(10/9/1999)

ALCUNI PUNTI CRITICI DEL DDL SULL'ASILO

Le questioni piu' delicate in vista del dibattito in Commissione Affari costituzionali sembrano essere, a grandi linee, la definizione del titolare del diritto d'asilo (in particolare, l'estensione "costituzionale" rispetto alla categoria - attualmente considerata dalla legge - del rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra); la fase di pre-esame della domanda; le limitazioni da apportare all'espellibilita' del richiedente asilo e del titolare del diritto d'asilo. Altre questioni rivestono un carattere piu' tecnico e non riguardano l'impostazione generale del disegno di legge.

In questa nota vengono affrontate la questione del pre-esame (articolo 6) e quella dei limiti all'espellibilita' (articolo 13).

 

Pre-esame

Il pre-esame e' mirato ad evitare che la Commissione centrale per l'asilo sia ingolfata di domande che, in realta', non avrebbero titolo ad essere sottoposte ad un esame completo. Le ragioni per escludere una domanda dall'esame vero e proprio possono essere riassunte nel modo che segue e che rispetta l'ordine con cui, nel testo al vaglio della Camera, si prevede che vengano prese in considerazione:

a) un altro Stato aderente alle convenzioni internazionali in vigore (leggi: "Dublino") e' responsabile per l'esame della domanda;

b) la domanda e' inammissibile: il richiedente e' gia' protetto da altro Stato, ovvero ha omesso - potendo farlo - di chiedere protezione ad altro paese aderente alla Convenzione di Ginevra ("paese terzo sicuro"), ovvero, ancora, risulta pericoloso per la sicurezza dello Stato (sempre che il rischio per la sua vita non sia da considerarsi prevalente) o si e' reso responsabile di reati gravi;

c) la domanda e' manifestamente infondata, in quanto basata su fatti che nulla hanno a che vedere con il diritto d'asilo, ovvero scarsamente credibile, o presentata al solo scopo di evitare un provvedimento di espulsione.

Un'impostazione del genere presenta diversi problemi, anche in relazione al fatto che il diritto d'asilo, come definito dalla riforma in esame, dovrebbe risultare piu' ampio di quello che fa mero riferimento alla Convenzione di Ginevra (per intenderci, asilo "A"), dando attuazione (almeno parziale) al dettato costituzionale con la previsione di una ulteriore categoria di titolari del diritto (asilo "B") assoggettata alla medesima procedura e dotata, a valle del riconoscimento, dei medesimi diritti della prima. I problemi possono essere cosi' riassunti:

1) La definizione di paese terzo sicuro non puo' limitarsi alla semplice adesione del paese alla Convenzione di Ginevra, ma deve contemplare il fatto che il paese stesso sia disposto effettivamente a riammettere sul proprio territorio il richiedente e ad esaminare la richiesta d'asilo. La nozione di paese terzo sicuro, poi, non puo' applicarsi al caso di domande relative all'asilo "B", dal momento che uno Stato che aderisce alla Convenzione di Ginevra non e' tenuto ipso facto a dare protezione a casi che rientrino in tale categoria; similmente, la Convenzione di Dublino prevede che l'attribuzione di responsabilita' per l'esame della domanda si applichi ai soli casi relativi all'asilo "A". L'unificazione della procedura (e dei diritti) per i casi "A" e i casi "B", d'altra parte, fa si' che l'individuazione della categoria cui la domanda afferisce possa essere effettuata solo in seguito ad una analisi accurata dei motivi che stanno alla base della domanda stessa.

2) Una corretta valutazione del bilanciamento tra i pericoli che incombono sulla sicurezza dello Stato e quelli che incombono sul richiedente non puo' prescindere da un esame di merito della domanda di asilo. Inoltre, se la commissione di un reato successiva al riconoscimento dello status di rifugiato non e' motivo sufficiente per l'espulsione dello straniero - diventandolo, ai sensi della Convenzione di Ginevra, solo in caso di pericolo grave per la sicurezza dello Stato - e' discutibile che possa essere sufficiente a determinare l'esito negativo del pre-esame; a maggior ragione, in ogni caso, dovrebbe essere presa in considerazione un'opportuna ponderazione dei rischi corsi dal richiedente e da quelli corsi dalla sicurezza della societa'.

3) L'accertamento di manifesta infondatezza dovrebbe prescindere da qualunque esame di merito della domanda e, soprattutto, da qualunque processo alle intenzioni del richiedente.

4) Vi e' una drastica differenza tra i tempi (lunghi) necessari ad attribuire in modo definitivo la responsabilita' dell'esame della domanda ad altro Stato in base alla Convenzione di Dublino e quelli (brevi) necessari a stabilire che la domanda e' manifestamente infondata. Sebbene l'anteporre gli accertamenti piu' costosi (in termini di tempo) possa risultare di fatto vantaggioso per il richiedente, dal momento che gli da' maggiori possibilita' di tutelare nel miglior modo possibile la propria posizione, e' certamente paradossale che si impieghino - poniamo - tre mesi per definire l'attribuzione ad altro Stato di una domanda che verra', immediatamente dopo, rigettata perche' priva di qualunque fondamento.

Il rischio che il pre-esame verta - impropriamente - su questioni di merito, anticipando, di fatto e in condizioni di dannosa concitazione, un'analisi che dovrebbe essere riservata alla procedura di esame induce a ritenere indispensabile la previsione di ricorsi dotati di effetto sospensivo capaci di neutralizzare eventuali errori di valutazione che si tradurrebbero, altrimenti, nel respingimento del richiedente.

Questa linea ha ispirato la stesura degli emendamenti fin qui considerati nell'ambito del GDLDDL e la discussione svolta prima dell'interruzione estiva. Tuttavia, la previsione di tali strumenti di ricorso rischia di privare il procedimento del pre-esame di qualunque possibilita' di rappresentare un filtro rispetto a domande non meritevoli di considerazione. Piu' ancora che il richiedente in buona fede, infatti, quello in mala fede avrebbe tutto l'interesse ad esperire qualunque via risulti in grado di proteggerlo, anche temporaneamente, da un provvedimento di allontanamento. C'e' cosi' il rischio che, per tutelare lo Stato da richiedenti in mala fede, siano respinti i tentativi di modificare il testo in modo da tutelare i richiedenti in buona fede.

Cosi' pure, la previsione di strumenti di ricorso avverso l'attribuzione di responsabilita' per l'esame della domanda ad altro Stato - pure indispensabile alla luce di quanto detto sulla distinzione tra asilo "A" e asilo "B" - potrebbe essere vista come un'inaccettabile forma di prolungamento di una gia' smisurata "fase preliminare" del pre-esame.

Si rende probabilmente necessario un ripensamento dell'intera impostazione dell'articolo 6. Proposte in questo senso sono state avanzate, nell'ambito del Gruppo di lavoro, piu' volte (ad esempio, dal CIR). Fino ad oggi l'orientamento di massima e' stato quello di proporre emendamenti che lascino inalterato l'impianto dell'articolo (e in particolare la successione degli accertamenti in esso previsti), in nome del vantaggio che potrebbe derivarne per il richiedente. E' pero' evidente come una tutela de facto del richiedente che si avvalga di un sotterfugio (del lasciare, cioe', che l'amministrazione si impelaghi nelle sue lentezze burocratiche) e' destinata ad avere vita breve, soprattutto se si pone in una linea diversa da quella che sembra informare il processo di armonizzazione europea. La proposta che segue riprende invece la proposta del CIR e tenta di sposare la linea "europea" - che, pur non essendo caratterizzata dalla massima benevolenza verso il richiedente, una sua razionalita' la possiede - e di puntare alla tutela del richiedente in modo trasparente.

Il pre-esame dovrebbe essere riorganizzato nel modo seguente:

 

1) Accertamento relativo all'inammissibilita', dove per domanda "inammisibile" si intende qui una domanda

1.a) manifestamente infondata (ossia basata su motivi che non hanno alcuna correlazione con quelli che giustificano il riconoscimento del diritto d'asilo);

ovvero

1.b) presentata da persona gia' adeguatamente protetta in altro Stato o per la quale un altro Stato stia esaminando una domanda di asilo.

 

2) Accertamento finalizzato al trasferimento della domanda ad altro paese disposto ad esaminarla; in particolare:

2.a) un paese non appartenente all'Unione europea ed aderente alla Convenzione di Ginevra, nel quale il richiedente abbia trascorso un congruo periodo di tempo senza tuttavia presentare richiesta d'asilo, e che sia disposto a riaccogliere il richiedente e ad esaminare la sua richiesta ("paese terzo sicuro" ridefinito);

2.b) Stato responsabile della domanda (o disposto a esaminarla per ragioni umanitarie) sulla base della Convenzione di Dublino.

 

La ratio di questa impostazione corrisponde al principio (discutibile fin che si vuole, ma certamente in voga in Europa) del limitare l'esame delle domande ai casi in cui la persona non possa godere di altra protezione. La logica - cioe' - e' quella dell'escludere dall'esame, progressivamente, quanti presentino domande totalmente prive di motivazione o non abbiano bisogno immediato di protezione, quanti possano essere protetti fuori dall'Unione europea, quanti possano essere protetti in altro paese dell'Unione. In questo senso - per rispondere ad una osservazione avanzata in uno dei documenti prodotti nell'ambito del GDLDDL - il fatto che la Convenzione di Dublino possa trattare con maggior favore alcune situazioni meritevoli di particolare protezione (per esempio, a tutela dell'unita' familiare) non e' un motivo sufficiente per anteporre l'individuazione di uno Stato "Dublino-responsabile" a quella di un eventuale paese terzo (extra-europeo) sicuro, giacche' si fa valere il principio "accogliamo in Europa solo chi non possa trovare accoglienza altrove" (piuttosto che quello - piu' utopico - "mettiamoci nei panni del richiedente"). Se si derogasse (lodevolmente, forse) al principio "europeo", si dovrebbe accogliere anche lo straniero che goda gia' di protezione in altro paese, se solo la protezione accordata dal nostro ordinamento risultasse per lui piu' vantaggiosa.

La suddivisione (e la successione temporale) nei due diversi accertamenti sopra definiti presenta un vantaggio importante, anche ai fini del confronto con i soggetti impegnati nel dibattito parlamentare (Relatore, Governo, etc.): e' possibile separare adeguatamente adempimenti che necessitano di competenze, forme di tutela e tempi assai diversi. Mentre, infatti, l'accertamento di inammissibilita' (come ridefinita sopra), purgato di ogni valutazione di merito riguardante la credibilita' della domanda e la buona fede del richiedente, puo' essere eseguito entro le quarantotto ore dal funzionario delegato dalla Commissione, l'individuazione dell'eventuale paese terzo sicuro o dello Stato Dublino-responsabile necessita di tempi molto piu' lunghi, riflessione accurata e competenze molto vicine a quelle della Commissione (in modo particolare, per stabilire se l'accertamento vada evitato in virtu' del carattere di tipo "asilo B" del caso in esame).

Corrispondentemente, mentre e' ipotizzabile, in relazione all'accertamento di inammissibilita', una forma di tutela che si esaurisca in un riesame da parte della Commissione (come ipotizzato dal Relatore nel corso della sua relazione introduttiva davanti alla Commissione Affari costituzionali), eventualmente sollecitata a tal fine dal rappresentante dell'ACNUR o della ONG delegata, e' opportuno prevedere, avverso la decisione di trasferimento della domanda ad altro paese (europeo o extra-europeo), un ricorso davanti al giudice, data la delicatezza della distinzione tra asilo "A" e asilo "B", la necessita' che una domanda non infondata sia comunque esaminata e - ad esempio - le difficolta' legate ad una corretta interpretazione della Convenzione di Dublino e della nozione di paese terzo sicuro (i tempi certamente non trascurabili di un ricorso davanti al giudice risulterebbero - per inciso - pienamente ammortizzati da quelli necessari alla definizione del trasferimento della domanda ad altro Stato).

 

Pericolosita', reati, espellibilita'

Tra gli accertamenti da effettuare durante il pre-esame cosi' ridefinito non figurerebbe quello relativo alla pericolosita' per la sicurezza dello Stato o alla pregressa commissione di gravi reati. La ragione sta nel fatto che, come gia' previsto dal disegno di legge in relazione al caso di pericolo per la sicurezza dello Stato, e' necessario che sia presa in considerazione l'entita' del rischio per la vita del richiedente che conseguirebbe al suo respingimento. Una simile considerazione non puo' aver luogo - come si e' detto - al di fuori di un esame di merito. E' quindi opportuno che la pericolosita' per la sicurezza dello Stato e (nell'ipotesi che non ci si voglia limitare a questa circostanza) la commissione di gravi reati siano prese in esame quali motivi di esclusione piuttosto che di inammissibilita' (in fase cioe' di esame di merito della domanda).

A voler essere rigorosi, in realta', l'accertamento della pericolosita' per la sicurezza dello Stato dovrebbe essere di esclusiva competenza del Ministro dell'interno (come per qualunque altro straniero) e non dovrebbe figurare quindi tra i compiti della Commissione neppure in fase di esame di merito della domanda. Per un verso, infatti, il rigetto, in qualunque fase, di una domanda per motivi di sicurezza dello Stato equivarrebbe (quasi) all'adozione di un provvedimento di allontanamento e ci si dovrebbe chiedere, in quel caso, perche' mai il Ministro dell'interno non sia intervenuto immediatamente, all'insorgere del pericolo, per irrogare il provvedimento. Per altro verso, la Commissione non dispone degli strumenti necessari (le informazioni dei servizi segreti, ad esempio) per effettuare tale valutazione; dovrebbe cosi' ricorrere al Ministro dell'interno per ottenerli, e questo si tradurrebbe in un inaccettabile assoggettamento della decisione della Commissione alla volonta' dell'esecutivo.

Alla luce di queste considerazioni, quindi, tra le clausole di esclusione relative alla pericolosita' sociale del richiedente dovrebbe rimanere la sola commissione di reati gravi. Ove poi si consideri la minor rilevanza di questa rispetto alla pericolosita' per la sicurezza dello Stato e l'approssimativa equivalenza del rigetto della domanda ad un allontanamento dal territorio dello Stato, perfino una completa soppressione di tali clausole apparirebbe motivata. Dato pero' che tale equivalenza non e' assoluta e che il trattamento del titolare del diritto d'asilo e' piu' favorevole di quello del generico straniero, anche il mantenimento della clausola puo' trovare giustificazione, allo stesso modo in cui la commissione di un reato puo' risultare motivo ostativo al rilascio - poniamo - della carta di soggiorno.

Dovrebbe infine essere stabilito esplicitamente che quelli di sicurezza per l'ordine pubblico e per la sicurezza dello Stato sono i soli motivi per cui il titolare del diritto d'asilo puo' essere espulso (in accordo con la Convenzione di Ginevra, per chi rientri nel caso "A"; in linea con l'uniformazione di procedure e diritti, per chi rientri nel caso "B"). Il testo del disegno di legge attualmente all'esame della Commissione Affari costituzionali della Camera appare, in proposito, carente, limitandosi ad affermare che in caso di pericolo per la sicurezza dello Stato il permesso di soggiorno per asilo e' revocato; in tal modo si stabilisce che al pericolo per la sicurezza dello Stato consegue (come e' ovvio) l'espulsione, ma non si esclude che l'espulsione possa essere adottata per altri motivi. Inoltre, nessun limite viene posto, nel disegno di legge, all'espellibilita' del richiedente asilo. Essendo questi un potenziale titolare del diritto d'asilo, dovrebbe essere adottata la medesima restrizione ora invocata per il titolare del diritto d'asilo.

Il ruolo della Commissione dovrebbe allora essere limitato

a) all'accertamento, in sede di esame, della pericolosita' del richiedente: dell'esistenza, cioe', di eventuali cause di esclusione - ove le si voglia mantenere - relative alla commissione di gravi reati, ponderate con la considerazione dei rischi cui il richiedente andrebbe incontro in caso di respingimento della domanda;

b) alla verifica del rispetto delle raccomandazioni della Convenzione di Ginevra relative all'allontanamento del rifugiato (e, per estensione, del titolare del diritto d'asilo e del richiedente), ogni qualvolta sia adottato un provvedimento di espulsione di uno straniero che abbia chiesto (ed eventualmente ottenuto) asilo per gravi ragioni di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato.

 

Conclusioni

In definitiva, il procedimento potrebbe essere cosi' schematizzato:

 

Pre-esame:

1) Inammissibilita' (manifesta infondatezza o protezione gia' richiesta o accordata); titolare: funzionario delegato; possibilita' di riesame da parte della Commissione.

2) Trasferimento ad altro Stato (extra-europeo sicuro o Dublino-responsabile); titolare: Commissione (?); ricorso davanti al giudice.

 

Esame (titolare: Commissione; ricorso al TAR con giurisdizione estesa al merito):

...

n) Cause ostative (crimini contro l'umanita', reati gravi, etc.; considerazione dei rischi per il richiedente).

 

Espulsione:

Richiedente e titolare del diritto d'asilo espellibili solo per gravi motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato; rispetto in ogni caso dell'articolo 19 del Testo unico (principio di non refoulement) e delle raccomandazioni della Convenzione di Ginevra; titolare: Ministro dell'interno; vigilanza della Commissione sulle modalita' di espulsione.