Sinodo dei Vescovi

II Assemblea Speciale per l'Europa

Ottobre 1999

 

 

SPUNTI RIGUARDANTI IL TEMA MIGRATORIO

NELL'INSTRUMENTUM LABORIS

 

 

L'Instrumentum laboris, a differenza dei precedenti Lineamenta dove il tema migratorio non era in alcun modo toccato, per sette volte entra espressamente in argomento almeno con accenni brevi ma puntuali, diverse altre volte alle migrazioni si fa riferimento in forma implicita e indiretta ma non meno significativa. Questo lo si riscontra sia nella prima parte, più descrittiva, che nella terza di carattere più pastorale e operativo. E' comprensibile che nella seconda parte, di impostazione essenzialmente biblico-teologica, il richiamo alle migrazioni non sia così evidente; ciò tuttavia non consente di concludere che tale richiamo sia del tutto assente; semmai lo si può individuare a un livello più alto, dove attraverso la Scrittura si è in diretto ascolto della Parola di Dio.

Il presente esposto si articola in due sezioni: la prima è piuttosto analitica, perché vi si riportano anzitutto i passi in cui si fa espressa menzione delle migrazioni, quindi altri passi dove questa menzione non è esplicita, ma vi può essere esplicitata; l'altra sezione si può dire sentetica, cerca infatti di fare una delle possibili sintesi con i dati emersi dalla prima sezione, mettendoli in connessione tra loro ed integrandoli eventualmente con altri spunti che sono ormai patrimonio comune in campo ecclesiale, così da consentire un discorso abbastanza organico attorno al tema migratorio.

Il Sinodo, dice l’Instrumentum laboris, "si sente impegnato a rivolgere un’attenzione puntuale e costante alle concrete vicende storiche che hanno caratterizzato l’Europa negli ultimi anni e alle linee di tendenza che la stanno caratterizzando nel presente". Non v’è dubbio che fra queste vicende balza in primo piano "una accelerazione per il processo di unificazione e di integrazione europea" n. 8), non solo con il suo allargamento ad altri Stati e con l’adozione dell’euro, ma pure col passaggio dal Trattato di Maastricht al trattato di Amsterdam. Proprio il prossimo ottobre, in concomitanza con la celebrazione del Sinodo, i Capi di Stato e di Governo hanno deciso di tenere a Tampere (Finlandia) un "Consiglio europeo speciale", ove è all’ordine del giorno un "Piano d’azione… sul modo migliore per attuare le disposizioni del Trattato di Amsterdam", concernenti in particolare "misure nel settore dell’asilo, delle frontiere esterne e dell’immigrazione". Sarà probabilmente un incontro di decisiva importanza su questi settori, nel senso che adotterà le linee secondo le quali nei prossimi due o cinque anni sarà elaborata una normativa comunitaria, sostitutiva anche del Patto di Schengen, vincolante per tutti gli Stati membri. Sembra questo un motivo in più perché il Sinodo faccia sentire chiara la sua voce in materia, riproponendo quanto, secondo saggezza umana e ispirazione cristiana, si ritiene fondamentale e irrinunciabile.

Nel medesimo n. 8 si dice che "si sono anche ulteriormente sviluppate forme stabili di relazione, dialogo e consultazione tra le istituzioni europee e la Chiesa cattolica, attraverso la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE). Al n. 86 si riconosce anche "l’importanza di rafforzare e di congiungere più strettamente tra di loro le attività del CCEE (Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa) e della COMECE. Non v’è dubbio che questa Commissione, la quale molto si interessa dei problemi attinenti alle migrazioni e che allo scopo tiene gli opportuni contatti con le varie Conferenze Episcopali, potrebbe essere la voce più competente e accreditata per presentare all’importante appuntamento europeo di ottobre il pensiero e le proposte che in materia di mobilità umana andranno maturando nel Sinodo.

Prima sezione

LETTURA DEL DOCUMENTO IN CHIAVE MIGRATORIA

 

 

PARTE I - L'Europa verso il terzo millennio

 

I testi espliciti

N. 8 - "Le res novae nell'Europa dell'ultimo decennio" è il sottotitolo che contiene già nelle prime pagine un testo abbastanza ampio sulle migrazioni, di carattere descrittivo.

Ecco il testo: "La caduta della cortina di ferro ha prodotto, per la prima volta dopo decenni, la possibilità di contatti diretti con i paesi dell'Europa centrale ed orientale. Immediatamente si sono creati flussi migratori dall'Est europeo, ai quali vanno aggiunti quelli dal Sud e da diversi paesi dell'Africa e dell'Asia. Inoltre continua il flusso dei popoli dell'Est verso l'Ovest e del Sud verso il Nord. I poveri e i senza tetto di numerosi paesi dell'ex cortina di ferro, dell'Africa e dell'Asia migrano nelle città dell'Europa occidentale e in non pochi casi si tratta di ingressi illegali. Questi flussi migratori stanno creando in Europa molteplici problemi sociali e culturali, che chiedono di essere affrontati con attento discernimento e con responsabilità. Si viene creando così, di anno in anno una situazione sempre più pluralistica quanto a condizioni etniche, culturali, religiose e sociali. E tutto ciò costituisce una sfida per le Chiese che cercano, non senza difficoltà, di farvi fronte con rinnovate iniziative di accoglienza, di solidarietà e avviando tentativi di dialogo interreligioso e interculturale".

E' un quadro realistico che evidenzia gli aspetti scabrosi come la natura forzata di queste migrazioni, in gran parte formalmente illegali; comunque non è un quadro allarmistico (in tal caso sarebbe stato collocato più avanti nel sottotitolo: "Delusioni, rischi, preoccupazioni" di n. 11ss); semmai pone la Chiesa, nonché l'Europa intera (cfr. n. 91) di fronte a una sfida da affrontare con decisione e coraggio.

 

N. 9 - Con coraggio ed anche con un certo ottimismo, come lascia intendere questo numero (ma già il n. 6 che parla delle "opportunità offerte dal kairòs del momento presente), dedicato a "Opportunità e motivi di speranza".

Fra i "motivi, semi e segni di speranza" da scoprire e valorizzare, viene indicato in primo luogo e "in via generale, la circolazione delle persone e una migliore conoscenza vicendevole tra popoli dell'Est e dell'Ovest" e "in ambito più propriamente ecclesiale, nuove ed ampie possibilità di rapporti di comunione, solidarietà e condivisione fra tutte le Chiese d'Europa".

Si entra quindi a parlare più direttamente dei migranti: Nelle chiese occidentali si sono moltiplicati i luoghi di accoglienza per il crescente numero di immigrati". A questo "crescente numero di immigrati" più che al parallelo "crescente numero di candidati al sacerdozio, preti, religiosi, religiose e laici" che affluiscono alle "istituzioni ecclesiali accademiche dell'Europa occidentale" e all'invio da parte di questa "di propri docenti ed esperti alle Chiese dell'Est", si deve la "migliore conoscenza vicendevole tra popoli dell'Est e dell'Ovest".

 

N. 10 - Anche all’interno della Chiesa il "pluralismo di fede e di cultura" indotto dalle migrazioni, di fatto se non a parole, fa una certa paura, induce al sospetto e frena "gli atteggiamenti di apertura e di dialogo": "Altri ambienti ecclesiali sono disponibili ad accettare tale pluralismo, ma a livello più teorico che pratico, più fuori della Chiesa che dentro di essa: ne sono segno palese le difficoltà che si incontrano e l’incapacità che spesso ne deriva di creare spazi nei quali i cattolici provenienti da altre tradizioni e gli immigrati di altre religioni possano esprimere i loro valori culturali, spirituali e religiosi anche nelle Chiese di Europa".

I testi impliciti

N. 6 - "Discernere i segni dei tempi" è il sottotitolo di questo numero. Non si può non pensare alle migrazioni quando si legge: "Il Sinodo si sente impegnato a rivolgere un'attenzione puntuale e costante alle concrete vicende storiche che hanno caratterizzato l'Europa negli ultimi anni e alle linee di tendenza che la stanno caratterizzando nel presente: è un'attenzione che si fa discernimento e giudizio critico, capace di mettere in luce sia gli aspetti positivi sia quelli problematici o negativi e di indicare le vie da percorrere".

Questa "attenzione che si fa discernimento" porta al di là delle valutazioni socio-politiche per collocarci nell'ambito della fede: "I Vescovi riuniti in Sinodo sentono il bisogno di interrogarsi per scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo". Con altre parole, riprese da Giovanni Paolo II, si tratta di "cogliere le opportunità offerte dal kairòs del momento presente e mostrarsi all'altezza delle sfide pastorali emergenti dalla concreta situazione storica", ossia di volgere lo sguardo "con rinnovata urgenza al mutare e alla novità degli scenari che vanno presentandosi nella storia".

N. 10 - Che cosa si intenda precisamente per "compresenza (présence simultanée)" non è facile capirlo nemmeno dal contesto, comunque non può venire esclusa quel pluralismo di presenze che è prodotto dalle migrazioni: "la compresenza di diversi popoli, culture e religioni può rivelarsi come occasione propizia per tendere a una unità culturale che, oggi, non può essere pensata in termini di sola cristianità, ma in termini di pluralismo dialogante e collaborativo" . Solo infatti attraverso le migrazioni si ha una simultanea presenza nello stesso ambiente non occasionale e sporadica, ma massiva e stabile di popolazioni con propria cultura e religione.

N. 12 - Già al n. 10 si parlava di globalizzazione, sottolineando che "pur con tutte le ambivalenze e i rischi che comporta, racchiude in sé elementi positivi e opportunità". In questo numero invece si sottolinea e con maggiore insistenza, il rovescio. Il fatto stesso che il capoverso sia compreso nel sottotitolo "Delusioni, rischi e preoccupazioni", dice molto. Ne riportiamo solo una parte: Il fenomeno della globalizzazione, essendo spesso governato solo o prevalentemente da logiche di stampo mercantilistico a beneficio e vantaggio dei potenti, può essere foriero di ulteriori disuguaglianze, ingiustizie, emarginazioni; può concorrere alla crescita della disoccupazione, favorire la tendenza alle disuguaglianze sia tra paesi diversi sia all'interno degli stessi paesi industrializzati, sollevare interrogativi anche circa la nozione di "sviluppo sostenibile", portare a nuove forme di esclusione sociale, di instabilità e di insicurezza, introdurre una sorta di iper-concorrenza selvaggia e così via".

Non occorre spendere parole per indicare che le prime vittime di questo tipo di globalizzazione sono i migranti e i candidati all'emigrazione. E' interessante, in proposito, notare che il primo accenno a questo fenomeno avvenga al n. 8, proprio in immediata successione e, sembra, connessione, col lungo paragrafo, già riportato, sui flussi migratori. Su questa connessione è entrato senza mezzi termini il Papa nel suo discorso a conclusione del IV Congresso Mondiale della Pastorale dei Migranti e Rifugiati del 9 ottobre 1998: "La chiusura delle frontiere spesso non è motivata semplicemente da un diminuito o da un cessato bisogno dell'apporto della manodopera immigrata, ma dall'affermarsi di un sistema produttivo impostato sulla logica dello sfruttamento del lavoro. Fino a tempi recenti la ricchezza dei paesi industrializzati veniva prodotta sul posto, con il contributo anche di numerosi immigrati. Con la dislocazione del capitale e delle attività imprenditoriali tanta parte di questa ricchezza viene prodotta nei Paesi in via di sviluppo, dove la manodopera è disponibile a basso prezzo. In questo modo i Paesi industrializzati hanno trovato il modo di usufruire dell'apporto della manodopera a basso prezzo senza dover sopportare l'onere della presenza di immigrati. Così questi lavoratori corrono il rischio di essere ridotti a nuovi servi della gleba, vincolati ad un capitale mobile che, fra tante situazioni di povertà, selezione di volta in volta quelle in cui la manodopera è a minor prezzo. E' chiaro che un simile sistema è inaccettabile: in esso infatti la dimensione umana del lavoro è praticamente ignorata".

N. 17 - Questo appunto del Papa va riferito pesantemente anche all'Europa, dato che "il valore della solidarietà sembra spesso in crisi in Europa di oggi. Sono, infatti, sotto gli occhi di tutti e un po' in tutto il continente atteggiamenti e comportamenti individuali e collettivi, spesso ispirati e alimentati da sistemi di stampo capitalista e consumista, che dicono chiusura ed egoismo".

La stessa chiusura ermetica delle frontiere esterne contribuisce a creare l'immagine della "Fortezza Europa" la quale, arroccata nel suo benessere, né consente ad altri di accedere per condividerne almeno le briciole, né si dà sufficientemente pensiero di coloro che al di fuori della fortezza sono ai limiti della sopravvivenza.

 

N.B. - Nella prima parte vengono presentati anche altri temi di natura più direttamente religiosa ed ecclesiale, come la nuova evangelizzazione, il nuovo sforzo missionario, il risveglio della domanda religiosa, il pericolo di sincretismo ed altri, tutti di una certa attinenza anche col fatto migratorio; se ne farà qualche accenno nella seconda sezione.

 

PARTE II - Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa

Come si è accennato in apertura, questa parte eminentemente biblico-teologica sembra tenere lontano, di natura sua, un tema così immerso nella contingenza di una situazione storica e sociale come la mobilità umana. D'altra parte entriamo nel cuore della teologia quando diciamo che l'uomo è via alla Chiesa e che Cristo, "Redemptor hominis", ha posto l'uomo al centro della storia della salvezza. Sotto questo aspetto anche questa parte del documento può offrire agganci di alta qualità, anche a livello biblico e teologico, al tema migratorio. Ne emergono tre in particolare.

N. 25 - Il primo deriva dal protagonismo in tutto il documento dell'episodio di Emmaus, come già si dice nell'introduzione: "Soggiacente a tutto il testo è il riferimento ai due discepoli di Emmaus (Lc. 24, 13-35). Dopo l'introduzione (n. 4), tutte e tre le parti (nn. 5, 25, 35) prendono inizio da questo riferimento biblico, che viene valorizzato, si sta per dire sfruttato, in tutti i suoi particolari; sia consentito aggiungere: eccetto uno, quello del Risorto che si accompagna e si rivela ai discepoli sotto la veste di forestiero (cf. Lc 24, 18). Dai discepoli tuttavia non è rifiutato, anzi è ospitato e nel gesto più espressivo dell'ospitalità conviviale si manifesta ed essi comprendono che accettando la compagnia dello straniero ed ospitandolo in casa, hanno fatto accoglienza e dato ospitalità a Cristo stesso. Questo luminoso sfondo di fede al problema dei migranti in Europa è qualcosa di più che un accomodamento di circostanza, è vera "icona interpretativa" di "una nuova Europa", che tanto sarà nuova quanto sarà capace di costituirsi in "comunità a misura d'uomo, senza esclusioni e barriere, ma nell'accoglienza, nella solidarietà e nella pace" (n. 4) in un orizzonte non circoscritto al vecchio continente, ma aperto al mondo intero.

N. 27 - Nello spiegare "loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui" (Lc 24, 27), Cristo Pasquale avrà certamente dato rilievo ai fatti dell'Esodo, in particolare al fatto di una sua misteriosa presenza in mezzo al popolo dell'Esodo; era lui infatti quella "roccia spirituale che li accompagnava" (I Cor 10, 4); se egli infatti "nell'uscire dall'Egitto, il Signore non abbandonò gli israeliti nel deserto, ma ´marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrereª" Es 13, 21), anche oggi lo stesso Signore è presente e guida il suo popolo in ogni vicenda della storia". Come dunque l'esilio, l'esodo e il cammino di liberazione dell'Antico Popolo di Dio sono icona della Chiesa, i migranti di oggi, porzione notevole del nuovo Popolo di Dio, continuano ad essere richiamo forte alla realtà attuale della Chiesa e alla sua destinazione ultima. Si tratta di leggere le migrazioni alla luce della fede quale segno dei tempi; in questa prospettiva prendono rilievo e diventano stimolanti per l'azione, oltre che per la contemplazione, certe affermazioni del S. Padre, come quella contenuta nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Migrazioni 1991: "A questo crescente spostamento di gente la Chiesa guarda con simpatia e favore… perché in esso scorge l’immagine di se stessa, popolo peregrinante".

N. 32 - Queste parole proiettano in avanti agli ultimi tempi, quando dal Giudice divino sarà detta la parola decisiva su tutta la vicenda umana secondo un codice che premia o castiga chi ha già accolto Cristo o l'ha rifiutato nei più poveri e diseredati dei suoi fratelli, tra i quali viene elencato il forestiero (cfr. Mt 25, 31-46). Il Signore infatti "è presente alla sua Chiesa che esercita le opere di misericordia perché quando facciamo un po' di bene a uno dei suoi più umili fratelli lo facciamo allo stesso Cristo".

 

 

PARTE III - Gesù C. speranza per l'Europa: annuncio, celebrazione, servizio

 

I testi espliciti

N. 63 (Annunciare il Vangelo della speranza) - Il discorso sul dialogo con le altre religioni in Europa prende l'avvio dal fatto delle migrazioni: "La crescita dei flussi migratori, intensificando il contatto con persone di altre religioni, fa crescere l'esigenza di comprendere profondamente che cosa, in questo contesto multiculturale e multireligioso, comporta per la Chiesa e per i cristiani la responsabilità dell'annuncio del Vangelo: è questo un compito al quale il Sinodo e le Chiese in Europa non possono sottrarsi".

Si continua a tenere presente il fatto migratorio quando si prosegue: "Non basta, però, risolvere l'attenzione pastorale alle diverse tradizioni religiose in azioni caritative e assistenzialistiche; né è sufficiente un impegno comune tra cristiani e appartenenti alle altre religioni in ordine alla giustizia, alla pace, alla libertà, alla salvaguardia della creazione. E' urgente e necessario, piuttosto, un confronto che stimoli provvidenzialmente il recupero e l'approfondimento di valori fondamentali della tradizione cristiana...; un sincero e prudente dialogo, lungi dall'indebolire la fede, la deve rendere più solida e profonda".

Altrettanto si dica del successivo n. 64 dove l'attenzione si ferma sull'Islam: "In particolare, data la rilevanza che la presenza dell'Islam va sempre più assumendo in Europa, quanto mai necessario si rivela il dialogo con i musulmani".

N. 70 (Celebrare il Vangelo della speranza) - "Adattare i riti alle diverse e nuove situazioni in cui i fedeli si trovano a vivere": è una norma che tenuta presente particolarmente nel caso dei migranti perché essi, più di ogni altra categoria, si trova a vivere in "diverse e nuove situazioni". Posto questo principio, vanno lette in chiave migratoria diverse altre indicazioni che riguardano il celebrare, in particolare quella "mistagogia liturgica" da proporre nell'annuncio e nella catechesi, che non ha efficacia che non si riferisce a tradizioni, simbolismi, linguaggio proprio in cui ogni fedele ha visto nascere e crescere la sua vita cristiana. Si pensi inoltre all'impatto negativo del fedele di altra etnia quando si rende conto che qui in Occidente "le celebrazioni liturgiche sono frequentate quasi esclusivamente da anziani, specialmente donne, e da bambini, mentre sono disertate da persone giovani e di mezza età: ne segue, tra l'altro l'immagine di una Chiesa vecchia, femminile e infantile" (n. 69).

Tre vie si possono individuare per "servire il Vangelo della speranza.

N. 74 - La prima via è "quella della solidarietà: non una solidarietà intesa semplicemente come assistenza, ma come valorizzazione dei diversi soggetti sociali" e rivolta sia agli immigrati che ai Paesi dai quali essi sono costretti ad uscire: "Col crescere dei flussi migratori, la solidarietà deve trovare espressione in forme di convivenza che diano uno spazio adeguato alle diverse presenze nella società. Con il crescere della globalizzazione, le rivendicazioni da parte dei gruppi e delle minoranze del diritto di cittadinanza e al pieno riconoscimento della loro identità e diversità chiedono di essere riconosciute e tutelate entro un quadro di valori e di norme comuni; senza dimenticare, sempre in questo contesto segnato dalla globalizzazione, la responsabilità proprio dell'Europa e delle sue Chiese verso i popoli bisognosi di tutto".

N. 75 - Una seconda via riguarda la "promozione di alcune attenzioni e priorità pastorali per rendere più efficace la testimonianza della carità". Tra queste "la creazione di un clima di rispetto e di accoglienza verso gli immigrati, così da avviare positivi processi di integrazione culturale e di proficuo dialogo interreligioso".

N. 84 - La terza via riguarda "l'impegno per l'edificazione della nuova Europa", con riferimento a quei "problemi che oggi sembrano maggiormente caratterizzare il nostro continente. Tra questi si possono ricordare, a titolo esemplificativo: la questione e il senso del lavoro in un contesto di globalizzazione; il fenomeno dell'immigrazione come problema con cui confrontarsi, vedendone non solo i rischi, ma anche le potenzialità che racchiude le responsabilità nei confronti dei paesi più poveri del mondo, con il gravissimo problema del debito internazionale".

 

I testi impliciti

N. 73 - Vivere la testimonianza della carità comporta il diventare artefici di comunione e di solidarietà "anche oltre i confini della comunità ecclesiale. Qui, nell'intera società civile, l'amore reciproco, che edifica la Chiesa come comunità fraterna e missionaria, diventa fattore di solidarietà. Essere, quindi, artefici di comunione vuol dire anche promuovere la costruzione di una società solidale", tenendo conto che la mobilità e il pluralismo sono ormai note costitutive di tutta la società europea, data non solo la vicinanza ma la convivenza di popolazioni diverse.

N. 80 - Benefici sono gli effetti di questa convivenza anche per la causa del Vangelo, come dimostra la storia. Infatti "dall'incontro dei greci, dei latini, dei barbari, degli slavi con Cristo è scaturito uno dei modelli più significativi di inculturazione della fede e una delle sintesi più ricche tra fede e ragione". Perciò "la sfida che l'Europa si trova a dover affrontare risiede ancora nella capacità dei cristiani di tornare alle radici della loro fede nel Risorto, per riscoprire una nuova stagione caratterizzata da un'inculturazione che sappia affrontare i problemi inediti che l'Europa incontra", dei quali uno dei principali e decisivi è la compresenza sullo stesso territorio di gente importata dall'immigrazione.

N. 85 - E' sempre possibile il rigurgito di nazionalismi che escludono il diverso: "ai cristiani è chiesto di affrontare le problematiche connesse con le risorgenti forme di nazionalismo che attraversano l'Europa. E' necessario adoperarsi perché ci si possa aprire a una convivenza più accogliente e solidale, che una adeguata comprensione della "cattolicità" della Chiesa non può che fondare e promuovere".

N. 86 - La più facile comunicazione con l'Est e in particolare le migrazioni da quelle regioni verso l'Ovest europeo sono privilegiata occasione anche per "dare spazio a quelle forme di ecumenismo di popolo che ha già conosciuto esperienze significative nelle assemblee di Basilea e di Graz". Operata, con questo "supplemento d'anima" una più armoniosa e solidale comunione di tutta l'Europa, "la nuova Europa da edificare è un'Europa aperta alla solidarietà universale", che raggiunge anche i paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America. Si ripete ancora una volta, in quest'ultimo numero prima della conclusione, che nei confronti di questi paesi "il continente europeo, e le Chiese in esso operanti, hanno meriti, ma anche debiti da assolvere. Crescere in questa coscienza e far maturare nella solidale consapevolezza di essere gli uni responsabili degli altri, soprattutto dei più poveri e dei meno fortunati, sarà un ulteriore modo per servire il Vangelo della speranza"

 

 

 

 

 

 

Seconda sezione

POSSIBILE TRACCIA PER UNA DI SINTESI

 

Si prende atto con soddisfazione che l'Instrumentum laboris richiami per sette volte in modo esplicito e diverse altre in modo implicito il fenomeno delle migrazioni in contesti e sotto profili diversi; è un grande passo avanti nei confronti dei Lineamenta dove alle migrazioni non si faceva alcun chiaro riferimento. Viene spontaneo pensare che le osservazioni e le proposte pervenute alla Segreteria del Sinodo dopo la pubblicazione di quel primo documento abbiano sottolineato questa carenza ed abbiano cercato di rimediarvi.

In questa sezione si riprendono gli spunti offerti dal documento preparatorio, cercando di collegarli tra loro, di meglio esplicitarli ed eventualmente integrarli con qualche altro elemento, nella forma più sintetica possibile.

Il punto di partenza

Il documento preparatorio parla di "crescente numero di immigrati" (n. 9), di "crescita dei flussi migratori" (n. 63 e 74) verso l'Europa. Si sottolinea che vi sono coinvolti "diversi paesi dell'Africa e dell'Asia", ma dopo la caduta della cortina di ferro "si sono creati flussi migratori dall'Est europeo" ed anche oggi "continua il flusso dei popoli dell'Est verso l'Ovest": dunque ora è anche un movimento intra-europeo. E' un movimento di "poveri e senza tetto" e "in non pochi casi si tratta di ingressi illegali"; si suppone che il grosso problema dei profughi e rifugiati rientri nella più ampia categoria di migranti, dal momento che di essi non si fa mai esplicita menzione. "Questi flussi migratori stanno creando in Europa molteplici problemi sociali e culturali, che chiedono di essere affrontati con discernimento e responsabilità" (n. 8): qui si parla direttamente della Chiesa, ma naturalmente vi è chiamata in causa anche la società civile e politica, nazionale e internazionale, in particolare l’Unione Europea.

Tutto ciò sul piano operativo; anche sul piano magisteriale, orientativo delle menti e delle coscienze, singole Chiese nazionali in Europa si sono pronunciate con chiarezza, dando inoltre risonanza agli interventi coraggiosi, puntuali e insistenti del S. Padre; non pare invece che organismi ecclesiali a livello europeo, come la CCEE, si siano finora pronunciati in modo chiaro e impegnativo su problemi cruciali che si sono presentati in questi anni in Europa; fa eccezione la Caritas europea. Questo sembra un motivo in più perché le nostre Chiese non perdano l'occasione del Sinodo di fine millennio per far sentire la loro voce autorevole, sia su aspetti umani, sociali e politici delle migrazioni, sia su altri aspetti di pertinenza più strettamente ecclesiale.

Su questo doppio versante la presente nota cerca di enucleare i problemi che sembrano di maggiore urgenza e utilità con formule stringate che fanno riferimento più o meno letterale al documento preparatorio del Sinodo.

Aspetti umani e politici delle migrazioni

1. Responsabilità dell'Occidente circa i flussi migratori. Viene detto con chiarezza che ad emigrare sono "i poveri e i senza tetto" (n. 8): è quanto dire che le migrazioni come attualmente si svolgono non sono libera scelta ma dura necessità. Chi ne è responsabile? Al n. 74 viene richiamata la "responsabilità proprio dell'Europa e delle sue Chiese verso i popoli bisognosi di tutto". Al n. 84 si ribadisce questo punto: infatti fra "i problemi che oggi sembrano maggiormente caratterizzare il nostro continente" vengono ricordate anche "le responsabilità nei confronti dei paesi più poveri del mondo, con il gravissimo problema del debito internazionale".

Le due citazioni sono prese da un contesto dove si parla espressamente di migrazioni. Dunque si è di fronte a tre termini: debito estero, situazioni di grave povertà, conseguenti migrazioni. Qui è importante fare una riflessione: mentre sul debito si sta facendo strada una certa consapevolezza della sua assurdità e la Chiesa, da parte sua, sta mobilitando le coscienze e stimolando a interventi concreti per alleggerirlo, la consapevolezza delle nostre responsabilità occidentali sulle condizioni di povertà anche estrema dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo rimane molto sbiadita e di fatto si va rallentando la cooperazione al loro effettivo sviluppo. Quanto poi a nuovi flussi immigratori, in Europa sembra quasi ovunque un discorso proibito e si intende rispondere prevalentemente con misure di più rigido controllo e repressione alla persistente pressione dei diseredati alle frontiere; non si tiene conto di un fatto elementare, ossia che tali flussi e pressioni sono dovuti a uno stato socio-economico disastrato, di cui i nostri Paesi del benessere sono i primi, se non gli unici responsabili. Se è vero che noi stiamo bene mentre loro stanno male, e questa constatazione potrebbe indurci a interventi umanitari a titolo di benevolenza, la verità completa e ben più dura, inquietante è quest'altra: noi stiamo bene alle loro spalle, con il loro sfruttamento ed è per questo che loro stanno male. In questo caso l'intervenire non è semplice problema di buon cuore, ma di giustizia e di riparazione del danno.

Giustizia e riparazione del danno dovrebbero portare alla remissione o riduzione significativa del debito e ad una più consistente cooperazione per lo sviluppo, interventi però che avrebbero effetto a lunga o media scadenza; ma intanto la gente che soffre non si rassegna al peggio e perciò preme alle nostre frontiere. E' legittimo allora parlare di chiusura ermetica delle frontiere?

E' una domanda provocatoria, che urta certe sensibilità e rischia di essere tacciata di demagogia. Eppure il S. Padre se la pone e con lui altre voci profetiche. Perché il Sinodo non può farla propria?

2. Problema degli irregolari. "I poveri e i senza tetto_ migrano nelle città dell'Europa occidentale e in non pochi casi si tratta di ingressi illegali" (n. 8). Certamente qui non si intende fare l'apologia dell'immigrazione clandestina. Soltanto si prende atto che, se le vie legali di ingresso sono tutte sbarrate, l'istinto di sopravvivenza è così forte che spinge anche ad avventure spregiudicate e rischiose. Di fronte alla realistica considerazione che la pressione migratoria talora può risultare incontenibile, diventa una misura di prudenza e di tornaconto, oltre che di umanità, una certa programmazione di ingressi legali. Comunque urta il senso civico e tanto più cristiano il voler sanzionare come reato penalmente perseguibile il tentativo di ingresso illegale, come pretendono anche certe correnti politiche che dicono di ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa.

3. Possibilità di assorbimento dei migranti nel nostro mercato di lavoro. E' certamente un problema scabroso che non può essere risolto in modo sbrigativo, tanto più che si è di fronte a un progressivo invecchiamento e ridimensionamento della nostra popolazione. Comunque va tenuta presente la regola aurea enunciata dal Papa nel messaggio sulle migrazioni del 1992: "Anche se i Paesi sviluppati non sono sempre in grado di assorbire l'intero numero di coloro che si avviano all'emigrazione, tuttavia va rilevato che il criterio per determinare la soglia della sopportabilità non può essere solo quello della semplice difesa del proprio benessere, senza tener conto delle necessità di chi è drammaticamente costretto a chiedere ospitalità".

4. Immigrazione come risorsa. Il bilancio globale delle migrazioni non mancherà di risultare positivo che si valutano "non solo i rischi, ma anche le potenzialità che racchiude" (n. 84). Non diversamente il Papa tornava a ripetere su scala mondiale nel citato messaggio: "L'esperienza mostra che quando una nazione ha il coraggio di aprirsi alle migrazioni viene premiata da un accresciuto benessere, da un solido rinnovamento sociale e da una vigorosa spinta verso inediti traguardi economici e umani".

5. Migrazioni e globalizzazione. Con realismo va tenuto presente che "il fenomeno della globalizzazione, essendo spesso governato solo o prevalentemente da logiche di stampo mercantilistico a beneficio e vantaggio dei potenti, può essere foriero di ulteriori disuguaglianze, ingiustizie, emarginazioni; può concorrere alla crescita della disoccupazione, favorire la tendenza a disuguaglianze tra paesi diversi, portare a nuove forme di esclusione sociale, di instabilità e di insicurezza, introdurre una sorta di iper-concorrenza selvaggia e così via" (n. 12). Inutile dire che le prime vittime di questo sistema sono i migranti e gli aspiranti ad emigrare. Sarebbe bene che il Sinodo mettesse bene in risalto questo rapporto.

Aspetti sociali e culturali delle migrazioni

Il documento preparatorio del Sinodo fa opportunamente notare che, al di là dei problemi di carattere politico, "questi flussi migratori stanno creando in Europa molteplici problemi sociali e culturali, che chiedono di essere affrontati con attento discernimento e responsabilità. Si viene così creando, di anno in anno, una situazione sempre più pluralistica quanto a condizioni etniche, culturali, religiose e sociali. E tutto questo costituisce una sfida per le Chiese che cercano, non senza difficoltà, di farvi fronte con rinnovate iniziative di accoglienza, di solidarietà e avviando tentativi di dialogo interreligioso e interculturale" (n. 8). Le molteplici tematiche qui enunciate vengono riprese in altre parti del documento in forma più sviluppata e consentono di presentare una progressione logica di tematiche che si traducono sia per la Chiesa che per la società civile e politica, in impegni ardui ma di eccezionale importanza, che esigono una profonda educazione umana e cristiana a questa novità e una conseguente conversione di mentalità e di comportamenti..

1. "La situazione sempre più pluralista" enunciata nel n. 8 come conseguenza delle migrazioni, anche se comporta inevitabili "difficoltà", va principalmente annoverata tra le "opportunità e segni di speranza che chiedono di essere riconosciuti e valorizzati", come dice il n. 10 che ulteriormente esplicita: "la compresenza di diversi popoli, culture e religioni può rivelarsi come occasione propizia... per tendere a una unità culturale che, oggi, non può essere pensata in termini di sola cristianità, ma in termini di pluralismo dialogante e collaborativo". Un’unità quindi che non è uniformità, ma accettazione, rispetto e armonizzazione del diverso.

2. La convivenza pacifica che vada oltre la semplice coesistenza e tanto più oltre la guerra fredda, triste ricordo di altri tempi, è una prospettiva irrinunciabile che va vissuta come alto valore civico, ma soprattutto nel nostro spirito di cattolicità: "E’ necessario adoperarsi perché ci si possa aprire a una convivenza più accogliente e solidale, che una adeguata comprensione della cattolicità della Chiesa non può che fondare e promuovere" (n. 85).

3. Accoglienza e solidarietà sono atteggiamenti interiori e comportamenti esterni che indicano l’aspetto dinamico, operativo, concreto di questa pacifica convivenza che viene appunto chiamata, nel passo citato, "convivenza accogliente e solidale". Per il cristiano che è posto di fronte a gente estranea e straniera sono termini equivalenti a carità ed hanno come criterio interpretativo della loro "ampiezza, lunghezza, altezza e profondità" (cfr. Ef 3, 18) la parabola del buon samaritano o il verdetto finale: "Venite, benedetti…perché ero straniero e mi avete accolto". E questo sia per il singolo cristiano che per tutto il corpo ecclesiale: "tutto ciò costituisce una sfida per le Chiese che cercano, non senza difficoltà, di farvi fronte con rinnovate iniziative di accoglienza e di solidarietà" (n. 8). Giustamente si parla di sfida perché questi valori a contemplarli sono belli e seducenti, ma a realizzarli richiedono di seguire la logica del rinnegamento di se stessi e della croce.

4. Chiusura ed egoismo sono la risposta di coloro che rifiutano questa logica sotto la spinta di mille pretesti e di controtestimonianze che rischiano di creare opinione e stile di vita. Si può scendere una china che porta fino alla xenofobia ed al razzismo, che raramente esplode nelle forme esasperate e violente, ma tanto spesso prende le forme larvate del sospetto, del pregiudizio, dell’intolleranza. Non si tratta solo di prese di posizione personali, spesso ne sono pervase l’opinione pubblica, una certa cultura a sfondo ideologico, i massa media, le correnti politiche. Non si può rimanere inerti o neutri:

"il valore della solidarietà sembra spesso in crisi nell’Europa di oggi. Sono, infatti, sotto gli occhi di tutti e un po’ in tutto il continente atteggiamenti e comportamenti individuali e collettivi…, che dicono chiusura ed egoismo".

5. "Le rivendicazioni da parte dei gruppi e delle minoranze del diritto di cittadinanza e al pieno riconoscimento della loro identità e diversità chiedono di essere riconosciute e tutelate entro un quadro di valori e di norme comuni" (n. 74). Si tratta di un diritto dei migranti, ma pure di un dovere: il diritto di vivere e veder rispettata la propria identità etnica e il dovere di sentirsi parte di una società più ampia, della quale non si può vivere ai margini. Il discorso però vale anche per gli autoctoni: infatti tanto è possibile l’autoemarginazione da parte degli immigrati, altrettanto lo è l’emarginazione da parte di chi, infatuato di nazionalismo, è portato a vedere nello straniero un corpo estraneo: "ai cristiani… è chiesto di affrontare le problematiche connesse con le risorgenti forme di nazionalismo che attraversano l’Europa".

 

Aspetti specificamente religiosi, ecclesiali.

1. La prima attenzione va ai migranti cattolici

Anche in campo migratorio dovrebbe valere il monito di S. Paolo: "Operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede" (Gal 6, 10), particolarmente in ciò che riguarda il sostegno di questa fede. Nel documento preparatorio del Sinodo pare sfugga questa priorità, infatti non vi si trova alcun accenno al bisogno e al diritto che essi hanno di una pastorale specifica, rispondente alle loro esigenze. In migrazione tanti sono i pericoli di entrare in crisi di fede se non si è debitamente sostenuti da pastori, strutture, comunità appropriate. Si tratta talora di comunità etniche, come quella croata, polacca o portoghese, "che vantano una lunga tradizione di frequenza alla messa festiva" vivamente partecipata (n. 68), quando invece "in molti paesi dell’Occidente le celebrazioni liturgiche sono frequentate quasi esclusivamente da anziani, specialmente donne, e da bambini, mentre sono disertate da persone giovani e di mezza età: ne consegue, tra l’altro, l’immagine di una Chiesa vecchia, femminile, infantile" (n. 69). Ci si domanda quale impatto forse traumatico possa avere nei nostri fratelli nella fede, provenienti anche dalle giovani Chiese di missione, questo freddo spettacolo offerto dalle nostre Chiese di antica cristianità e di quale risorsa si privino queste Chiese se questa immissione di forze vitali non venisse favorita e valorizzata.

Una qualche risposta potrebbe venire dal proposito di "adattare i riti alle diverse e nuove situazioni in cui i fedeli si trovano a vivere" (n. 70). Ma non è solo problema di culto, è anzitutto problema di fede e qui, più specificamente, di una "inculturazione della fede" che anche in ambiente di immigrazione va rispettata e incoraggiata. Dovrebbe fare testo quanto dice la storia d’Europa, costituitasi per di più attraverso grandi migrazioni: "Dall’incontro dei greci, dei latini, dei barbari, degli slavi con Cristo è scaturito un modo di essere e di pensare europeo e cristiano, che costituisce uno dei modelli più significativi di inculturazione della fede" (n. 80).

Molti migranti sono già entrati in crisi di fede o perlomeno questa non è più incisiva e non si traduce in pratica regolare di vita cristiana. Per costoro, come per la maggioranza dei cattolici europei, si deve parlare di "nuova evangelizzazione" (n. 52ss) e c’è motivo da ritenere che tanti di questi migranti di vecchia data o di seconda e successive generazioni, non avendo del tutto inaridite le radici della loro fede, mostrino una positiva predisposizione perché la pianta della vita cristiana possa essere rivitalizzata.

 

2. Migranti cristiani ortodossi

Come ricordato sopra, "la caduta della cortina di ferro... ha prodotto, per la prima volta dopo decenni, la possibilità di contatti diretti con i paesi dell’Europa centrale e orientale. Immediatamente si sono creati flussi migratori dall’Est europeo...Inoltre continua il flusso dei popoli dall’Est verso l’Ovest" (n. 9). Si sa che questi migranti provenienti dall’area ex comunista sono in gran parte ortodossi. Con questa presenza il problema ecumenico non può non sentirne, si spera in bene, forti ripercussioni, l’interlocutore infatti non è più conosciuto soltanto sui libri e raggiunto con la preghiera, ma è a distanza ravvicinata, è addirittura di casa, fa parte della nostra società.

Ne deriva una eccezionale opportunità e facilitazione per realizzare il cosiddetto "ecumenismo di popolo che ha già conosciuto esperienze significative nelle assemblee di Basilea e di Graz" (n. 86) e l’ "ecumenismo pratico nella vita quotidiana di tanti fedeli e, in particolare, in ambito caritativo e sociale" (n. 60). Alcuni gesti di fraternità e di condivisione, particolarmente significativi, possono incidere profondamente nel togliere diffidenze e instaurare rapporti di fiducia e simpatia reciproca; si pensi, in particolare, alla cessione in uso, come da parte di alcune diocesi si sta facendo, alle comunità ortodosse immigrate di nostre chiese per il culto.

 

3. Migranti di altre religioni

"La testimonianza della carità si estende anche oltre i confini della comunità ecclesiale. Qui, nell’intera società covile, l’amore reciproco, che edifica la Chiesa come comunità fraterna e missionaria, diventa fattore di solidarietà" (n. 73), una solidarietà intesa, lo si è già visto, anche come accoglienza, aiuto, condivisione, difesa dei diritti, di tutto a prescindere dalla sua appartenenza etnica ed anche religiosa.

La Chiesa tuttavia agisce anche in forza del suo mandato missionario e le migrazioni aprono a lei un nuovo campo di missione: "La crescita dei flussi migratori, intensificando il contatto con persone di altre religioni, fa crescere l’esigenza di comprendere profondamente che cosa, in questo contesto multiculturale e multireligioso, comporta per la Chiesa e per i cristiani la responsabilità dell’annuncio del Vangelo: è questo un compito al quale il Sinodo e le Chiese in Europa non possono sottrarsi" (n. 63).

Al dialogo con le altre religioni, oltre l’ebraica, è dedicato il n. 63 , mentre il numero successivo riguarda più specificamente il "dialogo con i musulmani": è superfluo notare come in Europa si renda attuale, sempre più serrato ed esteso questo discorso per la presenza degli immigrati. Questo dialogo non lo si pone solo in termini di interesse culturale o di convivenza pacifica, che allontani le tradizionali paure e sospetti, né in soli termini di evangelizzazione, ma pure in vista di un consolidamento da parte dei cristiani dialoganti della propria adesione al Vangelo. Infatti il citato numero, dopo aver ricordato che il precedente Sinodo per l’Europa aveva già raccomandato una migliore conoscenza delle altre religioni "per instaurare un fraterno colloquio con le persone che ad esse aderiscono e vivono in mezzo a noi", aggiunge: "Non basta, però, risolvere l’attenzione pastorale alle diverse tradizioni religiose in azioni caritative e assistenzialistiche; né è sufficiente un impegno comune tra i cristiani e gli appartenenti alle altre religioni in ordine alla giustizia, alla pace, alla libertà, alla salvaguardia della creazione. E’ urgente e necessario, piuttosto, un confronto che stimoli provvidenzialmente al recupero e l’approfondimento di valori fondamentali della tradizione cristiana... Un sincero e prudente dialogo, lungi dall’indebolire la fede, la deve rendere più solida e profonda".

 

4. Un orizzonte di fede per le migrazioni

Dalla seconda parte dell’Instrumentum laboris dedicata a "Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa" sono già stati estrapolati (cfr. pagina 4) tre passi della Bibbia nei quali il Cristo pasquale e la sua Chiesa sono posti al centro e come chiave di interpretazione anche di questo aspetto fondamentale della storia della salvezza che sono le migrazioni, a partire dall’Esodo del Popolo dell’Antica Alleanza fino al traguardo finale, escatologico di questa storia, quando il Cristo pasquale tornerà a identificarsi con i suoi fratelli più piccoli, tra i quali sono espressamente collocati i forestieri, ossia ogni tipo di migranti.