Diritti d' Europa o degli europei?

 

Il progetto di "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea" è molto al di sotto delle aspettative espresse da gran parte della "società civile", in particolare nel documento comune (Diritti fondamentali: il cuore dell'Europa) pubblicato dalla Confederazione Europea dei Sindacati e dalla Piattaforma delle ONG sociali europee. Non tanto nella definizione del "catalogo" dei diritti, tra cui certamente sono innovativi e importanti alcuni diritti economico-sociali e del lavoro; ma soprattutto nell'impianto generale, che denuncia con chiarezza la prevalenza del punto di vista "intergovernativo" teso a fare della Carta una dichiarazione solenne senza effetti reali.

L'ambito di applicazione, laddove esclude che la Carta modifichi le competenze e i compiti definiti dai Trattati, ne è una prima, chiara indicazione, peraltro già contenuta nelle conclusioni del Consiglio di Feira dello scorso giugno. Non si tratta di una questione "tecnica": al contrario è l'espressione politica della non volontà di fare dei diritti elencati nella Carta la base reale di una futura costituzione dell'Unione Europea. Ma ancor più chiara è la traduzione nei singoli articoli. Per fare solo due esempi: lo "straordinario" art. 32, che stabilisce il diritto all'assistenza sociale, cessa di essere così straordinario se si consideri che esso si limita a rinviarne l'applicazione alle "legislazioni e prassi nazionali", riducendosi ad una petizione di principio sostanzialmente inapplicabile. E il diritto alla protezione contro i licenziamenti ingiustificati — che non a caso nel documento CES/ONG era indicato tra i diritti programmatici, ha ben poca sostanza in assenza di qualsiasi previsione di un "piano d'azione" concreto che ne garantisca gli strumenti operativi.

Molta attenzione occorre poi prestare alle formule usate: la Carta intende "rendere più visibili", non rendere vincolanti, i diritti; l'Unione "riconosce e rispetta", non istituisce, molti dei diritti sociali; i cittadini di paesi terzi hanno diritto a "condizioni di lavoro equivalenti", non alla "parità di opportunità e trattamento", né per loro è previsto il diritto alla "partecipazione alla vita della comunità", definizioni riservate al rapporto tra donne e uomini e all'inserimento dei disabili (naturalmente, purché cittadine/i europee/i). Varrà la pena di ricordare che l'uso nelle conclusioni del Consiglio di Tampere del termine "diritti comparabili", anziché eguali, sta creando una ottima base per l'ostruzionismo di alcuni Governi alle Direttive proposte sul ricongiungimento famigliare e, per l'appunto, sulla non discriminazione nel mercato del lavoro.

E proprio sui diritti dei non nazionali il progetto di Carta mostra tutta la sua povertà. Per quanto riguarda il diritto d'asilo la Carta si richiama puramente e semplicemente alla Convenzione di Ginevra ed ai relativi protocolli, senza avere il coraggio di introdurre formule più avanzate, quale quella della stessa Costituzione italiana; il diritto di voto, tanto nelle elezioni europee che nelle elezioni municipali, appartiene ad "ogni cittadino dell'Unione", così come la libertà di circolazione (ma questa "può essere accordata" ai residenti non cittadini, mentre per il diritto di voto neppure questa possibilità è esplicitamente riconosciuta); altri esempi possono essere fatti, ma questi bastano.

Un movimento di opinione è certamente necessario, ma non solo per dare "efficacia e obbligatorietà" alla Carta, bensì per darle corpo e anima. Per farne uno strumento reale in direzione di forme di "cittadinanza di residenza" da un lato, per renderla criterio di valutazione nei processi di allargamento dell'UE (si pensi alla Turchia, ad esempio) dall'altro. Non solo è necessario ma è anche possibile. Il progetto di Carta, dopo l'adozione eventuale da parte del Consiglio di Biarritz (ottobre) dovrà essere approvato dal Parlamento Europeo e dalla Commissione, prima dell'adozione finale a Nizza (dicembre). C'è ancora spazio per intervenire con ogni possibile strumento di pressione su parlamentari e Governi; soprattutto c'è spazio per riaffermare che queste decisioni non possono essere prese in stanze chiuse.

Luciano Scagliotti

ENAR — European Network Against Racism