrati (ONG, sportelli pubblici e privati, avvocati) di strumenti conoscitivi per meglio svolgere le funzioni di tutela e rappresentanza nei rapporti con la pubblica amministrazione e in sede giurisdizionale. "La rivista non sarà neutrale - si legge nella presentazione editoriale - ma di parte: dalla parte dei diritti, della eguaglianza, della integrazione nel rispetto delle diversità".

Ogni numero della rivista, di circa 220 pagine, è suddiviso in quattro parti: la prima, di dibattito su questioni di attualità, a livello non solo nazionale, ma europeo; la seconda, dedicata alla giurisprudenza, con la pubblicazione di sentenze e decreti, suddivisi per temi; la terza, di documentazione, con la pubblicazione di materiale legislativo e amministrativo (circolari); l'ultima, di segnalazioni bibliografiche o di siti Internet.

La rivista è trimestrale. L'abbonamento annuale (4 numeri) costa Lit. 110.000 e può essere effettuato mediante versamento su conto corrente postale n. 17562208 intestato a Franco Angeli srl Milano.

Per ulteriori informazioni si può consultare il sito www.francoangeli.it oppure contattare l'editore, scrivendo a Franco Angeli srl - viale Monza 106, 20127 Milano, fax 02 2895762, oppure la direzione della rivista, c/o l'avv. Nazarena Zorzella, tel. 051/236747, e-mail: ri12653@iperbole.bologna.it

 

 

Entrato in vigore lo scorso 1° maggio il Trattato di Amsterdam sull'Unione Europa. Le prospettive delle politiche europee in materia di migrazione e asilo in occasione del Vertice europeo straordinario di Tampere (Finlandia) del 15-16 Ottobre. I documenti propositivi di organismi italiani ed europei.

Lo scorso 1° maggio è entrato in vigore il secondo trattato sull'Unione Europea, quello firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997, che contiene importanti novità nelle materie dell'immigrazione e dell'asilo. Con il trattato di Amsterdam, esse vengono infatti a far parte gradualmente del cosiddetto "Primo Pilastro" dell'Unione Europea; sono cioè ricomprese in ambito comunitario, rafforzando anche il ruolo del Parlamento europeo e della Corte europea di giustizia.

I cambiamenti introdotti dal nuovo trattato sono finalizzati alla "creazione di un nuovo spazio senza frontiere interne" e all'obiettivo di "conservare e sviluppare l'Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione alla criminalità e la lotta contro quest'ultima".

Il nuovo titolo IV del Trattato CE si intitola "Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone" ed investe, nello specifico:
- l'attraversamento delle frontiere esterne ed interne dell'Unione;

- l'asilo, l'immigrazione, la politica nei confronti dei cittadini degli Stati terzi;

- la cooperazione giudiziaria in materia civile.

Il trattato di Amsterdam stabilisce una "comunitarizzazione" graduale della politica migratoria e un termine, cinque anni, affinché gli Stati membri arrivino ad avere una politica comune in materia di immigrazione. Per un periodo transitorio di cinque anni dall'entrata in vigore del trattato è previsto che il Consiglio, nelle materie di cui sopra, deliberi all'unanimità su proposta della Commissione o su iniziativa di uno Stato membro e previa consultazione del Parlamento. Trascorso tale periodo sarà il Consiglio a deliberare su proposta della Commissione che farà da filtro alle richieste formulate dagli Stati membri ed il Consiglio, deliberando all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, deciderà in marito alle materie comunitarizzate secondo la procedura di codecisione (art. 189B).

Nel corso di questo periodo transitorio di cinque anni, ci si attende che il Consiglio Europeo adotti misure in materia di immigrazione nei seguenti ambiti:

- condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini dei paesi terzi;

- requisiti e condizioni in base ai quali cittadini dei paesi terzi legalmente residenti in uno Stato membro potrebbero risiedere in un altro Stato membro.

La questione dell'asilo e dei rifugiati è disciplinata, insieme alla politica d'immigrazione, dall'articolo 63 del Titolo IV. La problematica dell'asilo è suddivisa in due ambiti diversi:

- in primo luogo, si considera la materia dell'asilo con riferimento ai rifugiati ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951;

- in secondo luogo, si affronta la problematica della protezione temporanea e del "burden-sharing" (ripartizione degli oneri tra gli Stati membri).

Le misure che saranno adottate nella materia dell'asilo riguarderanno i seguenti ambiti:

- i criteri e le procedure da applicare per determinare lo Stato membro responsabile dell'esame di una domanda d'asilo;

- le norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo sul territorio comune;

- le norme minime per un'interpretazione comune della definizione convenzionale di rifugiato;

- le norme minime procedurali in materia di riconoscimento o di revoca dello status di rifugiato.

I processi di armonizzazione europea della questione dell'asilo si estenderanno dunque non solo alla questione dei rifugiati secondo la Convenzione di Ginevra , ma anche a quella, sempre più attuale e rilevante, dei rifugiati accolti in regime di "protezione temporanea". Il trattato di Amsterdam prevede peraltro che una piena comunitarizzazione della materia dell'asilo potrà avvenire solo al termine di un periodo transitorio di cinque anni.

Il trattato di Amsterdam contiene anche un protocollo sull'asilo, non firmato dalla Danimarca, in base al quale le eventuali richieste di asilo presentate da cittadini dell'Unione Europea dovranno di norma essere dichiarate inammissibili. Il contenuto di tale protocollo è stato criticato dall'ACNUR e dall'ECRE (European Consultation on Refugees and Exiles), perché giudicato in contrasto con la Convenzione di Ginevra del 1951.

Al testo del Trattato di Amsterdam è stato infine allegato un protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione Europea, con il compito di far confluire le norme Schengen, il Segretariato Schengen ed il suo personale nell'Unione Europea.

Il Trattato di Amsterdam prevede significative eccezioni per il Regno Unito e l'Irlanda, che continueranno ad esercitare i controlli sulle persone alla proprie frontiere e saranno esclusi dalle previsioni del nuovo titolo IV in materia di visti, asilo e immigrazione.

La Commissione Europea e tre gruppi di lavoro stanno lavorando alacremente per definire un quadro programmatico delle politiche in materia di libera circolazione, sicurezza e giustizia, ivi compresi i settori dell'immigrazione e dell'asilo, per la realizzazione degli obiettivi fissati dal Trattato di Amsterdam nel prossimo quinquennio. Tale programma verrà varato e approvato dal Consiglio Europeo straordinario di Tampere in Finlandia del 15-16 ottobre. In vista del vertice di Tampere, diverse organizzazioni italiane ed europee hanno stilato documenti e proposte inviate ai rispettivi governi. Tra questi, va segnalato il documento elaborato dal Gruppo di riflessione religiosa che sottolinea l'esigenza che "l'Europa punti ad una armonizzazione di "alto profilo" delle politiche e delle procedure in vigore nei settori dell'immigrazione e dell'asilo", adottando, nel campo dell'asilo, "un'ottica che privilegi la tutela dei diritti fondamentali della persona non subordinata a criteri di convenienza e di opportunità socio-economica", mentre nel campo dell'immigrazione viene auspicata "la definizione di vie di immigrazione legale effettivamente percorribili" quale alternativa all'immigrazione clandestina. Il testo del documento può essere richiesto al Servizio Migranti e Rifugiati della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (E-mail: sm.evangeliche@agora.it ). Sul processo di comunitarizzazione delle politiche in materia di immigrazione e asilo, si è soffermato pure un gruppo di accademici europei, coordinati dall'Università di Amsterdam, denominatosi AGIT (Accademic Group on Immigration-Tampere) che ha steso un lungo ed articolato documento propositivo, che può essere richiesto alla segreteria dell'ASGI (tel. fax. 040/382651, e-mail: ledaz@tin.it ).

Campagna internazionale per la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. Un'iniziativa in Italia.

Il gruppo di riflessione religiosa, che riunisce associazioni cattoliche, protestanti, ebree, impegnate nel campo della tutela dei migranti e della promozione della multiculturalità, ha promosso assieme all'ASGI il 12 maggio scorso a Roma presso la Biblioteca del CNEL, un seminario di studio e approfondimento sulla Convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione dei diritti dei migranti e dei membri delle loro famiglie. Al seminario hanno preso parte rappresentanti della Caritas, dell'ASGI, del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, della Fondazione Migrantes, della Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi di Ginevra. Il seminario ha avuto lo scopo di sollecitare le autorità parlamentari e governative del nostro paese ad avviare la procedura di adesione e ratifica dell'Italia a questo strumento di diritto internazionale. Un ordine del giorno in questo senso è stato presentato alla Camera dei deputati da un gruppo di parlamentari il 1 ottobre 1998. Al seminario è intervenuta l'on. Patrizia Toia, Sottosegretaria Agli Affari Esteri, che ha assicurato il proprio impegno affinché il dicastero riprenda l'esame della Convenzione al fine di giungere all' eventuale adesione del nostro Paese a tale strumento.

La Convenzione sui diritti dei migranti è stata approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1990, ma non è ancora entrata in vigore, in quanto a tale scopo è necessaria la ratifica di almeno 20 stati aderenti all'ONU. Finora la Convenzione ha trovato l'adesione di solo undici Paesi. L'unico paese europeo che l'ha ratificata finora è la Bosnia Erzegovina. Le ragioni di questo ostracismo da parte degli Stati derivano dal fatto che la Convenzione è fortemente innovativa, specie se si considera che molti dei suoi articoli scendono in dettagli molto precisi, tali da vincolare strettamente, e non solo a livello di principi, gli stati aderenti. Per la prima volta in uno strumento delle Nazioni Unite si dà una definizione di "lavoratore migrante" che evita la distinzione tra regolare ed irregolare, assegnando a quest'ultimo il godimento di un paniere di diritti essenziali. Nel testo della Convenzione, inoltre, viene considerato il lavoratore emigrante non come una persona avulsa da un contesto di relazioni umane, ma perlopiù coinvolto in legami familiari, che devono essere tenuti in considerazioni nel paese di arrivo, per quanto riguarda il trattamento per il lavoro, la residenza, ma anche i casi di detenzione o il caso di responsabilità verso minori.

Gli organizzatori del seminario hanno peraltro sottolineato che dopo l'entrata in vigore delle nuova normativa organica in materia di immigrazione (l. n. 40/1998), l'Italia già corrisponde a pressoché tutti gli standard di trattamento previsti dalla Convenzione e, di conseguenza, nessun obbligo aggiuntivo scaturirebbe dall'adesione a tale strumento delle Nazioni Unite .

Per ulteriori informazioni sul seminario e la campagna per la ratifica della Convenzione ONU, ci si può rivolgere al Servizio Rifugiati e Migranti della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, via Firenze, 38 00184 ROMA. tel. e fax 06/48905101, e-mail: Sm.evangeliche@agora.it

Famiglia multietnica e diritto di famiglia

La Corte di Cassazione conferma il limite all'applicazione della legge straniera nei rapporti di famiglia se i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico e ai principi fondamentali del nostro ordinamento e di quello internazionale. Negata l'applicazione della legge marocchina che non ammette l'istituto del riconoscimento della filiazione naturale.

Con sentenza 12 novembre 1998 - 8 marzo 1999 n. 1951, la Corte di Cassazione I sez. civile, ha negato la possibilità di applicare la legislazione marocchina, così come sarebbe dovuto avvenire in base all'art. 17 delle disposizioni preliminari al codice civile (trattandosi di un procedimento avviato precedentemente alla riforma del diritto internazionale privato di cui alla legge n. 218/1995), già portatore del principio per il quale i rapporti di famiglia sono regolati dalle norme dello Stato al quale le parti appartengono. La Suprema Corte ha infatti ritenuto che la legge marocchina, non prevedendo l'istituto del riconoscimento della filiazione naturale (e anzi trattando siffatto concepimento alla stregua di un crimine), viola i principi generali di ordine pubblico italiano e internazionale e contrasta con esigenze di tutela del minore, richiamate tanto dalla Costituzione italiana quanto dalla Convenzione internazionale di New York sui diritti del minore.

La sentenza conferma una giurisprudenza consolidata in merito ai limiti all'applicazione del diritto straniero nei rapporti di famiglia. Si veda ad esempio una decisione di merito del Tribunale di Torino, 24 febbraio 1992, che aveva deciso che il diniego del nulla-osta alle nozze di una cittadina algerina con un cittadino italiano, qualora sia motivato da ragioni esclusivamente religiose, derivanti dai principi del diritto islamico, è contrario all'ordine pubblico italiano. Parimenti, il TAR dell'Emilia Romagna con sentenza n. 926/1994 aveva escluso la possibilità del riconoscimento della poligamia nell'ordinamento italiano, rigettando il ricorso avverso il diniego al ricongiungimento famigliare con una seconda moglie chiesto da un cittadino marocchino. In tema di patria potestà, si può citare una precedente decisione della Corte di Cassazione (27 febbraio 1985), secondo la quale l'art. 1169 del Codice civile iraniano, secondo cui i figli, in caso di separazione dei genitori, devono essere affidati al padre, a partire dall'età di due anni, contrasta con i principi di ordine pubblico italiano, atteso che, privilegiando solo e aprioristicamente il sesso dell'affidatario, e astraendo dalla sua concreta attitudine a prendersi cura della prole, è in palese contrasto con il divieto di discriminazione dei sessi.

Bollettino news aggiornato alla data del 15 ottobre 1999 e curato da Walter Citti, della segreteria dell'ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (tel. fax.040/382651).