N E W S PROGETTO ATLANTE

 

POLITICHE LEGISLATIVE n. 11/2000

30 agosto 2000

a cura dell'

ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione

Bollettino news aggiornato alla data del 30 agosto 2000 e curato da Walter Citti, della segreteria dell'ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (tel. fax.040/382651).

 

La riproduzione di questo bollettino o anche di parte di esso, su supporto cartaceo o elettronico, non è consentita senza l'autorizzazione dell'autore.

 

ASILO

  1. Il Governo annuncia una prossima direttiva contenente le disposizioni relative ai profughi dei territori della Repubblica Federale di Jugoslavia e del Kosovo in particolare che hanno cessato con il 30 giugno di beneficiare delle misure di protezione temporanea. Prevista la proroga dell'asilo umanitario per le categorie individuate in base alle indicazioni dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite e la conversione del permesso di soggiorno per i profughi che abbiano realizzato un percorso di inserimento sociale. Gli altri potranno accedere fino al 31 agosto al programma di rimpatrio volontario ed assistito predisposto dall'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).

In risposta a diverse interrogazioni parlamentari, il Sottosegretario di Stato per l'Interno, Aniello Di Nardo, ha chiarito dinanzi alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, riunitasi lo scorso 4 luglio, le misure che il Governo intende adottare dopo la cessazione, avvenuta il 30 giugno scorso, della protezione temporanea per i rifugiati provenienti dalla RFJ (Kosovo).

A partire dal 1 luglio scorso è divenuto operativo il programma di "rimpatrio volontario" ed "assistito" dei rifugiati kosovari che intendono avvalersene. Tale programma, i cui dettagli sono contenuti in un'apposita nota informativa diffusa agli interessati per il tramite delle questure e delle prefetture, è predisposto dall'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) con il finanziamento del Ministero Affari Esteri. Il programma prevede l'erogazione a favore di ogni profugo adulto che decide di rimpatriare entro il 31 agosto prossimo di una somma pari a 1.500 Marchi tedeschi, ridotta a 500 marchi per ogni minore. Per informazioni, ci si può rivolgere all'ufficio dell'OIM a Roma, via Nomentana 62 -tel. 06/44231428, fax 06/4402533, e-Mail: iomrome@iom.int, oppure al Consiglio Italiano per i Rifugiati, via del Velabro, 5/a, ROMA tel. 06/69200114, e-mail: c.i.r.@flashnet.it

In base a quanto anticipato dal Sottosegretario all'Interno, Di Nardo, il rimpatrio non sarà l'unica alternativa offerta ai rifugiati che hanno beneficiato delle misure di protezione temporanea. Su iniziativa del Ministero dell'Interno, assieme al Dipartimento per gli Affari Sociali, con l'assenso del Ministero Affari Esteri, è stato infatti predisposto e trasmesso alla Segreteria della Presidenza del Consiglio dei Ministri uno schema di direttiva contenente le disposizioni relative ai rinnovi dei permessi di soggiorno per coloro che fino al 30 giugno hanno beneficiato delle misure di protezione temporanea. I contenuti di tale schema di direttiva possono così essere riassunti:

a) Di norma, i rifugiati che hanno beneficiato delle misure di protezione temporanea dovranno rimpatriare, accedendo ai benefici del rimpatrio assistito predisposto dall'OIM entro il 31 agosto prossimo;

b) Saranno esclusi dal rimpatrio coloro in grado di dimostrare la sussistenza di gravi motivi impeditivi ad un rientro nei luoghi di origine in condizioni di dignità e sicurezza. Ciò tenendo conto delle raccomandazioni e delle indicazioni fornite dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR)(si veda in proposito quanto specificato più avanti). A questi rifugiati verrà concesso un permesso di soggiorno per motivi umanitari, della durata di un anno e valido per lavoro, in base a quanto previsto dall'art. 5 c. 6 del D.lgs. n. 286/98, ma solo previo parere favorevole della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato.

c) Sarà possibile convertire il permesso di soggiorno per protezione temporanea in quello per motivi di lavoro per coloro in grado di dimostrare un adeguato grado di integrazione sociale, attraverso un attuale inserimento nel mercato del lavoro e la disponibilità di un alloggio, anche senza appartenere alle categorie protette dal rischio di "refoulement" di cui al precedente punto b). Tale decisione viene motivata con l'opportunità di non interrompere i processi di integrazione lavorativa e sociale già avviati da diversi profughi kosovari, così come di aiutare la ricostruzione del Kosovo, incentivando il positivo afflusso delle rimesse degli immigrati.

Mentre il programma di rimpatrio volontario ed assistito è già operativo, le disposizioni sul rinnovo e/o la conversione dei permessi di soggiorno potranno trovare applicazione soltanto dopo il varo del DPCM contenente la direttiva citata. Al riguardo, si prevede che tale DPCM non potrà trovare pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale prima di settembre, dopo il vaglio della Corte dei Conti, e dunque con grave ritardo rispetto alla data del 30 giugno di cessazione delle misure di protezione temporanea. Nel frattempo i rifugiati kosovari vengono a trovarsi "de facto" in una situazione di irregolarità.

Ciò ha suscitato le proteste degli organismi non governativi che hanno rimarcato come la mancanza di informazioni e l'avvio della campagna di rimpatrio volontario rischiano di indurre molti profughi a ritenere erroneamente che il rimpatrio in Kosovo costituisca l'unica opportunità offerta per evitare la clandestinità.

In base ai primi dati raccolti dall'OIM a seguito di un censimento condotto nel corso della primavera, sembrerebbe che non più di 4.000 siano i cittadini dei territori della Repubblica Federale di Jugoslavia (e del Kosovo in particolare) ancora presenti in Italia, muniti del permesso di soggiorno per protezione temporanea.

In vista della scadenza il 30 giugno dei permessi di soggiorno per protezione temporanea rilasciati alle persone provenienti dalle zone di guerra della Repubblica Federale di Jugoslavia (Kosovo), ai sensi del DPCM 12.05.1999 e del DPCM 30.12.1999, Consorzio Italiano di Solidarietà e Consiglio Italiano per i Rifugiati avevano lanciato un appello affinchè sia garantita dal governo italiano la volontarietà del rimpatrio e sia consentito ai rifugiati temporanei che non intendono rimpatriare di rimanere in Italia, convertendo il permesso di soggiorno in loro possesso, secondo modalità analoghe a quelle già previste in passato per i rifugiati ex-jugoslavi, somali ed albanesi con il DPCM 06.08.1998 (rilascio del permesso di soggiorno biennale per motivi di lavoro per coloro che possano dimostrare un'attività lavorativa in corso; rilascio di un permesso di soggiorno annuale per coloro che si trovino in stato di disoccupazione ovvero siano impossibilitati a svolgere attività lavorativa per condizioni personali, di salute o per età). L'appello viene motivato dai promotori con la tuttora esistente situazione di insicurezza e di violenza generalizzata esistente in Kosovo, in particolare verso gli appartenenti alle minoranze etniche (serbe e rom in primo luogo). Al riguardo, l'appello fa riferimento anche a quanto evidenziato nel documento proposto dall'ACNUR nel marzo del 2000.

L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha elaborato infatti nel marzo 2000 una propria presa di posizione contenente le raccomandazioni affinché i provvedimenti e le politiche di rimpatrio adottate dai governi corrispondano ai principi di "non refoulement" sanciti da precisi obblighi internazionali e ai requisiti di dignità, sicurezza e umanità (Kosovo Albanians in Asylum Countries: UNHCR Recommendations as regards Return).

Il documento UNHCR innanzitutto precisa che le condizioni di sicurezza e di vita in generale delle persone di etnia non albanese in Kosovo restano estremamente precarie, per cui restano immutate le raccomandazioni già espresse con il precedente documento dell'ottobre 1999 (Asylum seekers from the FRJ. Particular groups) volte ad assicurare la proroga delle misure di protezione internazionale a favore di rifugiati kosovari di etnia diversa da quella albanese (rom, serbi,…).

Nell'attuale documento, l'UNHCR riconosce il significativo miglioramento delle condizioni di vita e di sicurezza per le persone di etnia albanese nella maggior parte del territorio del Kosovo, con l'esclusione di quei territori a maggioranza serba, dove gli albanesi continuano ad essere minoranza e a conoscere situazioni di discriminazione e persecuzione (municipalità a nord di Mitrovica). Per i rifugiati albanesi provenienti da tali municipalità, l'UNHCR raccomanda la proroga delle misure di protezione non considerando il loro rientro né sicuro, ne sostenibile.

Alla luce della situazione di violenza e di impunità ancora vigente in Kosovo, conseguente alla difficoltà di reale implementazione delle strutture preposte all'ordine pubblico e al funzionamento del sistema giudiziario da parte dell'Amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite (UNMIK), così come alla permanenza di poteri paralleli facenti capo all'ex Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), anche talune categorie di kosovari albanesi subiscono pesanti e sistematiche violazioni dei diritti umani e serie minacce ala loro vita e libertà personale. Di conseguenza, l'UNHCR raccomanda ai governi di concedere, alla scadenza delle misure di protezione temporanea, ai rifugiati kosovari albanesi appartenenti alle categorie di seguito elencate, l'accesso a procedure di determinazione individuale dei motivi per cui non intendono rientrare in Kosovo: a) persone o nuclei familiari di origine etnica mista; b) persone che hanno collaborato con il regime serbo nel corso degli anni '90 o che vengono, anche a torto, ritenute di aver collaborato con il regime serbo dalla popolazione locale: c) persone che hanno rifiutato di unirsi all'Esercito di Liberazione del Kosovo o vi hanno disertato; d) persone che si sono espresse criticamente nei confronti dell'UCK e/o del governo provvisorio espresso dall'UCK o appartengono a partiti politici critici nei confronti dell'UCK; d) persone che hanno disubbidito a ordini e provvedimenti emanati dal governo provvisorio dell'UCK.

Al di là di tali situazioni, anche per rifugiati di etnia albanese non appartenenti a tali categorie potrebbe non ritenersi conforme ai requisiti di dignità e sicurezza un provvedimento di rimpatrio. Secondo il documento dell'UNHCR, con particolare attenzione dovranno essere esaminate le istanze di proroga della protezione avanzate da individui traumatizzati durante il conflitto in Kosovo (vittime di tortura o di violenza sessuale, ex detenuti, …), avendo anche in considerazione quanto previsto dal'art. 1 ( C ) 5 (2 par.) della Convenzione di Ginevra del 1951 e dal par. 136 del manuale ACNUR sui criteri e le procedure per la determinazione dello status di rifugiato, con riferimento alle condizioni per la cessazione dello status di rifugiato. Parimenti, anche rifugiati appartenenti a gruppi vulnerabili -secondo l'UNHCR - dovrebbero essere esentati da un rientro forzato in Kosovo e dovrebbero invece beneficiare della proroga delle misure umanitarie di protezione. E' il caso di persone handicappate o malate o di nuclei familiari comprendenti tali persone, di anziani soli, di minori non accompagnati e di donne con figli a carico prive di marito o di altri parenti in Kosovo.

Per tutti gli altri rifugiati di etnia albanesi, non ricadenti in alcuna delle categoria sopra menzionate, l'UNHCR non ritiene vi siano necessità particolari di protezione che impedirebbero il loro rientro in Kosovo. Purtuttavia, l'UNHCR esprime la propria preferenza verso forme di rimpatrio volontario piuttosto che forzato, ed in ogni caso, raccomanda un rientro scaglionato e umano, che tenga in considerazione fattori quali la disponibilità per i rientranti di adeguata sistemazione, l'accesso ai servizi socio-educativi e sanitari e ad un reddito adeguato, in relazione alla situazione generale esistente nella regione e che viene analizzata - sempre dall'UNHCR - in un apposito documento intitolato UNHCR's Background Note on Ethnic Albanians from Kosovo Who are in Continued Need of Internatonal Protection.

Entrambi i documenti dell'UNHCR (in lingua inglese) possono essere richiesti alla segreteria organizzativa dell'ASGI (e-mail: ledaz@tin.it).

2. Stabilita l'esenzione dal pagamento dei tickets per le prestazioni sanitarie fornite ai richiedenti lo status di rifugiato.

Con circolare del Ministero della Sanità n.5 del 24 marzo 2000 è stata disposta l'esenzione dalla compartecipazione alla spesa (pagamento dei tickets) in relazione alle prestazioni sanitarie fornite ai richiedenti lo status di rifugiato in possesso dello specifico permesso di soggiorno previsto dall'art.1 della legge 39/90. Il Ministero della Sanità motiva il provvedimento con l'impossibilità dei richiedenti asilo di intrattenere rapporti di lavoro durante la procedura di esame dell'istanza. Di conseguenza i richiedenti asilo vengono assimilati ai disoccupati iscritti alle liste di collocamento.

Con la circolare del Ministero della Sanità viene compiuto un piccolo passo in avanti nella direzione di una migliore condizione giuridica e sociale per i richiedenti asilo in Italia.

L'assistenza sanitaria per i richiedenti asilo è stata introdotta dall'art.34 del TU ( D.lgs. 286/98) che ha incluso questa categoria di stranieri tra i beneficiari del diritto all'iscrizione obbligatoria al SSN.

Prima dell'emanazione del regolamento attuativo (Dpr 394/99) talune Aziende Sanitarie avevano ugualmente negato l'iscrizione dei richiedenti asilo sul presupposto della mancanza della residenza anagrafica, impossibile da ottenere per i richiedenti asilo titolari soltanto del permesso di soggiorno temporaneo. Il regolamento attuativo ha opportunamente precisato (art.42) - e la circolare ministeriale ora lo ribadisce - che la legge sull'immigrazione non richiede la residenza anagrafica al fine dell'iscrizione obbligatoria al SSN per le categorie di stranieri che ne hanno diritto, facendo esclusivo riferimento al concetto dell' effettiva dimora dello straniero che, in mancanza di residenza anagrafica, può intendersi anche con il domicilio indicato nel permesso di soggiorno.

La circolare del Ministero della Sanità contiene inoltre l'importante precisazione che il periodo di copertura sanitaria obbligatoria per i richiedenti asilo deve decorrere dal momento della presentazione della richiesta di riconoscimento dello status, incluso il periodo dell'eventuale ricorso contro il diniego al rilascio del permesso di soggiorno, così come la titolarità del diritto deve essere documentata mediante esibizione della ricevuta di presentazione dell'istanza alle autorità di polizia. Sebbene non completamente sviluppata, la disposizione lascerebbe intendere che il richiedente asilo possa godere della copertura sanitaria obbligatoria anche successivamente all'eventuale diniego al riconoscimento dello status notificato dalla Commissione Centrale, purché egli abbia debitamente inoltrato ricorso al giudice civile ( anziché al TAR in base alla recente sentenza della Corte di Cassazione ) e abbia inoltrato istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di richiesta di asilo alla Questura competente, ottenendo anche solo il cedolino per ricevuta. La questione non è di poco conto. L'assenza di una normativa organica sull'asilo rende tuttora irrisolta la questione della regolare presenza in Italia del richiedente asilo nelle pendenze di un ricorso avverso la decisone negativa adottata in prima istanza dalla Commissione Centrale. L'art.1 c.5 della Legge n.39/90 prevede che al richiedente asilo sia rilasciato un permesso di soggiorno valido "sino alla definizione della procedura di riconoscimento dello status " , potendosi dunque ritenere compresa anche la fase dell'eventuale esperimento dei mezzi di ricorso. Contro tale argomentazione, tuttavia, molte questure fanno prevalere un'interpretazione restrittiva dell'art.5 del Dpr 136/90 , con il quale il richiedente asilo cui sia negato il riconoscimento "deve lasciare il territorio nazionale", per effetto dunque della sola decisione negativa della Commissione Centrale. E' vero peraltro che la competenza ora attribuita al giudice unico del Tribunale civile in materia di ricorsi attinenti lo status dei rifugiati rende possibile per la parte chiedere entro termini brevissimi l'emanazione di un provvedimento di urgenza di natura cautelare e sospensiva ex art.700 cpc, nell'attesa del provvedimento definitivo di merito. Il richiedente appare legittimato alla richiesta del provvedimento cautelare in quanto la mancanza di una normativa chiara che gli garantisca un titolo di soggiorno in Italia e lo tuteli dal rischio di un provvedimento espulsivo costituisce per lui una fonte di immediato pregiudizio e danno irreparabile, anche in relazione alle conseguenti violazioni del principio di non-refoulement.

Nell'attesa dell'approvazione del disegno di legge sull'asilo, che appare peraltro sempre più improbabile nella corrente legislatura, sarebbe dunque auspicabile un chiarimento a livello amministrativo sugli aspetti relativi al soggiorno del richiedente asilo nella pendenza del ricorso. Nel frattempo, la formulazione adottata nella circolare del Ministero della Sanità sembrerebbe far intendere che al richiedente asilo spetti la proroga dell'iscrizione obbligatoria al SSN anche nel periodo di pendenza del ricorso al giudice unico avverso la decisione negativa della Commissione Centrale, e ciò prescindendo anche dalla legalità del suo soggiorno in Italia, ritenendosi sufficiente la mera presentazione dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno alla questura competente.

  1. La Corte di Cassazione attribuisce alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie concernenti i dinieghi al riconoscimento dello stato di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra. Le problematiche relative all'ammissione dei richiedenti asilo al beneficio del gratuito patrocinio.

Con una clamorosa sentenza datata 8.10.1999, la Corte di Cassazione sezioni unite civili ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie (ricorsi) relativi al mancato riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, da parte della Commissione centrale di cui all' articolo 1 della Legge 39/90 e al Dpr. 136/90.

La Corte di Cassazione ha preso le mosse dall'avvenuta espressa abrogazione - contenuta nell'articolo 46 della Legge 40/98 - della disposizione dell'articolo 5 della " Legge Martelli" che attribuiva al giudice amministrativo ( TAR) la decisione sull'impugnazione del provvedimento di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato. Di conseguenza l'attribuzione al TAR della competenza sui ricorsi avverso le decisioni assunte in prima istanza dalla Commissione centrale non può più ritenersi automatica, ma la giurisdizione in proposito deve essere determinata secondo al Corte di Cassazione in base ai principi generali dell'ordinamento secondo i quali tutte le controversie concernenti lo status delle persone rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario .In appoggio a tale argomento, la Corte di Cassazione ha fatto riferimento alla disposizione contenuta nella Convenzione di Ginevra del 1951 che garantisce ad ogni rifugiato il libero e facile accesso ai tribunali degli Stati contraenti (art. 16), parificando sostanzialmente la sua condizione a quella dei cittadini .

La Corte di Cassazione ha ulteriormente richiamato la sua precedente giurisprudenza volta a far rientrare nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria le controversie riguardanti il riconoscimento del diritto di asilo costituzionale ( Cass. Sez. unite 26.5.97 n° 4674) .La Cassazione ha messo in evidenza la convergenza tra le due situazioni, sebbene distinte sotto il profilo dei requisiti per il riconoscimento ( non richiedendo l'asilo costituzionale l'ulteriore requisito della persecuzione soggettiva richiesta al rifugiato), riferendosi entrambe ad uno status, o diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dagli organi competenti in materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva . Ad ulteriore conferma del ragionamento, la Corte ha citato il trasferimento della giurisdizione dal giudice amministrativo a quello ordinario avvenuta con il varo della legge sull'immigrazione nelle controversie relative alle misure di espulsione degli stranieri.

Avendo la Cassazione pronunciato al sentenza a sezioni unite civili questa assume valore vincolante per l'autorità giudiziaria. D'ora in avanti, dunque, i ricorsi avverso i dinieghi al riconoscimento dello status di rifugiato emanati dalla Commissione centrale potranno essere presentati dinanzi al giudice ordinario anziché a quello amministrativo senza il timore che il primo possa pronunciare una propria incompetenza di giurisdizione.

Il problema che ora si pone ai richiedenti asilo e alle organizzazioni che li assistono è quello dell'accesso al gratuito patrocinio, materia che nei procedimenti innanzi alle autorità civili e amministrative è regolata dal R.D. 3282 del 1923., così come nei procedimenti penali dalla legge n. 217/90 La prima normativa innanzitutto è penalizzante per gli avvocati, in quanto prevede il gratuito patrocinio come una difesa non retribuita che costituisce titolo onorifico e obbligatorio. Inoltre, entrambe le normative fissano modalità e tempi per l'ammissione al beneficio difficilmente compatibili con la condizione del richiedente asilo, impossibilitato a richiedere certificazioni e documentazione alle autorità, anche consolari e diplomatiche, del paese di origine. Appare quanto mai opportuno e necessario dunque che il Ministero della Giustizia disponga opportuni chiarimenti normativi volti a consentire un effettivo accesso dei richiedenti asilo all'istituto del gratuito patrocinio in sede di ricorso di appello contro la decisione in prima istanza, rendendo concretamente usufruibili le disposizioni in materia di assistenza amministrativa ai rifugiati previste dall'art. 25 della Convenzione di Ginevra, che possono ritenersi applicabili anche ai richiedenti tale condizione, in ragione del fatto che il riconoscimento dello status di rifugiato da parte degli organi nazionali competenti ha valore dichiarativo e non costitutivo della condizione del rifugiato (in proposito Manuale ACNUR sulle procedure e i criteri per la determinazione dello status di rifugiato, par. 28). A ciò va aggiunto il riferimento all'effettività del diritto di difesa, sancito dall'art. 24 della Costituzione italiana e valido per tutti, cittadini italiani e stranieri, regolari e non.

Copia della sentenza della Corte di Cassazione è reperibile sul sito Internet http: //briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/2000/febbraio/cassazione-87-10-99.html ed è stata pubblicata sul n. 1/2000 della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza" (Franco Angeli editore).

  1. La circolare del Ministero dell'Interno relativa al regolamento di applicazione della legge sull'immigrazione ribadisce la possibilità del rilascio del permesso di soggiorno umanitario nei casi in cui venga sollecitato della Commissione centrale nonostante il diniego al riconoscimento dello status di rifugiato.

La circolare diffusa ai primi di gennaio dal Ministero dell'Interno e firmata dal capo della polizia, Masone, conferma per la prima volta per iscritto la possibilità, già ampiamente diffusa e consolidata nella prassi dall'entrata in vigore della legge n. 40/1998, per le questure di rilasciare appositi permessi di soggiorno umanitari, di durata di norma annuale e validi per lavoro, ai richiedenti asilo che si siano visti respingere l'istanza di riconoscimento dello status di rifugiato, ma ai quali l'apposita commissione centrale abbia riconosciuto valide ragioni per non fare ritorno nel paese di origine, per le motivazioni richiamate dall'art. 5 comma 6 del TU e riconducibili a ragioni di carattere umanitario o derivanti dagli obblighi internazionali di "non refoulement" ovvero da quelli costituzionali inerenti al diritto d'asilo. Sebbene la timida e prudente formulazione usata dalla circolare ministeriale sembra sottolineare il carattere di raccomandazione della segnalazione della commissione centrale, non giuridicamente vincolante per la questura almeno in via ultimativa, il richiamo contenuto nella circolare non può che essere accolto positivamente, nell'attesa che il DDL sull'asilo possa completare il suo iter parlamentare e consentire finalmente una piena attuazione nel nostro paese di un sistema normativo organico in materia di protezione temporanea e di diritto d'asilo costituzionale.

La formulazione aperta della norma di cui all'art. 5 c. 6 del TU non pregiudica tuttavia la possibilità, almeno teorica, che la scelta di rinnovare un permesso di soggiorno, anche in deroga alle norma vigenti, possa essere adottata dalle autorità locali di polizia anche in assenza di una specifica raccomandazione della commissione centrale, così come dell' accesso dell'interessato alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato, in presenza di comprovate ragioni che richiamino ai suddetti obblighi internazionali o costituzionali dello Stato italiano.

5. Il Tribunale Civile di Roma riconosce il diritto di asilo costituzionale a Abdullah Ocalan.

Con sentenza depositata il 1 ottobre scorso, il Tribunale Civile di Roma ha riconosciuto il diritto di asilo politico in Italia, ai sensi e per gli effetti dell'art. 10.3 della Costituzione ("Lo straniero al quale sia impedito l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni della legge") , al leader curdo Abdullah Ocalan, a seguito dell'istanza da questi presentata il 21 dicembre 1998.

Senza sottovalutare l'importanza della pronuncia del tribunale romano per il diretto interessato, quale anche mezzo di pressione nei confronti delle autorità turche per impedire la conferma della sua condanna a morte pronunciata in primo grado e confermata in appello, la sentenza trascende certamente il caso in questione. Non può sfuggire il fatto che si tratta del primo caso di un pronunciamento giudiziario volto a dichiarare il riconoscimento del diritto costituzionale di asilo politico, rimasto tuttora inattuato.

Il dispositivo della sentenza conferma innanzitutto la giurisprudenza avviata con la famosa pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. Unite 12.12.1996-26.05.1997, n. 4674, circa la natura precettiva ed immediatamente operativa e non meramente programmatica della norma costituzionale sull'asilo, tale dunque da vincolare l'autorità giudiziaria civile anche in assenza di una disciplina attuativa. Ugualmente, viene ribadita la distinzione concettuale tra la nozione di asilo costituzione e quella di rifugiato ricavabile dalla Convenzione di Ginevra del 1951: la prima legata a criteri di natura oggettiva (la mancanza di libertà democratiche nel paese di origine dell'asilante), la seconda a presupposti di natura soggettiva (il timore individuale di persecuzione).

Va rilevato inoltre il modo esemplare con il quale il giudice civile ha respinto uno dei motivi di inammissibilità che erano stati addotti dall'Amministrazione Italiana quale parte convenuta, cioè la sostanziale inopportunità politica, in mancanza di una normativa di attuazione del diritto d'asilo costituzionale, di affidare al giudice la valutazione sulla democraticità di un ordinamento straniero che "significherebbe accettare ipotesi di responsabilità internazionale dello Stato italiano per attività del suo potere giudiziario". Giustamente, qui il giudice ha ricordato i contenuti della Dichiarazione sull'Asilo territoriale adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 15 dicembre 1967 che stabilisce che "la concessione da parte di uno Stato dell'asilo a persone che possano invocare l'art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo costituisce un atto pacifico e umanitario che, in quanto tale, non deve essere considerato un atto ostile nei confronti di un altro Stato".

Una volta respinti i presupposti di inammissibilità avanzati dal Governo italiano, il giudice ha riconosciuto il diritto di asilo costituzionale a Ocalan ritenendo, in base alla documentazione prodotta ( i dossier sulla situazione dei diritti umani in Turchia redatti tra l'altro dal Dipartimento di Stato USA, dal Parlamento europeo, da Amnesty International, le pronunce di condanna della Turchia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, ecc) e alle risultanze di prove testimoniali, l'esistenza del presupposto di base dell'assenza in Turchia delle libertà democratiche riconosciute, invece, dalla nostra Costituzione, con particolare accenno al rispetto dell'integrità della persona, al rispetto delle libertà civili, alla proibizione della discriminazione in relazione alla razza. Secondo il giudice, inoltre, la previsione costituzionale dell'asilo politico va integrata e completata alla luce di quella sul divieto di estradizione dello straniero per motivi politici (art. 10.4 Cost.) successivamente ribadito sul piano internazionale dalla Convenzione Europea di estradizione di Parigi del 1957 che stabilisce, ad ulteriore garanzia dell'estradando, che l'estradizione non verrà concessa nel caso in cui lo Stato richiesto "abbia dei seri motivi di credere che la domanda, pur motivata da un reato di diritto comune, sia stata presentata per perseguire o punire un individuo per considerazioni di razza, religione, nazionalità ed opinioni politiche oppure che la situazione di detto individuo rischi di essere aggravata da una qualsiasi di queste ragioni". Il giudice non ha ritenuto nemmeno che il riconoscimento del diritto di asilo per Ocalan debba essere negativamente condizionato dall'entità, indubbia, dell'attività delittuosa a lui contestata, in base all' orientamento giurisprudenziale per cui occorra ai fini estradizionali contemperare il rilievo del delitto politico con la tutela dei valori umani di carattere universale che il delitto invece ha offeso o posto in pericolo (Cass. I^ Sez. pen. 27.02.1989; Cass. I^ Sez. Pen. 17.02.1992). Secondo il giudice, infatti, la motivazione dell'attività di Ocalan -"politica sul piano dei valori assoluti e certamente degna di considerazione sia nell'attuale contesto (della lotta per il riconoscimento dei diritti del popolo curdo, diritti fino ad ora contestati e conculcati) che in una prospettiva storica - funge da contrappeso all'entità delle offese arrecate".

Va rilevato, infine, come il giudice abbia respinto la tesi del Governo italiano dell'infondatezza dell'istanza di asilo per la sopravvenuta mancanza nell'attore dell'interesse ad agire, in ragione del suo abbandono del territorio italiano e della sua attuale condizione di detenuto in Turchia.

Il giudice di Roma non ha ritenuto di dover ricondurre il caso Ocalan alla fattispecie prevista dalla giurisprudenza di Cassazione (Cass. 9.10.98 n. 10062 e Cass. 23.05.1982 n. 3198), secondo la quale "è inibito al giudice di risolvere questioni meramente teoriche al fine di una pronuncia dal contenuto astratto e congetturale", sostenendo al contrario che "permanga tuttora un interesse concreto e attuale dell'attore (Ocalan ndr) ad una pronuncia favorevole", per le implicite implicazioni politiche scaturenti da "un accertamento - in una sede giudiziaria neutra ed imparziale - dell'esistenza del problema del popolo curdo e del suo diritto all'autodeterminazione o, comunque, a spazi di libertà e democrazia, obiettivi dell'azione politica di Ocalan" medesimo.

La sentenza "Ocalan" è motivo di particolare soddisfazione per l'ASGI, che era intervenuta in giudizio a sostegno dell'istanza, assieme ad altre associazioni, quali il CIR e l'Associazione Giuristi Democratici.

  1. Le disposizioni in materia di ingresso e soggiorno dei cittadini somali in Italia creano notevoli difficoltà all'esercizio del diritto al ricongiungimento familiare per il mancato riconoscimento da parte italiana di documenti anagrafici e di viaggio rilasciati o rinnovati da autorità "de facto" somale dopo il 31 gennaio 1991.
  2. Ritenendo non più attuale la situazione di eccezionalità che aveva determinato l'automatico rilascio di appositi permessi di soggiorno umanitari per i cittadini somali fuggiti dalla guerra civile, il Ministero Affari Esteri con decreto 1 febbraio 1999 (G.U. 17.2.1999 n. 39) ha abrogato le precedenti disposizioni contenute nel decreto ministeriale dd 9.09.1992. Il nuovo decreto prevede di conseguenza che i cittadini somali che facciano soltanto ora ingresso in Italia potranno accedere eventualmente alla procedura individuale di riconoscimento dello status di rifugiato. Per coloro che hanno già beneficiato della protezione umanitaria in base alle disposizioni ora abrogate varranno le disposizioni emanate con direttiva del PdCdM del 6 agosto 1998, con la possibilità di convertire il permesso di soggiorno umanitario in permesso per motivi di lavoro della durata biennale in caso di rapporto di lavoro in corso o di formale impegno di assunzione ovvero con la permanenza del possesso di un permesso annuale in caso di stato di disoccupazione.

    Il Ministero degli Affari Esteri italiano ha inoltre ritenuto di non riconoscere più alcuna validità ai passaporti somali o altri documenti di identità o anagrafici rilasciati o rinnovati da autorità "de facto" somale dopo il 31 gennaio 1991, in conseguenza della dissoluzione delle strutture statuali della Somalia. Pertanto, i cittadini somali presenti in Italia, per recarsi all'estero al di fuori dello Spazio Schengen. e fare poi rientro in Italia, debbono chiedere alle questure il rilascio di un apposito titolo di viaggio per stranieri, della stessa durata del permesso di soggiorno. In mancanza del passaporto, il rilascio o adeguamento del permesso di soggiorno può avvenire previa esibizione della carta di identità rilasciata dal Comune italiano di residenza. Il mancato riconoscimento della validità dei documenti anagrafici sta comportando notevoli difficoltà per l'esercizio del ricongiungimento familiare, di fatto provocando il mancato rilascio dei visti di ingresso per l'impossibilità della dimostrazione del legame familiare in base a documenti consentiti. Le autorità diplomatico-consolari italiane non sembrano più disposte ad accettare eventuali autocertificazioni da parte dei cittadini somali interessati, sebbene tale procedura era in precedenza consentita in base ad una vecchia circolare del Ministero dell'Interno ( n. 48 dd. 27 giugno 1992), ritenuta non più compatibile con le disposizioni nel frattempo impartite in materia di dichiarazioni sostitutive per i cittadini stranieri. Alcuni decreti dei tribunali di Forlì, Milano e Firenze hanno peraltro annullato provvedimenti di diniego al rilascio del visto per familiari di cittadini somali residenti in Italia, disponendo il loro diritto all'ingresso in Italia per motivi di coesione familiare, riconoscendo tra l'altro la legittimità e sufficienza del ricorso all'autocertificazione nelle forme e modalità consentite dagli artt. 1 e 5 del d.p.r. n. 403/98. Resta il fatto, tuttavia, che tali decreti giudiziari (pubblicati sul n. 1/2000 della Rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza" -Franco Angeli editore, Milano) sono anteriori all'emanazione del regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione che ha espressamente negato la possibilità del ricorso all'autocertificazione di stati e fatti non verificabili da autorità italiane da parte dei cittadini stranieri extracomunitari

    Per ovviare alle obiettive difficoltà di provare il legame familiare ai fini dell'esercizio del diritto alla coesione familiare da parte di rifugiati somali, alcuni paesi europei hanno recentemente introdotto il ricorso al test DNA (così i Paesi Bassi e la Finlandia), con diritto al parziale rimborso delle spese relative in caso di conferma della sussistenza del legame (in "ECRE Documentation Service" n. 2/2000)

  3. Il relatore di maggioranza del progetto di legge recante norme sul diritto di asilo, on. Soda (DS), presenta alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati una serie di emendamenti migliorativi del testo approvato dal Senato, che recepiscono in parte le proposte formulate dalle organizzazioni umanitarie e dall'ACNUR.

Il relatore di maggioranza, on. Soda (DS), ha presentato lo scorso 20 giugno alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati una serie di emendamenti al testo del progetto di legge recante norme sul diritto di asilo (atto Camera dei Deputati n. 5381), già approvato dal Senato il 5 novembre 1998. Gli emendamenti recepiscono in parte le proposte avanzate da un gruppo di lavoro delle ONG convocato lo scorso autunno dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. A tale gruppo di lavoro avevano preso parte il Consiglio Italiano per i Rifugiati, l'ASGI, l'ICS, il Gruppo di riflessione dell'area religiosa e Médicins sans frontières. Gli emendamenti proposti dall'on. Soda si riferiscono ai seguenti punti: a) la ridefinizione dei criteri in base ai quale concedere il diritto d'asilo costituzionale, con l'inclusione delle persone in fuga da situazioni di violenza generalizzata; b) la previsione di un effetto sospensivo del ricorso dinanzi al giudice ordinario in caso di esito negativo del pre-esame; c) l'assegnazione al giudice ordinario piuttosto che al TAR della competenza dell'esame del ricorso avverso la decisione negativa della Commissione centrale; d) l'automatica estensione dello status ai famigliari del rifugiato riconosciuto.

Allo stato attuale non si sa se gli emendamenti proposti dall'on Soda saranno fatti propri e sostenuti dalla maggioranza di governo.

Il testo del progetto di legge sull'asilo approvato dal Senato, confrontato con quello comprendente gli emendamenti proposti dal relatore di maggioranza, on. Soda, è consultabile sul sito Internet: http://briguglio.frascati.enea.it/asilo/asilo-soda.html

PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI (Ingresso, Soggiorno, Espulsioni).

8. Emanato il decreto del Ministero degli Affari Esteri relativo alle tipologie dei visti di ingresso e ai requisiti per il loro ottenimento. Finalmente disciplinata compiutamente la materia del rilascio dei visti per ingresso per lavoro autonomo nei casi di contratti per lavoro parasubordinato (collaborazioni coordinate e continuative) o di lavoro autonomo da svolgere in qualità di socio di cooperative. Esteso il rilascio del visto per ricongiungimento familiare anche ai casi di adozione di stranieri maggiorenni da parte di cittadini italiani.

Con decreto del Ministero degli Affari Esteri, emanato il 12 luglio scorso di concerto con quelli dell'Interno, della Giustizia, del Lavoro e della Solidarietà sociale (in G.U. n. 178 del 01.08.2000), sono state definite le tipologie dei visti rilasciabili per l'ingresso dei cittadini extracomunitari in Italia e i requisiti per il loro ottenimento. Il decreto tiene conto delle disposizioni contenute negli Accordi di Schengen - divenuti parte integrante del diritto comunitario a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (c.d "aquis di Schengen")- nonché di quanto previsto dal Testo Unico sull'immigrazione (d.lgs.n. 286/98), di cui costituisce la necessaria integrazione applicativa, secondo quanto previsto dall'art. 5 del DPR 31.08.1999, n. 394.

I visti di ingresso previsti dal decreto sono suddivisi in tre gruppi:

  1. Visti Schengen Uniformi (V.S.U.), previsti dagli artt. 10 e 11 della Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen, che a sua volta si dividono in: 1) visti di "tipo A" per transito aeroportuale (transito nelle zone internazionali degli aeroporti); 2) visti di "tipo B" per transito, della durata massima di 5 giorni; 3) visti di "tipo C", per soggiorni di breve durata o di viaggio, con validità massima di 90 giorni.
  2. Tali visti danno diritto all'ingresso in tutti i paesi aderenti agli Accordi Schengen, indipendentemente dal paese che li ha rilasciati.

  3. Visti a Validità Territoriale Limitata (V.T.L.), rilasciabili per i medesimi motivi indicati al punto a), ma valevoli soltanto per il paese che li ha rilasciati.
  4. Visti nazionali , previsti dal'art. 18 della Convenzione di applicazione di Schengen, (V.N.), di lunga durata, di "tipo D", con validità superiore ai 90 giorni.

Del primo gruppo di visti (Visti Schengen Uniformi) fanno parte quelli per affari, gara sportiva, invito ,transito, trasporto e turismo. Del secondo gruppo (Visti a Validità Territoriale Limitata) fa parte soltanto quello per transito aeroportuale, mentre i Visti Nazionali sono quelli per adozione, per accreditamento diplomatico, per familiare al seguito, per inserimento nel mercato del lavoro, di reingresso, per residenza elettiva, per ricongiungimento familiare, per vacanze-lavoro. Possono essere rilasciati sia come "Visti Schengen Uniformi" ovvero come "visti Nazionali" quelli per cure mediche, lavoro autonomo, lavoro subordinato, missione, motivi religiosi, studio.

Tra le novità introdotte dal decreto, che integrano quanto previsto dalla legge sull'immigrazione e dal regolamento applicativo, va innanzitutto annoverata la disciplina per il rilascio del visto per lavoro autonomo nelle ipotesi di esercizio di attività autonome che non trovano corrispondente iscrizione nel registro delle imprese e che sono svincolate da licenze e autorizzazioni o da iscrizione ad albi o registri, come nel caso di stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa (lavoro parasubordinato) oppure di svolgimento di attività in qualità di socio e/o amministratore in società e cooperative di produzione e lavoro. Al riguardo, il decreto prevede che lo straniero per ottenere il rilascio del visto per lavoro autonomo deve presentare, dapprima alla questura per il rilascio del nulla-osta all'ingresso e poi all'autorità diplomatico-consolare italiana competente, la seguente documentazione:

  1. idoneo contratto di lavoro (non necessario in caso di socio prestatore d'opera) corredato da certificazione di iscrizione nel registro delle imprese del soggetto committente; b) copia di una dichiarazione di responsabilità del committente o del responsabile della società , preventivamente inviata alla competente Direzione provinciale del Lavoro, nella quale si indichi che non verrà stipulato alcun rapporto di lavoro subordinato; c) dichiarazione del committente o del responsabile della società che assicura al lavoratore autonomo un compenso di importo superiore al minimo previsto dalle legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (circa 17 milioni di lire annui); d) copia dell'ultimo bilancio della società o dell'ultima dichiarazione dei redditi del committente, se persona fisica.

L'autorità consolare dovrà inoltre verificare la sussistenza del requisito alloggiativo, dimostrabile mediante l'esibizione di un contratto di acquisto o locazione di immobile ovvero mediante dichiarazione (autocertificazione) di un cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia che attesti la messa a disposizione di alloggio idoneo a favore del richiedente.

Ai medesimi requisiti e condizioni si deve fare riferimento nelle ipotesi di richiesta di conversione del permesso di soggiorno di studio o per altri ragioni che non consentano l'esercizio dell'attività lavorativa in quello per motivi di lavoro autonomo, secondo quanto previsto dall'art. 6 comma 1 del d.lgs. n. 286/98 e dagli art. 14 c. 5 e 39 comma 7 del D.P.R. n. 394/99, fermo restando la necessità che il richiedente rientri nelle quote di programmazione annuale dei flussi di ingresso in Italia per ragioni di lavoro.

Un'altra importante novità introdotta dal decreto M.A.E. sui visti di ingresso riguarda l'estensione del rilascio del visto per ricongiungimento familiare, con conseguente diritto all'ottenimento di un permesso di soggiorno biennale e multifunzionale (valido quindi anche per l'esercizio dell'attività lavorativa), anche ai casi di adozione di stranieri maggiorenni da parte di cittadini italiani, in presenza di un provvedimento definitivo adottato in tal senso dall'Autorità giudiziaria italiana competente, in base all'istituto previsto dal Codice Civile.

Viene così colmata una lacuna della legislazione sull'immigrazione che nulla prevedeva al riguardo dell'ingresso e soggiorno degli stranieri maggiorenni adottati da cittadini italiani, ai quali invece - è opportuno ricordarlo - la legislazione sulla cittadinanza riserva condizioni agevolate per l'accesso alla naturalizzazione italiana, prevedendo un requisito di residenza quinquennale in Italia invece di quello decennale previsto per gli stranieri in generale (art. 9 legge n. 91/92).

Nella tabella di seguito riportata vengono elencati i 21 tipi di visti previsti dal decreto, unitamente ai soggetti destinatari dei medesimi, rinviando alla lettura del decreto per quanto concerne i requisiti e le condizioni per il rilascio.

DENOMINAZIONE TIPOLOGIA BENEFICIARI

ADOZIONE

V.N.

Straniero destinatario del provvedimento di adozione o di affidamento pre-adottivo

AFFARI

V.S.U.

Straniero che intenda viaggiare per finalità economico-commerciali, per contatti o trattative, per l'apprendimento o la verifica dell'uso o del funzionamento di beni strumentali acquistati o venduti nell'ambito di contratti commerciali o di cooperazione industriale

CURE MEDICHE

V.S.U. o V.N.

Straniero che abbia necessità di sottoporsi a trattamenti medici presso istituzioni sanitarie italiane.

DIPLOMATICO

V.N.

Straniero titolare di passaporto diplomatico o di servizio destinato a prestare servizio presso le rappresentanze diplomatico-consolari del suo Paese, in Italia o presso la Santa Sede

FAMILIARE AL SEGUITO

V.N.

Straniero al seguito di un familiare, cittadino italiano o dell'Unione Europea o di un paese aderente all'Accordo sullo Spazio economico europeo, o di uno straniero extracomunitario, secondo quanto previsto dall'art. 29 comma 4 e 5 del T.U.

GARA SPORTIVA

V.S.U.

Straniero che intenda partecipare a singole competizioni o ad una serie di manifestazioni sportive, professionistiche o dilettanti, allenatori, direttori tecnico-sportivi, preparatori atletici e accompagnatori.

INSERIMENTO NEL MERCATO DEL LAVORO

V.N.

Straniero in favore del quale sia stata accettata la garanzia per l'accesso al lavoro (art. 23 commi 1,2, 3 T.U.)

INVITO

V.S.U.

Straniero invitato da istituzioni, organizzazioni pubbliche o private, quale ospite di particolari eventi e manifestazioni politiche, culturali o scientifiche. Straniero convocato o invitato dall'autorità giudiziaria italiana.

LAVORO AUTONOMO

V.S.U. o V.N.

Straniero che intende esercitare attività professionale o lavorativa a carattere non subordinato (art. 26 T.U.)

LAVORO SUBORDINATO

V.S.U. o V.N.

Straniero chiamato in Italia a prestare attività lavorativa a carattere subordinato

MISSIONE

V.S.U. o V.N.

Straniero che intende entrare in Italia per ragioni legate alla sua funzione politica, governativa o di pubblica utilità

MOTIVI RELIGIOSI

V.S.U. o V.N.

Religiosi stranieri (che hanno ricevuto ordinazione sacerdotale o condizione equivalente, ministri di culti appartenenti ad organizzazioni confessionali registrate presso il Ministero dell'Interno) che intendono partecipare a manifestazioni di culto o esercitare attività ecclesiastica, religiosa o pastorale

REINGRESSO

V.N.

Stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno che si trovino incidentalmente sprovvisti di tali documenti e intendano rientrare nel territorio italiano

RESIDENZA ELETTIVA

V.N.

Straniero che intenda stabilirsi in Italia e sia in grado di mantenersi autonomamente, senza esercitare attività lavorativa

RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE

V.N.

Straniero che intenda riacquistare la sua riunione familiare con cittadini italiani, dell'Unione Europea o extracomunitari (art. 28 del T.U.)

Stranieri maggiorenni adottati da cittadini italiani.

STUDIO

V.S.U. o V.N.

Straniero che intenda seguire corsi universitari, corsi di studio o di formazione professionale o chiamato a svolgere attività culturali e di ricerca.

TRANSITO AEROPORTUALE

V.T.L.

Consente l'accesso dello straniero alla zona internazionale o di transito di un aeroporto italiano, durante scali o tratte di un volo o di voli internazionali

TRANSITO

V.S.U.

Consente allo straniero di attraversare il territorio di uno Stato aderente agli accordi di Schengen nel corso di un viaggio da uno Stato terzo ad un altro Stato terzo. Rilasciabile anche a marittimi stranieri che intendano imbarcarsi o sbarcare presso porti italiani o nello spazio Schengen

TRASPORTO

V.S:U.

Straniero che intende recarsi in Italia per svolgere l'attività professionale connessa al trasporto di merci o di persona, sia per via terrestre che aerea autotrasportatori, equipaggi di voli charter o privati)

TURISMO

V.S.U.

Straniero che intende entrare in Italia (e negli altri paesi dello Spazio Schengen) per motivi turistici. Minori stranieri accolti nell'ambito di programmi turistico-umanitari

VACANZE-LAVORO

V.N.

Stranieri appartenenti a paesi con cui l'Italia abbia stipulato accordi specifici in materia (art. 27 comma 1 lett. r) T.U. e art. 40 c. 16 del D.P.R. n. 394/99)

 

 

  1. Il Ministero del Lavoro integra con una propria circolare le quote della programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro per l'anno 2000 prevedendo 20.000 ingressi aggiuntivi per motivi di lavoro stagionale. I contenuti del decreto sulla programmazione dei flussi di ingresso degli stranieri per motivi di lavoro per l'anno 2000. La distribuzione delle quote di ingresso. Le procedure e modalità per la chiamata nominativa da parte dei datori di lavoro e per la sponsorizzazione da parte dei garanti per gli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro. Una circolare del Ministero degli Affari Esteri revoca il divieto per gli stranieri di essere presenti in Italia durante l'iter autorizzativo. Le limitate possibilità di conversione del permesso di soggiorno per gli stranieri già presenti in Italia.

Con circolare n. 39/2000 dd. 14.06.2000, il Ministero del Lavoro ha disposto un'integrazione alla programmazione dei flussi di ingresso di stranieri per motivi di lavoro prevista dal D.P.C.M. 08.02.2000, con la previsione di ulteriori 20.000 ingressi per motivi di lavoro stagionale, al fine di corrispondere al pressante fabbisogno di manodopera nei settori dell'agricoltura e alberghiero. Una prima quota di 16.400 unità è stata ripartita tra nove regioni, come indicato nella tabella A, mentre le rimanenti 3.600 unità verranno destinate a fronteggiare ulteriori richieste. Restano ferme le procedure di chiamata nominativa per l'ingresso in Italia dei lavoratori stagionali stranieri, previo rilascio dell'apposito visto, secondo quanto previsto dalla circ. Ministero del Lavoro n. 11/2000.

Tab. A. Ripartizione per regioni della quota aggiuntiva di 20.000 ingressi per motivi di lavoro stagionale

MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE

Direzione Generale per l’Impiego

Servizio per i problemi dei lavoratori immigrati extracomunitari e delle loro famiglie

REGIONI

AUTORIZZAZIONI RILASCIBILI PER LAVORO STAGIONALE

FRIULI — VENEZIA GIULIA

600

TRENTO

4.300

BOLZANO

7.200

VENETO

2.800

LIGURIA

100

EMILIA — ROMAGNA

700

MARCHE

150

PUGLIA

350

BASILICATA

200

TOTALE

16.400

Il D.P.C.M. dell'08.02.2000 sulle quote d'ingresso degli stranieri extracomunitari per l'anno 2000 è stato pubblicato sulla G.U. del 15.03.2000. Sono stati previsti 63.000 nuovi ingressi per lavoro, così distribuiti:

  1. 28.000 lavoratori per lavoro subordinato a tempo indeterminato, determinato e a carattere stagionale, chiamati ed autorizzati nominativamente e provenienti da qualsiasi Paese extracomunitario;
  2. 2.000 lavoratori per lavoro autonomo anche per lo svolgimento di attività professionali, provenienti da qualsiasi Paese extracomunitario;
  3. nell'ambito degli speciali accordi in vigore con l'Italia in materia migratoria è stato consentito l'ingresso in Italia per motivi di lavoro subordinato o autonomo o per l'inserimento nel mercato del lavoro ad una quota di:

  1. 15.000 persone, provenienti da qualsiasi Paese extracomunitario che abbiano ottenuto lo speciale visto di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro, ai sensi dell'art. 23, commi 1,2 e 3 del T.U. Se le domande di garanzia presentate entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto ed accolte, ai sensi dell'art. 35 comma 2 regolam., nei successivi 60 giorni, non saranno sufficienti a coprire per intero la predetta quota di 15.000 unità, per la residua parte, potranno essere rilasciati i permessi di soggiorno agli stranieri iscritti nelle liste presso i consolati ai sensi dell'art. 23 comma 4 TU. Tuttavia in fase di prima applicazione e in conformità all'art. 35 del regolam., i visti di ingresso potranno essere rilasciati ai lavoratori stranieri, residenti all'estero, inscritti nelle liste presso le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane nei Paesi con i quali sono state concluse le intese previste dall'articolo 21 del TU (finora le intese per la raccolta d'iscrizione alle liste sono state concluse soltanto tra l'Italia e l'Albania e in tal caso la raccolta avverrà con la collaborazione dell'O.I.M.).

Qualora, trascorsi 140 giorni dalla data di entrata in vigore del D.P.C.M., si verifichino significativi residui delle quote, con direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con i ministri interessati e ferma restando la quota massima di 63.000, si provvederà, sulla base delle effettive richieste, a rideterminare le ripartizioni numeriche stabilite.

Concretamente nei limiti delle quote suddette gli ingressi sono autorizzati come segue:

  1. Per gli ingressi su chiamate nominative da parte di datori di lavoro (italiani o stranieri), il datore di lavoro deve avere chiesto e ottenuto l'autorizzazione al lavoro dalla Direzione provinciale del lavoro dimostrando che esiste un alloggio ( proprio o altrui) in cui il nuovo immigrato potrà abitare e che egli dispone di un reddito sufficiente a mantenere sé stesso e ad assicurare al nuovo lavoratore immigrato il pagamento, alle stesse condizioni dei cittadini italiani, della retribuzione e dei contributi previdenziali ed assistenziali obbligatori. L'autorizzazione al lavoro è rilasciata entro 20 giorni dalla presentazione della domanda . Il datore di lavoro poi richiede alla questura il nulla osta provvisorio che è dato ( entro 20 giorni dalla domanda ) se il datore di lavoro non ha procedimenti penali o condanne penali per reati medio-gravi ( quelli previsti dagli artt. 380 e 381 ccp ) e se il potenziale immigrato non è stato espulso da meno di 5 anni o non è ricercato o condannato o pericoloso per la sicurezza . Il datore di lavoro trasmette poi al lavoratore l'autorizzazione al lavoro ed il nulla osta (entro 30 gg. dalla presentazione della domanda ) per il rilascio il visto d'ingresso per lavoro subordinato. Entrato in Italia, il lavoratore ottiene un permesso di soggiorno per lavoro subordinato di 2 anni rinnovabile o, per i lavori stagionali, un permesso di soggiorno per lavoro stagionale della durata di 6 mesi non rinnovabile ( ma con il premio di essere favorito nei successivi nuovi ingressi in Italia se rientra nel suo Paese).

Con circolare telegrafica datata 09.03.2000 il Ministero degli Affari Esteri ha revocato le precedenti disposizioni amministrative che vietavano allo straniero di essere presente in Italia durante l'iter autorizzativo dell'ingresso per motivi di lavoro subordinato, pena la non concessione del visto ovvero la revoca del medesimo . Di conseguenza la circolare ora emanata dispone che la presenza dello straniero sul territorio italiano - e più in generale sul territorio Schengen - durante l'iter autorizzativo non costituisce più elemento ostativo al rilascio dell'autorizzazione o del nulla osta all'ingresso per lavoro subordinato ovvero del rilascio dell'apposito visto, fermo restando la necessità che lo straniero già presente in Italia si rechi comunque presso il consolato italiano nel paese di origine per l'apposizione del visto. Tale novità va accolta favorevolmente poiché era noto a tutti che nella quasi totalità dei casi la chiamata nominativa del datore di lavoro presupponeva una conoscenza diretta del lavoratore straniero e dunque una precedente presenza in Italia di quest'ultimo, per motivi di turismo ove possibile o anche irregolare. La circolare ministeriale rimuove dunque un ostacolo ad un effettivo incontro tra domanda e offerta di lavoro immigrato rendendo più agevole il funzionamento delle procedure di programmazione dei flussi d'ingresso.

Con circolare del Ministero del Lavoro dd. 20.03.2000, è stata definita la ripartizione numerica per ciascuna regione della quota di ingresso per motivi di lavoro subordinato (stagionale, a tempo determinato ed indeterminato), demandando alle singole Direzioni Regionali del Lavoro il compito di definire una successiva ripartizione su base provinciale. Di seguito riproduciamo lo schema allegato alla suddetta circolare con le quote fissate per ciascuna regione., con la precisazione che le cifre sono al netto delle anticipazioni già concesse per motivi di lavoro stagionale, cui si fa riferimento nella circolare del Ministero del Lavoro n. 11 del 17.02.2000 e che il Ministero del Lavoro ha inteso accantonare una quota residua pari a 2.000 unità, destinata a fronteggiare eventuali esigenze impreviste che dovessero presentarsi nel corso dell'anno, una volta esaurita la ripartizione su base regionale.

LIMITI MASSIMI CONSENTITI PER GLI INGRESSI PER LAVORO SUBORDINATO STAGIONALE, A TEMPO DETERMINATO E A TEMPO INDETERMINATO

REGIONI

TOTALE ITALIA STAGIONALE

A TEMPO DETER. E A TEMPO INDETER.

Quota Riservata : 50% per gli Albanesi, 25% per i Marocchini e 25% per i Tunisini

Quote altre Nazioni

Quote riservate: 50% per gli Albanesi, 25% per i Marocchini e 25% per i Tunisini

Quote altre Nazioni

VALLE D'AOSTA

1

2

4

13

PIEMONTE

45

130

256

884

LOMABARDI

5

15

255

780

TRENTO

397

1125

120

416

BOLZANO

618

1783

42

143

VENETO

196

580

687

2379

FRIULI V. GIULIA

42

120

274

949

LIGURIA

3

10

105

364

EMILIA ROMAGNA

91

260

207

715

TOSCANA

88

250

394

1365

UMBRIA

7

20

113

390

MARCHE

10

30

139

481

LAZIO

3

10

454

1573

MOLISE

19

55

30

104

ABRUZZO

5

15

131

455

CAMPANIA

12

35

109

377

PUGLIA

173

490

120

416

BASILICATA

3

10

15

52

CALABRIA

7

20

162

559

SICILIA

28

80

124

429

SARDEGNA

3

10

45

156

TOTALE ITALIA

1756

5000

3756

13000

 

  1. Per gli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro ( possibilità di cercarsi liberamente e direttamente un lavoro entro 1 anno dall'ingresso ) su garanzia. La domanda di autorizzazione all'ingresso con la relativa garanzia dovevano essere presentate alla Questura entro 60 giorni dalla data di pubblicazione del decreto (cioè entro il 13 maggio 2000) da un italiano o da uno straniero regolarmente soggiornante con un permesso di soggiorno di durata residua di almeno 1 anno. In base alla circolare del Ministero dell'interno n. 300 del 16.03.2000, il garante deve dimostrare una capacità economica adeguata alla prestazione di garanzia ( art. 34, comma 1 Reg. att. ) consistente nella disponibilità di un reddito personale o familiare che tenga conto del numero dei familiari a carico, sulla base dei criteri stabiliti in materia di ricongiungimento familiare dall'art. 29, c.1 lett. b del T.U. sull'immigrazione ( facendosi riferimento all'importo annuo dell'assegno sociale ). La circolare ministeriale ricorda che la garanzia può essere presentata anche da associazioni professionali e sindacali, da enti e associazioni di volontariato che risultino iscritte nel registro delle associazioni e degli enti locali che svolgono attività a favore degli immigrati, sezione seconda, tenuto presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per gli Affari Sociali, ufficio Immigrazione. L'iscrizione deve essere attestata mediante esibizione di copia del decreto, previsto dall'art.54, c.1, Reg.att., del ministro per la solidarietà sociale, con cui si dispone l'iscrizione nel citato registro. Si precisa inoltre che la richiesta di autorizzazione all'ingresso può essere presentata anche dalle Regioni e dagli enti locali comprese le comunità montane e i loro consorzi o associazioni (art. 34,comma 6 Reg. att. ) che possono prestare garanzia nei limiti delle risorse finanziarie, patrimoniali e organizzative, appositamente deliberate a norma dei rispettivi ordinamenti ; ai fini della verifica di tali presupposti l'istanza deve essere corredata da copia autentica della deliberazione Ogni garante può prestare garanzia per non più di 2 persone e deve garantire al nuovo straniero il pagamento delle spese di vitto, alloggio, sostentamento e assistenza medica per 1 anno. La garanzia consiste: 1) nella dimostrazione che vi è la disponibilità di un alloggio ( proprio o altrui ) che secondo gli uffici comunali ha i requisiti minimi previsti dalla legge regionale sulle case popolari oppure che la ASL dichiara idoneo dal punto di vista igienico-sanitario; 2) in una polizza assicurativa o fideiussione bancaria che assicura che il garante mette a disposizione del nuovo immigrato un importo pari a circa 10 milioni di lire ( importo annuo dell'assegno sociale L. 8.366.800 + iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale L. 750.000 + spese per l'eventuale viaggio di rientro in Patria del nuovo immigrato ). La polizza assicurativa o fideiussione bancaria devono essere depositate in Questura e sono restituite al garante soltanto se è rifiutata l'autorizzazione all'ingresso o se entro 1 anno dall'ingresso regolare in Italia il nuovo immigrato ha effettivamente trovato un regolare rapporto di lavoro subordinato ( a tempo determinato o indeterminato ) e ha ottenuto un permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Negli altri casi la garanzia non può essere restituita e può essere utilizzata per pagare le spese di rimpatrio del nuovo immigrato che è obbligato a rientrare in Patria. L'autorizzazione all'ingresso in Italia del nuovo immigrato è data dalla Questura entro 60 giorni dalla presentazione della garanzia, dopo aver verificato che il garante non ha condanne o precedenti penali, che il potenziale immigrato non è stato espulso da meno di 5 anni o non ha problemi penali o non è pericoloso per la sicurezza nazionale. Il garante trasmette allo straniero l'autorizzazione all'ingresso e il consolato italiano rilascia ( entro 30 gg. dalla presentazione della domanda ) un visto d'ingresso "per inserimento nel mercato del lavoro". Anche in questo caso, ai sensi della già citata circolare del MAE, non occorre che lo straniero si trovi all'estero durante l'iter procedurale autorizzativo (fermo restando, come si è detto, che dovrà comunque recarsi al consolato italiano nel paese di origine per l'apposizione del visto). Entrato in Italia lo straniero ottiene dalla Questura che ha autorizzato l'ingresso un permesso di soggiorno per l'inserimento nel mercato del lavoro della durata di 1 anno (non rinnovabile o prorogabile), col quale s'iscrive nelle liste di collocamento e può liberamente e direttamente cercarsi un posto di lavoro. Soltanto in caso di assunzione regolare entro 1 anno dall'ingresso il permesso può essere convertito in un permesso di soggiorno per lavoro subordinato. In mancanza di un posto di lavoro regolare, il permesso di soggiorno non può essere rinnovato e lo straniero deve lasciare l'Italia (a pena di espulsione).

Per assicurare il rispetto del principio del contingentamento del numero complessivo d'ingressi per motivi di lavoro, il Ministero dell'interno ha predisposto un apposito programma di inserimento dei dati relativi alle autorizzazioni nella Banca Dati Interforze .

Molto opportunamente, la circolare del Ministero dell'Interno n. 300/2000 dd. 16 marzo, ricorda che la legislazione sull'immigrazione consente in taluni casi allo straniero già presente in Italia ad altro titolo la conversione del permesso di soggiorno al fine di poter svolgere un'attività lavorativa, nell'ambito della politica di programmazione dei flussi di ingresso in Italia.

Ciò riguarda due fattispecie:

  1. In primo luogo, si fa riferimento agli stranieri che sono titolari in Italia di un permesso di soggiorno per motivi di studio o di formazione, che possono convertirlo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, dopo aver ottenuto l'autorizzazione al lavoro dalla competente direzione provinciale del lavoro ovvero dalla locale Camera di Commercio in caso di esercizio di lavoro autonomo (art. 6 c. 1 D.lgs. n. 286/98; art. 14.5 Dpr. n. 394/99), sempre nei limiti delle quote numeriche di ingresso fissate.
  2. In secondo luogo, ci si riferisce agli stranieri titolari di permessi di soggiorno che non consentono lo svolgimento di un'attività lavorativa (ad es. turismo, affari,…) che possono richiedere la conversione del permesso di soggiorno in quello per lavoro autonomo, presentando l'attestazione della direzione provinciale del lavoro che la richiesta rientra nel sistema delle quote per lavoro autonomo (art. 39 comma 7 dpr. n. 394/99) unitamente al possesso degli altri requisiti per l'accesso all'attività di lavoro autonomo prescritti dall'art. 26 del Testo Unico (attestato della Camera di Commercio o degli altri enti competenti comprovante la sussistenza dei requisiti per l'iscrizione negli albi o registri richiesti per quella attività; disponibilità di risorse adeguate per l'esercizio dell'attività che intende intraprendere, il cui ammontare spetta ad ogni singola Camera di Commercio fissare, ovvero dimostrazione di un reddito pari al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria - di cui all'art. 3 del D.L. 25.11.1989 n. 382 e successive modifiche e pari a circa 17 milioni di lire per la persona singola -, eventualmente surrogabile con apposita garanzia fideiussoria da parte di enti o cittadini italiani o stranieri regolarmente soggiornanti).

 

 

 

10. Emanata la direttiva del Ministero dell'Interno che definisce l'ammontare dei mezzi di sussistenza richiesti per l'ingresso dello straniero nel territorio dello Stato per motivi di turismo, studio o per ricerca di lavoro senza sponsorizzazione.

Il Ministero dell'interno con decreto dd. 01.03.2000 (G.U. n. 64 del 17.03.2000) ha definito l'ammontare dei mezzi di sussistenza richiesti per l'ingresso ed il soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato, ottemperando a quanto previsto dall'art. 4, c.3 del D.lgs n.286/98.

Per quanto riguarda l'ingresso degli stranieri per motivi di lavoro subordinato per chiamata nominativa da parte del datore di lavoro ( art. 22 del T.U. ), la disponibilità dei mezzi di sussistenza e di idonea sistemazione alloggiativa s'intende dimostrata dalla richiesta del datore di lavoro secondo l'iter procedurale - amministrativo stabilito.

Per quanto riguarda i mezzi di sussistenza minimi necessari ai fini del rilascio del visto e per l'ingresso per motivi turistici, si deve invece far riferimento agli importi indicati dall'apposita tabella A di seguito riportata. Alla disponibilità di tali somme lo straniero deve aggiungere il possesso dell'importo occorrente per il rimpatrio, comprovabile anche con l'esibizione del biglietto di ritorno, nonché indicare, sempre al momento dell'istanza di rilascio del visto e/o di richiesta dell'ingresso in Italia, l'esistenza d'idoneo alloggio nel nostro paese.

La direttiva stabilisce invece che i mezzi di sussistenza minimi necessari per il rilascio del visto e dell'ingresso in Italia dello straniero privo di sponsorizzazione per l'inserimento nel mercato del lavoro , ai sensi dell'art.23, c.4 del T.U. sull'immigrazione, sono determinati dalla disponibilità di una somma non inferiore alla metà dell'importo annuo dell'assegno sociale al quale deve aggiungersi il contributo richiesto per l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale ovvero per la stipula di una polizza assicurativa per cure mediche e ricovero ospedaliero ( L. 750.000 annue).

Per quanto concerne invece l'ingresso degli stranieri per motivi di studio, la direttiva prevede la disponibilità di una somma di denaro non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale secondo i criteri riferiti alle procedure di ricongiungimento familiare cui deve aggiungersi il contributo previsto per l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale (L. 290.000 in base alla recente circolare del Ministero della Sanità n. 5 del 24 marzo 2000) ovvero l'esibizione di specifica polizza assicurativa per cure mediche e ricovero ospedaliero valida per il periodo di soggiorno.

In base a quanto previsto dall'art. 39, c.3 del T.U., i mezzi di sussistenza per l'ingresso in Italia degli studenti possono essere forniti dai diretti interessati oppure da loro garanti, enti o cittadini italiani o stranieri regolarmente soggiornanti. Ugualmente l'ottenimento di borse di studio o di altre facilitazioni previste dall'art. 46 del regolamento possono soddisfare o concorrere al soddisfacimento del requisito dei mezzi di sussistenza per l'ingresso ed il soggiorno degli studenti stranieri.

La direttiva specifica che i mezzi di sussistenza possono essere comprovati mediante valuta in contanti, fideiussioni bancarie o polizze fideiussorie assicurative, titoli di credito equivalenti oppure titoli di servizi prepagati ovvero atti comprovanti la disponibilità di fonti di reddito nel territorio nazionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tabella A per la determinazione dei mezzi di sussistenza

richiesti per l’ingresso nel territorio nazionale per turismo.

 

CLASSI DI DURATA DEL VIAGGIO

NUMERO DEI PARTECIPANTI AL VIAGGIO

UN PARTECIPANTE

DUE O PIU’

PARTECIPANTI

LIRE

EURO

LIRE

EURO

DA 1 A 5 GIORNI

QUOTA FISSA COMPLESSIVA

522.000

269,60

414.000

212,81

DA 6 A 10 GIORNI

QUOTA A PERSONA GIORNALIERA

87.000

44,93

51.000

26,33

DA 11 GIORNI A 20 GIORNI

QUOTA FISSA

100.000

51,64

50.000

25,82

QUOTA GIORNALIERA A PERSONA

71.000

36,67

43.000

22,21

OLTRE I 20 GIORNI

QUOTA FISSA

400.000

206,58

230.000

118,79

QUOTA GIORNALIERA A PERSONA

54.000

27,89

33.000

17,04

 

 

  1. Emanata la prima circolare del Ministero dell'Interno relativa al regolamento di attuazione delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione. Divengono operative le norme sul rilascio della carta di soggiorno nell'attesa dell'approvazione dell'apposita modulistica. Il certificato di idoneità igienico sanitaria dell'alloggio può sostituire quello comunale di abitabilità ai fini della richiesta di ricongiungimento familiare. Preoccupazione per le modalità di applicazione delle norme sull'inizio della decorrenza del periodo di interdizione dallo "spazio Schengen" per gli stranieri espulsi.

E' stata diffusa agli inizi di gennaio la prima circolare del Ministero dell'Interno relativa al regolamento di attuazione del T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e le norme sulla condizione giuridica dello straniero (Dpr 31.08.1999 n. 394). Perlopiù la circolare si limita a ripercorrere le principali disposizioni contenute nel regolamento, che costituisce l'indispensabile atto di normazione secondaria volto a rendere concretamente operative ed attuabili molte delle disposizioni contenute nella legge sull'immigrazione. In taluni punti, tuttavia, la circolare offre utili chiarimenti e dipana dubbi che erano sorti all'indomani del varo del regolamento. E' il caso ad esempio di quanto previsto in relazione alla carta di soggiorno. Il regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione aveva infatti previsto il rilascio della carta di soggiorno su un modello apposito, da adottare mediante successivo decreto del Ministero dell'Interno (art. 16 c. 1), suscitando di conseguenza il timore di ulteriori ritardi e rinvii all'attuazione di questo importante diritto. La circolare ministeriale firmata dal Capo della polizia, Masone, afferma invece che possono trovare immediata operatività le norme sul rilascio della carta di soggiorno, che, in attesa dell'adozione dell'apposita modulistica, potrà risultare nell'odierno modulo di permesso di soggiorno, opportunamente adattato con l'aggiunta dell'intestazione "valido come carta di soggiorno" e l'inserimento alla voce "scadenza" dell'espressione "a tempo indeterminato". Riguardo a quest'ultimo punto, si rammenta che il regolamento, pur ribadendo la durata illimitata della carta di soggiorno prescritta per legge, ha introdotto la sua soggezione al meccanismo della vidimazione decennale, a richiesta dell'interessato, specificando inoltre che la carta di soggiorno può costituire documento di identificazione personale per non oltre cinque anni dalla data del rilascio o del rinnovo. L'apparente contraddittorietà di tali disposizioni viene risolta nella circolare ministeriale facendo riferimento all'"evidente esigenza di controllo periodico della situazione" e al fatto che essendo la carta di soggiorno un documento di identificazione personale non può che essere soggetta all'aggiornamento dei dati e al rinnovo della fotografia nei termini previsti dall'art. 290, comma 4, del regolamento di esecuzione del TULPS (R.D. 6 maggio 1940, n. 635).

In relazione alla procedura per il riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare, la circolare ministeriale ribadisce che il requisito di disponibilità alloggiativa adeguata richiesto al richiedente può d'ora innanzi essere comprovato anche dal solo certificato di idoneità sanitaria rilasciato dall'Azienda Sanitaria Locale, che potrà essere allegato alla rimanente documentazione in alternativa al certificato di abitabilità dell'ufficio tecnico comunale e non in aggiunta ad esso, come alcune questure avevano iniziato a chiedere, adottando un'interpretazione palesemente errata ed illegittima del testo del regolamento (art. 6).

La circolare ribadisce inoltre quanto già chiaramente contenuto nel testo del regolamento (art. 19) circa il divieto di rientro per gli stranieri espulsi, di durata di norma quinquennale, che si ritiene debba decorrere non dalla data di adozione o notificazione del provvedimento espulsivo, ma da quella "di esecuzione, attestata dal timbro di uscita dal territorio dello Stato ovvero da ogni altro documento comprovante l'assenza dello straniero dal territorio dello Stato". Nessuna disposizione operativa viene aggiunta per garantire che gli operatori di polizia di frontiera inseriscano effettivamente nel Sistema Informativo Schengen (SIS) il dato dell'avvenuta esecuzione del provvedimento espulsivo e, dunque, dell'inizio della decorrenza del periodo di interdizione dallo "Spazio Schengen", così come non ci si preoccupa minimamente di rendere note agli espellendi le modalità per l'accesso ai dati personali contenuti nel SIS (da effettuarsi per il tramite del garante per la privacy di cui alla legge 31.12.1996, n. 675 e successive modificazioni, secondo quanto previsto dagli artt. 9 e 11 della legge n. 388/95 di ratifica ed esecuzione degli Accordi di Schengen), anche al fine di verificare, una volta eseguita - coattivamente o volontariamente - l'espulsione, che il dato relativo alla decorrenza del divieto di rientro sia stato correttamene inserito ovvero per porre rimedio ad un mancato inserimento del medesimo che potrebbe determinare un divieto di rientro potenzialmente a tempo indeterminato, tanto più grave perché valevole non solo in Italia, ma in tutti i paesi aderenti all'accordo di Schengen.

Così come formulata, la norma regolamentare è foriera dunque di determinare abusi ed incertezze applicative, anche perché farebbe intendere che sia compito dell'interessato, cioè del cittadino straniero espulso, assumere l'iniziativa per ottenere il riconoscimento della data di inizio della decorrenza del periodo di interdizione (senza che peraltro vengano spiegati i mezzi legali disponibili), non costituendo invece un obbligo d'ufficio per il funzionario di polizia che esegue l'espulsione o ne viene a conoscenza.

12. Varato ed entrato finalmente in vigore il regolamento di attuazione delle norme sull'immigrazione e la condizione giuridica dello straniero. Incertezze e preoccupazioni relativamente alle condizioni per il rinnovo dei permessi di soggiorno. Una recente giurisprudenza sottolinea l'illegittimità di ogni automatismo riguardo alle ipotesi di diniego al rinnovo del permesso di soggiorno.

Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (Suppl. Ord.n. 190/L dd. 03.11.1999), è entrato in vigore il regolamento di attuazione delle norme sull'immigrazione (Dpr. 31.08.1999, n. 394). Diventano finalmente operative, pertanto, anche quelle disposizioni contenute nella legge sull'immigrazione che non avevano potuto finora trovare effettiva attuazione per la mancanza delle indispensabili norme regolamentari, tra cui ad esempio quelle relative al rilascio della carta di soggiorno o al riconoscimento dei titoli di studi esteri al fine dell'esercizio delle attività professionali.

Nonostante il lungo iter richiesto per la sua approvazione, il regolamento non esaurisce peraltro il quadro normativo indispensabile per una completa ed uniforme implementazione della legge sul territorio nazionale che possa scongiurare il verificarsi di trattamenti differenziati e discrezionali da parte degli uffici amministrativi locali (questure innanzitutto) in contrasto con i principi costituzionali di certezza del diritto e buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97). Lo stesso regolamento rinvia in diverse occasioni a successivi decreti ministeriali (di solito da emanarsi a cura del Ministero dell'Interno) per la concreta attuazione di singole questioni, mentre è lecito attendersi che anche in futuro troverà spazio la cosiddetta "legiferazione per circolari" (in particolare del Ministero dell'Interno) per chiarire dubbi e contraddizioni, colmare lacune, ancora presenti nel quadro normativo anche dopo e nonostante il varo del regolamento (riferiamo sopra dell'emanazione della prima circolare relativa al regolamento). Non può dirsi, pertanto, pienamente soddisfatto il principio costituzionale della riserva di legge rafforzata in materia di condizione giuridica dello straniero (art. 10.2: "La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali"), vista l'entità dello spazio di manovra concesso di fatto all'esecutivo.

Tali considerazioni critiche ben si adattano alla questione dei rinnovi dei permessi di soggiorno, peraltro decisiva per la effettiva realizzazione di quei fini solidaristici e obiettivi di integrazione che il parlamento ed il governo hanno proclamato essere a fondamento dell'iniziativa di riforma legislativa. Alle condizioni e ai requisiti reddittuali per il rinnovo dei permessi di soggiorno di lunga durata per motivi di lavoro, il regolamento infatti dedica una sola disposizione, quella contenuta nel comma 2 dell'art. 13, che sostanzialmente vincola la proroga del soggiorno alla dimostrazione dell'autosufficienza economica, cioè alla "disponibilità di reddito, da lavoro o da altra fonte lecita, sufficientemente al sostentamento proprio e dei familiari conviventi a carico, che può accertarsi d'ufficio sulla base di una dichiarazione sostitutiva (autocertificazione)". Sorge innanzitutto la questione del livello minimo di reddito richiesto ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, non avendo né il legislatore, né l'esecutivo inteso finora specificarlo con precisione. Anche la recente emanazione della direttiva del Ministero dell'Interno dd. 1 marzo 2000 (in G.U. n. 64 del 17.03.2000) circa i criteri per la verifica dei mezzi di sostentamento ai fini dell'ingresso e del soggiorno, prevista dall'art. 4 comma 3 del TU (D.lgs. n. 286/98), non scioglie i dubbi sussistenti al riguardo, prendendo in esame soltanto le questioni relative all'ingresso per turismo, per ricerca di lavoro privi di sponsorizzazione e per studio. In assenza di ulteriori disposizioni amministrative, sorge la questione se si debba far riferimento per analogia a quanto disposto ai fini del ricongiungimento familiare o della richiesta di rilascio della carta di soggiorno, dove si fa riferimento all'importo dell'assegno sociale, duplicato o triplicato a seconda del numero dei familiari a carico, o a quanto previsto dalla direttiva citata in merito ai mezzi di sussistenza che debbono essere posseduti ai fini del rilascio del visto e dell'ingresso per motivi di ricerca di lavoro ai sensi dell'art. 23, comma 4 del TU (ingresso degli stranieri iscritti nelle apposite liste consolari) dove invece ci si riferisce alla disponibilità di una somma non inferiore alla metà dell'importo annuo dell'assegno sociale. Atteggiamenti diversificati e non uniformi a livello locale potrebbero sorgere rispetto alla corretta interpretazione da dare al riferimento alle fonti di sostentamento "lecite", soprattutto nei casi di autocertificazione di rapporti di lavoro irregolari o "in nero". Il lavoro "irregolare" o "in nero" alle dipendenze di un datore di lavoro non può essere considerato alla stregua di un'attività illecita per il lavoratore che, quale parte "debole", viene anzi tutelato dal Codice Civile in base alla previsione che "se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione" (artt. 2098-2126). Di conseguenza, è lecito attendersi che il Ministero dell'Interno darà istruzioni alle questure di consentire l'autocertificazione anche dei rapporti di lavoro irregolari eventualmente intercorsi tra gli stranieri e i rispettivi datori di lavoro, al fine della dimostrazione dei mezzi di autosufficienza economica in sede di rinnovo dei permessi di soggiorno. Con ciò tenendo conto anche della forte incidenza che il mercato del lavoro "informale" continua ad avere tra la popolazione immigrata "regolare", stimata attorno al 30% secondo il recente rapporto presentato dalla Commissione per le politiche di integrazione degli stranieri, presieduta dalla prof.ssa Zincone. Ancora più problematico e suscettibile di rendere precaria la condizione di molti immigrati "regolari" è il modo con cui nella legislazione e nelle successive norme regolamentari di attuazione ha trovato collocazione il principio per cui la perdita del posto di lavoro non deve implicare l'automatica revoca del permesso di soggiorno del lavoratore migrante, senza che a quest'ultimo venga concesso un periodo di tempo minimo per trovare nuova occupazione (principio stabilito dall'art. 8 della Convenzione OIL n. 143/1975, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge del 10 aprile 1981 n. 158). Con l'art. 22.9 del TU viene prevista la possibilità per il lavoratore straniero rimasto disoccupato di mantenere l'iscrizione alle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno e, comunque, per un periodo non inferiore ad un anno. E' di immediata comprensione l'importanza che dunque assume innanzitutto la durata dei permessi di soggiorno, per i quali la legge, fissando soltanto i limiti massimi (due anni per quelli per motivi di lavoro e famiglia, con la possibilità di una durata doppia in caso di rinnovo), lascia ampi margini di discrezionalità alle questure o alle deliberazioni ministeriali. In tal senso, il Ministero dell'Interno è già intervenuto con la circolare dd. 10 maggio in materia di regolarizzazione, che ha previsto una diversa durata del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, a seconda della situazione di regolare occupazione dell'interessato (due anni) ovvero del suo stato di disoccupazione (un anno), per cui occorre ora chiedersi se tale orientamento possa ritenersi estensibile anche "a regime". Con gli artt. 36 e 37 del regolamento di attuazione, l'esecutivo ha voluto concretizzare in modo piuttosto rigido e restrittivo il principio dell'iscrizione a termine nelle liste di collocamento del lavoratore licenziato o dimesso, stabilendo la possibilità del rinnovo del permesso di soggiorno, eventualmente venuto in scadenza successivamente alla perdita del posto di lavoro, solo per il periodo necessario al concorrere del termine citato di un anno dall'avvenuta iscrizione alle liste, entro il quale l'interessato dovrà adoperarsi per trovare una nuova occupazione regolare, pena l'impossibilità dell'ulteriore rinnovo del permesso di soggiorno e la conseguente intimazione a lasciare il territorio italiano, salvo che lo straniero svolga regolare attività di lavoro autonomo per la quale tuttavia potrebbe essere richiesta la dimostrazione di un reddito pari al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (di cui all'art. 3 del D.L. 25.11.1989 n. 382 e successive modifiche e pari a circa 17 milioni di lire per la persona singola), eventualmente surrogabile con apposita garanzia fideiussoria da parte di enti o cittadini italiani o stranieri regolarmente soggiornanti (in base al combinato disposto degli art. 5.4 e 26 del TU e dell'art. 14 del Dpr. n. 394/99), ovvero nel caso in cui lo straniero possa ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari perché convivente in Italia con coniuge o figli cittadini italiani o comunitari o extracomunitari regolarmente residenti ed in possesso dei requisiti per il ricongiungimento familiare. La costante precarietà della condizione dell'immigrato è accentuata dalla previsione per cui la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato comporterà il rilascio di un permesso di soggiorno della stessa durata del contratto di lavoro e comunque non inferiore a 12 mesi dalla data del rilascio del precedente soggiorno. C'è innanzitutto da chiedersi se la previsione della necessità della stipula di un contratto di lavoro regolare quale condizione per il rinnovo del permesso di soggiorno, a prescindere dalle altre fonti di mantenimento, sia compatibile con le già citate norme interne ed internazionali a tutela del lavoratore in caso di prestazione irregolare. Anche qualora gli standard minimi della Convenzione OIL si ritengano formalmente rispettati, non si può non scorgere in siffatta regolamentazione una concezione riduttiva dell'immigrato, la cui permanenza legale viene esposta sostanzialmente alle variabili contingenze del ciclo economico. Nel caso dei lavoratori immigrati invalidi civili, accanto a queste considerazioni di "inopportunità politica", si possono muovere motivi di illegittimità costituzionale, nel momento in cui essi vengono assoggettati ai medesimi meccanismi regolativi che possono condurre al mancato rinnovo del permesso di soggiorno e all'intimazione a lasciare il territorio nazionale, con l'unica variante del riferimento alle liste del collocamento obbligatorio (legge n. 482/68 ora sostituita con l. 12.03.1999, n. 68) in vece di quelle ordinarie. Così facendo, risulta completamente ignorato il principio stabilito dall'art. 8 par. 1 della Convenzione OIL n. 97/1949, ratificata e resa esecutiva in Italia, che comporta il divieto di rimpatrio o di allontanamento del lavoratore migrante che risulti incapace di ottenere un'occupazione in ragione di una malattia o di un infortunio (invalidità) contratti successivamente all'ammissione nel paese di immigrazione.

Le regole previste dal regolamento di attuazione mal si adattano alla effettiva situazione del mercato del lavoro in Italia e alla grossa incidenza che il lavoro "nero" o "informale" continua ad avere tra la popolazione immigrata "regolare", nonché alla diffusione di quelle forme di lavoro interinale, in affitto, di breve durata o con caratteristiche perlomeno ambigue come le prestazioni d'opera. Un'applicazione rigida di tali regole è suscettibile di far rientrare nella clandestinità una fascia consistente di immigrati, con conseguente vanifica degli obiettivi prefissati con il varo della legge sull'immigrazione e dei relativi principi ispiratori della medesima: la prevenzione ed il contrasto dell'immigrazione clandestina ed il rafforzamento delle opportunità di integrazione e dei diritti di cittadinanza degli immigrati regolari; obiettivi posti alla base della politica governativa con il documento programmatico approvato con Dpr. 5 agosto 1998. Sotto questo profilo, le norme contenute nel regolamento mal si conciliano con l'esigenza di una interpretazione normativa non rigida e letterale, bensì sistematica e costituzionalmente orientata, attenta alla volontà espressa dal legislatore e alle istanze solidaristiche cui si ispira la legge n. 40/98, nonché alle prerogative costituzioni dell'individuo. A tale riguardo, va sottolineato la recente formazione di una giurisprudenza, ordinaria e amministrativa, volta ad escludere l'applicazione di forme di automatismo riguardo alle ipotesi di diniego al rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero (almeno nelle ipotesi di tardività nella presentazione della domanda (Cassazione, I sez. civ., sentenza 28.05/23.06.1999, n. 6374; Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 30.03/20.05.1999; per un esame di tal giurisprudenza si rinvia al numero 3/1999 della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", Franco Angeli editore). Tale giurisprudenza suggerisce invece l'esigenza di "bilanciamento dei valori in gioco" tra il rispetto delle norme formali in materia di soggiorno ed il concreto esame della condotta dello straniero, della dignità e moralità delle sue abitudini di vita, dello spessore dei suoi legami sociali sviluppati con il paese di immigrazione in relazione anche alla durata della sua permanenza, pena la violazione del principio di uguaglianza costituzionale, che esclude trattamenti uniformi in relazione a fattispecie diversificate ed un trattamento irragionevolmente discriminatorio tra cittadini e stranieri. Ancora una volta, dunque, forte è il rischio del riprodursi del fenomeno tipicamente italiano per cui importanti processi di riforma legislativa nel campo sociale vengono vanificati dalla palese discrasia tra gli obiettivi e i principi di fondo proclamati, i contenuti concreti delle norme e le effettive prassi e regole applicative.

13. La Corte Costituzionale estende il divieto di espulsione anche al marito convivente della donna in stato di gravidanza o che ha partorito da non oltre sei mesi. Dal ragionamento seguito dalla Corte si può ricavare un profilo di illegittimità costituzionale anche della norma che esclude dalla regolarizzazione in loco il genitore straniero naturale di minore regolarmente residente nel caso in cui il figlio sia di cittadinanza straniera.

Con sentenza n. 376 del 12 luglio 2000, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 comma 2 lett. d) del Testo Unico sull'immigrazione (D.Lgs. n. 286/98), nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto. Il giudizio di legittimità costituzionale era stato promosso con ordinanza del Pretore di Termini Imerese a seguito del ricorso avverso l'espulsione decretata dal Prefetto di Palermo nei confronti di un cittadino albanese coniugato e convivente con una sua concittadina in stato di gravidanza.

Nell'assumere la decisione, la Corte ha preso le mosse dalla particolare ratio delle norme che prevedono benefici a favore delle donne nel periodo immediatamente precedente ed in quello successivo al parto e cioè l'intento di tutelare non solo la salute della donna, ma anche il rapporto che in tale periodo necessariamente si svolge tra madre e figlio, con riferimento tanto alle esigenze biologiche quanto a quelle affettive e relazionali collegate allo sviluppo della personalità del bambino (sent. C. Cost. 1/1997).

Di conseguenza, la norma in esame riporta all'esigenza di assicurare una speciale protezione alla famiglia e ai figli minori, in conformità alle previsioni costituzionali e alle disposizioni contenute in numerosi trattati internazionali ratificati dall'Italia, che configurano il diritto-dovere dei genitori di mantenere, educare ed assistere i figli, quale diritto fondamentale della persona e perciò spettante in via di principio anche agli stranieri (sent. C.Cost. n. 28/95, sent. n. 203/97). Proseguendo il proprio ragionamento, la Corte Costituzionale rileva che tale diritto-dovere di assistenza e tutela dei figli minori sussiste in capo ad entrambi i genitori e non solo alla madre in base ad un "principio di paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all'educazione della prole, senza distinzione o separazione di ruoli fra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi" (sent. Corte Cost. n. 341/91). Pertanto, la Corte conclude che deve ritenersi illegittima la norma che non prevede un divieto di espulsione anche nei riguardi del coniuge convivente della donna incinta o che ha partorito da non oltre sei mesi, sempre che non sussistano motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale.

Alla luce del ragionamento sviluppato dai giudici costituzionali, altre norme del TU sull'immigrazione palesano un evidente difetto di legittimità costituzionale.

Tra queste, va citato in particolare l'art. 30 comma 1 lett. d) del D.lgs. n. 286/98, nella parte in cui prevede un diritto soggettivo del genitore straniero, anche naturale, di un minore residente in Italia, di regolarizzare la propria presenza, mediante l'automatico acquisto di un permesso di soggiorno per motivi familiari, limitatamente ai casi del genitore di minore di cittadinanza italiana ed escludendosi tale beneficio per il genitore naturale di minore straniero. Se la ratio della norma era quella di attuare e soddisfare nella legislazione sull'immigrazione gli obblighi di tutela del minore e del suo diritto all'unità familiare derivanti dai principi costituzionali e dagli strumenti internazionali di tutela dei diritti fondamentali, tale obiettivo viene parzialmente vanificato dall'introduzione di un principio di discriminazione tra minori di cittadinanza italiana e non, che la Corte Costituzionale ritiene assolutamente illegittimo, per i motivi che abbiamo indicato. Il rilievo di incostituzionalità dell'art. 30. 1 lett. d) del TU per il principio discriminatorio in esso contenuto è tanto più fondato se consideriamo che già la Corte Costituzionale, nella vigenza della normativa precedente sull'immigrazione (leggi n. 943/86 e 39/90), aveva sanzionato come incostituzionale la norma che non prevedeva a favore del genitore straniero extracomunitario il diritto al soggiorno in Italia per motivi di coesione familiare, semprechè avesse potuto godere di normali condizioni di vita, per ricongiungersi al figlio considerato minore secondo la legislazione italiana, legalmente residente e convivente in Italia con l'altro genitore, ancorché solo more uxorio e non unito in matrimonio (sentenza n. 203/97, in "Guida del diritto", Il Sole-24 ore, 12 luglio 1997, n. 26, pp. 28-36, all. 10). Tale sentenza era stata pronunciata nell'ambito di un giudizio di legittimità costituzionale promosso dal TAR F.V.G. a seguito di un ricorso di una cittadina bulgara espulsa dall'Italia, nonostante la legale residenza in Italia di una figlia nata dalla convivenza more uxorio con l'altro genitore pure di cittadinanza bulgara e legalmente residente. Di conseguenza, la Corte Costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi sull'illegittimità costituzionale di una normativa sull'immigrazione che non consenta la regolarizzazione "in loco" ed automatica del genitore extracomunitario per ricongiungimento con il figlio minore pure extracomunitario regolarmente residente e convivente con l'altro genitore, sempre che il nucleo famigliare sia in grado di assicurare nel suo complesso normali condizioni di vita e di mantenimento. In conclusione, è del tutto evidente che presenta un profilo netto di illegittimità costituzionale la discriminazione operata dal legislatore a danno del genitore naturale del minore di cittadinanza straniera rispetto a quello di minore italiano, di cui all'art. 30 comma 1 lett. d) del TU.

  1. La Corte Costituzionale dichiara legittima la rimessione in termini da parte del giudice di merito del ricorso tardivo avverso il provvedimento espulsivo qualora questo sia stato notificato omettendo la traduzione in lingua conosciuta dallo straniero destinatario.
  2. La Corte Costituzionale, con sentenza 8-16 giugno 2000, n. 198 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, 1.a Serie Speciale, 21.06.2000, n. 26) ha dichiarato infondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Modena riguardo all'art. 13 c. 8 del D.lgs.. n. 286/98 nella parte in cui non consentirebbe la rimessione in termini del ricorso tardivo avverso il provvedimento espulsivo notificato allo straniero omettendo la traduzione in lingua a lui conosciuta.

    Nel motivare la sentenza, la Corte Costituzionale ha affermato che lo straniero presente nel territorio nazionale deve godere pienamente ed effettivamente del diritto alla difesa, costituzionalmente previsto all'art. 24, e che pertanto, gli atti della Pubblica Amministrazione destinati ad incidere sulla sua condizione giuridica debbono essere resi concretamente conoscibili, mediante traduzione nella lingua a lui nota ovvero in una delle lingue internazionalmente più diffuse, come prescritto dall'art. 13 del T.U. in merito ai provvedimenti espulsivi. In mancanza di detta traduzione, secondo la Corte lo "strumento di conoscibilità dell'atto espulsivo" viene messo in discussione e, conseguentemente, anche il termine perentorio per la sua ricorribilità (cinque giorni secondo il TU delle norme sull'immigrazione) può essere disapplicato dal giudice di merito che accerti, di volta in volta, che l'omessa traduzione abbia effettivamente influito sull'esercizio del diritto di difesa dello straniero, non consentendogli di presentare il ricorso nei termini prescritti. Ne consegue la possibilità, sancita dai principi generali del diritto, per il giudice di merito di rimettere in termini il ricorso tardivo, cioè eventualmente presentato oltre il termine di legge fissato in cinque giorni, senza che il giudice sia al contrario obbligato a dichiararne l'inammissibilità.

    Il pronunciamento della Corte Costituzionale è importante perché potrebbe consentire ai giudici di rimettere in termini e dichiarare ammissibili ricorsi avverso provvedimenti espulsivi, allorché i destinatari non abbiano potuto rispettare il termine di legge (di particolare brevità: cinque giorni) anche per situazioni analoghe a quella ora discussa, ad es. per caso fortuito, forza maggiore, ove non vi sia colpa addebitabile all'interessato, rendendo così meno restrittivo il dettato legislativo fissato dall'art. 13 del Tu così come modificato dal D.lgs. n. 113/99.

  3. La Corte Costituzionale dichiara inammissibili o non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcuni pretori in merito alle norme della legge sull'immigrazione relative agli strumenti di difesa avverso i provvedimenti espulsivi.

Con sentenza n. 161 del 25/31.05.2000 (red. Guizzi), la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili o non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai pretori di Ancona, Padova, Palermo e dal TAR Toscana riguardo alle norme della legge sull'immigrazione (l. n. 40/98) e a quelle del precedente decreto-legge "Dini" n. 269/96 relative ai mezzi di impugnazione e difesa avverso i provvedimenti espulsivi.

Riguardo alle censure sollevate dai pretori di Padova e Palermo e ai dubbi di incostituzionalità da loro sollevati dell'art. 13 commi 8 e 9 del D.lgs. n. 286/98 per i termini ritenuti eccessivamente brevi sia per l'impugnativa del provvedimento di espulsione, sia per la definizione del procedimento, la Corte Costituzionale ha evitato di assumere una posizione definitiva e di merito. Essa si è limitata infatti ad un giudizio di inammissibilità, considerando la questione priva di rilevanza "giacchè l'asserita brevità (del termine con presunta violazione del diritto costituzionale di difesa ex art. 24 ndr) ) non ha impedito l'esercizio del diritto e l'eventuale declaratoria di illegittimità non modificherebbe l'esito del giudizio". Il giudice costituzionale rileva infatti che non solo i provvedimenti espulsivi erano stati impugnati nei termini previsti, ma che nemmeno veniva indicato per quali ragioni la difesa doveva ritenersi carente in ragione del termine ritenuto eccessivamente breve per l'inoltro del reclamo. Si può tuttavia giungere indirettamente ad una valutazione "di merito" di legittimità costituzionale del termine di cinque giorni per l'impugnazione del provvedimento espulsivo, previsto dalla legge n. 40/98, considerando le valutazioni espresse dal giudice costituzionale nella medesima sentenza riguardo alle censure di illegittimità costituzionale sollevate dal TAR Toscana verso la norma del decreto-legge "Dini" n. 269/96 che limitava a soli sette giorni il termine per la ricorribilità dinanzi al giudice amministrativo del provvedimento espulsivo dello straniero. Qui il giudice costituzionale parte dalla considerazione che "per valutare la congruità di un termine in relazione al principio sancito dall'art. 24, occorre comparare non soltanto l'interesse di chi è onerato dal rispetto di esso, ma anche il generale interesse dell'ordinamento al celere compimento dell'attività processuale soggetta al termine di decadenza" e che "nel caso in specie la necessità di una sollecita definizione del procedimento di impugnazione risponde senza dubbio all'interesse generale di un razionale ed efficiente controllo dell'immigrazione da Paesi extracomunitari". La Corte Costituzionale rileva inoltre che la determinazione dei termini processuali rientra nella piena discrezionalità del legislatore, con il solo limite della ragionevolezza, che nel caso in specie non appare violato, sia per le considerazioni sopra svolte circa le funzioni generali di ordine pubblico che un termine breve di ricorribilità soddisfa, sia per le caratteristiche peculiari del procedimento in oggetto.

Il giudice costituzionale non ritiene nemmeno fondate le censure sollevate dai pretori di Padova e Palermo nei confronti delle parti dell'art. 13 del dlg. n. 286/98 che non consentono di sospendere, in via cautelare, l'efficacia del provvedimento espulsivo impugnato. La Corte Costituzionale ritiene infatti che la tutela cautelare anticipatoria non sia necessaria, proprio per la brevità dei termini previsti dalla legge per la definizione del procedimento giudiziario di opposizione al provvedimento espulsivo dello straniero. Peraltro, la Corte Costituzionale non esclude ipotesi nelle quali il giudice possa legittimamente esercitare la tutela cautelare e sospendere dunque l'efficacia del decreto prefettizio espulsivo impugnato, qualora per ragioni obiettive il procedimento non possa concludersi nei dieci giorni fissati dalla legge (ad es. per legittimo impedimento del giudice, per sua astensione o ricusazione, ovvero per interruzione necessitata del provvedimento). Ciò in ragione del fatto che la mera proposizione del ricorso non impedisce l'esecutività dell'espulsione allo scadere dei quindici giorni successivi alla sua notifica , al contrario delle previsioni di caducazione dei provvedimenti impugnati in caso di mancato rispetto dei termini di decisione da parte del giudice in relazione alle misure cautelari sulla libertà personale nel procedimento penale.

La sentenza della Corte Costituzionale, peraltro, evita di pronunciarsi sulla legittimità dell'adozione da parte del giudice civile di misure cautelari di sospensione del provvedimento espulsivo impugnato in ragione della pendenza di procedimenti giudiziari precedenti o contemporanei in relazione di pregiudizialità, ex art, 295 c.p.c. (si pensi ad esempio al caso dell'impugnazione del provvedimento espulsivo emanato nei confronti dello straniero che si sia trovato privo di permesso di soggiorno per la revoca di quello precedentemente in suo possesso ed avverso la quale egli abbia presentato ricorso al TAR in base a quanto previsto dall'art. 6 c. 10 d.lgs. n 286/98). Peraltro, sussiste già una ricca giurisprudenza favorevole alla possibilità per il giudice di esercitare in questi casi il potere cautelare (per tutte, ordinanza 18.09.1999 del Tribunale di Trieste, in "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", Franco Angeli, Milano, n. 1/2000, pp. 125-127).

16. Emanate le nuove disposizioni concernenti il soggiorno di cittadini comunitari in Italia. Gli importanti riflessi sulle condizioni di ingresso e di soggiorno in Italia dei familiari extracomunitari di cittadini comunitari o italiani.

Con decreto legislativo 2 agosto 1999, n. 358 (in G.U. n. 246 dd. 19.10.1999) sono state emanate le nuove disposizioni concernenti il soggiorno di cittadini comunitari in Italia, che vanno ad integrare e modificare quelle precedentemente in vigore per effetto del D.L.vo 26.11.1992, n. 470, allo scopo di attuare le direttive comunitarie (90/364, 90/365 e 93/96).

Le norme appena approvate hanno scopo di garantire la libertà di circolazione e di insediamento dei cittadini dell'Unione Europea - e dei loro famigliari, anche extracomunitari - che non possano esercitare tali diritti in base alla loro condizione di lavoratori, appartenendo invece, fra l'altro, alle categorie di coloro che hanno cessato l'attività lavorativa o degli studenti.

Le condizioni fissate dalle nuove disposizioni per il soggiorno dei cittadini comunitari che non svolgano attività lavorativa o siano pensionati, sono l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale o la titolarità di una polizza assicurativa sanitaria e la disponibilità di un reddito complessivo non inferiore all'importo dell'assegno sociale. Per gli studenti, oltre all'assicurazione sanitaria, viene chiesta la disponibilità di risorse economiche tali da non costituire un onere per l'assistenza sociale.

In conformità al diritto comunitario, le disposizioni prevedono il diritto al soggiorno anche per i familiari dei cittadini comunitari, indipendentemente dalla loro nazionalità, e dunque anche nei casi in cui provengano da paesi non appartenenti all'Unione Europea. Rispetto all'individuazione dei familiari e limitatamente a quanto concerne i cittadini comunitari che non siano studenti, il D.L.vo non recepisce pienamente l'indirizzo interpretativo assunto dal Consiglio di Stato relativamente all'ammissione al ricongiungimento dei figli del coniuge extracomunitario avuti da precedenti matrimoni o nati fuori dal matrimonio (parere 8.11.1995, n. 679/95). Se, infatti, si prevede l'ammissione al ricongiungimento di tutti i discendenti a carico del cittadino comunitario titolare del diritto di soggiorno, indipendentemente dall'età, per i figli "di primo letto" del coniuge extracomunitario tale possibilità è limitata a quelli di minore età (con riferimento alle norme sul ricongiungimento familiare contenute nel TU sull'immigrazione -art. 29.1 D.L.vo n. 286/98). Per la corretta individuazione dei discendenti a carico si deve fare riferimento alle norme relative agli assegni familiari di cui al Dpr. 30.05.1955, n. 797, che comprendono oltreché i figli minori, anche quelli fino ai 21 anni di età se iscritti ad un istituto scolastico superiore o fino ad anni 26 se iscritti all'università, ovvero anche di età superiore se inabili al lavoro. E' pur vero che il citato riferimento alle norme sull'immigrazione fa includere tre i beneficiari del ricongiungimento famigliare anche i figli maggiorenni del coniuge extracomunitario, qualora inabili al lavoro secondo la legislazione italiana (art. 29.1 lett. d) TU), ma restano comunque esclusi gli studenti superiori e universitari, rispettivamente fino ai 21 e ai 26 anni di età.

Il decreto legislativo n. 246/99 modifica le disposizioni sulla libera circolazione dei cittadini comunitari che non svolgono un'attività lavorativa in Italia o che sono studenti, mentre restano salve quelle riferite a coloro che svolgono un'attività lavorativa subordinata o autonoma o una prestazione di servizi (artt. 1,2,3 DPR 1656/65, come modificato dal DPR n. 1225/1969) che prevedono tra i beneficiari del ricongiungimento familiare il coniuge e i discendenti minori di anni 21 o a carico, gli ascendenti del lavoratore e del coniuge che siano a suo carico.

Per l'esercizio del diritto al ricongiungimento familiare da parte del cittadino comunitario valgono i requisiti reddituali previsti dal TU delle norme sull'immigrazione e cioè un reddito familiare complessivo pari all'importo dell'assegno sociale per un nucleo famigliare di due componenti, pari al doppio per un nucleo di tre o quattro persone e al triplo per cinque o più componenti (art. 29.3 lett. b) TU).

Nel caso in cui il cittadino comunitario residente in Italia sia uno studente, potrà beneficiare del ricongiungimento con i famigliari individuati dal TU delle norme sull'immigrazione (coniuge, figli minori a carico, anche del coniuge e dunque non comuni, genitori a carico, parenti entro il terzo grado inabili al lavoro), purché il nucleo famigliare abbia risorse tali da non costituire un onere per l'assistenza sociale in Italia. Al riguardo le disposizioni varate risultano più generose delle norme comunitarie (direttiva 93/96) che limiterebbero l'esercizio del ricongiungimento per gli studenti comunitari al solo coniuge ed ai figli a carico.

Per quanto concerne gli aspetti procedurali relativi al riconoscimento del diritto al ricongiungimento famigliare per i cittadini comunitari, il D.L.vo n. 246/99 prevede l'utilizzo dello strumento dell'autocertificazione, per quanto attiene la dimostrazione sia dei requisiti reddituali, sia dell'esistenza dei vincoli di coniugio o di parentela., in ottemperanza all'art. 5 del Dpr n. 403/1998 che consente, per i cittadini dell'Unione Europea, l'utilizzo delle dichiarazioni sostituite di certificazioni e di atti di notorietà, con le stesse modalità previste per i cittadini italiani.

Il D.L.vo n. 246/99, così come le norme emanate in passato, non enuncia regole particolari circa l'ingresso dei cittadini di Stati terzi che siano familiari dei cittadini comunitari beneficiari del diritto di libera circolazione. Pertanto, anche considerando quanto previsto dalle disposizioni contenute nel regolamento di attuazione del TU sull'immigrazione (artt. 5 e 6 DPR n. 394/99), valgono le norme procedurali generali previste per il ricongiungimento familiare degli stranieri extracomunitari, con la previsione del rilascio del visto condizionato alla presenza del nulla-osta della questura competente, previa dimostrazione dei requisiti reddituali e alloggiativi. L'assenza nel regolamento della legge sull'immigrazione di particolari agevolazioni per l'ottenimento del visto da parte di cittadini extracomunitari famigliari di cittadini comunitari non appare in linea con quanto previsto dalle direttive comunitarie (n. 68/360 e 73/148), così come la subordinazione del rilascio del visto per ricongiungimento familiare alla dimostrazione anche del requisito alloggiativo, palesa un'assenza di coordinamento ed un sostanziale contrasto con quanto previsto dal D.L.vo 246/99, che contempla unicamente un requisito reddituale. Non appare nemmeno plausibile sostenere che il cittadino extracomunitario irregolare, familiare di cittadino comunitario residente in Italia, possa regolarizzazione automaticamente la propria posizione sulla base delle disposizioni del TU, al di fuori della ristretta casistica prevista dall'art. 30 D.L.vo n. 286/98, essendo riservata la condizione di inespellibilità ai soli stranieri conviventi con parenti entro il IV grado o con il coniuge, di cittadinanza italiana (art. 19. 2 lett. c), non avendo invece rilevanza il legame parentale con il cittadino comunitario residente regolarmente. L'esclusione dei parenti e del coniuge del cittadino comunitario beneficiario della libera circolazione appare di dubbia legittimità alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia europea, che nella sentenza Echternach del 1989 (389 e 390/87), ha affermato che anche per i famigliari il documento del soggiorno non ha valore costitutivo, ma solo dichiarativo del diritto alla libertà di circolazione e stabilimento riconosciuto dal Trattato o dalle norme derivate (sebbene la Corte si riferisse allora a famigliari che erano cittadini di uno Stato membro). Inoltre, secondo una pacifica interpretazione del diritto comunitario, il diritto del cittadino dell'Unione Europea a vivere con i propri familiari appare strumentale e funzionale all'esercizio del suo diritto fondamentale alla libertà di circolazione, e di conseguenza, non apparirebbe ingiustificata secondo i criteri comunitari l'estensione anche ai suoi famigliari del principio di inespellibilità previsto attualmente soltanto per quelli del cittadino italiano.

Un altro punto sul quale si registra una contraddizione tra le disposizioni contenute nel regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione e quelle del D.L.vo n. 246/99, riguarda la durata della validità della carta di soggiorno prevista per i cittadini comunitari e i loro famigliari, qualunque sia la loro nazionalità. Mentre nel regolamento si ribadisce - in ottemperanza a quanto previsto dalla legge cui si intende dare attuazione - la validità a tempo indeterminato, sebbene con l'assoggettamento, a richiesta dell'interessato e dunque volontario, ad una procedura di vidimazione decennale, nel D.L.vo n. 246/99 si stabilisce una validità decennale della carta di soggiorno con rinnovo obbligatorio alla scadenza.

E' vero, altresì, che con il D.L.vo. 246/99 finalmente l'Italia ha adeguato la propria normativa interna agli obblighi comunitari prevedendo che i familiari del cittadino comunitario, titolari di carta di soggiorno, qualunque sia la loro nazionalità e dunque pure quelli extracomunitari, possano accedere alle attività lavorative dipendenti o autonome, in condizione di parità con i cittadini italiani, fatte salve le norme attinenti al pubblico impiego, nei termini previsti dall'art. 37 del D.L.vo 03.02.1993, n. 29, che l'escludono l'assunzione nell'amministrazione pubblica nei soli casi che "implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri ovvero attengono all'interesse nazionale" (norma poi attuata con il decreto 7.02.1994, n. 174, successivamente modificato con decreto n. 623 dd. 05.10.1994). Già nel 1986, infatti, la Corte di giustizia europea aveva ritenuto, nella sentenza Gul, che il familiare del lavoratore ammesso al ricongiungimento deve poter accedere al lavoro in condizioni di eguaglianza con i nazionali, qualunque sia la loro cittadinanza, in base all'art. 11 del regolamento 1612/1968, ma nessuna istruzione o disposizione in proposito era stata finora emanata dalle autorità italiane per consentire la piena applicazione di tale principio di eguaglianza.

Vale la pena ricordare che quanto detto finora va applicato anche nei confronti dei familiari extracomunitari di cittadini italiani. Il legislatore infatti, con l'art. 28 comma 2 del TU sull'immigrazione (D.L.vo n. 286/98) ha voluto fare riferire le disposizioni applicative delle norme comunitarie di cui al DPR 30.12.1965, n. 1656 anche ai familiari di cittadini italiani, quali cittadini di uno Stato membro dell'Unione. Tutto ciò sulla base di un parere del Consiglio di Stato (n. 679/95) volto ad eliminare la possibilità di una "discriminazione al contrario" a danno dei cittadini italiani rispetto a quelli comunitari nell'esercizio del diritto alla coesione familiare con familiari extracomunitari, discriminazione che sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Di conseguenza, anche i famigliari extracomunitari del cittadino italiano, titolari della carta di soggiorno, potranno accedere d'ora in avanti a tutte le forme di accesso al lavoro, subordinato e autonomo, previste per i cittadini italiani, ivi comprese quelle nel pubblico impiego, salvo le riserve previste in base all'art. 37 del D.L.vo n. 29/1993.

Vista la complessità della materia e la persistente presenza di lacune, incertezze e contraddizioni tra le disposizioni disperse in diversi strumenti normativi, sarebbe stato preferibile un riordino complessivo delle norme in materia di ingresso, soggiorno e allontanamento dei cittadini comunitari e dei loro familiari, così come del resto previsto dalla delega legislativa contenuta nella legge n. 40/98 (art. 45).Tuttavia, il governo ha ritenuto di non avvalersi di tale delega, preferendo scegliere la via della "delegificazione". Con la legge 8 marzo 1999, n. 50 (la c.d "Bassanini"-quarter) è stato fra l'altro affidato al governo l'incarico di fissare "i procedimenti relativi alla circolazione e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'UE" mediante regolamento governativo. In mancanza di uno strumento di riordino complessivo, dunque, si è imboccata la strada tradizionale dei provvedimenti parziali e modificativi di strumenti preesistenti, dove tuttavia il quadro giuridico che ne emerge non appare del tutto coerente.

  1. Una circolare del Ministero del Lavoro autorizza la costituzione del rapporto di lavoro ed il regolare inizio dell'attività lavorativa per gli stranieri in attesa di regolarizzazione e muniti dell'apposito cedolino di soggiorno. Il Ministero dell'Interno sollecita le questure a concludere l'esame delle istanze di regolarizzazione ancora pendenti. Indicate le procedure da adottare in caso di rigetto.
  2. A seguito delle pressanti richieste dei datori di lavoro e dei lavoratori immigrati, il Ministero del Lavoro, con circolare n. 78 del 25 novembre 1999, ha previsto che gli stranieri che si sono avvalsi delle norme sulla c.d. "regolarizzazione" (DPCM 16.10.1998 e D.lgs. n. 113/99) e che sono tuttora sprovvisti di permesso di soggiorno, possono comunque iniziare un'attività lavorativa, a condizione che il contratto siglato al momento della regolarizzazione sia stato già verificato con esito favorevole dalla competente direzione provinciale del lavoro. Permane l'obbligo di segnalazione alla questura competente della richiesta di costituzione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro. Naturalmente, in caso di mancato rilascio del permesso di soggiorno per mancanza dei requisiti per la regolarizzazione, il rapporto di lavoro dovrà cessare. Le nuove disposizioni segnano un mutamento della posizione precedentemente assunta del Ministero del Lavoro che non consentiva l'inizio dell'attività lavorativa per i regolarizzandi, con l'applicazione delle relative sanzioni penali ed amministrative per i datori di lavoro che procedevano ugualmente all'assunzione.

    Con circolare dd. 28.10.1999, il Capo della Polizia, dott. Masone, ha sollecitato le questure ad accelerare al massimo le verifiche delle istanze di regolarizzazione ancora pendenti ex DPCM 16.10.1998 e D.L.vo n. 113/99, procedendo al rilascio dei permessi di soggiorno, con le modalità e la durata specificate nella precedente direttiva dd. 10 maggio '99, oppure al rigetto formale delle istanze non supportate dai requisiti previsti. A questo proposito, seguendo le indicazioni contenute nel regolamento di attuazione del TU sull'immigrazione (art. 12 DPR n. 394/99), la circolare ministeriale specifica che il provvedimento di diniego al rilascio del permesso di soggiorno deve contenere menzione del termine non superiore a quindici giorni lavorativi entro il quale lo straniero deve presentarsi al posto di polizia di frontiera per allontanarsi dal territorio dello Stato, con l'avvertenza che, in caso di inottemperanza, le autorità di polizia procederanno all'applicazione della misura espulsiva mediante intimazione a lasciare il territorio nazionale entro ulteriori quindici giorni (ex art. 13 del D.L.vo n. 286/98). Al verificarsi di quest'ultima circostanza, la circolare ministeriale invita le questure ad adottare tutti i provvedimenti volti ad impedire che lo straniero si sottragga al provvedimento espulsivo facendo perdere le sue tracce e utilizzando false generalità. Nei casi in cui il diniego alla regolarizzazione sia motivato dal rifiuto del Prefetto competente a revocare un provvedimento espulsivo precedentemente adottato, la circolare dà istruzione ai Questori di accompagnare la notifica del rigetto della regolarizzazione all'immediato accompagnamento alla frontiera dello straniero.

  3. Consentito l'ingresso in Italia ai traduttori ed interpreti extracomunitari solo se in possesso di titoli di studio o professionali rilasciati da scuole o enti pubblici o legalmente riconosciuti all'estero.
  4. Con circolare n° 45 /99 il Ministero del Lavoro ha stabilito che potranno essere rilasciate le autorizzazioni per l'ingresso in Italia di traduttori e di interpreti, al di fuori delle quote stabilite dalla programmazione dei flussi, secondo quanto previsto dall' art.27.1 lettera d del d.lgs. 286/98 e dall'art.40 del Dpr n°394/99, solo in presenza di persone munite di titolo di studio di traduttore o d'interprete, specifico per le lingue richieste, rilasciato da una scuola statale o legalmente riconosciuta secondo la legislazione vigente nello Stato in cui il titolo è rilasciato. Ugualmente idonei ai fini dell'ingresso in Italia sono considerati gli attestati professionali di traduttore e d'interprete rilasciati da enti pubblici o istituti legalmente riconosciuti negli Stati esteri, mentre non possono essere considerati idonei altri attestati quali certificazioni di aziende o enti privati.

  5. Scaduto il 30 giugno il termine per l'immatricolazione alle Università italiane per l'A.A. 2000-2001 degli studenti extra-comunitari residenti all'estero. I limiti minimi di merito per il rinnovo dei permessi di soggiorno, le condizioni per l'esercizio dell'attività lavorativa e l'eventuale richiesta di conversione del permesso di soggiorno, fissati dal regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione. Con circolare del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica dd. 2 luglio 1999, definiti i requisiti per la partecipazione degli studenti stranieri al programma comunitario di mobilità studentesca "Socrates/Erasmus", accessibile agli studenti extracomunitari provenienti da Paesi non associati all'Unione Europea solo se in possesso della carta di soggiorno.

Il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica ha diramato con notevole ritardo lo scorso 8 giugno le nuove disposizioni relative all'iscrizione ai corsi di laurea o di diploma, presso Università italiane, degli studenti extracomunitari.

Per quanto concerne gli stranieri già legalmente residenti in Italia, l'accesso ai corsi universitari è consentito direttamente dall'art. 39, co. 5 del testo unico sull'immigrazione, senza limitazione di contingente, per le seguenti categorie: stranieri titolari di carta di soggiorno, ovvero di permesso per uno dei titoli indicati (lavoro subordinato o autonomo, motivi familiari, asilo politico o umanitario, motivi religiosi), ovvero ancora regolarmente soggiornanti e in possesso di titolo di studio superiore conseguito in Italia o equipollente. Nonostante l'art. 39.5 del TU sull'immigrazione parifichi queste categorie di cittadini stranieri ai cittadini italiani nell'accesso ai corsi universitari, la circolare continua a prevedere che gli studenti provenienti da Paesi ove è previsto uno speciale esame di idoneità accademica, per candidarsi all'iscrizione presso le Università italiane, dovranno presentare, oltre al titolo finale degli studi secondari, anche la certificazione attestante l'idoneità conseguita tramite tale esame (ad es. Vestibular in Brasile),ecc.. Anche per queste categorie di stranieri legalmente residenti in Italia, sembra continuare dunque a trovare applicazione il principio generale per cui l'accesso ai corsi di laurea in Italia è consentito soltanto nei casi di possesso di titoli di studio esteri che consentano l' accesso al corrispondente corso di laurea dell'Università del paese al cui ordinamento i titoli di studio si riferiscano. Ciò con l'evidente finalità di non creare una discriminazione "alla rovescia" nei confronti dei cittadini comunitari, assoggettati al citato principio per effetto della Convenzione europea relativa all'equipollenza dei diplomi per l'ammissione alle Università, firmata a Parigi l'11 dicembre 1953, ratificata in Italia con legge 19.07.1956, n. 901 (G.U. n. 207/1956 dd. 20.08.1956).

Queste invece le principali disposizioni impartite con la circolare dell'8 giugno (consultabile sul sito Internet del MURST - www.murst.it), riferite ai cittadini extracomunitari residenti all'estero:

  1. le domande di preiscrizione dovevano essere presentate alle Rappresentanze italiane (corredate della richiesta documentazione, titolo di studio in particolare tradotto ufficialmente in italiano, legalizzato e munito di dichiarazione di valore in loco da parte della Rappresentanza) entro il 30 giugno 2000. Nella domanda doveva essere indicato un solo corso di laurea o Diploma, scelto fra quelli per i quali le singole Università hanno riservato specifici contingenti per gli studenti stranieri (gli elenchi sono consultabili sui siti Internet del MAE - www.esteri.it : Attività -Promozione culturale - I nostri servizi - e del MURST - www.murst.it)
  2. entro il 12 agosto 2000, le Rappresentanze italiane all'estero pubblicheranno gli elenchi degli studenti ammessi alle prove;
  3. a partire da tale data, gli studenti ammessi dovranno fare richiesta di visto d'ingresso, corredata di documentazione comprovante: a) la copertura economica, pari ad almeno Lit. 667.000 mensili, fino al 31.12.1999, dimostrabile in uno dei modi indicati nella circolare (fidejussione bancaria o polizza fidejussoria o titolo di credito equivalente, bonifici provenienti dall'estero, garanzie economiche fornite da istituzioni o Enti italiani ovvero da privati cittadini italiani o stranieri regolarmente soggiornanti). La candidatura ad una borsa di studio del Governo italiano non costituisce documento di copertura economica; b) la copertura assicurativa per cure mediche e ricoveri ospedalieri (mediante assicurazione privata estera o nazionale, ovvero stipula dell'apposita polizza INA - tranne per gli studenti provenienti da Paesi con i quali sono in vigore accordi speciali in materia di diritto all'assistenza sanitaria);
  4. il visto d'ingresso sarà rilasciato come visto nazionale, con validità superiore ai 90 giorni o, preferibilmente, fino al 31.12.2000;
  5. dopo l 'ingresso in Italia, oltre che richiedere il permesso di soggiorno entro 8 giorni, lo studente straniero dovrà sostenere le prove di ammissione presso l'Università prescelta (prova di conoscenza della lingua italiana, da tenersi il 5 settembre ed eventuali prove attitudinali per i corsi che si tengono a numero chiuso). I risultati saranno affissi entro il 2 ottobre 2000.
  6. Dopo la prova di ammissione e per tutta la durata del corso di studi, il permesso di soggiorno potrà essere prorogato, di regola alla fine dell'anno solare, dietro dimostrazione: a) della copertura economica di Lit. 667.000 mensili e dell'avvenuta iscrizione volontaria al Servizio Sanitario Nazionale ovvero del possesso di polizza assicurativa privata a copertura delle spese sanitaria (direttiva Min. Interno 01.03.2000); b) del rispetto del c.d limite minimo di merito, previsto dall'art. 4 co. 4 DPCM 30.04.1997, consistente nell'aver superato almeno un esame nel primo anno di corso e almeno due esami nei successivi. Solo per gravi motivi di salute o di forza maggiore, debitamente documentati, si potranno prevedere eccezioni, sempre ché lo studente abbia superato almeno un esame. Con il regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione è stato reintrodotto un limite per l'iscrizione fuori-corso degli studenti extracomunitari, cioè il terzo anno fuori corso, oltre il quale il permesso di soggiorno non può più essere rilasciato. Successivamente alla laurea o al conseguimento del diploma, lo studente universitario extracomunitario potrà ulteriormente rinnovare il permesso di soggiorno annuale per conseguire il titolo di specializzazione o il dottorato di ricerca.

Con circolare dd. 02 luglio 1999, Il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica- Agenzia nazionale "Socrates/Erasmus", ha chiarito le modalità e i requisiti per la partecipazione degli studenti stranieri al programma comunitario di mobilità studentesca "Socrates/Erasmus". In base alle disposizioni comunitarie, il programma "Socrates/Erasmus" di mobilità studentesca, che prevede l'erogazione di borse di studio per la frequenza di corsi universitari in atenei convenzionati di altri paesi europei, è aperto a:

L'agenzia Nazionale "Socrates-Erasmus", facente capo al Ministero dell'Università, con la citata circolare fa presente che per stranieri con "residenza permanente" debbano intendersi esclusivamente quelli in possesso della "carta di soggiorno" di cui all'art. 9 del D.lgs. n. 286/98, restando pertanto esclusi quelli in possesso di mero permesso di soggiorno, per studio, lavoro o altri motivi. Essendo "Socrates" un programma che deriva da norme comunitarie e non da interventi nazionali, il Ministero dell'Università rileva che non possa essere esteso ad essi il principio di parità di trattamento in materia di diritto allo studio tra cittadini italiani e stranieri, di cui all'art. 39 comma 1 del D.lgs. n. 286/98.

Per quanto riguarda la possibilità per gli studenti stranieri di svolgere attività lavorativa, il regolamento di attuazione del testo unico sull'immigrazione ha stabilito il limite delle 20 ore settimanali (part-time), anche cumulabili per cinquantadue settimane, fermo restando il limite annuale di 1.040 ore, risultando così possibile anche l'esercizio a tempo pieno di attività di lavoro stagionale (art. 14 c. 4 Dpr n. 394/99). L'esercizio dell'attività lavorativa non consente, tuttavia, la conversione del permesso di soggiorno, il quale, rimanendo per motivi di studio, sarà rinnovato solo in presenza dei requisiti di merito sopraccennati. Peraltro, sulla base di quanto previsto dalla legge sull'immigrazione (art. 6 c.1 TU) e dal regolamento di attuazione (art. 14.5 Dpr n. 394/99) il permesso di soggiorno per motivi di studio può essere convertito, prima della scadenza, in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, previa documentazione di un rapporto di lavoro subordinato o dell'esercizio di attività di lavoro autonomo, debitamente autorizzata, qualora l'interessato rientri nei limiti delle quote annuali di programmazione dei flussi di ingresso e purché egli non sia a ciò impedito da accordi internazionali o dalle condizioni per le quali è stato ammesso a frequentare corsi di studi o di formazione in Italia (presumibilmente nei casi in cui l'interessato abbia ottenuto una borsa di studio attraverso accordi internazionali o bilaterali sottoscritti tra il suo paese e l'Italia che prevedano la formazione come sola attività permessa in Italia e l'obbligo di rientro nel paese di origine al termine degli studi). Una volta convertito il permesso di soggiorno, l'interessato potrà ugualmente continuare la sua formazione universitaria, a parità di condizioni con i cittadini italiani (art. 39 c. 5 TU), ma per rinnovare il titolo di soggiorno per motivi di lavoro dovrà alla scadenza dare dimostrazione della disponibilità di reddito in Italia sufficiente al proprio sostentamento (art. 13.2 DPR n. 394/99).

  1. Definita dal Ministero dell'Interno la bozza di un "Manuale Comune per il trattamento della persona trattenuta nei centri di permanenza temporanea per stranieri in via di espulsione". Presentata al Ministro dell'Interno un'interrogazione parlamentare sul funzionamento dei centri di permanenza temporanea per stranieri in via di espulsione. Il Ministero dell'Interno rende noti i dati relativi alle espulsioni e ai respingimenti effettuati nel corso del 1999.
  2. Il Ministero dell'Interno, anche sulla base delle osservazioni e dei rilievi emersi nel corso di apposite riunioni indette con esponenti delle associazioni di tutela degli immigrati e dei richiedenti asilo, ha definito una bozza di "Manuale comune per il trattamento della persona trattenuta nei centri di permanenza temporanea per stranieri in via di espulsione". In tale documento, di cui si attende ora la definitiva approvazione, vengono innanzitutto elencati i diritti dello straniero in relazione al trattenimento nei centri, con riferimento pure alle modalità volte a rendere effettivo l'esercizio del diritto di difesa e alla libertà di colloquio con l'esterno. L'accesso ai centri da parte delle organizzazioni di volontariato e di solidarietà verrebbe previsto sulla base della stipula da parte del Prefetto competente di appositi accordi di collaborazione, che consentirebbero fra l'altro a personale esterno di prestare assistenza e consulenza giuridica a favore degli stranieri trattenuti prima che abbia luogo la convalida della misura di trattenimento e l'eventuale esame del ricorso avverso il provvedimento espulsivo. Particolare tutela verrebbe assicurata ad eventuali richiedenti asilo o persone meritevoli di protezione, anche temporanea, derivante dal rispetto del principio di "non-refoulement" . In relazione ad essi, infatti, la bozza del manuale prevede il diritto di accesso ai centri in qualsiasi momento, fatte salve esigenze di sicurezza, per il delegato in Italia dell'ACNUR e per i suoi rappresentanti autorizzati e muniti di appositi permessi, così come la loro facoltà di visionare in qualsiasi momento i registri dei centri ove sono annotati data e ora di ingresso e uscita degli stranieri trattenuti.

    La bozza del "Manuale" è reperibile su Internet all'indirizzo: http: //briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/2000/marzo/regolamento-centri-bozza.html.

    Lo scorso 24 novembre, un gruppo di senatori appartenenti ai partiti della sinistra (primi firmatari Salvato, Manconi, Marchetti, Russo Spena) aveva inoltrato al Ministro degli Interni un'interrogazione parlamentare sul funzionamento e la gestione dei centri di permanenza temporanea per stranieri in via di espulsione. Nell'interrogazione venivano espresse critiche all'organizzazione e all'attività di detti centri, avvenuta per più di un anno e mezzo al di fuori di norme precise, in assenza del regolamento applicativo della legge sull'immigrazione, e dunque mediante l'esercizio di un'ampia discrezionalità dell'autorità amministrativa periferica (questure e prefetture locali). I firmatari denunciavano quindi un trattamento degli stranieri rinchiusi in detti centri ancora peggiore di quello delle carceri per l'assenza di operatori qualificati in grado di fornire un'assistenza sanitaria e psicologica adeguata, per la mancata informazione sui loro diritti e la possibilità di presentare ricorso, nonché di contattare persone all'esterno, con conseguente grave pregiudizio per l'effettività del diritto alla difesa. Avendo in considerazione che tra i centri di detenzione amministrativa finora costituiti uno soltanto è stato edificato a tale scopo, quello di Roma, entrato in funzione lo scorso settembre, mentre per gli altri si è ricorso ad edifici preesistenti, riadattati alle nuove funzioni o addirittura al posizionamento di strutture mobili quali container (come nel caso di Via Corelli a Milano), le condizioni igienico-sanitarie e, più in generale di permanenza, spesso lasciano a desiderare, contribuendo - sottolineavano i firmatari - all'insorgere di episodi di autolesionismo.

    Richiamandosi ad alcuni dati forniti dal Casa delle Culture di Milano, con riferimento alla situazione del centro di Milano, gli autori dell'interrogazione rilevavano fenomeni non marginali di abuso dell'internamento amministrativo anche nei confronti di stranieri in regola con le norme sul soggiorno, così come non risulterebbero infrequenti i casi di stranieri internati da 2 a 5 volte nel centro, senza che l'espulsione potesse mai essere effettivamente eseguita, il che farebbe pensare ad un uso dell'internamento contrario alle finalità originarie della legge ed in contrasto con gli standard internazionali (in base ad una giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo, non sarebbe compatibile con l'art. 5 della Carta Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali la detenzione amministrativa dello straniero nei casi in cui fosse evidente ab initio l'impossibilità di procedere effettivamente all'espulsione). I firmatari non condividono quanto previsto dal regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione circa la possibilità per il prefetto di stipulare convenzioni con enti locali o soggetti pubblici o privati per la gestione dei centri (art. 22 Dpr. 394/99), ritenendola "un'inaccettabile forma di privatizzazione di attività di polizia". In conclusione all'interrogazione i firmatari chiedevano al Ministro dell'interno di fornire i dati sull'esatta ubicazione dei centri di detenzione temporanea, sulla reale volontà del governo di estendere il numero di detti centri, sul numero di immigrati finora ristretti, sul numero delle detenzioni plurime, sull'esatta portata dei casi di suicidio, tentato suicidio e autolesionismo verificatisi. Infine, veniva chiesto al Ministro se intendeva prendere in considerazione la possibile abolizione di questi centri in quanto luoghi ove si verificano sistematiche violazione dei diritti fondamentali della persona.

    Con il regolamento di attuazione sono state definite alcune norme relative alle modalità di trattenimento degli stranieri nei centri di permanenza temporanea. Esse peraltro non sono prive di contraddizioni e lacune. Tra le prime, va annoverato ad esempio il fatto che dopo aver proclamato all'art. 21.1 il principio generale della "libertà di colloquio" dello straniero all'interno del centro e con i visitatori provenienti dall'esterno, al successivo comma 7 del medesimo articolo, viene specificato che ai centri possono avere accesso soltanto i familiari conviventi (e già la dimostrazione della convivenza per uno straniero clandestino appare difficile), il difensore delle persone trattenute, i ministri di culto, il personale delle rappresentanze diplomatico-consolari, nonché gli appartenenti ad enti, associazioni di volontariato e cooperative di solidarietà sociale che sono stati ammessi a svolgere attività di assistenza in base a progetti di collaborazione concordati con il prefetto locale.

    Ugualmente, sebbene la libertà di corrispondenza telefonica venga in linea di principio garantita dalla legge, per le concrete modalità volte a renderla effettiva, il regolamento rinvia ad un successivo decreto del Ministero dell'Interno.

    Le organizzazioni umanitarie hanno annunciato la loro intenzione di denunciare le gravi violazioni dei diritti umani che avvengono nei centri di detenzione amministrativa per stranieri espellendi dal nostro paese al Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa che in questi anni ha svolto un'intensa azione di inchiesta e di sensibilizzazione nei confronti dei governi sulle condizioni di vita ed il trattamento degli stranieri nei centri di detenzione amministrativa nei diversi paesi europei (Per maggiori informazioni al riguardo si può consultare il sito Internet del comitato: www.cpt.coe.int).

    In base ai dati resi noti dal Ministero dell'Interno, nel corso del 1999 sono stati ospitati nei centri di detenzione provvisoria 8.847 stranieri espellendi, di cui 3.843 (il 44%) sono stati effettivamente rimpatriati. 36.937 sono stati gli stranieri respinti alla frontiera per mancanza dei requisiti per l'ingresso, a cui debbono essere aggiunti 11.500 respinti alla frontiera da parte dei questori nelle province confinarie perché rintracciati in un momento successivo all'ingresso illegale. Gli stranieri che sono stati respinti o espulsi per effetto degli accordi di riammissione bilaterale con i paesi di origine o di transito sono stati 11.399. Per quanto concerne le espulsioni vere e proprie, 40.489 sono state intimate con l'invito a lasciare il territorio dello Stato, 12.036 sono state effettuate con accompagnamento immediato alla frontiera e 520 sono state disposte dall'autorità giudiziaria.

  3. Approvato il regolamento per rendere funzionante l'autorità italiana che si occupa di regolamentare l'ingresso dei minori stranieri per adozione internazionale e nominati i componenti dell'apposita commissione. Divenuta pienamente applicativa la legge sulle adozioni internazionali, in attuazione della Convenzione dell'Aja del 1993. Le competenze della Commissione per le adozioni internazionali in caso di ingresso di minori stranieri soli non accompagnati ed il raccordo con quanto previsto dalla disciplina sull'immigrazione.
  4. Con decreto del Presidente della Repubblica 1 dicembre 1999, n. 492 (in GU 27.12.1999, n. 302), è stato varato il regolamento recante le norme per la costituzione, l'organizzazione ed il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali, previsto dall'art. 7 commi 1 e 2 della legge n. 476 del 31.12.1998 (in G.U. n. 8 del 12.01.1999), con la quale l'Italia ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione dell'Aja in materia di adozioni internazionali e protezione dei minori,

    sottoscritta da 37 paesi il 29 maggio 1993. Successivamente si è provveduto alla nomina dei componenti della Commissione.

    La Commissione è l'autorità centrale prevista dalla Convenzione che provvede fra l'altro ad autorizzare, entro il termine di 120 giorni, gli enti ad operare nel campo delle adozioni internazionali (art. 39-ter), nonché ad adottare le linee guida operative, a promuovere incontri e conferenze di studio con gli enti autorizzati, i servizi competenti e le associazioni operanti nel settore. Una volta autorizzati, gli enti sono iscritti su un apposito albo, che entrerà in vigore quindici giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. L'attività degli enti sarà sottoposta a verifica da parte della Commissione almeno ogni due anni.

    La legge sull'adozione internazionale disciplina i casi di ingresso del minore in Italia (artt. 33 e 39 co. 1 lett. h)) in parte integrando e modificando la legge n. 40/1998. Nella legge, infatti, viene vietato l'ingresso per motivi di lavoro del minore straniero solo, non accompagnato da un genitore o dal rappresentante legale e fatti salvi i casi di adozione internazionale, le disposizioni relative al ricongiungimento familiare, all'ingresso per motivi turistici, di studio e di cura, così come quelle relative ai flussi eccezionali determinati da eventi bellici, calamità naturali, secondo quanto previsto dall'art. 18 della legge n. 40/98. In quest'ultimo caso si prevede l'obbligo della segnalazione dell'ingresso del minore alla Commissione istituita dalla legge e al Tribunale per i minorenni competente territorialmente in relazione alla residenza degli accompagnatori. Uguale obbligo di segnalazione alla Commissione e, per la conseguente apertura di una tutela, al Tribunale per i minorenni, viene previsto dall'art. 33 c. 5 della legge in caso di avvenuto ingresso di un minore straniero "solo" al di fuori delle situazioni consentite dalla legge n. 476/98. Per evitare inutili sovrapposizioni di competenze, l'art. 18 del citato regolamento approvato ora con Dpr 1.12.1999, n. 492 prevede che l'unico compito attribuito alla Commissione in questi casi sia quello di provvedere a comunicare al comitato per i minori stranieri istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui all'art. 33 del D.lgs. n. 286/98, come modificato dal D.lgs. n.113/99, i nominativi dei minori la cui presenza le è stata segnalata sul territorio dello Stato in base alle disposizioni della legge n. 476/98. In base alle previsioni di cui al D.lgs. n. 113/99 correttivo della disciplina sull'immigrazione, al Comitato per i minori stranieri sono state attribuite infatti le responsabilità dell'adozione del provvedimento di "rimpatrio assistito" del minore straniero non accompagnato e, più in generale, le competenze riferite alle modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati da parte dei servizi sociali degli enti locali e alle soluzioni praticabili, di accoglienza, di rimpatrio assistito, di ricongiungimento famigliare nel paese di origine. Tali disposizioni, per le quali si attende tuttora il varo del regolamento applicativo previsto dal D.lgs. n. 113/99, hanno suscitato peraltro prese di posizione assai critiche, sia sotto il profilo della loro dubbia legittimità costituzionale, sia in relazione alle perplessità circa l'effettiva capacità di una politica di rimpatrio dei minori non accompagnati a corrispondere tanto agli interessi superiori dei medesimi quanto alle esigenze di sicurezza della collettività nazionale (in proposito, si rimanda al dossier "I diritti dei minori stranieri in Italia", contenuto nel prossimo numero della rivista "Minorigiustizia", edita da Franco Angeli e a quanto scritto da Paolo Bonetti, Anomalie costituzionali delle deleghe legislative e dei decreti legislativi previsti dalla legge sull'immigrazione straniera (parte II), comparso sulla rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", Franco Angeli editore, n. 3/1999, pp 74-83).

    Vale la pena soffermarsi, infine, sulla necessità di una lettura coordinata delle citate disposizioni della legge n. 476/98 sulla "tutela" del minore straniero "solo" avente fatto comunque ingresso in Italia al di fuori delle situazioni consentite con quelle contenute nell'art. 10 del T.U. che prevedono il respingimento con accompagnamento alla frontiera disposto dal questore nei confronti degli stranieri che siano entrati nel territorio dello stato illegalmente e siano fermati all'ingresso o subito dopo, e di quelli che sono stati temporaneamente ammessi per necessità di pubblico soccorso. E' evidente che il carattere di specialità della norma contenuta nella legge sull'adozione internazionale debba prevalere su quello generale della disciplina dell'immigrazione , così che il minore straniero "solo" irregolare individuato all'ingresso in Italia o subito dopo, e ricoverato in ospedale per esigenze di cura immediata, non potrà essere riaccompagnato alla frontiera una volta dimesso, così come potrebbe avvenire per lo straniero adulto, ma dovrà essere segnalato al Tribunale per i minorenni per l'apertura di una tutela con conseguente affido temporaneo all'ente locale.

     

    INTEGRAZIONE SOCIALE

  5. Una circolare del Ministero della Sanità completa il quadro delle disposizioni applicative delle norme in materia di assistenza sanitaria per gli immigrati. Riviste e riordinate le norme sull'assistenza sanitaria all'estero, quelle relative agli stranieri detenuti in carcere e agli immigrati tossicodipendenti alla luce dei principi contenuti nella legge sull'immigrazione.
  6. Con circolare n. 5 dd. 24 marzo 2000 (in G.U. n. 126 dd. 01.06.2000), il Ministero della Sanità ha completato il quadro delle disposizioni applicative in materia di assistenza sanitaria agli immigrati extracomunitari, secondo quanto previsto dal T.U. sull'immigrazione (artt. 34-35-36). Numerose le novità e i chiarimenti apportati dalle nuove disposizioni amministrative.

    Per quanto concerne gli stranieri iscritti obbligatoriamente al SSN, in quanto regolarmente soggiornanti e aventi in corso regolare attività lavorativa subordinata o autonoma ovvero iscritti alle liste di collocamento, la circolare chiarisce innanzitutto che tale norma può trovare applicazione anche a prescindere se il permesso di soggiorno sia stato rilasciato o meno per motivi di lavoro, come ad esempio nei casi delle persone beneficiarie delle misure di "protezione sociale", di cui all'art. 18 c. 5 del T.U, ovvero nei casi di coesione familiare (art. 30 c. 2 TU).

    Si afferma inoltre che la categoria dei lavoratori autonomi debba essere intesa per esclusione, intendendo per essi tutti coloro che svolgono un'attività lavorativa che non rientra nell'ambito del lavoro subordinato.

    Un'importante novità viene introdotta dalla circolare con un'interpretazione, senza dubbio estensiva, della categoria dei permessi di soggiorno per "asilo umanitario", il cui possesso consente l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale (SSN). In questa categoria vengono infatti ricompresi non solo i permessi di soggiorno rilasciati per motivi di "protezione temporanea" a seguito dell'adozione di misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali, come nel caso dei richiedenti asilo dal Kosovo, ma anche quei permessi di soggiorno rilasciati per motivi di "protezione sociale", così come quelli derivanti dal divieto di espulsione di minorenni o di donne in stato di gravidanza e di puerperio fino ad un massimo di sei mesi (art. 19 c. 1 TU), e, infine, gli stranieri comunque ospitati in centri di accoglienza pubblici, qualora non abbiano ad altro titolo diritto all'assistenza sanitaria obbligatoria (art. 40 c. 1 TU).

    L'iscrizione obbligatoria al SSN del titolare si estende ai familiari a carico dell'interessato, anche qualora questi non soddisfino individualmente i requisiti per l'iscrizione obbligatoria, purchè siano regolarmente soggiornanti (ad es. il caso non infrequente del genitore regolarmente soggiornante con permesso di soggiorno per motivi di "dimora" o "residenza elettiva"). Per l'individuazione dei familiari a carico aventi diritto all'iscrizione obbligatoria, la circolare specifica che si deve far riferimento "per relationem" alle disposizioni del TU sugli assegni familiari di cui al DPR 797/1955. In base a tali norme i familiari a carico sono: a) il coniuge; b) i figli minori ovvero quelli fino ai 21 anni se iscritti alla scuola superiore ovvero fino ai 26 se iscritti all'università. Sono equiparati ai figli legittimi o naturali del titolare anche quelli nati dal precedente matrimonio dell'altro coniuge.; c) i figli, indipendentemente dall'età, se inabili al lavoro per grave infermità fisica o mentale; d) i genitori di età superiore ai 60 anni se di sesso maschile o di età inferiore ai 55 se di sesso femminile o senza limiti di età se inabili permanentemente al lavoro, che abbiano redditi personali non superiori a determinati limiti fissati dall'INPS, e per i quali il titolare concorra in maniera sufficiente e continuativa al mantenimento.

    La circolare ministeriale afferma inoltre che l'iscrizione obbligatoria al SSN ha natura dichiarativa e non costitutiva del diritto all'assistenza sanitaria. Ciò significa che il diritto insorge con il verificarsi dei requisiti e dei presupposti di legge, anche indipendentemente dall'effettiva iscrizione all'USL o Azienda Sanitaria. In sostanza il diritto retroagisce alla data dell'ingresso in Italia dello straniero regolarmente soggiornante e le prestazioni eventualmente erogate nell'attesa dell'effettivo rilascio del permesso di soggiorno devono essere riconosciute e rimborsate dalla USL una volta effettuata l'iscrizione, anche d'ufficio.

    La circolare ministeriale indica che la validità temporale dell'iscrizione al SSN deve essere pari alla durata del permesso di soggiorno posseduto dall'interessato, con la possibilità di ulteriore proroga con l'esibizione della documentazione attestante la richiesta del rinnovo del permesso di soggiorno, mentre viene confermato quanto già previsto dall'art. 42 del regolamento di attuazione circa la possibilità di iscrizione al SSN anche in assenza di residenza anagrafica, presso l'USL territorialmente competente per il luogo di effettiva dimora dello straniero, secondo il domicilio indicato nel permesso di soggiorno.

    Per quanto concerne gli stranieri detenuti in carcere, la circolare rimanda a quanto previsto dal D.Lgs. n. 230 dd. 22.06.1999 "Riordino della medicina penitenziaria" (in SO alla G.U. n. 132/L) che stabilisce l'iscrizione obbligatoria al SSN di tutti i cittadini stranieri, a prescindere dal possesso del permesso di soggiorno (art. 1 c. 5), ivi compresi i detenuti in semilibertà o che scontino pene alternative, con il beneficio dell'esenzione dal regime di compartecipazione alla spesa sanitaria (tickets). Si fa presente che il suddetto decreto di riordino della medicina penitenziaria ha previsto il graduale trasferimento delle funzioni sanitarie per i detenuti dall'amministrazione penitenziaria al SSN. Solo in parte, tuttavia, tale trasferimento funzionale ha potuto finora attuarsi. A partire dal 1 gennaio 2000 sono state trasferite al SSN le funzioni sanitarie di prevenzione e quelle di assistenza ai detenuti tossicodipendenti, mentre nel corso del mese di aprile la Conferenza Stato Regioni ha approvato due decreti attuativi del D.lgs. n. 230/9 per l'avvio della sperimentazione del passaggio al SSN delle competenze complessive in materia di assistenza sanitaria ai detenuti nelle Regioni Lazio, Toscana e Puglia (Decreto Ministero della Sanità 20 aprile 2000 in G.U. n. 126 dd. 01.06.2000).

    L'applicazione del principio generale della parità di trattamento tra cittadini italiani e immigrati titolari del diritto all'iscrizione obbligatoria al SSN, fa sì che anche a questi ultimi possano estendersi le modalità di assistenza sanitaria all'estero previste dalla legislazione italiana, fermo restando i limiti derivanti dagli accordi internazionali, in primo luogo quelli comunitari in materia di sicurezza sociale.

    L'assistenza sanitaria in territorio estero è disciplinata da due normative: a) quella relativa ai casi di permanenza fuori dal territorio italiano connessa ad un'attività lavorativa (DPR 31.07.1980 n. 618, in S.O. alla G.U. n. 275 dd. 07.10.1980); b) quella relativa alla fruizione di prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all'estero (DM 03.11.1989 in G.U. 22.11.1989,n. 273).

    La prima normativa prevede il diritto all'assistenza sanitaria a cura dello Stato italiano per i lavoratori dipendenti o autonomi, ovvero quelli disoccupati, nonché per i loro familiari a carico, che si trovino temporaneamente all'estero e non godano delle prestazioni sanitarie garantite dalla legge locale o dai datori di lavoro locali. L'assistenza sanitaria può essere erogata in forma diretta mediante apposite convenzioni stipulate con istituzioni sanitarie dello Stato estero ovvero in forma indiretta, mediante rimborso delle spese sostenute da richiedere per il tramite delle rappresentanze consolari e diplomatiche italiane.

    L'utilità pratica di tali norme per gli stranieri extracomunitari residenti in Italia riguarda innanzitutto coloro impiegati quali conducenti di camion e autoarticolati presso ditte di autotrasporto con sede in Italia. In caso di viaggi di lavoro all'estero, il lavoratore straniero dovrà munirsi presso l'Azienda Sanitaria locale oppure presso il consolato italiano di un'apposita attestazione della titolarità del diritto all'assistenza sanitaria all'estero, secondo quanto previsto dall'art. 15 del DRP n.618/80. In caso di bisogno, le spese sostenute per le prestazioni sanitarie all'estero saranno anticipate dalla ditta in cui lo straniero è occupato; ditta che potrà a sua volta chiedere il rimborso allo Stato italiano per il tramite delle rappresentanze consolari o diplomatiche italiane competenti entro tre mesi dall'effettuazione della spesa sanitaria.

    Occorre inoltre precisare che ai lavoratori extracomunitari residenti in Italia è preclusa di norma la possibilità di avvalersi dell'assistenza sanitaria in forma diretta in caso di permanenza temporanea in uno degli Stati membri dell'Unione Europea, con l'eccezione dei rifugiati politici riconosciuti ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 e degli apolidi. Il regolamento CEE n. 1408/71 relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale dei lavoratori comunitari che esercitano la libertà di circolazione e di insediamento, infatti, estende la propria portata applicativa anche ai familiari extracomunitari di cittadini comunitari, nonché ai rifugiati politici e agi apolidi, purché residenti in uno degli Stati membri dell'Unione Europea.

    Parimenti, la parità di trattamento tra immigrati iscritti obbligatoriamente al SSN e cittadini italiani in materia di assistenza sanitaria all'estero deve estendersi anche al rimborso delle spese sostenute per le prestazioni sanitarie effettuate presso centri di altissima specializzazione all'estero, previa debita autorizzazione delle autorità competenti italiane nelle modalità previste dal D.M 03.11.1989.

    La circolare ministeriale si sofferma anche sulla possibilità di iscrizione volontaria al SSN, consentita agli stranieri regolarmente soggiornanti, per motivi di studio o alla pari, ovvero con permessi di soggiorno per altri motivi di durata superiore a tre mesi, ma che non consentono l'iscrizione obbligatoria. Viene precisato che l'assicurazione facoltativa è valida per l'anno solare, dal 1 gennaio al 31 dicembre e non ha decorrenza retroattiva , avendo valore costitutivo del diritto all'assistenza sanitaria dal momento in cui viene sottoscritta. In base al principio di parità di trattamento consente anche di avvalersi delle forme di assistenza sanitaria all'estero, come sopra indicato.

    Rispetto agli stranieri non in regola con le norme sull'ingresso ed il soggiorno (clandestini), la circolare ministeriale chiarisce che debbono essere ricomprese tra le cure sanitarie urgenti ed essenziali cui essi hanno diritto, anche le prestazioni fornite dai Servizi per le tossicodipendenze (SERT) e gli interventi preventivi, curativi e riabilitativi destinati ai tossicodipendenti, in base a quanto previsto dal DPR 9.10.1990 n. 309 (S.O. alla G.U. n. 255 dd. 31.10.1990). Vengono infine definite quali cure urgenti quelle "cure che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona" e cure essenziali quelle "prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell'immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti"

    La circolare infine detta le modalità per l'ingresso in Italia degli stranieri per motivi di cure mediche, previo rilascio dell'apposito visto. Questo può essere richiesto direttamente dallo straniero interessato previo deposito cauzionale di una somma pari ad almeno il 30% del costo complessivo della prestazione sanitaria richiesta in Italia ovvero l'ingresso dello straniero potrà avvenire nell'ambito di interventi umanitari predisposti dal Ministero degli Affari Esteri di concerto con il Ministero della Sanità, secondo quanto previsto dal D.lgs. n. 502 dd. 3012.1992, come modificato dal D.lgs. 07.12.1993 n. 517. Interventi umanitari di accoglienza sanitaria possono pure essere svolti a cura delle Regioni, con oneri a loro carico, secondo quanto consentito dall'art. 32 c. 15 della legge 27.12.1997 n. 449.

  7. A distanza di più di due anni dall'entrata in vigore della legge n. 40/98 l'INPS continua a non dare piena attuazione alle disposizioni relative alla parità di trattamento con i cittadini italiani degli stranieri titolari di permesso di soggiorno della durata di almeno un anno per quanto concerne la concessione dell'assegno sociale e delle prestazioni assistenziali d'invalidità. Una circolare della direzione centrale INPS dà istruzione di consentire la concessione dell'assegno sociale unicamente ai titolari di carta di soggiorno.
  8. La concessione dell'assegno sociale (ex pensione sociale) per gli immigrati titolari di permesso di soggiorno della durata di almeno un anno - fermo restando gli altri requisiti di età, reddito e residenza anagrafica - appare segnata da difficoltà e da ostruzionismi burocratici da parte dell'INPS, sebbene la previsione esplicita del principio di parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani in materia di assistenza sociale di cui all'art. 39 della legge n. 40/98 non consenta alcun dubbio sulla legittimità delle relative istanze.

    Dapprima l'INPS non ha voluto dare attuazione alla norma, giustificandosi con il ritardo nell'emanazione del regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione (messaggio direz. gen. delle prestazioni INPS n. 31501 dd. 20.05.1999), sebbene la norma principale, di per sé chiarissima, non necessitasse di alcuna disposizione secondaria di natura attuativa e/o interpretativa. Preso atto dell'emanazione del regolamento di attuazione (DPR n. 394/99) - che nulla contiene in proposito all'attuazione dell'art. 39 della legge n. 40/98, limitandosi agli artt. 9-17 a chiarire i criteri per l'acquisizione ed il rinnovo del permesso di soggiorno e della carta di soggiorno da parte degli stranieri potenzialmente interessati ad ottenere i benefici assistenziali di competenza dell'istituto - l'INPS ha diramato una circolare (n. 82 dd. 21 aprile 2000) tesa a chiarire le modalità erogative delle prestazioni assistenziali per gli stranieri extracomunitari e quelli appartenenti a Stati membri dell'Unione Europea. Con successivo messaggio (n. 037 dd. 11.05.2000), la direzione centrale INPS fa un passo indietro, rimangiandosi parzialmente quanto indicato in precedenza, dando disposizioni agli uffici periferici di concedere l'assegno sociale ai soli stranieri titolari di carta di soggiorno, escludendo per il momento quelli titolari di solo permesso di soggiorno di durata almeno annuale, in attesa di non meglio precisati "approfondimenti in merito alla valutazione dei criteri fissati per il permesso di soggiorno dal regolamento recante le norme di attuazione delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione".

    La circolare precedente del 21 aprile sembrava aver sbloccato finalmente la situazione prevedendo la concessione dell'assegno sociale agli stranieri - titolari dei requisiti di reddito, età e residenza anagrafica- purchè in possesso del permesso di soggiorno di durata almeno annuale o della carta di soggiorno, con l'unica differenza che per i primi l'assegno sarebbe stato erogato fino alla data di scadenza del titolo di soggiorno, salvo rinnovo dello stesso in tempo utile per la proroga, mentre per i secondi non doveva essere prevista una data di scadenza dell'assegno, vista la durata a tempo indeterminato della carta di soggiorno.

    La circolare INPS del 21 aprile stabilisce inoltre il diritto all'ottenimento dell'assegno sociale anche dei cittadini dell'Unione Europea residenti in Italia, indipendentemente dall'avere o meno svolto l'attività di lavoratore nel nostro Paese, modificando pertanto le precedenti disposizioni impartite con circolare n. 754 del 14 luglio 1986. Ciò in base al principio contenuto nell'art. 1 c. 2 della legge n. 40/98, secondo cui le norme in essa contenute si applicano anche ai cittadini degli Stati membri dell'Unione Europea se più favorevoli. La circolare INPS ribadisce, peraltro, l'inesportabilità dell'assegno sociale in ambito europeo, essendo tale prestazione assistenziale stata inserita nell'allegato II bis del regolamento comunitario n. 1408/71, in base al regolamento CEE n. 1223/98 (GU CE n. 168 dd. 13.06.1998).

    A fronte dell'atteggiamento palesemente ostruzionistico dell'INPS nei confronti del diritto all'accesso all'assegno sociale così come alle prestazioni assistenziali connesse all'invalidità (pensioni, assegni, indennità di accompagnamento o frequenza) degli stranieri titolari di permesso di soggiorno di lunga durata (almeno un anno), l'unica strada percorribile finora è quella del contenzioso giudiziario. A tale proposito si richiama l'attenzione sulla sentenza del Tribunale di Torino dd. 15.10.1999, con la quale il giudice ha condannato l'INPS a corrispondere ad un cittadino straniero l'indennità di accompagnamento di cui alla legge n. 18/80 sostenendo che "l'art. 39 della legge n. 40/98 ha stabilito un principio di equiparazione tra stranieri regolarmente soggiornanti in Italia e cittadini italiani che può trovare immediata applicazione indipendentemente dall'emanazione del regolamento di attuazione della legge". La sentenza è stata riprodotta sul primo numero dell'annata 2000 della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", edita da ASGI e Magistratura Democratica, per l'editore Franco Angeli di Milano.

    Si fa presente, infine, che gli importi delle pensioni, degli assegni e delle indennità a favore dei mutilati ed invalidi civili, ciechi civili e sordomuti, nonché i limiti di reddito prescritti per la concessione delle provvidenze stesse, sono stati rivisti con decreto del Ministero dell'Interno datato 1 marzo 2000 pubblicato sulla G.U. 08.03.2000 n. 56.

  9. La legge finanziaria per l'anno 2000 estende anche alle donne immigrate munite di carta di soggiorno le misure relative agli assegni di maternità per i figli nati a partire dal 1 luglio 2000, ma continuano a restare escluse le immigrate con permesso di soggiorno. Restano intatte le disposizioni per la concessione degli assegni familiari che discriminano i nuclei familiari misti e quelli composti da stranieri. I possibili rimedi giudiziari a tale discriminazione.

Con l'art. 49 della legge 23.12.1999 n. 488 (legge finanziaria per l'anno 2000, in G.U. 27.12.1999, n. 302) sono state ampliate e parzialmente modificate le norme a tutela della maternità introdotte l'anno precedente (art. 66 legge 23.12.1998, n. 448) e che erano divenute operative a partire dal 21 settembre scorso con l'entrata in vigore delle disposizioni applicative (D.M. 15 luglio 1999, n. 306 pubblicato sulla G.U. n. 209 del 06.09.99 Suppl. ord. N. 169). Come si ricorderà, il legislatore aveva inteso riservare queste nuove provvidenze assistenziali, gli assegni familiari e quello di maternità, rispettivamente ai nuclei familiari a basso reddito composti da cittadini italiani residenti (reddito non superiore a 36 milioni, ma in caso di reddito superiore l'assegno potrà ugualmente essere concesso, ma sarà di importo inferiore proporzionalmente) e con almeno tre figli minori, e alla madri cittadine italiane residenti prive di copertura previdenziale (Indicatore della Situazione Economica familiare non superiore a 50.800.000 per un nucleo di tre persone), per i figli nati dopo il 1 luglio 1999. Con la nuova "finanziaria", il governo ed il parlamento hanno corretto tali misure discriminatorie in misura solo parziale, estendendo l'assegno di maternità del valore pari a 1,5 milioni di lire anche alle cittadine comunitarie e a quelle di paesi non appartenenti all'Unione Europea se residenti ed in possesso della carta di soggiorno di cui all'art. 9 del D.lgs.vo n. 286/98, e prive di alcuna tutela economica della maternità , per ogni figlio nato dal 1 luglio 2000 ovvero adottato o in affidamento preadottivo dalla stessa data (art. 50 commi 9-15). L'assegno di maternità viene inoltre esteso anche alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie, ovvero extracomunitarie se in possesso della carta di soggiorno, per le quali sono in atto o sono stati versati contributi per la tutela previdenziale obbligatoria della maternità, per ogni figlio nato o adottato o in affidamento preadottivo dopo il 1 luglio 2000 e che siano prive di ogni prestazione previdenziale per la maternità ovvero ne beneficino in misura solo parziale, a prescindere da altri requisiti. Continuano ad essere escluse dunque le donne immigrate extracomunitarie in possesso del permesso di soggiorno in Italia.

L'esclusione dei cittadini dell'Unione Europea da queste misure assistenziali, cui peraltro viene ora posto rimedio -almeno limitatamente all'assegno di maternità e a partire dal 1 luglio 2000- sembra cozzare contro il principio generale di non-discriminazione in ragione della nazionalità e quello di libertà di circolazione sancito dalle norme comunitarie (rispettivamente artt. 12 e 39 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, come modificato alla luce del Trattato di Amsterdam, nonché art. 7 (2) del Regolamento comunitario n. 1612/68 e Regolamento comunitario n.1408/71). Al fine di rendere effettivo il principio della libertà di circolazione per i cittadini comunitari, gli organi comunitari hanno emanato dei regolamenti volti a rimuovere gli ostacoli che potrebbero derivare dalla disomogeneità dei trattamenti previdenziali e assistenziali dei singoli Stati membri, che potrebbero infatti influire negativamente sulla propensione o convenienza ad accettare impieghi o, comunque, a risiedere all'estero. Così il regolamento comunitario n. 1408/71 ha dettato una serie minuta di disposizioni miranti a realizzare, per quanto possibile, una tendenziale unitarietà dei vari regimi nazionali in materia di sicurezza sociale attraverso l'affermazione, tra l'altro, di due principi: quello di territorialità (per cui i lavoratori migranti comunitari sono assoggettati al sistema vigente nel paese membro in cui essi prestano la loro attività o comunque vi risiedono) e quello di non-discriminazione (per cui i lavoratori hanno diritto alle medesime prestazioni riservate ai cittadini dello Stato membro). Sebbene l'art. 4, n. 4 del medesimo regolamento escluderebbe le misure di assistenza sociale dalla disciplina comunitaria, in diverse occasioni la Corte di giustizia europea ha fatto rientrare questioni attinenti trattamenti e provvidenze assistenziali (nella fattispecie interventi rivolti a garantire un reddito minimo per le pensione anziane) nel quadro delle regole comunitarie - assoggettandoli dunque al principio di "non discriminazione" -, sebbene non in applicazione del regolamento n. 1408/71, bensì dell'art. 7, n. 2 del regolamento n. 1612/68, qualificando come "vantaggi sociali" tali misure anziché come prestazioni di sicurezza sociale (sentenza 12 luglio 1984, Castelli, causa 261/82, sentenza 27 marzo 1985, Hoeckx, causa 249/83 e sentenza 6 giugno 1985, Frascogna, causa 157/84. L'articolo citato del regolamento n.1612/68 stabilisce la parità di trattamento per i lavoratori degli Stati membri con riferimento ai "vantaggi sociali"). Merita di essere ricordato inoltre che la nostra Corte di Cassazione, con sentenza 21.09.1991, n. 9884, ha affermato l'applicabilità del regolamento comunitario n. 1408/71 anche a prestazioni che, secondo le nostre categorie giuridiche, non rientrano nella previdenza sociale, ma piuttosto nell'assistenza sociale, come le pensioni sociali e di invalidità. Come più volte chiarito dalla Corte di giustizia, l'art. 48 del Trattato CE (ora art. 39) produce effetti diretti e prevale quindi su qualsiasi norma interna contrastante, così come l'esigenza di applicare la norma del Trattato si pone anche per i giudici, investiti di eventuali controversie (sentenza 4 aprile 1974, Commissione c. Francia, causa 163/73).

Continua a suscitare notevole perplessità la permanenza del carattere discriminatorio di tali misure nei confronti dei/(lle) cittadini(e) extracomunitari(e), che potranno beneficiare dell'assegno di maternità al pari dei(lle) cittadini(e) italiani(e) solo se in possesso della carta di soggiorno.

Appare innanzitutto frutto di un madornale errore del legislatore il mancato inserimento delle donne rifugiate riconosciute ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 tra i beneficiari dell'assegno di maternità. I rifugiati, infatti, non possono automaticamente accedere alla carta di soggiorno, a meno che non corrispondano ai requisiti - di residenza, reddituali, alloggiativi e penali - richiesti agli immigrati in generale, non essendo stato ancora approvato dal Parlamento il DDL sull'asilo che prevede il rilascio a loro favore della carta di soggiorno per il solo fatto del riconoscimento in Italia della qualifica prevista dalla convenzione internazionale di Ginevra del 1951.

L'esclusione dei rifugiati politici riconosciuti ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 dagli assegni familiari e per maternità costituisce dunque una diretta violazione innanzitutto dell'art. 23 della Convenzione medesima che prevede il trattamento riservato ai cittadini per quanto concerne l'assistenza sociale. Inoltre, vale la pena rilevare che anche la Convenzione Europea sull'Assistenza Sociale e Medica, ratificata e resa esecutiva in Italia, stabilisce il principio di eguaglianza di trattamento con riferimento non solo ai cittadini degli Stati contraenti, ma anche ai rifugiati secondo la Convenzione di Ginevra del 1951.

In virtù del principio di "riserva di legge rinforzata" di cui all'art. 10.2 della Costituzione, per cui le disposizioni interne attinenti alla condizione giuridica dello straniero debbono conformarsi ai principi sanciti dalle norme e dai trattati internazionali, che risultano quindi di immediata applicazione nel nostro ordinamento e hanno portata prevalente rispetto alle norme interne eventualmente contrastanti, appare evidente che il giudice chiamato eventualmente ad esprimersi su un ricorso presentato da un/a rifugiato/a avverso l'esclusione sua personale o del nucleo familiare dall'assegno familiare o per maternità non potrebbe che disapplicare il carattere discriminatorio della normativa interna ovvero sollevare una questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale.

Per quanto attiene, infine, ai cittadini extracomunitari, residenti regolarmente nel nostro Paese, ma in possesso del solo permesso di soggiorno di lunga durata per lavoro o famiglia, la discriminazione operata nei loro confronti dalle disposizioni in materia di assegno familiare e per maternità appare illegittima alla luce dell'art. 41 del Testo unico n. 286/98 in materia di immigrazione e condizione giuridica dello straniero extracomunitario, che prevede "l'equiparazione ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale". Avendo il legislatore conferito alle disposizioni contenute nel TU il carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica (art. 1 c.4 D.lgs. n. 286/98), non si vede come possa trovare giustificazione e legittimità la deroga sostanziale al principio di parità di trattamento in materia di assistenza sociale introdotta dalla disposizione contenuta nella legge finanziaria 1998/99 e ribadita da quella dell'anno successivo, anche se successiva temporalmente al TU. Vale la pena citare, inoltre, come la Corte Costituzionale abbia già avuto modo di esprimersi in merito alla portata estensiva del principio di parità di trattamento con i cittadini italiani per i cittadini extracomunitari regolarmente residenti, nella sentenza n. 454/98 : "Una volta che i lavoratori extracomunitari siano autorizzati al lavoro subordinato stabile in Italia, godendo di un permesso di soggiorno rilasciato a tale scopo o di altro titolo che consenta di accedere al lavoro subordinato nel nostro Paese, e siano posti a tal fine in condizioni di parità con i cittadini italiani, e così siano iscritti o possano iscriversi nelle ordinarie liste di collocamento(…), essi godono di tutti i diritti riconosciuti ai lavoratori italiani".

E' auspicabile, dunque, che nei prossimi mesi vengano promossi ricorsi dinanzi al giudice unico civile avverso provvedimenti di esclusione di rifugiati politici o cittadini extracomunitari in possesso di PdS, dai benefici introdotti dalla legge finanziaria 1998/99, così come modificati da quella per l'anno 2000, in materia di assegno familiare e per maternità, confidando che per le vie giudiziarie si potrà trovare rimedio ad un'odiosa, irragionevole ed infondata discriminazione che il legislatore ha voluto introdurre e poi solo parzialmente rettificare.

Si ricorda che le richieste per l'erogazione degli assegni di maternità devono essere presentate per il tramite dei Comuni entro sei mesi dalla data del parto. La modulistica è a disposizione presso gli Enti locali.

25. Una circolare dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo afferma che il risarcimento del danno biologico conseguente ad un sinistro costituisce un diritto inviolabile dell'uomo collegato al diritto alla salute e dunque risarcibile allo straniero extracomunitario a prescindere dalla condizione di reciprocità e di regolarità del soggiorno in Italia.

Con circolare 12 .04.2000 n°407-D, l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private ha affrontato l'annosa questione del risarcimento dei danni, in particolare biologici, subiti da cittadini stranieri extracomunitari residenti o anche solo presenti nel nostro Paese, per effetto di incidenti automobilistici. Come è noto molte imprese assicuratrici invocavano l'applicazione della condizione di reciprocità in base all' art. 16 delle disposizioni preliminari al Codice civile, subordinando il risarcimento alla verifica dell'assenza di limitazioni discriminatorie per il cittadino italiano in casi analoghi nel paese di origine del cittadino straniero. Nella circolare l'Istituto prende innanzitutto le mosse dall'art.62 della Legge 31.05.1995 n° 218 "Riforma del sistema italiano di Diritto internazionale privato " che recita : " La responsabilità per fatto illecito è regolata dalla legge dello stato in cui si è verificato l'evento. " Di conseguenza, ogni sinistro che si verifica in territorio italiano è soggetto all'applicazione della legge italiana in materia ( lex loci ) .

La circolare mette in evidenza innanzitutto l'innovazione apportata dalla Legge n°40/98 con la deroga esplicita ivi contenuta alla verifica delle condizioni di reciprocità per gli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio italiano ( art. 2 c.2 d.lgs. 286/98 ), identificati dal successivo regolamento di attuazione (d.p.r. 394/99) con i titolari di carta di soggiorno nonché di permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo o per motivi di famiglia. Non vi sono pertanto più dubbi che per tali categorie di cittadini stranieri l'applicazione della condizione di reciprocità ai fini dell'ammissione al diritto al risarcimento dei danni conseguenti ai sinistri non trovi più alcuna legittimità come anche riconosciuto dalla scarna giurisprudenza fin qui maturata.( Corte d'appello di Milano 12.05.1999, pubblicata sulla rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza" Franco Angeli editore n°1/2000).

La circolare dell 'Istituto non si limita peraltro a tale argomentazione, ma innovando anche rispetto alla giurisprudenza maggioritaria di Cassazione (per tutte Cass. 03.02.1993 n°1309), afferma che il diritto al risarcimento del danno biologico subito dallo straniero non costituisce un mero diritto civile da far ricadere sotto l'art .16 dispos. Prel. C.C. così come derogato parzialmente dalla legge sull'immigrazione, bensì trova primaria giustificazione nell'obbligo di rispetto del principio costituzionale del diritto fondamentale alla salute che non ammette disparità di trattamento a seconda della regolarità o meno del soggiorno in Italia. La regolarità o meno del soggiorno in Italia dello straniero che chiede il risarcimento non ha quindi rilevanza ai fini dell'accesso al diritto, ma soltanto ai fini della valutazione e quantificazione dell'ammontare effettivo del danno che va effettuata con riferimento al luogo ove il soggetto conduce la sua esistenza e svolge la sua attività e avendo quindi in considerazione i parametri economici del paese di origine del danneggiato se non regolarmente soggiornante nel nostro Paese.

La circolare precisa infine che tali considerazioni devono trovare applicazione in tutto il settore della responsabilità civile e non solo in quello della r.c auto, ogni qual volta il danneggiato sia un cittadino extracomunitario (si pensi ad esempio al caso non infrequente del danno biologico subito per infortunio sul lavoro dallo straniero clandestino, non assicurato dunque all'INAIL).

26. Il Ministero della Sanità definisce con propria circolare procedure e modalità per il riconoscimento dei titoli professionali sanitari conseguiti all'estero da parte dei cittadini extracomunitari già legalmente residenti in Italia ovvero che intendono trasferirsi in Italia per esercitare una professione sanitaria. Resa possibile l'assunzione di personale straniero anche da parte delle strutture sanitarie pubbliche.

Con l'entrata in vigore del regolamento di attuazione e della direttiva sulla programmazione dei flussi di ingresso operativa la disciplina sul riconoscimento dei titoli di studio ai fini dell'esercizio delle libere professioni da parte di cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti.

Con circolare del Ministro della Sanità, diffusa agli inizi di aprile, sono state diramate le disposizioni operative per il riconoscimento dei titoli professionali conseguiti all'estero da cittadini extracomunitari, ai fini dell'esercizio delle professioni sanitarie in Italia, secondo quanto previsto dall'art. 37 del T.U. delle norme sull'immigrazione e dall'art. 49.2 del regolamento attuativo.

Le disposizioni distinguono tre situazioni, a seconda che il titolo professionale sia stato: a) conseguito in Italia; b) in un altro paese dell'Unione Europea o c) in un paese non aderente all'Unione Europea.

  1. Il cittadino extracomunitario che ha conseguito il titolo professionale in Italia può iscriversi direttamente agli ordini o collegi professionali ed esercitare la professione se regolarmente soggiornante nel nostro paese alla data del 27 marzo 1998. Qualora il soggiorno legale in Italia sia decorso da data successiva al 27 marzo 1998 ovvero abbia conseguito il titolo dopo quella data può iscriversi all'ordine o collegio professionale solo previo parere favorevole del Ministero delle Sanità, nell'ambito del sistema delle quote previste dal decreto annuale di programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro (La direttiva per la programmazione dei flussi in Italia di cittadini extracomunitari per motivi di lavoro per l'anno 2000, consente l'ingresso a 2.000 lavoratori autonomi, incluso l'accesso alle libere professioni di coloro già regolarmente soggiornanti).
  2. Il cittadino extracomunitario che è in possesso di un titolo professionale conseguito, ovvero riconosciuto equipollente in un paese dell'Unione Europea, può chiedere il riconoscimento del titolo in Italia presentando apposita istanza al Ministero della Sanità, allegando i seguenti documenti:

Il Ministero della Sanità valuterà l'istanza di riconoscimento convocando la Conferenza dei Servizi prevista dall'art. 12 del D.lgs. 27.01.1992 e dall'art. 14 del d.lgs. 02.05.1994, n. 319, prevedendo eventualmente con apposito decreto che il riconoscimento sia subordinato al superamento di una misura compensativa quale, nel caso di titoli di studio di medico chirurgo, veterinario, odontoiatra e farmacista, il superamento dell'esame di abilitazione professionale.

Il riconoscimento potrà avvenire solo entro le quote annuali di programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro, dalle quali sono esentati i cittadini extracomunitari regolarmente presenti in Italia alla data del 27.03.1998 ed in possesso dei requisiti.

In ogni caso, l'iscrizione all'albo è subordinata all'accertamento della conoscenza della lingua italiana, da svolgersi a cura dei rispettivi ordini e collegi professionali.

  1. Il cittadino extracomunitario regolarmente residente in Italia può chiedere il riconoscimento del titolo professionale sanitario conseguito in un paese non appartenente all'Unione Europea, facendo apposita istanza al Ministero della Sanità, allegando la seguente documentazione:

Valgono le norme già citate con riferimento ai titoli conseguiti nei paesi UE circa le modalità per il riconoscimento del titolo, la fissazione di eventuale misure compensative, la deroga al regime delle quote per i cittadini stranieri già presenti in Italia regolarmente alla data del 27 marzo 1998 e la conoscenza della lingua italiana.

Alle condizioni sopra riassunte potranno chiedere il riconoscimento in Italia del proprio titolo professionale sanitario anche i cittadini extracomunitari ancora residenti all'estero che intendano trasferirsi in Italia per l'esercizio della professionale sanitaria. In questo caso, l'istanza sarà inoltrata per il tramite dello "sponsor" in Italia, ovvero del soggetto, pubblico o privato, che si fa garante del suo soggiorno in Italia per un anno per motivi di ricerca di lavoro oppure tramite il datore di lavoro in Italia che intenda assumerlo presentando apposita istanza nominativa all'ufficio provinciale del lavoro (meccanismo della chiamata nominativa), secondo le modalità e nei limiti delle quote previste dal decreto sulla programmazione dei flussi di ingresso per l'anno 2000.

La circolare del Ministero della Sanità reca istruzioni anche riguardo al riconoscimento di eventuali titoli professionali complementari che costituiscono in alcuni casi requisito necessario o preferenziale per lo svolgimento di alcune attività in seno al Servizio Sanitario Nazionale (ad es. diplomi di specializzazione dell'area medica o infermieristica,…).

Con decreto del Ministero della Sanità dd. 18.11.1998, n. 514 (G.U. 08.03.1999, n. 55) era stato già precedentemente fissato in 120 giorni il termine entro il quale deve concludersi il procedimento amministrativo relativo ad istanze di riconoscimento (equipollenza) di titoli di studio acquisiti in paesi extracomunitari, per lo svolgimento delle professioni sanitarie in Italia, da parte di cittadini italiani, immigrati extracomunitari o rifugiati politici. L'ufficio competente per detto procedimento è il Dipartimento delle professioni sanitarie, delle risorse umane e tecnologiche in sanità e dell'assistenza sanitaria di competenza statale, ufficio III, Piazzale dell'industria 20 - 00144 ROMA.

La legge sull'immigrazione ed il relativo regolamento di attuazione hanno contemplato una deroga al requisito della cittadinanza italiana per l'assunzione da parte dei presidi e delle istituzioni pubbliche di personale extracomunitario munito del riconoscimento dei titoli professionali sanitari, con la manifesta finalità di risolvere in tal modo la carenza di personale, soprattutto, infermieristico in talune aziende ed unità sanitarie locali. La circolare ministeriale prevede che l'assunzione del personale straniero da parte delle aziende sanitarie non possa avvenire in ruolo, essendo questa riservata ai cittadini italiani, bensì attraverso contratto di diritto privato a tempo determinato, di durata non superiore a quella del permesso di soggiorno, garantendo comunque parità di trattamento ed eguaglianza di condizioni lavorative rispetto ai cittadini italiani.

La circolare infine detta le complesse modalità di coordinamento tra Regioni, Ufficio provinciali dal Lavoro, datori di lavoro privati ed istituzionali e Ministero della Sanità per una razionale valutazione delle esigenze complessive di personale sanitario straniero e la relativa distribuzione del medesimo sul territorio nazionale, nonché per una semplificazione delle procedure di riconoscimento.

Alla circolare sono allegati, infine, i fac- simile di domanda per il riconoscimento del titolo e l'elenco delle professioni sanitarie regolamentate nel nostro paese.

La circolare è stata pubblicata integralmente sul n. 2/2000 della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", edita da Franco Angeli.

Con l'entrata in vigore del regolamento di attuazione della normativa sull'immigrazione, non sono solo i titoli professionali sanitari in possesso del cittadino extracomunitario legalmente residente ad essere riconoscibili. In base a quanto previsto dai decreti legislativi citati n. 115/92 e 319/94, il Ministero della Giustizia è competente per il riconoscimento dei titoli professionali per le attività fra l'altro di avvocato, commercialista, biologo, chimico, agronomo, geologo, ingegnere, psicologo, consulente del lavoro, ragioniere, geometra, perito agrario ed industriale, giornalista; il Ministero dell'industria per le attività di consulente della proprietà industriale e di mediatore al commercio, il Ministero dell'Istruzione per le attività di insegnamento.

 

  1. Decretata la ripartizione dello stanziamento del Fondo per le politiche migratorie per l'anno 2000 per le politiche di accoglienza e d'integrazione promosse dalle Regioni, l'assistenza ai rifugiati temporanei dalla Repubblica Federale di Jugoslavia (Kosovo) da parte del Ministero dell'Interno, l'accoglienza di immigrati e profughi nella regione Puglia, gli interventi del Dipartimento Affari Sociali ed il funzionamento del Comitato per la tutela dei minori stranieri, nonché per le attività del CNEL in materia di immigrazione e le necessità della Commissione per le politiche di integrazione. Definite dal Ministero per la Solidarietà Sociale le linee guida per la predisposizione dei programmi regionali di intervento per l'integrazione degli immigrati finanziati con i mezzi del Fondo nazionale per le politiche migratorie.
  2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 giugno 2000 (in G.U. 26.07.2000 n. 173), è stato ripartito lo stanziamento del Fondo per le politiche migratorie di cui all'art. 45 del TU sull'immigrazione per l'anno 2000.

    Quasi 54 miliardi e mezzo sono stati destinati alle regioni per le politiche di accoglienza e integrazione, in base ad una ripartizione condotta secondo tre parametri: la presenza degli immigrati sul territorio (peso 60%); il rapporto tra immigrati e popolazione locale (20%); la condizione socio-economica delle aree di riferimento - indice di disoccupazione - (peso 20%). Una quota fissa pari a 220 milioni di lire è stata erogata alle Regioni Valle d'Aosta, Molise e Basilicata al fine di dotarle di una disponibilità finanziaria adeguata a promuovere una minima attività programmatoria. Il CNEL continua a monitorare le politiche di integrazione sociale degli stranieri, attraverso il funzionamento e l'attuazione di un apposito organismo nazionale di coordinamento (ONC), per il cui finanziamento sono stati destinati 500 milioni dal Fondo per le politiche migratorie.

    Dal suddetto Fondo sono stati assegnati inoltre 10 miliardi al Ministero dell'Interno, di cui 5 per le attività di assistenza ai rifugiati provenienti dal Kosovo in base al DPCM 30.12.1999 sulla proroga della protezione temporanea e i rimanenti 5 per interventi predisposti dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Per la realizzazione di strutture di prima accoglienza volte a fronteggiare l'emergenza degli arrivi di immigrati e profughi sulle coste pugliesi sono stati assegnati 13 miliardi. Poco più di 2 miliardi sono invece destinati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli Affari Sociali, anche con il fine di finanziare il funzionamento della Consulta per i problemi degli stranieri, nonché il Comitato per la tutela dei minori stranieri, chiamato ad affrontare i complessi problemi legati alla gestione dei minori stranieri non accompagnati e ai programmi per il loro eventuale "rimpatrio assistito". Infine, 900 milioni sono stati destinati per le necessità della Commissione per le politiche di integrazione, prevista dall'art. 46 del TU e che recentemente ha pubblicato il suo rapporto annuale sull'integrazione degli immigrati in Italia (edizioni Il Mulino).

    Con decreto 06.12.1999 (in G.U. del 26.02.2000, n. 47), il Ministro per la Solidarietà Sociale aveva definito le linee guida per la predisposizione dei programmi regionali di intervento per l'integrazione degli immigrati, nonché il modello uniforme che le Regioni devono utilizzare per la comunicazione al Ministero dei dati statistici e socio-economici e degli altri parametri utilizzati ai fini dell'elaborazione e valutazione degli interventi. Nel decreto il Ministro per la Solidarietà Sociale indica che le Regioni dovranno utilizzare i mezzi messi a disposizioni dallo Stato attraverso il Fondo nazionale per le politiche di integrazione mediante la definizione e realizzazione di accordi di programma a livello provinciale o di area metropolitana, sulla base di una concertazione che veda coinvolti gli enti locali e gli organismi istituzionali e del privato-sociale. Le regioni dovevano comunicare i propri programmi al Dipartimento Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri entro il 12 maggio 2000 compilando l'apposito modulo uniforme e le schede di progetto. Successivamente le Regioni saranno chiamate a monitorare e valutare la realizzazione dei programmi di intervento, comunicandone gli esiti al Dipartimento. Tra gli obiettivi che dovrebbero essere raggiunti attraverso l'utilizzo dei fondi per l'integrazione, il Ministero individua come prioritari l'informazione e l'orientamento legale degli immigrati, mediante la creazione di sportelli informativi unitari a livello locale, la creazione di centri di prima accoglienza, la realizzazione di progetti di seconda accoglienza abitativa, con speciale riguardo alle vittime della tratta e alle donne sole con minori, la mediazione culturale.

     

  3. Definiti tutti gli strumenti giuridici per l'istituzione in ciascuna provincia dei Consigli territoriali per l'immigrazione previsti dalla legge sull'immigrazione.
  4. Con il varo del DPCM 18.12.1999 (in GU n. 13 del 18.01.2000) sono stati completati tutti gli adempimenti giuridici necessari per l'istituzione in ciascuna provincia dei Consigli territoriali per l'immigrazione, previsti dall'art. 3 comma 6 del TU e la cui composizione è stata specificata dall'art. 57 del regolamento di attuazione (DPR 31.08.1999, n. 394). I consigli territoriali per l'immigrazione sono organi a carattere meramente consultivo, presieduti dal Prefetto della provincia, e ai quali spetteranno compiti di analisi delle esigenze e di promozione degli interventi a livello locale. Il regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione prevede che tali consigli siano composti dai rappresentanti dei competenti uffici periferici delle amministrazioni dello Stato, dal Presidente della provincia, da un rappresentante della Regione, dal sindaco del comune capoluogo e uno dei comuni della provincia, dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro, delle associazioni di immigrati e degli enti e associazioni attive nel campo dell'assistenza agli immigrati. Ora spetta ai Prefetti procedere alla nomina dei componenti dei Consigli su designazione delle amministrazioni, organizzazioni, associazioni ed enti interessati.

  5. Definiti i criteri e le modalità per la selezione ed il finanziamento dei programmi di assistenza ed integrazione sociale a favore delle vittime della tratta di donne e minori ai fini di sfruttamento sessuale, in relazione all'attuazione delle misure di protezione sociale di cui all'art. 18 del TU sull'immigrazione. Già venuti in scadenza il 27 dicembre scorso i termini per la presentazione di domande di finanziamento dei progetti per l'anno 1999.
  6. L'uscita del regolamento applicativo della legge sull'immigrazione ed una successiva circolare del Ministero dell'Interno "correggono" quanto affermato in una precedente circolare amministrativa del Ministero dell'Interno circa le modalità del rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale. Prevista la sospensione dell'eventuale espulsione pregressa nell'ipotesi in cui per lo straniero sia proposta l'adozione delle misure di protezione sociale.

    Con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ministro per le pari opportunità- 23 novembre, 1999 (in GU n. 291 dd. 13.12.1999) sono stati fissati i criteri e le modalità per la selezione dei programmi di assistenza e di integrazione sociale delle vittime del traffico di donne e minori ai fini di sfruttamento sessuale, che possono beneficiare delle particolari norme di protezione sociale di cui all'art. 18 del TU delle disposizioni concernenti l'immigrazione. In base a quanto previsto dal suddetto decreto, sono ammissibili al finanziamento due tipologie di programmi di assistenza ed integrazione sociale così di seguito definite: a) azioni di sistema; b) programmi di protezione sociale.

    Per i primi si intendono interventi volti all'informazione, alla sensibilizzazione sul fenomeno, alla formazione professionale degli operatori, al monitoraggio degli interventi, alla promozione di iniziative di cooperazione internazionale con i paesi interessati. Per i secondi si intendono i programmi rivolti specificatamente ad assicurare un percorso di assistenza e protezione allo straniero che intenda sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti di soggetti dediti al traffico di persone, in particolare donne e minori, anche al fine di consentirgli l'accesso allo speciale permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale di cui all'art. 18 del TU, secondo le modalità applicative previste dall'art. 27 del regolamento di esecuzione (Dpr. N. 394/99). Alle azioni di sistema sarà destinata una quota delle risorse disponibili non superiore al 25% e comunque potranno essere finanziati soltanto progetti proposti da soggetti pubblici, mentre ai finanziamenti per i progetti relativi ai programmi di protezione sociale potranno accedere oltre ai soggetti pubblici (regioni, province, comuni, consorzi), anche i privati iscritti nell'apposita sezione del registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati di cui all'art. 52 comma 1 lettera c) del DPR 31.08.1999, n. 394. Non essendo state ancora definite le modalità operative per la tenuta del suddetto registro, per le richieste di contributi relative all'esercizio finanziario 1999 non si è tenuto conto di detto requisito. I progetti saranno valutati da un'apposita commissione interministeriale prevista dall'art. 25 comma 2 del DPR n. 394/99, istituita con decreto 11 novembre 1999, e di cui fanno parte rappresentanti dei ministeri delle pari opportunità, per la solidarietà sociale, dell'interno e di grazia e giustizia. I termini e le modalità per la presentazione dei progetti saranno di volta in volta comunicati con appositi avvisi del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, consultabili anche sul sito Internet: //www.palazzochigi.it/pariopportunita/strumenti/tratta.htm. Si fa tuttavia presente che per i contributi relativi all'esercizio finanziario 1999, i termini di presentazione delle domande sono già scaduti lo scorso 27 dicembre.

    Il regolamento applicativo della legge sull'immigrazione, così come confermato dalla circolare del Ministero dell'Interno dd. 17.04.2000, ha chiarito definitivamente l'esistenza di due distinte procedure di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, a seconda che la proposta provenga dai servizi sociali dell'ente locale o dalle associazioni riconosciute, ovvero dal procuratore della Repubblica. Nel primo caso la decisione del questore circa l'esistenza dei presupposti di legge per il rilascio del permesso di soggiorno verrà adottata senza che sia necessario acquisire il parere del Procuratore della Repubblica e prima, dunque, che venga avviato un eventuale procedimento penale. Viene così smentita una circolare del Ministero dell'Interno (n. 300 dd. 25.10.1999), emanata prima dell'uscita del regolamento applicativo, che disponeva l'obbligatorietà del parere del procuratore della Repubblica anche nei casi di richiesta di adozione delle misure di protezione proveniente dai servizi sociali o dal volontariato. Tuttora valida invece l'indicazione contenuta nella suddetta circolare sulla sospensione dell'eventuale espulsione pregressa dello straniero ritenuto meritevole delle misure di protezione sociale, a meno che l'espulsione non sia stata disposta per motivi di ordine e sicurezza pubblica.

    Per ulteriori precisazioni e commenti sulla materia del rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, si rimanda all'articolo di Maria Grazia Giammarinaro, pubblicato sul numero 4/1999 della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza" (Franco Angeli editore).

  7. Consegnata al Governo italiano la relazione della Commissione per le politiche di integrazione contenente le proposte di modifica della legislazione sull'acquisto della cittadinanza italiana.
  8. La Commissione per le politiche di integrazione, presieduta dalla prof.ssa Giovanna Zincone, ha consegnato al Ministero per la Solidarietà Sociale che l'aveva commissionata, la relazione contenente le proposte di modifica delle modalità di acquisto della cittadinanza italiana attualmente previste dalla legge n. 91/92. La relazione constata innanzitutto che le legislazioni sulla cittadinanza dei paesi europei tendono sempre più a convergere su quattro punti: a) favorire i minori nati sul territori, cioè le seconde e ancor più le terze generazioni di immigrati; b) facilitare l'acquisizione della cittadinanza per gli stranieri non comunitari se residenti da lungo tempo e integrati nel paese di immigrazione; c) scoraggiare i matrimoni di comodo; d) attuare la parità tra uomo e donna.

    La Commissione rileva in proposito che sui primi due punti, l'Italia è decisamente più severa di altri paesi, dando spazio assai limitato all'acquisto della cittadinanza per nascita sul territorio dello Stato (principio dello jus soli) e prevedendo criteri e requisiti particolarmente severi ed esigenti in materia di naturalizzazione, a partire da quello della residenza decennale (il termine più elevato previsto nell'Unione Europa). La nostra legislazione, sostiene la Commissione, è invece decisamente più generosa sulla naturalizzazione per matrimonio, contraddicendo anche le linee suggerite dal Consiglio di Europa sulla cittadinanza e dal Consiglio dei Ministri dell'Unione sulla lotta ai matrimoni di comodo. Prendendo spunto dal parere di molti studiosi, secondo cui la doppia cittadinanza costituisce un forte incentivo alle naturalizzazioni e, dunque, all'integrazione degli immigrati, la Commissione auspica il ritiro della circolare del Ministero dell'Interno (n. K.60.1 dd. 22.11.1994) che prevede lo svincolo dalla cittadinanza di origine quale condizione per la concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione. Le considerazioni e le proposte contenute nella relazione della "Commissione Zincone" intendono avviare una discussione su una nuova normativa sulla cittadinanza che sappia "inserirsi in un progetto più ampio di integrazione ragionevole degli immigrati nella società italiana, un progetto che non pretenda assimilazioni culturali a tappe forzate, ma richieda il rispetto della legalità e la disponibilità ad apprendere gli strumenti necessari ad interagire con la società in cui si risiede e si intende vivere". Copia della relazione della Commissione può essere richiesta alla segreteria dell'ASGI (tel. e fax 040/382651, e-mail: ledaz@tin.it ).

  9. Il regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione limita le possibilità di ricorso all'autocertificazione da parte dei cittadini extracomunitari che erano state prefigurate in base alle circolari dei Ministeri dell'Interno, di Grazia e Giustizia e dei Trasporti e della Navigazione, applicative delle norme in materia di semplificazione amministrativa . Una circolare del Ministero dell'Interno specifica che anche la dimostrazione della residenza anagrafica in Italia può essere oggetto di autocertificazione da parte dei cittadini extracomunitari
  10. L'art. 2 del regolamento di attuazione del TU in materia di immigrazione (Dpr n. 394/99), rubricato "Rapporti con la pubblica amministrazione", limita l'accesso alle norme sull'autocertificazione per i cittadini extracomunitari nei soli casi relativi a stati, fatti e qualità personali certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici o privati italiani (tra cui ad esempio il possesso del permesso di soggiorno in corso di validità, tranne nei casi in cui sia prescritto l'obbligo di esibirlo), fatte comunque salve le disposizioni del testo unico o del regolamento medesimo che prevedano l'esibizione o la produzione di specifici documenti. Negli altri casi - prosegue il regolamento- qualora si tratti di certificare o attestare stati, fatti, o qualità personali diversi da quelli sopraindicati, il cittadino extracomunitario è tenuto necessariamente a esibire i certificati o le attestazioni rilasciate dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall'autorità consolare italiana, che deve attestare la conformità del documento all'ordinamento locale.

    Il regolamento di attuazione delle norme sull'immigrazione sembra così escludere le specifiche ed aggiuntive modalità di accesso all'autocertificazione da parte dei cittadini extracomunitari previste dall'art. 5 del decreto del Ministero di Grazia e Giustizia 22 maggio 1995, n. 431, "mediante dichiarazioni rese dinanzi ai funzionari dei consolati dei paesi d'origine, sulla base del mutuo riconoscimento e fatto comunque salvo quanto previsto dalle vigenti Convenzioni internazionali in materia di legalizzazione e di autenticazione di documenti e di firme". In base a tali disposizioni, all'autocertificazione resa dinanzi alle sedi consolari in Italia dei paesi di origine degli stranieri seguirebbe la facoltà delle autorità italiane di effettuare i controlli sulla loro veridicità, ricorrendo alle competenti autorità diplomatiche e consolari italiane all'estero.

    Pari disposizioni erano contenute nella circolare del Ministero dei Trasporti e della Navigazione, diramata in data 24 marzo 1999 (G.U. 15.07.1999, n. 164) sempre con riferimento all'attuazione delle disposizioni sulla semplificazione amministrativa (leggi n. 127/97, 191/1998, D.P.R. 20.10.1998 n. 403), in aggiunta alle istruzioni già impartite con circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 22.02.1999 (G.U. 25.02.1999 n. 46) e del Ministero dell'Interno del 21.01.1999.

    Il 23 febbraio 1999 infatti sono entrate in vigore le norme di semplificazione amministrativa che hanno esteso l'autocertificazione, innanzi a qualsiasi pubblica amministrazione, ivi compreso nelle procedure amministrative di competenza della motorizzazione civile, ad una serie di dati o qualità personali, quali le situazioni anagrafiche e di stato civile, i titoli di studio, la situazione reddituale e lavorativa, ecc.

    Le medesime disposizioni hanno apportato significative modifiche alle norme sulle dichiarazioni sostitutive di atto notorio, le quali se corrispondenti a dichiarazioni di conoscenza relative all'avvenuto accadimento di eventi materiali, circostanze, o a situazioni giuridicamente rilevanti (e non dunque a manifestazioni di volontà, quali procure, deleghe, che restano di competenza notarile), possono essere effettuate direttamente dinanzi al funzionario dell'ufficio della pubblica amministrazione competente per la presentazione di una determinata istanza.

    La circolare del Ministero dell'Interno dd. 22.06..1999 ha stabilito che anche ai fini della dimostrazione della residenza in Italia, i cittadini extracomunitari non sono tenuti ad esibire la relativa certificazione, potendo avvalersi delle norme sulle dichiarazioni sostitutive.

    Per quanto concerne i cittadini di paesi appartenenti all'Unione Europea, le norme sulla semplificazione amministrativa si applicano con le stesse modalità previste per cittadini italiani.

    L'autocertificazione non veritiera comporta la fattispecie dei reati di dichiarazione mendace, di falsità in atti o di uso di atti falsi, puniti ai sensi del Codice penale e delle leggi speciali in materia (art. 26 l. 15/68), così come il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguiti da provvedimenti emanati sulla base delle dichiarazioni mendaci rese (art. 11 comma 3 Dpr 403/98).

  11. Soppresso definitivamente a partire dal 1 gennaio 2000 il prelievo sulla busta paga a carico del lavoratore extracomunitario nella misura dello 0,5%, previsto dall'art. 13 comma 2 della legge n. 943/86.
  12. Come confermato dalle circolari emanate dall'INPS (17 dicembre 1998 n. 258, 26 marzo 1999, n. 67), in ottemperanza a quanto previsto dall'art. 45.3 del TU sull'immigrazione, a partire dal 1 gennaio 2000 i lavoratori extracomunitari non sono più assoggettati al prelievo obbligatorio sulla busta paga previsto nella misura dello 0,5% dall'art. 13 comma 2 della legge n. 943/86 al fine dell'istituzione di un fondo per il rimpatrio volontario presso l'INPS. Tale fondo nel corso della sua esistenza è stato utilizzato solo in minima parte, per il rimpatrio di qualche decina di salme di cittadini extracomunitari. Con l'entrata in vigore della legge n. 40/98, è stato previsto un periodo transitorio durante il quale tale contributo obbligatorio a carico dei lavoratori extracomunitari è stato destinato a diverso scopo, andando a finanziare il fondo nazionale per le politiche migratorie, fino alla definitiva soppressione, a decorrere appunto dal 1 gennaio 2000.

  13. Una storica sentenza della Corte di Cassazione estende il principio della risarcibilità del danno subito dal cittadino in relazione ad atti della Pubblica Amministrazione che abbiano leso "interessi legittimi". Le possibili applicazioni nel campo della tutela degli immigrati.

In virtù di una giurisprudenza consolidata, la risarcibilità del "danno ingiusto" (prevista dall'art. 2043 del Codice Civile) provocato da un atto della Pubblica Amministrazione poteva essere invocata ed ottenuta in sede giudiziaria solo in caso di lesione di diritti soggettivi e non di interessi legittimi. Con una storica sentenza resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. N. 500 del 27 luglio 1999) tale orientamento è stato superato, venendo meno quella che i giudici stessi hanno definito come "un'isola di immunità e di privilegio" di cui godeva la Pubblica Amministrazione e che "mal si concilia con le esigenze più elementari di giustizia".

In pratica, per tutti gli atti amministrativi che producevano un danno ai cittadini, si poteva chiedere solo l'annullamento da parte del giudice amministrativo (TAR e Consiglio di Stato), senza però ricevere alcun risarcimento. D'ora in avanti, invece, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, il cittadino che si ritiene vittima di un danno ingiusto prodotto da un atto della PA che abbia violato un suo interesse legittimo, sia a carattere oppositivo (che mira cioè ad evitare un provvedimento sfavorevole) che pretensivo (che voglia ottenere un provvedimento favorevole), potrà proporre dinanzi al giudice ordinario un'azione risarcitoria ex art. 2043 CC.

Il risarcimento potrà essere disposto dal giudice solo previo accertamento non solo dell'illegittimità dell'azione amministrativa, bensì in base ad una più complessa valutazione, estesa anche all'accertamento della colpa della PA, che presuppone la violazione delle regole di imparzialità, correttezza e di buona amministrazione cui la PA deve riferirsi nell'esercizio delle sue funzioni. Poiché l'accertamento diretto da parte del giudice ordinario dell'illegittimità dell'azione amministrativa è un elemento costitutivo della valutazione attinente la sussistenza del "danno ingiunto", la sentenza della Corte di Cassazione apre la strada alla possibilità per il cittadino di rivolgersi direttamente al giudice ordinario anche a prescindere dalla declaratoria di illegittimità del provvedimento da parte del giudice amministrativo, naturalmente nei casi in cui non sia prevista la giurisdizione piena ed esclusiva del secondo in base al D.L.vo n. 80/1998.

La sentenza della Corte di Cassazione è suscettibile di possibile ed estese applicazioni anche nel campo della tutela degli interessi legittimi dei cittadini immigrati extracomunitari rispetto ad atti lesivi prodotti dalla Pubblica Amministrazione. Si pensi al caso del cittadino immigrato che si veda rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno ovvero che questo gli venga illegittimamente revocato e da questo atto degli uffici di polizia gli derivi un danno economico, quale la perdita del posto di lavoro precedentemente posseduto. Finora tale cittadino poteva soltanto chiedere l'annullamento del provvedimento di rifiuto/revoca del permesso di soggiorno al giudice amministrativo e, anche in caso di esito favorevole, magari dopo diversi anni, non aveva diritto ad alcuna forma di risarcimento. Oggi, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, potrebbe rivolgersi direttamente al giudice ordinario (civile) per chiedere il risarcimento dei danni in base alla nuova lettura dell'art. 2043 del Codice Civile, e l'eventuale esito favorevole implicherebbe anche la dichiarazione di illegittimità dell'atto amministrativo.

34. Entrata in vigore il 18 gennaio 2000 nella sua interezza la legge 12 marzo 1999, n. 68 recante nuove norme per il diritto al lavoro dei disabili che riforma il sistema del collocamento obbligatorio. I cittadini extracomunitari invalidi civili pienamente equiparati ai cittadini italiani per l'accesso a tali agevolazioni all'inserimento nel mercato del lavoro. Definiti i criteri e le modalità per gli adempimenti informativi periodici cui sono soggetti i datori di lavoro. Emanato il regolamento che disciplina il fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili.

Il 18 gennaio 2000 è entrata in vigore nella sua interezza la legge che stabilisce "le norme per il diritto al lavoro dei disabili" (legge 12 marzo 1999, n. 68 Suppl. G.U. n. 57/L dd. 23.03.1999), abrogativa della legge n. 482/1968 e che rivede l'intero sistema del collocamento obbligatorio. In base alle nuove norme, i datori di lavoro con oltre 50 dipendenti sono tenuti ad assumere persone invalide nella misura del 7 per cento del proprio personale, mentre quelli con un numero di dipendenti compreso tra 35 e 50 sono tenuti ad assumere almeno due persone disabili e quelli con un numero di dipendenti di almeno 15 ed inferiore a 35 almeno una persona disabile. L'assunzione di persone disabili, oltre ad evitare le sanzioni previste nei casi di trasgressione, comporta per i datori di lavoro incentivi sotto forma di sgravi contributivi, finanziati da un apposito fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili, che ha trovato la sua disciplina con apposito decreto interministeriale del Lavoro e del Tesoro dd.13.01.2000 pubblicato sulla G.U. dd. 14 aprile 2000. Entro il 31 maggio il Ministero del Lavoro effettuerà la ripartizione del fondo alle Regioni per l'anno 2000, mentre i datori di lavoro dovranno presentare i programmi per ottenere le agevolazioni contributive. Gli adempimenti spettanti alle Regioni dovranno concludersi entro il 31 ottobre. Il collocamento obbligatorio viene decentrato alle Regioni.

A questi incentivi all'inserimento nel mercato del lavoro possono concorrere i cittadini extracomunitari invalidi civili in regola con il soggiorno in Italia, a parità di condizioni con il cittadino italiano. Con sentenza n. 454 dd. 30 dicembre 1998, pubblicata sulla G.U. Serie speciale dd. 13.01.1999, la Corte Costituzionale ha infatti a riconosciuto il diritto dei cittadini extracomunitari invalidi civili di iscriversi alle liste del collocamento obbligatorio disciplinate a suo tempo dalla legge n. 482/1968., alla pari dei cittadini italiani. La Corte Costituzionale ha ritenuto illegittima la posizione del Ministero del Lavoro che si ostinava a negare l'accesso degli stranieri extracomunitari al collocamento obbligatorio, rilevandone il contrasto con i principi di parità di trattamento ed eguaglianza di opportunità dei lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti rispetto ai cittadini italiani, stabiliti già con l'adesione e la ratifica dell'Italia alla Convenzione n. 143 dell'OIL, successivamente ribaditi dalla legge n. 943/86 e, da ultimo, con la legge n. 40/1998, che è andata ancora più in là, stabilendo per gli stranieri extracomunitari la garanzia del godimento dei diritti in materia civile in condizioni di piena uguaglianza con i cittadini italiani.

Con decreto 22.11.1999 del Ministero del Lavoro (in GU 17.12.1999 n. 295) sono state definite le modalità e i criteri di periodicità per la trasmissione dei prospetti informativi da parte dei datori di lavoro, dai quali risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero e i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva in favore dei lavoratori beneficiari della disciplina sulle assunzioni obbligatorie, nonché i posti di lavoro e le mansioni ancora disponibili per quelli disabili. Tali prospetti saranno trasmessi entro il 31 gennaio di ogni anno al servizio apposito istituito presso le Regioni al fine di consentire le dovute azioni di controllo sull'effettiva applicazione delle norme.

  1. Pubblicato il testo dell'Accordo tra Governo, Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane, per riorganizzare e potenziare l'educazione permanente degli adulti.
  2. La Conferenza unificata Stato-Regioni e Stato-Città ed autonomie locali, con provvedimento dd. 2 marzo 2000 (in G.U. n. 147 del 26.06.2000) ha adottato l'accordo per la riorganizzazione ed il potenziamento dell'educazione permanente degli adulti, secondo le linee di intervento proposte in seno ai paesi dell'Unione Europea e richiamate dall'apposito documento allegato all'accordo medesimo. Mediante tale accordo, ci si prefigge di razionalizzare i sistemi di educazione permanente attivati sul territorio, al fine di orientarli verso il raggiungimento di obiettivi sociali, tra cui l'accoglienza e l'integrazione sociale degli immigrati. Nel documento viene definita tra l'altro l'articolazione del sistema generale di educazione permanente degli adulti, precisandone le competenze nazionali, regionali e locali.

  3. Il Ministero dell'Interno rivede i termini per la definizione dei procedimenti amministrativi che lo riguardano, ivi compresi quelli relativi al trattamento dei cittadini stranieri e alle pratiche di cittadinanza.

Con D.M. 18.04.2000 (in Suppl. ord. G.U. n. 129 dd. 05.06.2000), Il Ministero dell'Interno ha integrato e modificato il proprio regolamento di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 , adottato con D.M. 02.02.1993, . 284, come modificato dal D.M. 19.10.1996, n. 702. Il decreto in sostanza fissa i nuovi termini per la definizione di taluni atti amministrativi di competenza del Ministero, tra cui anche quelli relativi al trattamento dei cittadini stranieri e alle istanze di acquisto della cittadinanza italiana.

Viene fissato un nuovo termine per il rilascio dell'autorizzazione al rientro dello straniero espulso (ex art. 13 c. 13 del T.U. sull'immigrazione), pari a 120 gg.

Per quanto concerne le pratiche relative alla materia della cittadinanza italiana, di competenza del Servizio Cittadinanza Affari speciali e patrimoniali, Divisione Cittadinanza, il nuovo termine fissato per la ricognizione del possesso della cittadinanza italiana è di 730 gg,, quello per il conferimento della cittadinanza italiana per matrimonio è di 730 gg., così come della stessa durata è il termine per la concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione. Nel caso del riconoscimento dello status di apolidia il termine fissato è di 350 gg., elevato a 895 gg. qualora debba essere richiesto il parere della rappresentanza diplomatico o consolare e del Ministero Affari Esteri.

Dubbi peraltro emergono sull'effettivo rispetto di detti termini, visto che per il riconoscimento dello status di rifugiato viene prevista una scadenza di 60 gg., mentre la durata della procedura nella realtà in taluni casi supera anche l'anno.

 

37. Varate le disposizioni in attuazione della normativa comunitaria in materia di libertà di

circolazione e stabilimento dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi,

certificati ed altri titoli.

Con Decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (in G.U. dd. 23.10.1999 n. 250), in attuazione della direttiva comunitaria 93/16/CEE, sono state emanate le disposizioni in materia di libertà di circolazione e di stabilimento in Italia dei medici, cittadini di altri Stati membri dell'Unione Europea, e di riconoscimento dei loro diplomi, certificati e titoli di studio.

Il decreto include quattro allegati, nei quali sono specificati, paese per paese, i diplomi, certificati o titoli riconosciuti in Italia per l'accesso all'attività di medico chirurgo, medico chirurgo specialista, medico chirurgo di medicina generale nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale. Il decreto specifica le condizioni e le caratteristiche della formazione dei medici chirurghi, di quelli specialisti e di quella specifica in medicina generale, anche al fine dell'identificazione dei requisiti minimi per il riconoscimento dei titoli esteri comunitari. Speciali deroghe vengono previste per titoli che sanciscono una formazione iniziata anteriormente a determinate scadenze, in virtù del principio dei diritti acquisiti (art. 6) Al riconoscimento del titolo provvede il Ministero della Sanità entro tre mesi. Per esercitare il successivo diritto di stabilimento, l'interessato deve, entro sessanta giorni dalla comunicazione ministeriale, chiedere l'iscrizione all'ordine provinciale dei medici chirurghi, che deve provvedervi entro i successivi tre mesi (art. 33).

  1. Il Ministero degli Affari Esteri proroga lo stato di necessità al rimpatrio dei cittadini italiani e dei loro familiari a carico dalla Repubblica di Eritrea, dalla Croazia e da quella di Bosnia Erzegovina. Prorogato lo stato di necessità al rimpatrio dall'Etiopia per i cittadini italiani ivi residenti con ascendente o coniuge eritreo ovvero in possesso di cittadinanza eritrea.

Con decreto 12 giugno 2000 (in G.U. n. 148 del 27.06.2000) il Ministero Affari Esteri ha prorogato lo stato di necessità al rimpatrio dall'Eritrea per i cittadini italiani ivi residenti.

Con decreti dd. 01.02.2000 (in G.U. n. 36 del 14.02.2000) il Ministero degli Affari Esteri ha prorogato lo stato di necessità al rimpatrio dei cittadini italiani dalla Repubblica di Croazia e da quella di Bosnia Erzegovina.

Con decreto M.A.E. 24 giugno 2000 (in G.U. n. 160 del 11.07.2000) la proroga dello stato di necessità al rimpatrio è stata decisa anche per i cittadini italiani residenti in Etiopia con ascendente o coniuge eritreo ovvero in possesso anche di cittadinanza eritrea. La singolarità di tale decisione nasce dal fatto che a seguito dello scoppio del conflitto bellico tra Etiopia e Eritrea, avvenuto nell'estate del 1998, le autorità etiopiche hanno proceduto ad una massiccia campagna discriminatoria dei cittadini eritrei residenti nel paese e anche di quelli etiopici o di altra nazionalità, ma di appartenenza etnica eritrea, che ha condotto all'espulsione forzata di più di 70.000 di essi

Lo stato di necessità al rimpatrio consente ai cittadini italiani e ai loro familiari a carico, anche se di cittadinanza straniera, che decidono di rimpatriare in Italia dai luoghi di residenza all'estero, di usufruire delle provvidenze economiche e delle misure di integrazione sociale previste dalla legge n. 763/81 (G.U. 28.12.1981, n. 354), come modificata dalla legge n. 344/91 (G.U. 31.10.1991, n256). Quest'ultima prevede l'erogazione da parte della Prefettura competente per il territorio di un un'indennità di sistemazione e di un contributo straordinario di accoglienza pari rispettivamente a Lit. 4 milioni una tantum e 40.000 giornaliere per un periodo massimo di sei mesi per ciascun componente il nucleo familiare del profugo italiano. Le provvidenze economiche sono versate soltanto ai profughi che versino in stato di bisogno, tanto nel paese estero di precedente residenza al momento del rimpatrio, attestato da apposita dichiarazione dell'autorità consolare o diplomatica italiana o da dichiarazione sostitutiva del Ministero Affari Esteri, quanto in Italia a rimpatrio avvenuto, come attestato dalla locale Prefettura. Il riconoscimento dello status di profugo italiano e/o di familiare straniero di profugo italiano può essere richiesto entro quattro anni dalla data del rimpatrio, ma l'erogazione dell'indennità di sistemazione (pari a 4 milioni di lire) può essere richiesta solo se la residenza sia stata stabilita in Italia non oltre tre mesi dalla data di partenza dal paese di provenienza e se la richiesta è stata presentata nei tre mesi successivi dall'inizio della residenza anagrafica in Italia. La richiesta di erogazione del contributo alloggiativo da parte del profugo italiano riconosciuto e/o del suo familiare a carico, anche straniero, invece non è soggetta a prescrizione dei termini. I profughi di cittadinanza italiana ed i loro familiari a carico, anche stranieri, godono di altri benefici per il loro inserimento in Italia, tra cui il diritto ad usufruire di una riserva non inferiore al 20% nell'assegnazione degli alloggi in edilizia residenziale pubblica, il diritto di godere delle norme sul "collocamento obbligatorio" di cui alla legge n. 68/99 ovvero, in caso di una loro assunzione, i datori di lavoro potranno pagare i contributi previsti per gli apprendisti. Una volta cessato lo stato di necessità al rimpatrio nel paese di provenienza, possono anche decidere di farvi ritorno, usufruendo di un contributo di reinsediamento, qualora questo avvenga entro 60 giorni dalla dichiarazione ministeriale e previo accertamento della permanenza dello stato di bisogno da parte del profugo e/o dei suoi familiari (Per conoscere l'elenco dei paesi esteri per i quali il Ministero Affari Esteri ha proclamato o prorogato lo stato di necessità al rimpatrio dei cittadini italiani ivi residenti, si può contattare l'ufficio IV del MAE - Questioni legali, tutela e protezione dei cittadini italiani all'estero - La Farnesina, ROMA).

 

IMMIGRAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

39. La "legge Bassanini" ed il riordino delle competenze statali in materia di immigrazione.

Istituita a partire dal 1 gennaio 2000 in seno al Ministero Affari Esteri la Direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie.

(a cura di Paolo Bonetti)

Il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (pubblicato in G.U. 30 agosto 1999, suppl. ord.) provvede alla storica riforma del numero, delle attribuzioni e dell’organizzazione di tutti i ministeri in attuazione della delega legislativa disposta dalla legge n. 59/1997 (c.d. "legge Bassanini") e in tale sede si occupa anche delle competenze statali in materia di immigrazione.

La quarta area funzionale del Ministero dell’Interno, a cui corrisponderà l’istituzione di un apposito dipartimento che sostituirà tutte le precedenti strutture organizzative, si occuperà della tutela dei diritti civili, inclusi i rapporti con le confessioni religiose, nonché di cittadinanza, immigrazione e asilo (art. 14, comma 2, D. lgs. n. 300/1999).

Il riferimento alla materia della "cittadinanza" sembra alludere alle previgenti competenze del Ministero riguardo ai procedimenti di concessione della cittadinanza italiana e di riconoscimento dello stato di apolidia, mentre le materie "asilo" e "immigrazione" potrebbero alludere alle funzioni attinenti sia al sistema di ammissione, permanenza e allontanamento degli stranieri (comunitari ed extracomunitari), sia al trattamento degli stessi.

Si potrebbe ritenere pertinenti a tali materie le funzioni attinenti ai servizi sociali conservate allo Stato dall’art. 129, comma 1, lett. h) e l), D. Lgs. n. 112/1998, cioè rispettivamente "gli interventi di prima assistenza in favore dei profughi, limitatamente al periodo necessario alle operazioni di identificazione ed eventualmente fino alla concessione del permesso di soggiorno, nonché di assistenza temporanea degli stranieri da respingere o da espellere" e "le attribuzioni in materia di riconoscimento dello status di rifugiato ed il coordinamento degli interventi in favore degli stranieri richiedenti asilo e dei rifugiati, nonché di quelli di protezione umanitaria per gli stranieri accolti in base alle disposizioni vigenti".

Appare inoltre probabile che tale area funzionale (ed il relativo dipartimento di prossima istituzione) sia destinataria di tutte le competenze attribuite dalle leggi vigenti (cfr. T.U. approvato col D. lgs. n. 286/1998) all’amministrazione centrale del Ministero dell’Interno, incluse quelle attinenti con l’ordine e la sicurezza pubblica (il piano generale degli interventi per il potenziamento ed il perfezionamento dei controlli di frontiera, il decreto di espulsione per motivi di ordine pubblico o sicurezza nazionale, l'autorizzazione al reingresso anticipato degli stranieri espulsi, i contatti con i Paesi di origine degli stranieri anche ai fini della stipula di accordi di riammissione e di politiche migratorie, la definizione dei criteri di reperimento e di gestione dei centri di permanenza e di assistenza in cui devono essere trattenuti gli stranieri extracomunitari respinti o espulsi).

Poiché la materia dell’immigrazione straniera rientra tra le attribuzioni e i compiti che il D. Lgs. n. 300/1999 conferisce anche ad altri ministeri, concreto è il rischio che venga vanificato l'obiettivo della delega legislativa di "eliminare le duplicazioni organizzative e funzionali sia all'interno di ciascuna amministrazione, sia fra di esse".

L’immigrazione è espressamente inclusa tra le attribuzioni del Dipartimento per gli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri che sono trasferite al nuovo Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali (art. 45, comma 3, D. Lgs. n. 300/1999) che sarà istituito dalla prossima legislatura e ingloberà i Ministeri del Lavoro e della Previdenza Sociale e della Sanità e il predetto Dipartimento per gli Affari Sociali. Tra i compiti di tale ministero si include anche la "vigilanza sui flussi di entrata dei lavoratori esteri non comunitari" (art. 46,. comma 1, lett. d)); sulla base della vigente legislazione statale in materia di immigrazione a tale Ministero spettano altresì le competenze in materia di misure di integrazione sociale degli stranieri regolarmente soggiornanti e di gestione degli stanziamenti del fondo nazionale per le politiche migratorie che l’art. 133, comma 3, D. Lgs. n. 112/1998 destina al fondo nazionale per le politiche sociali, le cui risorse sono ripartite secondo criteri stabiliti dallo stesso nuovo ministero (art. 46, comma 1, lett. c) D.Lgs. n. 300/1999).

Ulteriori compiti in materia di immigrazione spettano altresì implicitamente al nuovo Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (che sarà istituito dalla prossima legislatura unificando i Ministeri della Pubblica Istruzione e dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica), nelle cui aree funzionali sono espressamente menzionati il riconoscimento dei titoli di studio stranieri e le condizioni di accesso al sistema scolastico e alle Università (art. 50 D. Lgs. n. 300/1999).

Si può altresì ritenere che la materia dell’immigrazione si possa considerare implicitamente mantenuta anche tra quelle attribuite al Ministero degli Affari Esteri sotto la voce (impropria) della "emigrazione" (art. 12, comma 1, D. Lgs. n. 300/1999) e tale conclusione può ritenersi scontata sia sulla base della vigente legislazione in materia di immigrazione che attribuisce al Ministero le competenze in materia di rilascio dei visti di ingresso, sia sulla base del recentissimo regolamento (emanato con D.P.R. 11 maggio 1999, n. 267) recante norme per l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, nonché delle relative funzioni, dell’Amministrazione centrale del Ministero degli Affari Esteri, il quale espressamente istituisce una direzione generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, che ha tra i suoi compiti quello di provvedere agli affari consolari e di trattare "le questioni concernenti gli stranieri in Italia". A seguito del decreto Ministero Affari Esteri dd. 10 settembre 1999 (in G.U. 13.10.1999 n. 241), la direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie, istituita a partire dal 1 gennaio 2000, è articolata in sei uffici, di cui il V° riservato alle politiche migratorie e dell'asilo ed il VI° alla questione dei visti. Per il resto nulla si può dire neppure circa le competenze in materia di immigrazione nell’ambito del nuovo ordinamento dell’amministrazione periferica, nella quale sono conservate le Questure e le Prefetture sono trasformate in Uffici territoriali del governo che, pur se inseriti nel Ministero dell’Interno, dipenderanno funzionalmente da ogni ministero ed eserciteranno tutte le competenze statali residue a livello periferico, escluse quelle delle amministrazioni della Pubblica Istruzione (sono soppressi i provveditorati agli studi e istituiti gli uffici scolastici regionali). L’ordinamento concreto dell’Ufficio territoriale del governo è infatti lasciato ad un successivo regolamento governativo. E’ dunque aperta alla possibilità (futura ed incerta) che ben si possano ordinare in modo strutturalmente omogeneo in tali uffici tutti i compiti e funzioni statali in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza, mentre il mantenimento delle figura distinta delle questure rende più improbabile che di tali compiti e funzioni del nuovo Ufficio territoriale del governo possano far parte anche quelli in materia di rilascio, rinnovo, revoca e conversione dei permessi di soggiorno e delle carte di soggiorno che la legge oggi affida al Questore.

 

 

ACCORDI INTERNAZIONALI

40. Pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale gli accordi di riammissione delle persone in condizioni di irregolarità stipulati tra l'Italia e rispettivamente la Tunisia, l'Ungheria, l'Estonia.

Sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 15.01.2000 (n. 14) relativo agli atti internazionali entrati in vigore per l'Italia nel periodo 16.09.1999-15.09.1999 non soggetti a legge di autorizzazione alla ratifica, sono stati pubblicati i testi degli accordi di riammissione delle persone in condizione di irregolarità stipulati tra il governo italiano e rispettivamente la Tunisia, l'Ungheria e l'Estonia.

La stipula di accordi di riammissione degli stranieri irregolari è prevista dalla normativa sull'immigrazione (legge n. 40/98), che all'art. 9.4 dispone che "il Ministero degli Affari Esteri ed il Ministero dell'Interno promuovano le iniziative occorrenti, d'intesa con i Paesi interessati, al fine di accelerare l'espletamento degli accertamenti ed il rilascio dei documenti eventualmente necessari per migliorare l'efficacia dei provvedimenti previsti dalla legge", così come all'art. 19.1 ne fa un cenno esplicito.

Gli accordi mirano ad ottenere la collaborazione delle autorità del paese straniero nelle operazioni di rimpatrio dei migranti non autorizzati sottoposti a provvedimento di espulsione o di respingimento alla frontiera, in particolare ai fini dell'ammissione sul territorio, previo eventuale concorso nell'identificazione dei soggetti qualora questi siano privi di documenti di riconoscimento ufficiali che ne attestino identità e nazionalità certe. L'Italia ha intensificato notevolmente negli ultimi anni la stipula di tali accordi con i principali paesi di provenienza o di transito di immigrati (ne risultano attualmente sottoscritti ed in vigore una ventina), quale parte integrante della propria politica migratoria, tesa all'obiettivo di dare maggiore esecutività possibile ai provvedimenti espulsivi intimati, mediante la collaborazione delle autorità dei paesi esteri. Quale incentivo alla stipula di tali accordi, la legge sull'immigrazione prevede l'assegnazione ai lavoratori dei paesi sottoscrittori di quote preferenziali di ingresso nell'ambito della politica di programmazione dei flussi, così come avvenuto con riferimento alla Tunisia, al Marocco e all'Albania negli anni 1998 e 1999 ed annunciato anche per l'anno 2000.

La stipula di tali accordi avviene in forma semplificata con conseguente sottrazione degli stessi alla procedura parlamentare di autorizzazione alla ratifica.

Oggetto di tali accordi bilaterali di riammissione sono innanzitutto i cittadini degli Stati contraenti che "non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso o di soggiorno applicabili nel territorio della parte contraente richiedente". Essendo dunque l'accertamento della cittadinanza il presupposto della riammissione, per l'effettuazione del medesimo l'accordo tra Italia e Tunisia prevede una complessa procedura di identificazione, che verte sulla collaborazione delle autorità diplomatiche e consolari. Queste sono tenute entro termini rigidamente stabiliti a rilasciare il lasciapassare per il rimpatrio in presenza di determinati documenti identificativi della persona espellenda ovvero possono procedere alla sua audizione e, comunque, in mancanza di altri mezzi identificativi, sono tenute a fornire una riposta motivata sull'identità della persona in base alle impronte digitali e alle fotografie inviate dalla parte richiedente. L'accordo con l'Ungheria demanda invece a successive intese o protocolli esecutivi tra i due Ministeri dell'Interno l'individuazione delle modalità e degli elementi che consentano la presunzione della titolarità della cittadinanza della persona espellenda. Una peculiarità dell'accordo con l'Estonia è la previsione della persistenza dell'obbligo di riammissione anche in caso di privazione della cittadinanza ("l'accordo è applicabile anche alle persone che hanno perduto la cittadinanza della parte contraente dopo essere entrati nel territorio dell'altra parte contraente, senza acquisire la cittadinanza di alcun altro Stato"). E' evidente che tale specifica previsione trova le sue ragioni nella specifiche problematiche di apolidia che interessano gli appartenenti alla minoranza russa nella Repubblica baltica.

Comune a tutti gli accordi bilaterali in questione è la presenza di un meccanismo di tutela dello Stato richiesto, operante nel caso di riammissione effettuata sulla base di presupposti errati o inesistenti.

Le spese di trasporto della persona riammessa sono generalmente poste a carico dello Stato richiedente fino alla frontiera della parte richiesta, ma nell'accordo con l'Estonia si stabilisce che debbano essere sostenute da un vettore.

Gli accordi di riammissione prevedono in determinate circostanze e con modalità diverse, l'estensione dell'obbligo di riammissione anche ai non cittadini delle parti contraenti. Nell'accordo con la Tunisia l'obbligo di riammissione sussiste per i cittadini di uno Stato terzo diverso da quelli membri dell'Unione del Maghreb Arabo (U.M.A.) che si trovano in situazione irregolare dal punto di vista delle norme sull'ingresso e soggiorno dello Stato richiedente, i quali "siano entrati nel territorio della parte richiedente dopo aver soggiornato o dopo essere transitati attraverso il territorio della parte contraente richiesta". Negli accordi con Estonia ed Ungheria, la riammissione riguarda invece innanzitutto gli stranieri irregolari nello Stato richiedente, i quali dispongano di "un visto o di un titolo di soggiorno, rilasciati dalla parte contraente richiesta, in corso di validità". A questi vanno ad aggiungersi i cittadini di paesi terzi che "abbiano fatto ingresso illegalmente nel territorio dello Stato richiedente provenendo direttamente dal territorio della parte contraente richiesta". L'esclusione dall'obbligo di riammissione dei cittadini di paesi membri dell'Unione del Maghreb Arabo, contenuta nell'accordo bilaterale con la Tunisia, si spiega con la volontà da parte tunisina di preservare il regime di relativa libertà di circolazione e di assenza di obbligo di visto instaurato con gli altri paesi maghrebini, in particolare con il Marocco.

Tutti gli accordi di riammissione si preoccupano di individuare alcune clausole ostative all'insorgere dell'obbligo ovvero di decadenza del medesimo:

  1. nel caso in cui lo Stato richiedente, prima di presentare la domanda di riammissione, ma dopo la partenza del cittadino straniero dal territorio della parte contraente richiesta, ha rilasciato alla persona in questione un visto o un titolo di soggiorno (accordi con l'Ungheria e l' Estonia);
  2. nel caso in cui la persona di cui è richiesta la riammissione ha soggiornato sul territorio della parte richiedente per un periodo superiore a un tempo massimo individuato (quattro mesi nell'accordo con l'Ungheria, un anno nell'accordo con l'Estonia, tre mesi nell'accordo con la Tunisia);
  3. nel caso in cui lo Stato richiedente abbia riconosciuto lo status di rifugiato in applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 alla persona di cui è richiesta la riammissione (accordo con l'Ungheria)

Gli accordi bilaterali di riammissione generalmente prevedono l'istituto dell'"ammissione in transito", col quale ciascuna parte contraente si impegna ad autorizzare il transito sul proprio territorio di cittadini di Stati terzi " oggetto di un provvedimento di allontanamento di rifiuto d'ingresso nel territorio, adottato dalla parte richiedente ".

L'applicazione di tale istituto può insorgere a seguito della valutazione della parte richiedente sull'opportunità e la convenienza di procedere al rimpatrio dello straniero seguendo un determinato itinerario geografico . Ne consegue che la parte richiedente si assume ogni responsabilità in merito all'esito e ai costi dell'operazione . Per quanto concerne le modalità dell'operazione, sostanziali differenze si riscontrano nei diversi accordi nella disciplina dell'attività di scorta. Nell'accordo con l'Ungheria viene previsto che la scorta dello straniero possa essere esercitata unicamente dalle autorità di polizia dello Stato richiesto in caso di transito per via terrestre, previo rimborso delle spese da parte dello stato richiedente. Nel caso dell'accordo con l'Estonia non viene esclusa la possibilità della scorta da parte dell'autorità di polizia della parte richiedente, previa valutazione discrezionale della parte richiesta, che potrà integrare la scorta con un proprio rappresentante. L'accordo con la Tunisia non prevede l'istituto dell'ammissione in transito .

Attraverso l'ammissione in transito, lo Stato richiesto coopera di fatto all'esecuzione di una misura di allontanamento adottata dallo stato richiedente e pertanto i limiti che il diritto internazionale pone all'espulsione dello straniero (principio di non-refoulement e limiti all'estradizione) dovrebbero gravare anche sullo Stato di transito.

Proprio con riferimento a tali limiti, gli accordi di riammissione prevedono la possibilità per lo Stato richiesto di rifiutare l' ammissione in transito se "per lo straniero, nel paese di destinazione, sono presenti rischi di persecuzione a causa della propria razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un certo gruppo sociale o opinione politica" o se lo straniero " corre il rischio di essere imputato o condannato in base alla legge penale dello Stato di destinazione per fatti anteriori al transito ".

L'accordo di riammissione stipulato con la Tunisia ha la particolarità rispetto agli altri perché prevede la spesa di 15 miliardi per ciascun anno del triennio 1998-2000 per interventi in Tunisia di " sostegno in termini di equipaggiamento tecnico e operativo " nel settore della prevenzione e della lotta all'immigrazione clandestina. A queste somme sono aggiunti nell'accordo 500 milioni di lire per la " realizzazione in Tunisia di centri di accoglienza " per le persone riammesse in virtù dell'accordo. A tali spese si è data copertura finanziaria con il decreto legislativo 19.10.1998 n° 280.

L'accordo con la Tunisia che è entrato in vigore il 23.9.1999, quello con l'Ungheria il 10.4.1999 e quello con l'Estonia il 3.3.1999.

Per un'analisi approfondita degli accordi di riammissione stipulati dal nostro paese contenente pure l'elenco completo dei medesimi si rimanda al saggio di Ferruccio Pastore, L'obbligo di riammissione in diritto internazionale : sviluppi recenti, sulla Rivista di diritto internazionale, n°4/1998 pp.968-1021, cui siamo largamente debitori per la stesura del presente commento.

41. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Protocollo d'intesa tra il Ministero dell'interno italiano e quello albanese concernente la consulenza e l'assistenza per la riorganizzazione delle forze di polizia albanesi.

E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (S.O. del 15.04.2000 n°89 ) il testo del Protocollo d'intesa tra il Ministero dell'interno italiano e quello albanese concernente la consulenza e l'assistenza finalizzate alla riorganizzazione delle forze di polizia albanesi, firmato a Roma il 17 settembre 1997 e divenuto operativo dal 29 aprile 1998.

In base a questo Protocollo i vertici dell'amministrazione di polizia albanese sono affiancati con esperti delle forze di polizia italiane (Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza) ai fini della riorganizzazione delle strutture di polizia albanesi e dell'impiego delle risorse in termini di uomini e mezzi sul territorio (art.5) . Tra gli obiettivi dell'intesa vi è anche lo sviluppo delle attività finalizzate alla riorganizzazione della polizia di frontiera albanese e al controllo del confine marittimo mediante l'impiego di un "nucleo di frontiera marittima" delle forze di polizia italiane insediato nei porti di Durazzo e Valona , con funzioni di consulenza, assistenza, e addestramento coll'ausilio di proprie motovedette, nel rispetto delle norme di diritto internazionale (art.8 ).

L'intesa esclude, peraltro, qualsiasi coinvolgimento diretto degli operatori italiani nelle attività operative svolte dalla polizia albanese (art.7)

  1. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l'Accordo tra il Governo italiano e quello austriaco sulla cooperazione di polizia
  2. E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (S.O. G. U. n°89 del 15.04.2000 ) l'Accordo tra il Governo italiano e quello austriaco sulla cooperazione di polizia, firmato a Vienna il 15.12.1997 e entrato in vigore il 1 marzo 2000.

    L'Accordo prevede il distacco reciproco di funzionari di collegamento, l'invio di esperti di polizia per missioni di breve durata , una formazione e aggiornamento comuni del personale nonché l'applicazione delle parti dell'Accordo di Schengen relative alla cooperazione di polizia nelle zone di frontiera (titolo II), all'osservazione e inseguimento di polizia oltre frontiera (titolo III) .Per tali funzioni sono creati appositi uffici di collegamento per la parte italiana nelle questure di Bolzano, Belluno e Udine.

  3. Pubblicato il Memorandum sulla cooperazione di polizia tra la Repubblica Italiana e quella di Slovenia con riguardo anche alla materia della lotta contro l'immigrazione clandestina.
  4. E' stato pubblicato sulla G.U. (Suppl. n.14 dd. 15.01.2000) il testo del Memorandum sulla cooperazione di polizia tra il governo italiano e quello della Repubblica di Slovenia sottoscritto a Lubiana il 14.11.1997 ed operativo peraltro già dal 29.11.1997. Il Memorandum riguarda fra l'altro anche la cooperazione nella lotta contro l'immigrazione clandestina . Si prevede che in caso di operazioni di polizia o d'indagini di particolare complessità che travalichino i rispettivi confini nazionali, ciascun paese possa inviare nel territorio dell'altro esperti con il compito di collaborare in tali indagini o operazioni, così come che i rispettivi uffici di collegamento presso le autorità di polizia di frontiera possano procedere al reciproco scambio d'informazioni, di assistenza e alla concertazione di piani di attività comuni anche con riferimento all'applicazione dell'accordo bilaterale sulla riammissione delle persone alla frontiera. Nel Memorandum è pure previsto l'istituzione di unità miste di vigilanza del confine comune, previo consenso degli organi centrali.

    Al fine di impedire che i controlli confinari possano ostacolare un traffico scorrevole ai valichi, il Memorandum prevede l'istituzione di corsie separate per i cittadini dell'UE, per quelli della Repubblica di Slovenia e infine per quelli dei paesi terzi.

  5. Ratificati e resi esecutivi gli accordi di adesione dei Governi di Svezia, Danimarca e Finlandia agli Accordi di Schengen, nonché l'accordo di cooperazione tra gli Stati parte degli Accordi di Schengen e la Repubblica di Islanda ed il Regno di Norvegia per la soppressione dei controlli alle persone alle frontiere comuni.
  6. Con leggi 27 maggio 1999, n. 197 e 198 (G.U. Suppl. dd. 25 giugno 1999 n. 122/L), il Parlamento italiano ha ratificato e reso esecutivi rispettivamente gli accordi di cooperazione tra gli Stati parte degli Accordi di Schengen e la Norvegia e l'Islanda per la soppressione dei controlli delle persone alle frontiere comuni, e gli accordi di adesione di Svezia, Danimarca e Finlandia all'accordo di Schengen e alla relativa Convenzione applicativa.

    Con l'adesione di Svezia, Danimarca e Finlandia, avvenuta il 19 dicembre 1996, sono saliti a tredici gli Stati membri dell'Unione Europea parte dell'accordo di Schengen e alla relativa Convenzione di Applicazione, dalle quali restano estranei invece soltanto il Regno Unito e l'Irlanda.

    L'adesione dei paesi scandinavi membri dell'Unione Europea ha determinato la necessità di estendere le disposizioni dell'accordo di Schengen e della relativa Convenzione anche agli altri paesi membri della c.d "Unione Nordica dei passaporti", sottoscritta a Copenghen il 12 luglio 1957 e che prevede uno spazio di libera circolazione alla frontiere nordiche comuni, cioè l'Islanda e la Norvegia. Considerato che per essere parte della Convenzione di Schengen occorre essere membri dell'Unione Europea e che Islanda e Norvegia non lo sono, si è resa necessaria la stipula di un accordo di cooperazione con questi due paesi, sottoscritto congiuntamente all'adesione all'accordo di Schengen di Svezia, Danimarca e Finlandia il 19 dicembre 1996 a Lussemburgo.

    L'effettiva entrata in vigore dell'accordo di cooperazione con Norvegia e Islanda e la soppressione dunque dei controlli alla frontiere comuni con gli Stati membri dell'accordo di Schengen potrà peraltro avvenire solo una volta che entreranno in vigore gli accordi specifici con gli Stati membri dell'Unione Europea per l'adesione di Islanda e Norvegia alle disposizioni della Convenzione di Dublino sulla determinazione dell'unico Stato responsabile dell'istanza di asilo, che ha sostituito le disposizioni del Capitolo 7 del Titolo II della Convenzione di Applicazione dell'accordo di Schengen.

  7. Entrato in vigore l'accordo bilaterale tra Italia e Repubblica di Estonia in materia di reciproca promozione e protezione degli investimenti. Ratificato e reso esecutivo dal parlamento italiano il medesimo accordo con la Repubblica di Slovacchia. Con la nuova legge sull'immigrazione ed il varo del regolamento di attuazione non è più richiesta la condizione di reciprocità per l'acquisto di immobili ad uso abitativo da parte di immigrati stranieri.
  8. Il Ministero Affari Esteri ha comunicato l'avvenuta entrata in vigore dell'accordo bilaterale con l'Estonia sulla reciproca protezione e promozione degli investimenti (in G.U. n. 157 dd 07.07.2000), firmato a Roma il 20 marzo 1997. Con legge n. 166 dd. 26.05.2000 (in G.U. n. 144 dd. 22.06.2000), è stato ratificato e reso esecutivo dal Parlamento italiano accordo similare con la Repubblica di Slovacchia.

    Per quanto concerne gli aspetti specificatamente legati agli interessi dei cittadini extracomunitari residenti in Italia, tali accordi hanno perso molta della loro importanza con l'entrata in vigore della legge organica in materia di immigrazione che ha disposto l'abrogazione della verifica della condizione di reciprocità per quanto attiene l'esercizio dei diritti civili da parte del cittadino extracomunitario regolarmente residente (tra cui va ricompreso l'esercizio dell'attività di lavoro autonomo e l'acquisto di immobili), salvo nei casi espressamente previsti dalla legge medesima e dalle convenzioni internazionali (art. 2.2 TU n. 286/98) Cosi' come ha riconosciuto lo stesso Ministero degli Affari Esteri, con circolare del 11 giugno 1998, la disposizione contenuta nell'art. 2 c. 2 del D.L.vo n. 286/98 consente al cittadino extracomunitario regolarmente residente in Italia di svolgere attività di lavoro autonomo, di costituire società di capitali e di investire e parteciparvi, senza essere sottoposto alla verifica della condizione di reciprocità. Maggiori difficoltà sono registrate invece nella prassi per l'affermazione del medesimo principio di esenzione dalla condizione di reciprocità per l'acquisto di beni immobili (ad uso innanzitutto abitativo) da parte del cittadino extracomunitario residente in Italia. All'assenza di una chiara presa di posizione sull'argomento da parte dei Ministeri degli Esteri e dell'Interno, ha peraltro fatto riscontro l'iniziativa del Ministero di Grazia e Giustizia - Ufficio Centrale degli Archivi Notarili, che con parere del 15.01.1999, ha rilevato che "sembra che, per quanto riguarda i diritti in materia civile, con l'entrata in vigore della legge n. 40 del 1998, l'art. 16, primo comma, delle preleggi, non sia più applicabile allo straniero regolarmente soggiornante, munito cioè di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno". Già in precedenza non erano mancate iniziative locali volte a far applicare correttamente le nuove disposizioni introdotte dalla legislazione nazionale sull'immigrazione. Così, il Collegio notarile di Brescia, con delibera del 29 ottobre 1998 aveva ritenuto "non essere contrario alla legge e quindi non costituire violazione della Legge Notarile ricevere atti, i quali abbiano oggetto l'acquisto da parte di cittadini di Paesi extracomunitari di beni immobili in Italia, e l'eventuale relativo finanziamento degli stessi, prescindendo dalla condizione di reciprocità, alle seguenti condizioni: a) che i cittadini extracomunitari abbiano un regolare permesso di soggiorno e siano residenti in Italia; b) che siano iscritti nelle liste di collocamento o esercitino una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo; c) che l'acquisto degli immobili abbia per oggetto la prima casa di abitazione, con caratteristiche non di lusso, secondo quanto previsto dall'attuale normativa fiscale agevolativa in tema di acquisto della prima casa" (entrambi i documenti sono pubblicati sul secondo numero della rivista dell'ASGI e di Magistratura Democratica "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", edita da Franco Angeli di Milano). Dopo l'entrata in vigore del regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione, non dovrebbero sussistere più dubbi ed incertezze sulle possibilità per i cittadini stranieri extracomunitari di acquistare immobili ad uso abitativo. L'art. 1 del regolamento (Dpr. N. 394/99) specifica infatti, in accordo con il dispositivo di legge cui fa riferimento, che "1. Per le persone fisiche straniere, i responsabili del procedimento amministrativo che ammettono lo straniero al godimento dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino, ed i notai che redigono gli atti che comportano l'esercizio di taluno dei predetti diritti, richiedono l'accertamento della condizione di reciprocità al Ministero degli Affari Esteri, nei soli casi previsti dal Testo unico sull'immigrazione, ed in quelli per i quali le convenzioni internazionali prevedono la condizione di reciprocità. 2.L'accertamento non è richiesto per i cittadini stranieri titolari della carta di soggiorno, nonché per i cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, per l'esercizio di un impresa individuale e per i relativi familiari in regola con o il soggiorno".

    Un elenco aggiornato degli accordi vigenti tra l'Italia e i paesi terzi in materia di mutua promozione e protezione degli investimenti è disponibile sul sito Internet del Ministero degli Affari Esteri: www.esteri.it/attivita/operatori/index.htm

  9. Ratificata e resa esecutiva in Italia la Convenzione n. 182 e la Raccomandazione n. 190 dell'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e all'azione immediata per la loro eliminazione.
  10. Con legge 25 maggio 2000 n. 148 (in G.U. n. 135 del 12.06.2000), è stata ratificata e resa esecutiva in Italia la Convenzione n. 182 e la Raccomandazione n. 190 adottate dalla Conferenza generale dell'O.I.L. (Organizzazione Internazionale del Lavoro), durante la sessione tenutasi a Ginevra il 17 giugno 1999 e relative alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e all'azione immediata per la loro eliminazione.

    La Convenzione impegna ogni Stato membro che la ratifichi a prendere misure immediate ed efficaci atte a garantire la proibizione e l'eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile, con procedura d'urgenza. L'espressione forme peggiori di lavoro minorile include tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe ad essa, l'impiego, l'ingaggio di minori a fini di prostituzione ovvero a fini di attività illecite quali il traffico di stupefacenti ovvero qualsiasi altro tipo di lavoro che rischi di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore. Con la ratifica della Convenzione, l'Italia si impegna a definire ed attuare programmi di azione volti ad eliminare le forme peggiori di lavoro minorile, ivi compresa la fornitura di assistenza diretta ai minori per sottrarli a tali forme di lavoro e per garantirne la riabilitazione ed il loro reinserimento sociale mediante l'accesso all'istruzione di base e alla formazione professionale. La Raccomandazione specifica in particolare alcune forme di azione immediata che i Governi dovrebbero intraprendere, tra cui l'istituzione di procedure speciali di denuncia e di provvedimenti atti a proteggere da discriminazioni e rappresaglie coloro che denunciano legittimamente le violazioni delle disposizioni della Convenzione, nonché l'istituzione di linee telefoniche e di centri di assistenza provvisti di mediatori culturali. Le disposizioni sulla protezione sociale delle vittime della tratta di donne e minori immigrati ai fini di prostituzione contenute nella legge sull'immigrazione (art. 18 D.lgs. n. 286/98) costituiscono senza dubbio una normativa applicativa dei principi contenuti nella Convenzione. Quest'ultima può dunque costituire un utile strumento affinché tale parte della normativa sull'immigrazione trovi effettiva e ampia applicazione.

  11. Entrata in vigore la Convenzione n.181 e la raccomandazione n.188 dell'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) concernenti le agenzie per l'impiego privato.

Come comunicato dal M.A.E. ( in G.U. del 02.02.2000 n.226), a seguito del deposito dello strumento di ratifica è entrata in vigore in Italia la Convenzione OIL n.181 adottata dalla conferenza internazionale del lavoro a Ginevra il 19.6.1997. La Convenzione riguarda il funzionamento delle agenzie di collocamento private e la protezione dei diritti dei lavoratori (persone in cerca di occupazione) che utilizzano tali servizi. Le norme a tutela dei lavoratori contenute nella Convenzione sono ulteriormente rafforzate dal testo della raccomandazione n.188 adottata congiuntamente . Alcune norme riguardano specificatamente i lavoratori migranti, prevedendo che l'attività delle agenzie di collocamento private debba essere improntata a principi di non discriminazione e che i lavoratori migranti, per quanto possibile, debbano essere informati nella loro lingua o in una lingua a loro familiare della natura della posizione lavorativa offerta e delle condizioni di lavoro applicabili.

48. Ratificato e reso esecutivo l'Accordo tra Italia e Cuba, sottoscritto il 9 giugno 1998, per l'esecuzione delle sentenze penali ed il trasferimento delle persone condannate.

Con legge 18 luglio 2000 (pubblicata sulla G.U. n. 184 del 27.07.2000), il Parlamento italiano ha autorizzato il Presidente della Repubblica a ratificare l'Accordo tra Italia e Cuba per l'esecuzione delle sentenze penali, firmato a L'Avana il 9 giugno 1998.

L'accordo consente ai cittadini dei due paesi, privati della libertà in conseguenza di una sentenza penale delle autorità giudiziarie del paese contraente straniero, la possibilità di scontare la condanna inflitta nel loro paese di origine, mediante apposito trasferimento.

L'accordo prevede specifiche condizioni per la sua applicazione (art. 3) e cioè che: a) la sentenza sia passata in giudicato; b) la parte della condanna tuttora da espiare al momento della ricezione della domanda sia per lo meno di un anno; c) la persona condannata acconsenta al trasferimento; d) l'infrazione penale che ha dato luogo alla condanna rappresenti una infrazione penale anche per la legge dello Stato di esecuzione; e) la persona non sia stata condannata alla pena capitale; f) ambedue gli Stati acconsentano al trasferimento; g) il delitto non costituisca una minaccia alla sicurezza dello Stato.

Le autorità dei due Stati valuteranno le istanze di trasferimento avendo in considerazione la finalità proclamata dell'accordo, cioè quella di favorire la riabilitazione sociale della persona condannata, che si presume sia meglio soddisfatta mediante l'esecuzione della pena nell'ambiente sociale di origine della persona. Pertanto, saranno presi in considerazione fattori quali la gravità del reato, le sue conseguenze sociali, i precedenti penali, le relazioni socio-familiari della persona condannata ed il suo stato di salute (art. 7). Le autorità dello Stato di esecuzione dovranno eseguire la condanna senza modificarne la natura giuridica o la durata, così come sono state fissate dallo Stato che l'ha inflitta, tranne nei casi in cui risultino incompatibili con la legge dello Stato di esecuzione. In tali situazioni, attraverso apposito procedimento amministrativo o giudiziario, lo Stato di esecuzione potrà modificare la condanna inflitta dall'altro Stato in modo che non superi il massimo della pena prevista dalla propria legislazione.

49. Entrato in vigore il Trattato tra Italia e Bolivia sull'assistenza giudiziaria in materia penale.

Con apposito comunicato (in G.U. n. 63 del 16.03.2000), il MAE ha comunicato l'entrata in vigore a partire dal 1 marzo 2000 del Trattato tra Italia e Bolivia sull'assistenza giudiziaria in materia penale, firmato a Cochabamba il 15 aprile 1996. Il Trattato, ratificato in Italia con legge 24.03.1999, n. 92 (in G.U. n. 88 del 16.04.1999), impegna ciascuna delle due parti nei confronti dell'altra a prestare l'assistenza nello svolgimento dei procedimenti giudiziari con l'esclusione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale e dell'esecuzione di pene o condanne. Per l'esecuzione di sequestri preventivi, probatori e conservativi, nonché di perquisizioni, ovvero degli analoghi istituti previsti dalla legislazione boliviana, l'assistenza è consentita sole se il fatto per il quale si procede nella parte richiedente è previsto come reato anche dalla legislazione della parte richiesta. In ogni caso, l'assistenza può essere rifiutata se la parte richiesta considera il fatto in relazione al quale si procede un reato politico od esclusivamente militare ovvero alla stregua di una persecuzione motivata da ragioni di razza, religione, nazionalità, lingua, opinioni politiche o da condizioni sociali o personali.

  1. Entrato in vigore il trattato bilaterale tra Italia e Perù sull'assistenza giudiziaria in materia penale e quello sul trasferimento di persone condannate e di minori in trattamento speciale.
  2. Con comunicato del M.A.E. pubblicato sulla G.U. del 26.10.1999 n. 252, è stata resa nota l'entrata in vigore del trattato sull'assistenza giudiziaria in materia penale tra Italia e Perù, sottoscritto a Roma il 24 novembre 1994 e ratificato in Italia con legge 24 marzo 1999, n. 90 (G.U. 14.04.1999, n. 86). Il trattato impegna reciprocamente le parti a fornire la più ampia assistenza nello svolgimento dei procedimenti giudiziari penali, in particolare per quanto concerne la notifica di citazioni e atti giudiziari, l'interrogatorio di testimoni o di persone sottoposte a procedimento penale, lo svolgimento di attività di acquisizione probatoria, il trasferimento di persone detenute a fini probatori, l'esecuzione di perizie, sequestri probatori, preventivi e conservativi, ispezioni e perquisizioni, la comunicazione di sentenze penali e di certificati del casellario giudiziale.

    Con comunicato del M.A.E. pubblicato sulla G.U. 05.10.1999 n. 234, è stata resa nota l'entrata in vigore, a partire dal 17 agosto 1999, del trattato sul trasferimento di persone condannate e di minori in trattamento speciale tra il Governo italiano e quello peruviano, fatto a Roma il 24 novembre 1994 (e ratificato con legge n. 90 del 24 marzo 1999, in G.U. n. 86 dd. 14.04.99). Il trattato prevede la possibilità per i cittadini di uno dei due Stati, privati della propria libertà in conseguenza di una sentenza penale commutata dall'autorità dell'altro Stato, di scontare la condanna nel paese di appartenenza, ottenendo, a determinate condizioni il trasferimento nel medesimo.

  3. Aggiornato ed integrato l'accordo culturale dell'11 agosto 1955 tra Italia e Spagna sul reciproco riconoscimento dei titoli di studio superiori ed universitari.
  4. Con scambio di note avvenuto in data 14 luglio1999 ( Suppl. alla G.U. n.14 del 15.01.2000), è stato aggiornato ed integrato, con decorrenza dalla stessa data, l'elenco dei titoli accademici e d'istruzione secondaria superiore che possono essere riconosciuti equipollenti in via automatica ed amministrativa in virtù dell'accordo bilaterale culturale sottoscritto tra Italia e Spagna l'11 agosto 1955 ( Legge 3.1.1957 n.8 in G:U. 4257 n.31 ; elenco dei titoli contenuto nel DM 29.5.1964 in G.U. 19.6.1964 n.149).

  5. Entrato in vigore l'accordo tra Italia e Argentina sul riconoscimento dei titoli di studio a livello elementare e medio firmato a Bologna il 3 dicembre 1997.
  6. Il Ministero degli Affari Esteri ha comunicato l'entrata in vigore il giorno 28 dicembre 1999 dell'accordo tra Italia e Argentina sul reciproco riconoscimento dei titoli di studio a livello elementare e medio, firmato a Bologna il 3 dicembre 1997 (in GU 27.11.1999, n. 279). L'accordo era stato ratificato e reso esecutivo con legge 7 giugno 1999, n. 210 (in G.U. 01.07.1999 n. 152).

    In virtù di questo accordo, i titoli di studio elementare e medi (inferiori e superiori) conseguiti nel territorio di uno dei due Stati da un cittadino italiano o argentino saranno automaticamente riconosciuti nel territorio dell'altro Stato, ma ai soli fini della prosecuzione degli studi. Il riconoscimento automatico non potrà invece essere chiesto ai fini lavorativi (per l'accesso ad esempio a concorsi pubblici che richiedano un particolare livello di studi) per i quali si dovrà seguire il complesso iter procedurale previsto dai D.M. 1.02.1975 e 02.04.1980 (rispettivamente Suppl. G.U. n. 58/1975 e n. 135/1980), richiamati dal TU delle leggi in materia di istruzione del 1994.

    Tra le previsioni dell'accordo italo-argentino, va segnalato l'esonero dalla prova di conoscenza della lingua italiana o spagnola per l'accesso alla rispettive Università o istituti di istruzione superiori, per gli studenti che abbiano conseguito un titolo di istruzione media che abbia compreso nel piano di studio l'insegnamento per almeno cinque anni della lingua italiana in Argentina o di quella spagnola in Italia (art. 2.2). L'accordo prevede il riconoscimento non solo dei titoli di studio finali, ma anche dei certificati attestanti la promozione di anni scolastici intermedi (art. 3).

    Nell'allegato all'accordo sono indicate le corrispondenze tra gli indirizzi scolastici italiani e quelli argentini ai fini dell'applicazione dell'accordo medesimo.

  7. Ratificate e rese esecutive le Convenzioni con la Slovenia e la Croazia in materia di sicurezza sociale.
  8. Con leggi 27 maggio 1999 n. 167 e 199 (rispettivamente G.U. Suppl. ord. N. 114/L e n. 147), il Parlamento italiano ha approvato la ratifica e l'esecuzione delle convenzioni in materia di sicurezza sociale firmate con la Repubblica di Slovenia a Lubiana il 7 luglio 1997 e con la Repubblica di Croazia a Roma il 27 giugno 1997.

    Tali convenzioni sostituiranno in tutte le sue parti la Convenzione sulle assicurazioni sociali stipulata tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia il 14 novembre 1957, che ha continuato ad essere applicata anche dopo la dissoluzione dello Stato jugoslavo.

    Le Convenzioni riguardano gli aspetti dell'assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia, l'assicurazione per malattia e maternità, contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disoccupazione involontaria e le prestazioni familiari e si applicheranno ai cittadini degli Stati contraenti, nonché ai rifugiati in base alla Convenzione di Ginevra del 1951 residenti nei due Stati.

    In particolare, le Convenzioni prevedono la possibilità del cumulo e della totalizzazione dei periodi assicurativi maturati nei due Stati contraenti ai fini dell'accesso alle prestazioni.

  9. Entrata in vigore la Carta sociale europea, riveduta con annesso, firmata a Strasburgo il 3
  10. maggio 1996.

    Con comunicato del M.A.E. pubblicato sulla G.U. dd. 05.10.1999 n. 234, è stato reso noto l'avvenuto deposito, in data 6 luglio 1999, dello strumento di ratifica italiana della Carta sociale europea, riveduta con annesso, firmata a Strasburgo il 3 maggio 1996, dopo che con legge 09.02.1999, n. 30, pubblicata sulla G.U. n. 44, Suppl. ord. dd 23.02.1999, detta ratifica era stata autorizzata dal Parlamento italiano.

    I diritti e le misure previsti dalla Carta sociale europea, attinenti essenzialmente il campo dei diritti sociali, nella sfera lavorativa o della sicurezza sociale, solo garantiti soltanto ai cittadini degli Stati contraenti, facenti parte del Consiglio d'Europa. L'appendice della Carta Sociale Europea specifica, infatti, che le persone interessate dagli articoli 1 - 17 "includono gli stranieri solo fintantoché sono cittadini di Stati parte della Carta Sociale Europea legalmente residenti o regolarmente impiegati nel territorio dello Stato parte interessato…". Ugualmente, gli articoli 18 e 19 (attinenti i diritti dei lavoratori migranti, ivi compreso il principio di parità di trattamento) sono garantiti solo ai cittadini degli Stati parte della Carta . La Carta Sociale Europea è attualmente in vigore per i seguenti paesi: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Spagna, Svezia, Turchia e Regno Unito. Di conseguenza, è del tutto evidente l'impatto assai limitato e marginale della Carta sociale europea sulle questioni attinenti l'immigrazione.

    Il comunicato del MAE informa che al momento del deposito della ratifica, l'Italia ha formulato una riserva sull'art. 25 della Carta, che prevede il diritto dei lavoratori alla protezione delle loro spettanze in caso di insolvenza da parte del datore di lavoro, mediante la costituzione di appositi fondi di garanzia pubblici. L'Italia dunque non si ritiene impegnata al rispetto di tale disposizione.

  11. Entrato in vigore l'accordo tra il governo italiano e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia, firmato a L'Aja il 6 febbraio 1997.
  12. Il Ministero degli Affari Esteri ha comunicato (in GU 26.11.1999 n. 278) che lo scorso 27 agosto 1999 è entrato in vigore l'accordo firmato a L'Aja il 06.02.1997 tra il governo italiano e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 7 giugno 1999, n. 207 (G.U.30.06.1999 n. 151).

    L'Italia, infatti, è uno dei Paesi che ha indicato al Consiglio di Sicurezza dell'ONU la propria disponibilità a dare esecuzione alle sentenze pronunciate dal Tribunale penale Internazionale dell'Aja per i crimini di guerra compiuti nel territorio della ex-Jugoslavia, e dunque a garantire la reclusione nelle proprie strutture carcerarie delle persone condannate dal suddetto tribunale. L'accordo regola tra l'altro gli aspetti procedurali dei rapporti tra le autorità italiane e quelle del tribunale sugli aspetti dell'esecuzione della sentenza (ivi compresi quelli concernenti l'eventuale applicazione di misure non detentive e di eventuali provvedimenti di condono), nonché sulle ispezioni del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

  13. Sospesa ufficialmente nei confronti della Bosnia Erzegovina l'efficacia dell'accordo tra la

Repubblica Italiana e la ex Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia sul

riconoscimento dei diplomi e dei titoli accademici rilasciati dalle università, effettuato a

Roma il 18 febbraio 1983.

Con comunicato pubblicato sulla G.U. 20 aprile 1999 n. 91, il Ministero degli Affari Esteri ha reso nota la decisione di non considerare più efficace a partire dal 22 marzo scorso nei confronti della Bosnia Erzegovina l'accordo a suo tempo sottoscritto con la ex-Jugoslavia per il reciproco riconoscimento dei titoli d studio universitari. Pari decisioni erano state negli anni scorsi assunte nei confronti di altre Repubbliche sorte dalla dissoluzione dell' ex Stato jugoslavo.

In verità, fin dal 1993 le università italiane non procedevano al riconoscimento automatico, in vi amministrativa, dell'equipollenza dei titoli di studio conseguiti nelle Università della ex-Jugoslavia, in virtù di una circolare in questo senso diramata dal Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica.

In virtù delle regole di diritto internazionale, gli Stati sorti dalla dissoluzione di formazioni statuali preesistenti, possono ritenersi successori degli accordi internazionali di portata generale e non aventi contenuto di carattere territoriale solo in presenza di un atto esplicito di assenso da parte dell'altro Stato firmatario degli accordi o di una prassi indicante tale assenso. Poiché il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica italiano aveva già raccomandato particolare cautela alle Università nel procedere all'equipollenza dei titoli di studio conseguiti nella ex-Jugoslavia, si può dire che l'accordo tra Italia e ex-Jugoslavia in materia non poteva essere più invocato fin dal 1993, ancora prima delle comunicazioni ufficiali diramate dal Ministro degli Affari Esteri. L'unica eccezione riguarda la Slovenia, con la quale il nostro paese ha rinegoziato un nuovo accordo, entrato in vigore il 6 agosto 1997 (legge 7 aprile 1997 n. 104 G.U. n. 93 dd 22 aprile 1997).

 

S p e c i a l e N E W S

57. "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza": Uscito il secondo numero dell'annata 2000 della rivista promossa da Magistratura Democratica e dall'ASGI dedicata ai temi dell'immigrazione e dell'asilo.

E' uscito nelle librerie a luglio il secondo numero dell'annata 2000 della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", promossa da Magistratura Democratica e dall'ASGI ed edita da Franco Angeli di Milano. Da segnalare su questo numero interventi ed analisi sul diritto alla difesa degli stranieri espellendi trattenuti nei centri di detenzione temporanea (Livio Pepino, magistrato e Aurora D'Agostino e Fabio Corvaja, avvocati), sul rimpatrio assistito e la condizione giuridica dei minori stranieri non accompagnati (Lorenzo Miazzi, giudice del Tribunale per i minorenni di Rovigo), sull'applicazione della Convenzione de L'Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (Walter Citti, segretario ASGI). Il volume contiene inoltre una raccolta della più significativa giurisprudenza maturata negli ultimi mesi in Italia in materia di asilo, cittadinanza, espulsioni, famiglia, minori, commentata da esperti dell'ASGI e di MD. In particolare è da segnalare il commento di Maria Rosa Pipponzi (magistrato) sul primo caso di liquidazione del danno morale connesso ad un episodio di discriminazione, sanzionato ai sensi della legge sull'immigrazione. Per quanto concerne la parte documentaria, in questo numero della rivista trovano pubblicazione le circolari ministeriali emanate tra il gennaio ed il giugno 2000 in materia di lavoro, sanità, assistenza e previdenza sociale. Per quanto attiene la parte internazionale, trova pubblicazione il testo integrale della legge spagnola sull'immigrazione, entrata recentemente in vigore. Ricca è inoltre la rubrica delle segnalazioni di siti Internet italiani ed internazionali tematici sull'immigrazione e l'asilo politico.

La rivista si propone come strumento di informazione e approfondimento, prevalentemente giuridico, sui temi dell'immigrazione e dell'asilo, destinato a tutti i soggetti che operano nel settore (associazioni, enti locali, sindacati, scuole, uffici pubblici, avvocati).

I promotori della rivista ritengono infatti che con l'entrata in vigore della legge organica in materia di immigrazione e con la prospettata riforma di quella sull'asilo politico, nonché con l'annunciata definizione di una normativa comunitaria europea sulla materia, prevista dal Trattato di Amsterdam, vi sia un urgente bisogno in Italia di conoscenza e confronto sulle regole del diritto che presiedono al governo e al controllo dei fenomeni migratori. Ciò con lo scopo innanzitutto di dotare coloro che operano a fianco degli immigrati (ONG, sportelli pubblici e privati, avvocati) di strumenti conoscitivi per meglio svolgere le funzioni di tutela e rappresentanza nei rapporti con la pubblica amministrazione e in sede giurisdizionale. "La rivista non sarà neutrale - si legge nella presentazione editoriale - ma di parte: dalla parte dei diritti, della eguaglianza, della integrazione nel rispetto delle diversità".

Ogni numero della rivista, di circa 240 pagine, è suddiviso in quattro parti: la prima, di dibattito su questioni di attualità, a livello non solo nazionale, ma europeo; la seconda, dedicata alla giurisprudenza, con la pubblicazione di sentenze e decreti, suddivisi per temi; la terza, di documentazione, con la pubblicazione di materiale legislativo e amministrativo (circolari); l'ultima, di segnalazioni bibliografiche o di siti Internet.

La rivista è trimestrale. L'abbonamento annuale (4 numeri) costa Lit. 110.000 e può essere effettuato mediante versamento su conto corrente postale n. 17562208 intestato a Franco Angeli srl Milano.

Per ulteriori informazioni si può consultare il sito www.francoangeli.it oppure contattare l'editore, scrivendo a Franco Angeli srl - viale Monza 106, 20127 Milano, tel. fax 02 2895762, oppure la direzione della rivista, c/o l'avv. Nazarena Zorzella, tel. 051/236747, e-mail: ri12653@iperbole.bologna.it

 

Speciale NEWS - M I N OR I

  1. Approvato il Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti dei minori per il biennio 2000/2001. Gli interventi prospettati dal Governo a favore dei minori stranieri non accompagnati e di quelli legalmente residenti.

Con D.P.R. 13.06.2000 (in G.U. n. 194 dd. 21.08.2000), è stato approvato il Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva per il biennio 2000/2001, previsto dalla legge 27.12.1997, n. 451 istitutiva dell'Osservatorio Nazionale per l'Infanzia. Il piano prevede interventi del Governo anche riguardo ai minori stranieri presenti nel nostro Paese, cui viene dedicato il paragrafo E).

Per quanto concerne i minori stranieri non accompagnati, il piano cerca di identificare le competenze del Comitato per i minori stranieri e cioè: a) l'accertamento dell'identità del minore, la sua identificazione ed il rintraccio dei familiari anche attraverso la collaborazione di organismi internazionali quali la CRI, l'UNICEF, l'UNHCR; b) la predisposizione delle condizioni indispensabili per un rimpatrio sicuro ed assistito, che rappresenterebbe la soluzione privilegiata da adottare in questi casi. Nel piano sono dunque annunciati programmi di prevenzione che il Governo intende attuare nei paesi di provenienza della maggior parte dei minori stranieri non accompagnati (Albania , Marocco, Romania e Bangladesh), inclusa la stipula di protocolli d'intesa relativi alle procedure di rimpatrio. Il piano prevede inoltre l'attivazione di un'Agenzia nazionale che si farà carico di esaminare, caso per caso, l'opportunità di avviare un processo di integrazione del minore nel nostro Paese ovvero di organizzare il rientro in famiglia nel paese di origine. Stando a questa ipotesi, le decisioni sulle soluzioni da adottare nell'interesse superiore del minore per ogni minore straniero solo verrebbero centralizzate in questa Agenzia, contraddicendo quanto recentemente affermato dal Presidente del Comitato per i minori stranieri, Prof. Vercellone, sull'opportunità di decentralizzare le decisioni al riguardo ai contesti giudiziari e amministrativi locali (si veda oltre).

Sempre riguardo ai minori stranieri non accompagnati, il piano fa riferimento anche alla condizione dei richiedenti asilo, per i quali dovrebbero attuarsi gli interventi previsti dalla risoluzione del Consiglio d'Europa del 26.06.1997.

Per i bambini stranieri regolarmente soggiornanti, il Piano ribadisce le indicazioni contenute nel documento programmatico relativo alle politiche dell'immigrazione. Le priorità individuate dal Governo sono quindi: a) l'integrazione scolastica dei bambini immigrati attraverso la vigilanza sull'adempimento dell'obbligo scolastico, il sostegno all'apprendimento della lingua italiana e la promozione dell'educazione interculturale; b) il miglioramento della condizione dei minori stranieri sottoposti a procedimenti coercitivi, mediante la promozione della presenza dei mediatori culturali nelle carceri minorili, la garanzia di un effettivo accesso alle misure alternative alla detenzione e lo sviluppo di strumenti per l'inserimento sociale dopo la carcerazione; c)una migliore tutela del minore straniero nei conflitti familiari, anche attraverso l'avvio di una campagna di informazione e sensibilizzazione presso le famiglie immigrate contro le mutilazioni genitali delle bambine.

In materia di adozione internazionale, il piano annuncia l'impegno del Governo per realizzare una rete di intese bilaterali per rendere le procedure adozionali efficaci, snelle e trasparenti, così come una campagna informativa sulle nuove procedure dell'adozione a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 476/98, anche al fine di far conoscere i benefici e le agevolazioni da essa riconosciute (nuovo sistema di astensione dal lavoro, deduzione delle spese nella dichiarazione dei redditi, riduzione dei tempi per conseguire l'idoneità).

Infine ,il governo reputa opportuno stipulare protocolli operativi specifici, con il CONI e la FEDERCALCIO, per affrontare il tema dei numerosi minori stranieri che ogni anno vengono a contatto con il sistema delle società sportive nella speranza di un ingaggio.

59. Il Presidente del Comitato per i minori stranieri, Prof. Paolo Vercellone, diffonde un documento contenente osservazioni sulle competenze del comitato e sul necessario coordinamento con gli altri enti ed organi amministrativi e giudiziari coinvolti nel trattamento dei minori stranieri non accompagnati. Partecipando ad un convegno a Torino lo scorso 4 luglio, il Prof. Vercellone offre importanti chiarimenti e pareri sulle funzioni e i compiti del Comitato per i minori stranieri. L'ASGI, assieme ad altre associazioni di Torino, redige ed invia un appello alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Ministeri competenti, invitandoli a chiarire le questioni irrisolte e problematiche relative al rilascio del permesso di soggiorno ai minori stranieri non accompagnati e ai diritti connessi a tale permesso di soggiorno.

Il 2 maggio scorso, il Presidente del Comitato per i minori stranieri, Prof. Paolo Vercellone, ha diffuso un documento contenente una serie di osservazioni sulle competenze del comitato e sul necessario coordinamento con gli altri enti ed organi amministrativi e giudiziari coinvolti nel trattamento dei minori stranieri non accompagnati. Il documento prende le mosse da un riassunto delle norme che regolano il Comitato per i minori stranieri (in particolare il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 dicembre 1999, n. 535, che contiene il regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri previsto dall'art. 33 del D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dall'art. 5 del D. Lgs. 13 aprile 1999, n. 113 - Gazzetta Ufficiale n. 19 del 25.01.2000), per poi sviluppare una serie di considerazioni ancora provvisorie su alcuni punti che si prestano a interpretazioni divergenti , ed in particolare:

  1. sulla possibilità di utilizzare l'espulsione per "motivi di ordine pubblico" da parte del Tribunale per i minorenni su richiesta del questore, prevista dall'art. 13 c. 1 del T.U., nei confronti di ragazzi "grandi" che avessero già compiuto molti reati (si pensi allo spaccio reiterato) e che non sia condannati a pene detentive da scontare.
  2. sull'opportunità o meno delle nomina di un tutore da parte del giudice tutelare per ciascun minorenne straniero non accompagnato individuato sul territorio nazionale, anche per rendere più agevoli le procedure per un eventuale affidamento del minore medesimo ad una famiglia o in comunità, senza dovere sempre passare per il Tribunale per i minorenni (a tale riguardo c'è da segnalare il decreto della Corte di Appello di Torino dd. 10.12.1999 che afferma come la fattispecie del minore straniero che si trovi in Italia da solo costituisca una delle precise ipotesi in cui deve essere aperta la tutela proprio al fine di garantire al minore di avere assistenza e di vedere rappresentato il proprio interesse nel corso delle procedure amministrative che porteranno al suo rimpatrio o alla sua accoglienza nel nostro paese; il decreto è stato pubblicato e commentato sul n. 1/2000 della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", edita da Franco Angeli).
  3. sull'impugnabilità dinanzi al TAR delle delibere del Comitato per i minori stranieri relativamente al rimpatrio assistito del minore, trattandosi di un atto amministrativo.
  4. sui possibili conflitti di competenza tra Tribunali per i minorenni e Comitato per i minori stranieri in relazione ad eventuali procedure per la dichiarazione dello stato di adottabilità messe in atto dai primi in contrasto con un orientamento del comitato rivolto al rimpatrio assistito del minore. A tale riguardo, il presidente del Comitato afferma che in ogni caso il Tribunale per i minorenni potrà rifiutare il nulla-osta al rimpatrio assistito in relazione alla pendenza della procedura di adottabilità, mentre sarebbe opportuno uno scambio di informazioni ed un coordinamento nelle ricerche all'estero relative ai genitori o ai legali rappresentanti del minore.

Partecipando ad un convegno a Torino il 4 luglio scorso, il Presidente del Comitato per i minori stranieri, Prof. Paolo Vercellone, ha espresso i propri punti di vista sui compiti e le modalità di funzionamento del Comitato, offrendo spunti interpretativi e chiarimenti su aspetti ancora poco chiari relativi alla condizione giuridica dei minori stranieri non accompagnati.

Egli ha voluto innanzitutto precisare che, in base alla normativa varata dal governo, l'unico organo competente a disporre il rimpatrio assistito è il Comitato per i minori stranieri e non i Tribunali per i minorenni o i Giudici Tutelari, così come sembra ancora avvenire in talune situazioni locali. Tuttavia, il Comitato per i minori stranieri valuta l'eventuale rimpatrio assistito del minore solo se tale soluzione viene suggerita in primis a livello locale dagli enti che hanno in assistenza il minore. Il Prof. Vercellone ha inoltre riferito che, sebbene la decisione sul rimpatrio venga presa caso per caso, il Comitato ha voluto stendere alcune linee-guida interne di riferimento che di seguito sono riassunte:

  1. in linea generale, si cerca di evitare la soluzione del rimpatrio in caso di minori con gravi problemi sanitari, psichiatrici, di tossicodipendenza o di alcolismo;
  2. in caso di bambini al di sotto dei 14 anni, la soluzione del rimpatrio viene preferita quando la famiglia esiste, viene rintracciata e appare idonea ; in caso contrario il Tribunale per i minorenni apre la procedura di adottabilità.
  3. in caso di ragazzi al di sopra dei 14 anni viene escluso il rimpatrio se il minore è inserito in un percorso di integrazione.
  4. in caso di minori dell'area penale, appare complesso definire quale sia l'interesse del minore in quanto se la permanenza in Italia potrebbe anche stabilizzare il minore nel ruolo criminale, il rimpatrio potrebbe diventare un'espulsione camuffata.

Il Prof. Vercellone ha inoltre affermato che in caso di richiesta di rimpatrio inviata al Comitato, il minore sopra i 12 anni deve essere sentito, affinché possa esprimere la propria volontà o meno di essere rimpatriato ovvero di restare in Italia e che tale volontà del minore deve risultare da una dichiarazione da lui sottoscritta o da un verbale.

Le indagini sulla situazione del minore, affinché al Comitato per i minori stranieri vengano forniti gli elementi per adottare una decisione sulla richiesta del rimpatrio, vengono svolte dai servizi sociali e dalla polizia per quanto attiene alla parte italiana, dal Servizio Sociale Internazionale per quanto concerne la realtà sociale e familiare del minore nel paese di origine, qualora questo sia l'Albania, mentre negli altri casi tale indagine viene svolta per ora dalle Ambasciate o Consolati italiani all'estero, in attesa della stipula di apposite convenzioni con ONG che svolgano funzioni analoghe al SSI.

Resta controversa la questione se per ogni minore straniero non accompagnato debba necessariamente essere aperta una tutela da parte del Giudice Tutelare competente. Ugualmente controversa e dibattuta è la questione del rilascio del permesso di soggiorno per minore età ai ragazzi per i quali le autorità di polizia non abbiano la certezza della minore età.

Il prof. Vercellone non ha potuto fare altro che prendere atto di una disparità di vedute tra operatori giudiziari e amministrativi sulla questione del permesso di soggiorno per i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado, perché il Testo Unico 286/98 non prevede esplicitamente che possano ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari (tale possibilità è prevista solo per i minori affidati con provvedimento formale ex art. 4 l. 184/83). Le ipotesi avanzate durante il convegno sono state molteplici: prevedere che i Tribunali per i minorenni dispongano anche in questi casi un affidamento formale ex art. 4 l. 184/83; prevedere che le questure rilascino anche a questi minori il permesso di soggiorno per motivi familiari, pur in assenza di un affido formale, ma applicando la disposizione del TU per analogia; prevedere la nomina del parente quale tutore del minore da parte del Giudice Tutelare e poi disporre un affidamento consensuale del minore da parte dei servizi sociali del Comune al parente sulla base del parere di quest'ultimo in quanto suo tutore.

Dai lavori del convegno non è emersa una soluzione sulla delicata questione della possibilità di conversione del permesso di soggiorno per minore età in altro titolo di soggiorno (per motivi di lavoro) al compimento dei 18 anni. Dopo l'entrata in vigore del Dpr n. 535/99 diverse questure non consentono più detta conversione, considerando decadute le precedenti disposizioni amministrative emanate ai tempi della vigenza della "legge Martelli" e costringendo dunque i minori divenuti maggiorenni a trovarsi in condizioni di irregolarità e suscettibili di essere espulsi.

C'è da attendersi ora che le opinioni espresse dal Presidente del comitato minori stranieri, prof. Vercellone, al convegno di Torino del 4 luglio, vengano tradotte in disposizioni amministrative ufficiali del Comitato medesimo che possano essere diffuse agli organi competenti territoriali tramite le Prefetture e l'Ufficio centrale della Giustizia Minorile, contribuendo così a far chiarezza su una situazione che appare estremamente confusa e suscettibile di svariate e difformi interpretazioni a livello locale.

A conclusione del convegno di Torino, l'ASGI ed altre associazioni torinesi (Caritas, Centro territoriale per l'educazione permanente Parini e la Rete d'urgenza contro il razzismo) hanno steso ed inviato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e agli altri ministeri competenti, un appello affinché siano chiariti i diversi punti ancora problematici della questione del trattamento dei minori stranieri non accompagnati, chiedendo in particolare che:

Il testo dell'appello dell'ASGI e delle altre associazioni, così come la trascrizione degli atti completi del convegno svoltosi il 4 luglio a Torino sul tema: "Minori stranieri non accompagnati e irregolari tra accoglienza e rimpatrio", curata e gentilmente messa a disposizione da Elena Rozzi, della Rete d'urgenza contro il razzismo di Torino, possono essere richiesti alla segreteria organizzativa dell'ASGI (e-mail: ledaz@tin.it).

Di seguito riportiamo un'analisi critica del quadro normativo sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati in Italia, alla luce dei citati recenti provvedimenti, che sarà pubblicata, nei prossimi mesi, in un volume dell'editore Giuffrè dedicato alla legge sull'immigrazione. Il testo è stato redatto nel gennaio 2000 e dunque non tiene conto degli sviluppi successivi, di cui abbiamo riferito sopra.

 

I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI

TRA TUTELA IN ITALIA E RIMPATRIO

di Walter Citti

 

Non è per nulla agevole affrontare dal punto di vista normativo la delicata questione del trattamento dei minori stranieri non accompagnati. Nonostante l'entrata in vigore della legge n. 40/1998, definita al momento dell'approvazione normativa "organica" in materia di immigrazione, e l'emanazione del suo regolamento di attuazione, la materia dei minori stranieri non accompagnati viene ad essere considerata in recenti studi sull'argomento "quasi intrattabile" a causa della "coesistenza nell'ordinamento giuridico di molteplici disposizioni, disorganiche e in parte contrastanti tra loro, che danno luogo a enormi difficoltà di orientamento e, conseguentemente, a prassi giudiziarie le più disparate". Non si esita a definirla un vero e proprio "guazzabuglio" normativo, dove gli operatori sociali e giudiziari si muovono "secondo prassi più o meno consolidate (perlopiù a livello locale ndr), dall'origine incerta e dalla perdurante legittimità quantomeno dubbia", innanzitutto sotto il profilo costituzionale.

La situazione prima della legge n. 40/1998.

La mancata regolamentazione giuridica della materia da parte della legge n. 39/1990 aveva costretto diverse realtà locali ad individuare forme di intervento ispirate ai principi generali del diritto minorile e a quelli della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, con l'intento di sottrarre all'autorità di polizia i poteri di determinazione in merito al trattamento dei minori stranieri non accompagnati per trasferirli a quella giudiziaria, individuata alternativamente nel Tribunale per i Minorenni ovvero nel Giudice Tutelare.

Se andiamo brevemente ad esaminare il sistema generale delle norme in materia di protezione dei minori, ricavabile dalla costituzione, dalle fonti internazionali e relative leggi di ratifica ed esecuzione, così come dalle norme del codice civile e dalla disciplina sull'adozione e l'affidamento (legge n.184/83 come modificata dalla legge n. 476/98), appare emergere un quadro che attribuirebbe esclusivamente all'Autorità Giudiziaria minorile la competenza sul trattamento del minore straniero non accompagnato in Italia e sulle soluzioni più opportune da adottare nei suoi confronti, nel senso del rimpatrio ovvero della sua permanenza in Italia. Come vedremo più avanti, tale convinzione appare oggi messa in discussione per effetto di nuovi strumenti normativi, di dubbia legittimità costituzionale, che sembrerebbero trasferire tale competenza all'autorità amministrativa.

Innanzitutto vale la pena citare le fonti giuridiche interne in tema di protezione generale giuridica della condizione minorile, applicabili nei casi in cui i genitori siano impossibilitati ad esercitare la potestà e riguardanti l'apertura della tutela ad opera del giudice tutelare (art. 343 C.C.), anche deferendola al rappresentante dell'istituto di assistenza ove il minore venga ricoverato o assistito a cura della pubblica autorità (artt. 401, 402, 403 C.C.). Molto importante è anche l'art. 371 C.C. che demanda al Giudice tutelare il compito di stabilire il luogo in cui il minore sottoposto a tutela deve vivere e che, rispetto ai minori stranieri non accompagnati, è stato per analogia interpretato come attribuente all'autorità giudiziaria la valutazione dell'interesse o meno del minore a rimanere in Italia ovvero ad essere rimpatriato. Una norma esplicitamente rivolta ad estendere anche al minore straniero le misure di protezione generalmente previste è stata il famoso art. 37 della legge n. 184/83, che ha dichiarato applicabile anche al minore straniero in stato di abbandono in Italia le misure contenute nel medesimo strumento normativo in materia di adozione, di affidamento familiare e di provvedimenti necessari in caso di urgenza.

Prendendo spunto da questo complesso quadro normativo, così come dalle esperienze di collaborazione interistituzionale già promosse in diversi contesti locali e specialmente a Roma e a Torino, nel corso del 1994 le autorità centrali del Ministero dell'Interno, di quello di Grazia e Giustizia e del Lavoro decisero di avviare una serie di incontri e discussioni che condussero all'emanazione di provvedimenti amministrativi (circolari) volti a regolamentare in modo uniforme sul territorio nazionale la questione del trattamento dei minori stranieri non accompagnati. Si sancì la necessità per ogni minore straniero non accompagnato di avviare l' apertura di una tutela da parte del Tribunale per i Minorenni (per i minori di anni 14) o del Giudice tutelare (per gli ultra quattordicenni), con conseguente affidamento all'Ente locale, in base ad una interpretazione "lata" dell'art. 37 della legge n. 184/83, secondo cui il giudice può emettere provvedimenti urgenti a favore del minore straniero in stato di abbandono. In base a tali circolari amministrative, all'autorità di polizia veniva sottratto ogni potere di determinazione circa la condizione ed il trattamento del minore straniero non accompagnato, demandando all'autorità giudiziaria minorile il delicato compito di individuare la soluzione più confacente agli interessi supremi del minore richiamati dalla Convenzione Internazionale sui diritti del fanciullo (art. 3) (accoglienza, integrazione o rimpatrio). Durante la tutela disposta dall'autorità giudiziaria, il minore godeva di un permesso di soggiorno per motivi di "affidamento" o di "giustizia", il cui rilascio veniva ricondotto alla previsione di cui all'art. 4.14 della legge n. 39/90 ("Per gli stranieri ricoverati in case di cura e di pena, ovvero ospitati in comunità civili o religiose, il permesso di soggiorno può essere richiesto alla questura competente da chi presiede le case, gli istituti o le comunità sopraindicati, per delega degli stranieri medesimi").

Al fine di rendere maggiormente effettiva la protezione sociale del minore non accompagnato sottoposto a tutela, venne concordata la possibilità di un suo accesso all'impiego, in via del tutto eccezionale, previo rilascio al datore di lavoro di un apposito atto di avviamento a prescindere dall'iscrizione del minore alle liste di collocamento (circ. Min. Lavoro n. 67 dd. 16.06.1994).

Venendo incontro a ragioni di carattere umanitario facilmente comprensibili, con una successiva circolare amministrativa (circ. Ministero del Lavoro dd. 19.09.1995) si consentì la possibilità per il minore straniero non accompagnato e sottoposto a tutela, una volta raggiunta la maggiore età, di rimanere in Italia, usufruendo dell'iscrizione alle liste di collocamento, alla pari degli altri cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia per motivi di lavoro, anziché essere sottoposto al provvedimento espulsivo.

Le disposizioni contenute nella legge n. 40/1998. Una riforma mancata in materia di minori non accompagnati.

Sebbene le autorità di P.S. a livello locale applicassero spesso i provvedimenti amministrativi citati in maniera discrezionale e disomogenea, si può affermare in linea generale che erano state poste le basi nel trattamento dei minori stranieri non accompagnati per un superamento della logica delle espulsioni a favore di una logica alternativa di accoglienza ed integrazione.

Con l'entrata in vigore della legge n. 40/1998, sembrò trovare ulteriore conferma questo orientamento favorevole all'integrazione.

Sebbene la questione non appaia molto definita dalla normativa in questione, importanti disposizioni vi sono peraltro contenute. Così, l'art. 19.2 a) del d.lgs. 286/98 dispone l'inespellibilità del minore straniero non accompagnato, tranne per i motivi di sicurezza nazionale e ordine pubblico, per i quali, in base all'art. 31.4, deve disporre il Tribunale per i minorenni su richiesta del questore. Per quanto concerne la condizione dei minori stranieri non accompagnati sottoposti a tutela ("comunque affidati ai sensi dell'art. 2 della legge n. 184/83" ad una famiglia, ad una persona singola, ad una comunità di tipo familiare o ad un istituto), una volta raggiunta la maggiore età, l'art. 32 stabilisce la possibilità del rilascio a loro favore di un permesso di soggiorno per motivi di studio o di accesso al lavoro, a prescindere dal sistema delle quote annuali introdotto dal meccanismo della programmazione dei flussi.

Il decreto legislativo n. 133/1999. Dall'accoglienza al rimpatrio assistito. Tutela dei diritti del minore o "espulsione camuffata" ?

Il fatto, tuttavia, che non si sia voluto prevedere con la nuova legge sull'immigrazione una griglia normativa precisa ed organica della materia, ha favorito ben presto un cambio di rotta a livello governativo, improntato più che su solide basi giuridiche, su un elevato esercizio di discrezionalità amministrativa, e giustificato da considerazioni di opportunità politica nonché da asserite inconciliabilità della situazione italiana con gli standard europei.

L'aumento del numero dei minori stranieri non accompagnati affidati e accolti presso istituti e centri di accoglienza dei comuni, cui spetta tale compito anche in base a quanto chiarito da un parere del Consiglio di Stato (30 luglio 1997), ha accresciuto le difficoltà di gestione da parte degli Amministratori locali. A ciò si sono aggiunte le preoccupazioni da parte governativa di alimentare con una politica di accoglienza flussi migratori clandestini e soprattutto di favorire indirettamente le organizzazioni criminali che li gestiscono, così come di non ottemperare ai criteri - peraltro non vincolanti giuridicamente- contenuti nella Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi 11.

Utilizzando la delega contenuta nell'art. 47 c. 2 della legge n. 40/98, che demandava al Governo stesso di adottare, entro due anni, le disposizioni correttive necessarie "per realizzare pienamente i principi della legge o per assicurarne la migliore attuazione", con il d. lgs. 13 aprile 1999 n. 113, ed in particolare con l'art. 5, sono state introdotte delle disposizioni correttive al Testo Unico sull'immigrazione riferite ai poteri e alle funzioni del Comitato per i minori stranieri di cui all'art. 33 del d.lgs. n. 286/98. Tale comitato era sorto già ai tempi della "legge Martelli" con lo scopo di vigilare e regolare le modalità di ingresso e di soggiorno temporaneo in Italia dei minori stranieri nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea proposti da enti, associazioni di volontariato, enti locali (ad es. i soggiorni estivi dei bambini ucraini e bielorussi colpiti dalle radiazioni di Chernobyl, etc.). Accanto a queste funzioni tradizionali, già con l'art. 33 del T.U. si era fatto cenno, in verità assai sfuggevole, ad ulteriori e non precisati compiti concernenti la tutela dei diritti dei minori stranieri in conformità alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, in relazione anche all'affidamento temporaneo e al rimpatrio dei medesimi. Con l'art. 5 del d.lgs. 113/99 si fa esplicito rimando ad un regolamento, successivamente emanato con il d.p.c.m. 09.12.1999 n. 53512, volto a definire i compiti del comitato anche con riferimento alle modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati da parte dei servizi sociali degli enti locali, e alle soluzioni praticabili nei loro confronti, di accoglienza, di rimpatrio assistito, di ricongiungimento con la famiglia nel paese di origine o in un paese terzo (c. 1b)). In particolare, il decreto legislativo prevede che il provvedimento di rimpatrio del minore straniero non accompagnato venga adottato dal Comitato e che l'autorità giudiziaria rilasci il nulla-osta in caso di pendenza di un procedimento giudiziario, fatta salva la sussistenza di inderogabili esigenze processuali (c.2).

In sostanza, con il decreto legislativo n. 113/99 il governo ha voluto indicare che l'inespellibilità del minore straniero non accompagnato, che discende dall'art.19 c. 2 a) del T.U., non esclude di per sé l'ipotesi del rimpatrio del medesimo, istituto che va distinto da quello dell'espulsione qualora, realizzandosi mediante le garanzie sostanziali e procedurali contenute nella risoluzione europea accennata, assuma un carattere non meramente coatto, bensì "assistito". 13

Chiarito che, nell'impostazione governativa, la non-espellibilità del minore straniero non accompagnato non esclude l'eventualità/opzione del suo rimpatrio "assistito", sembrano tuttavia lungi dall'apparire privi di lacune, incertezze, contraddizioni e dubbi di legittimità costituzionale decisivi aspetti del complesso normativo venuto a compimento con il varo del citato regolamento previsto dal d.lgs. 113/99, concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri. Molteplici rilievi, in particolare, è necessario muovere sui seguenti punti:

  1. L'incerta definizione di minore non accompagnato e l'altrettanto precaria condizione di tutela giuridica del minore straniero affidato di fatto a parenti entro il quarto grado anche a causa del difetto di coordinamento tra le disposizioni della legge n. 40/98 e quelle ordinarie di cui alla legge n. 184/83.
  2. Le scarse garanzie di effettività nell'applicazione delle specifiche disposizioni di tutela del minore straniero non accompagnato contenute nell'art. 33 c. 5 della legge n. 476/9814 rispetto alle norme della legge sull'immigrazione relative all'istituto del respingimento con accompagnamento alla frontiera.
  3. La distribuzione ed il coordinamento delle competenze e delle responsabilità decisionali riguardo alla soluzione da adottare per il minore non accompagnato, tra autorità giudiziaria minorile, questura, servizi sociali degli enti locali, volontariato, comitato per i minori stranieri.
  4. Il quadro delle garanzie previste per il minore affinché il rimpatrio assistito costituisca effettivamente la soluzione più vicina ai suoi interessi superiori;
  5. Il quadro dei diritti e delle facoltà connesse all'accoglienza e al soggiorno del minore non accompagnato in Italia nel corso della tutela.

__.__.__

  1. Nel regolamento concernente i compiti del comitato per i minori stranieri viene contenuta una definizione di "minore straniero non accompagnato" che ricalca sostanzialmente quella contenuta nella risoluzione europea, intendendo per esso "quel minorenne non avente la cittadinanza italiana o di uno degli Stati dell'Unione Europea che, non avendo presentato domanda di asilo politico, si trova per qualsiasi causa, nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano".15 Tale definizione non risolve la delicata, e peraltro assai frequente nella casistica, questione del trattamento dei minori stranieri affidati di fatto dai genitori rimasti nel paese di origine a parenti entro il quarto grado residenti regolarmente in Italia. In base all'art. 19 del d.lgs. n. 286/98 sull'inespellibilità del minore (salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulso) e alla conseguente norma di attuazione contenuta nel regolamento di attuazione (art. 28 d.p.r. 31.08.1999 n. 394: "Quando la legge dispone il divieto di espulsione, il questore rilascia il permesso di soggiorno…per minore età", salvo l'iscrizione del minore di anni quattordici nel permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario straniero regolarmente soggiornanti in Italia) non vi sono dubbi sul diritto del minore ad ottenere una regolarizzazione della propria presenza in Italia. I problemi che si pongono sono di duplice natura: vi sono i presupposti per l'intervento da parte di un'autorità giudiziaria minorile e quale deve essere tale autorità ? Qual' è lo status del minore al momento del raggiungimento della maggiore età ?.
  2. La norma citata del regolamento applicativo richiede la segnalazione di ogni minore non accompagnato al Tribunale per i minorenni "per i provvedimenti di competenza", ma tale competenza nei casi di minori stranieri affidati di fatto a parenti entro il quarto grado in Italia appare perlomeno dubbia. Il Tribunale per i minorenni infatti ha la funzione di controllo dell'esercizio della potestà genitoriale e ha come scopo la tutela dei minorenni nei confronti delle condotte eventualmente pregiudizievoli dei genitori, con conseguente, nel caso, esercizio del potere di limitazione o esclusione della potestà (art. 330-333 C.C.). Nella maggior parte dei casi l'affido di fatto ai parenti in Italia avviene con il pieno consenso dei genitori, espresso con atti notarili redatti nei paesi di origine e raccolti dai servizi sociali o dall'autorità giudiziaria italiana, così come i parenti di fatto affidatari vivono regolarmente in Italia soddisfando requisiti alloggiativi e reddituali per il mantenimento del minore, per cui a molti giudici non appare sostenibile la tesi di una condotta pregiudizievole che sola può giustificare l'intervento del T.M. Ugualmente, argomentando a contraris ex art. 9 VI° comma l. 184/83 ("Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al Tribunale per i minorenni con relazione informativa…Nello stesso termine di cui al comma precedente uguale segnalazione deve essere effettuata dal genitore che affidi stabilmente a chi non sia parente entro il quarto grado il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi") la giurisprudenza ha sostenuto di non ravvisare in questi casi la competenza né dell'autorità amministrativa del Servizio sociale per l'eventuale disposizione formale dell'affidamento consensuale, né del Tribunale per i minorenni per quello giudiziale.16 Resta il fatto che in assenza di un provvedimento formale di affidamento ex art. 2 e 4 della legge n. 184/83, in base ad un'interpretazione letterale, non potrebbero essere applicate le disposizioni di cui agli artt. 30 e 31 del D.lgs.vo n. 286/98 che richiamano proprio alle norme sull'adozione e l'affidamento, per cui il minore infraquattordicenne non potrebbe essere iscritto sul permesso di soggiorno del parente affidatario di fatto e seguirne la condizione giuridica, né ottenere al compimento del quattordicesimo anno di età un permesso di soggiorno autonomo per motivi familiari (che rientra nel novero di quelli multifunzionali che conferiscono l'accesso all'attività lavorativa ex art. 6 c. 1 del TU)17. Tanto meno potrebbe richiedere la conversione del permesso di soggiorno in quello per motivi di lavoro al compimento della maggiore età. Resterebbe il suo diritto a godere di un permesso di soggiorno provvisorio per "minore età" - i cui diritti e facoltà esercitabili resterebbero del tutto imprecisati - in quanto inespellibile fino alla maggiore età, dal cui compimento ne conseguirebbe l'automatica espulsione18. Assisteremmo dunque alla paradossale situazione per cui proprio coloro che sono maggiormente tutelati dal punto di vista familiare, socio-economico, affettivo si troverebbero ad essere meno tutelati dal punto di vista giuridico. Da tale assurda situazione si può uscire soltanto con un'interpretazione estensiva della norma della legge n. 40/98, volta a consentire l'applicazione di quanto in essa previsto anche senza che vi sia un provvedimento formale ex art. 2 o 4 della l. 184, estendendo il concetto di minore affidato anche nei casi di minori affidati de facto con semplice atto notarile della famiglia. Ma di tutto ciò non vi è traccia nel regolamento di attuazione del d.lgs. n. 113/99 varato con il citato d.p.c.m. n. 535/99, né apparirebbe legittimo sotto il profilo costituzionale e del principio di gerarchia delle fonti modificare nella sostanza norme di legge mediante fonti di natura secondaria.

  3. L'art. 10 del T.U. prevede il respingimento con accompagnamento alla frontiera disposto dal questore nei confronti degli stranieri che siano entrati nel territorio dello Stato illegalmente, e siano fermati all'ingresso o subito dopo e di quelli che sono stati temporaneamente ammessi per necessità di pubblico soccorso. L'eventuale applicazione di tali disposizioni al minore contrasterebbe con quanto previsto dall'art. 33 comma 5 della legge n. 476/98, che configura un sistema di tutela per il minore "solo" con obbligo di segnalazione al Tribunale per i minorenni in tutti i casi in cui "sia comunque avvenuto l'ingresso di un minore nel territorio dello Stato al di fuori delle situazioni consentite". Anche in relazione a tale aspetto, dunque, si ravvede l'opportunità di un intervento legislativo finalizzato a mettere ordine nella materia del trattamento dei minori stranieri non accompagnati.19

c) I commenti critici che da più parti si sono levati nei confronti del d.lgs. n. 113/99 hanno evidenziato forti perplessità di illegittimità costituzionale per violazione dei principi di riserva di legge e di riserva di giurisdizione. Il rinvio ad un successivo atto del governo per regolamentare le modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati ai fini dell'accoglienza, del rimpatrio assistito e del ricongiungimento familiare con il paese di origine o in un altro paese ha equivalso in sostanza alla possibilità per l'esecutivo di riscrivere la disciplina della condizione giuridica del minore straniero solo, il che è andato ben al di là della delega contenuta nella legge sull'immigrazione, così come contrasta con il principio di riserva di legge nella regolamentazione della condizione giuridica dello straniero di cui all'art. 10 c. 2 della Costituzione. 20 Ugualmente non si può non ravvisare le difficoltà di coordinamento tra la norma del decreto che attribuisce al Comitato per i minori stranieri la responsabilità della decisione in materia di "rimpatrio assistito" del minore21 e quella dell'art. 28 del d.p.r. 31.08.1999, n. 394 che, in attuazione dell'art. 19 .2 a) del T.U. , attribuisce al Tribunale per i Minorenni la competenza per l'emanazione dei provvedimenti concernenti il minore straniero non accompagnato. Si potrebbe supporre che l'esecutivo abbia voluto da un lato coinvolgere l'autorità giudiziaria minorile per quanto concerne l'apertura della tutela del minore individuato sul territorio nazionale privo di accompagnamento di una persona adulta di riferimento (in base all'art. 2 della legge n. 184/1983), facendo salva tuttavia la competenza del Comitato per i minori stranieri per l'assunzione della decisione in merito al "rimpatrio assistito", quale soluzione eventualmente più rispondente all'interesse del minore, in base ai principi contenuti nella Convenzione di New York sull'esigenza di garantire l'unità familiare e il rispetto dei valori culturali.

Nel regolamento di attuazione del D.lgs. n. 113/99 si prevede infatti che i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e gli enti, che vengano a conoscenza dell'ingresso e della presenza sul territorio italiano di un minore straniero non accompagnato, siano tenuti a darne immediata notizia al Comitato (art. 5), così come a cooperare con le amministrazione statuali cui è affidato il rimpatrio assistito (art. 7.3). L'attribuzione ad un organo amministrativo della competenza a disporre il rimpatrio, sottraendola all'autorità giudiziaria minorile, non sembra peraltro in linea con la giurisprudenza costituzionale, che ha annoverato il Tribunale per i minorenni tra gli istituti che la Repubblica ha predisposto in base all'art. 31 della Cost., per l'adempimento del precetto costituzionale che la impegna alla "protezione della gioventù"22. E' lecito ritenere che, una volta adottata dal Comitato la decisione del "rimpatrio assistito" del minore, l'autorità giudiziaria minorile non possa far altro che adeguarvisi, revocando la tutela precedentemente aperta, in base a quanto previsto dall'art. 4 della legge n. 184/1983 e dall'art. 336 C.C.?23 Ugualmente, appare sconcertante che nel decreto e nel regolamento sul Comitato non si faccia parola dei rimedi di tutela amministrativa e giurisdizionali contro il provvedimento di rimpatrio, anche se è evidente che questi possono essere esercitati. 24

d) Vale la pena innanzitutto ricordare che, sebbene la risoluzione europea citata non assuma un atteggiamento favorevole all'integrazione dei minori stranieri non accompagnati, prediligendo la soluzione del rimpatrio ("la presenza irregolare nel territorio degli Stati membri di minori non accompagnati che non sono considerati rifugiati deve avere carattere provvisorio, per cui gli Stati membri si sforzano di collaborare tra di loro e con i paesi terzi di origine per ricondurre il minore nel suo paese di origine..."), ugualmente essa stabilisce opportuni paletti, limitazioni e garanzie volte a proteggere il minore dal rischio di un rimpatrio indiscriminato, prevedendo che il rimpatrio possa avere luogo solo "se vi siano disponibili per lui, al suo arrivo, un'accoglienza ed un'assistenza adeguate, a seconda delle sue esigenze in base all'età e al grado di indipendenza", mentre finché tali condizioni non si saranno verificate, "gli Stati membri dovrebbero, in linea di massima, offrire al minore la possibilità di restare nel loro territorio". Ugualmente trova conferma nella risoluzione l'esigenza di un pieno rispetto dei principi generali di "non refoulement" e della tutela dei minori rifugiati, che discendono rispettivamente dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dalla Convenzione di Ginevra del 1951.

Affinché il rimpatrio sia effettivamente "assistito" e non meramente coatto secondo i criteri europei occorre dunque attivare una complessa azione di identificazione del minore, di "tracing" dei familiari e di indagine sulle opportunità assistenziali, formative e lavorative offerte nel paese di origine, e quindi di accoglienza e reinserimento nel medesimo, che veda il coinvolgimento di organismi internazionali (Croce Rossa, Unicef, Unhcr, servizi sociali del paese di origine, ONG,…). Si può realisticamente ritenere che tali compiti, spesso peraltro obiettivamente difficili da realizzare per le condizioni di povertà ed isolamento dei luoghi di origine dei minori, possano essere svolti soltanto dai servizi sociali degli enti locali cui i minori sono affidati o anche solo dal comitato costituto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, composto da nove rappresentanti e che si avvale di un personale di segreteria e supporto molto ristretto come quello assegnatogli dal Dipartimento affari sociali ?25 E' vero che nel regolamento si prevede la possibilità del comitato di avvalersi della collaborazione di esperti e di idonei organismi nazionali ed internazionali anche mediante la stipula di apposite convenzioni (art. 2.2 f) e che una convenzione di tale genere, ancor prima dell'entrata in vigore del regolamento, è stata già stipulata nell'aprile '99 tra il Dipartimento affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Servizio Sociale internazionale -Sezione Italiana, in accordo con il Ministero del Lavoro e degli Affari sociali albanese, "in supporto alle iniziative connesse al rimpatrio assistito dei minori albanesi non accompagnati presenti irregolarmente in Italia". Resta, tuttavia, ancora da verificare la possibilità di estendere tale approccio ad altri paesi di provenienza dei minori, così come la stessa effettività delle misure intraprese in base alla convenzione sui minori albanesi, rispetto agli ambizioni obiettivi prefissi, che comprendono tra l'altro "la presa in consegna del minore all'arrivo e il riaccompagnamento in famiglia o altra struttura e l'inserimento del minore in Albania in corsi professionali o apprendistato al lavoro sostenuto da una borsa lavoro", soprattutto alla luce della debolezza delle strutture educative e formative statuali in Albania e delle precarietà delle condizioni sociali e lavorative ivi esistenti.26

Nel regolamento viene previsto il coinvolgimento del minore nel procedimento che dovrebbe condurre il comitato ad assumere la decisione sull'eventuale "rimpatrio assistito", prevedendo che esso "sia previamente sentito, anche dagli enti interessati all'accoglienza".27 E' facile supporre, tuttavia, che nella maggior parte dei casi la decisione del rimpatrio assistito venga ad essere attuata dai pubblici poteri contro la volontà del minore e senza la sua collaborazione e, dunque con un accompagnamento di tipo coercitivo. In tal modo, il rimpatrio acquisisce la natura di un provvedimento limitativo della libertà personale del minore, sollevando ulteriori profili di illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 13 Cost., nel caso in cui, come sembrerebbe, venisse adottato da un organo amministrativo, quale il Comitato per i minori stranieri, e non dall'autorità giudiziaria.28

e) Avendo in considerazione la complessità e la mole di lavoro e di contatti richiesti per accertare le condizioni per un eventuale "rimpatrio assistito", è presumibile che la permanenza del minore in Italia si prolunghi per periodi di tempo anche lunghi, così come l'obiettiva impossibilità in molti casi di reperire sufficienti ed attendibili informazioni sulle possibilità di accoglienza, assistenza e reinserimento nel paese di origine (si pensi a minori provenienti da paesi lontani, geograficamente e culturalmente, come il Bangladesh, lo Sri Lanka,..) possono realisticamente rendere più praticabile e confacente al superiore interesse del minore la soluzione della sua integrazione, in attesa del raggiungimento della maggiore età, piuttosto che quella del rimpatrio. Diviene dunque decisiva la questione dei diritti e delle facoltà esercitabili dal minore sottoposto a tutela, al fine di evitare situazioni di mero "parcheggio" nelle strutture di accoglienza, fonte eventuale di ulteriore isolamento ed emarginazione.29 Ugualmente, vanno definite le caratteristiche connesse al permesso di soggiorno del minore sottoposto a tutela. Se il Testo unico ha sciolto ogni dubbio in merito all'accesso all'assistenza sanitaria (includendo il permesso di soggiorno per affidamento tra quelli che consentono l'iscrizione obbligatoria al SSN in condizione di parità con il cittadino italiano: art. 34) e all'istruzione, margini di ambiguità permangono per quanto concerne l'accesso all'attività lavorativa degli ultraquattordicenni. L'esclusione da tale facoltà di coloro che godano di un affidamento temporaneo alle strutture di accoglienza dell'ente locale o del volontariato non potrebbe ritenersi legittima per l'evidente ed ingiustificata disparità di trattamento che si creerebbe rispetto a quelli affidati ad un adulto straniero in possesso di permesso o di carta di soggiorno, per i quali l'art. 31 c. 2 prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, valido dunque anche per l'esercizio dell'attività lavorativa in base al principio di multifunzionalità. Per tale ragione, appare certamente illegittimo, perché contrastante con la norma primaria che dovrebbe attuare, il regolamento delle attività del Comitato che non contempla alcuna disposizione per l'accesso all'attività lavorativa dei minori stranieri non accompagnati accolti, citando soltanto i diritti relativi al "soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie, all'avviamento scolastico e alle altre provvidenze disposte dalla legislazione vigente" (art. 6.1), mentre la durata del permesso di soggiorno del minore viene ridotta a novanta giorni, estensibili fino ad un massimo di 150 giorni su decisione del comitato (art. 9) . La mancata previsione di ulteriori possibilità di proroga rende di difficile interpretazione il significato di detto articolo, che potrebbe certo adattarsi alle esigenze di minori arrivati in Italia per soggiorni temporanei nell'ambito di iniziative di solidarietà promosse da enti locali ed associazioni di volontariato, ma non certo a quelle dei minori non accompagnati giunti in Italia irregolarmente, per i quali la permanenza potrebbe rendersi necessaria per più lunghi periodi di tempo, per le difficoltà ad organizzare un rimpatrio "assistito" ovvero perché l'integrazione in Italia potrebbe comunque risultare la soluzione più conforme agli interessi superiori del minore medesimo.

Da questa disamina appare chiaramente l'orientamento del governo italiano di privilegiare la soluzione del rimpatrio assistito rispetto a quella dell'integrazione. Tale orientamento viene giustificato con l'obiettivo proclamato di contrastare l'immigrazione irregolare e le organizzazioni che la sfruttano, di salvaguardare il principio della programmazione dei flussi di ingresso e di rispettare il criterio preferenziale accordato alla riunificazione familiare dagli strumenti normativi internazionali di tutela dei minori.30 Non è priva di fondamento l'obiezione sollevata dagli organismi umanitari e di volontariato, secondo cui tale politica potrebbe determinare effetti esattamente opposti. I minori, percependo la concreta eventualità del rimpatrio, e spaventati da essa, potrebbero non avere interesse a emergere dalla clandestinità e a sottrarsi alle condizioni di sfruttamento cui spesso sono soggetti (accattonaggio, lavoro minorile, prostituzione, situazioni che posso determinare in molti casi la fattispecie della vera e propria "riduzione in schiavitù"), così come anche il rapporto con i servizi sociali e le comunità di accoglienza verrebbe falsato e reso problematico dall'obbligo di cooperazione di queste ultime con il comitato e le autorità di polizia ai fini dell'eventuale assunzione della decisione del rimpatrio.31

Anche sul piano del merito, dunque, è lecito sollevare dubbi sull'effettiva capacità di una politica di rimpatrio dei minori non accompagnati a corrispondere tanto agli interessi superiori dei medesimi, quanto alle esigenze di sicurezza della collettività nazionale.