Due fatti mi sconcertano di fronte alla caduta del governo D'Alema. Il primo ha a che fare con le questioni istituzionali. Tutti oggi invocano una maggiore stabilita' di governo. E' difficile dar loro torto; un po' per questioni di inferiorita' numerica, un po' perche' ad ogni cambiamento di governo l'unico dato di rilievo sembra essere la possibilita' che qualche nuova e riconosciuta nullita' si trovi ad essere ministro o sottosegretario. Quale che sia il meccanismo elettorale invocato a sostegno di una futura maggiore stabilita', e' evidente che questa non puo' corrispondere ad una maggiore stabilita' - incontrollabile, per definizione - degli umori dell'elettorato. Deve piuttosto essere ottenuta nonostante l'instabilita' di quegli umori. Le leggi elettorali maggioritarie, ad esempio, consistono proprio - o vorrebbero consistere - nel premiare in modo eccessivo - non proporzionale, appunto - il momentaneo sbilanciamento del consenso elettorale da una parte o dall'altra. Tanto piu' forte e' il premio, tanto meglio si mette il governo al riparo di successivi mutamenti di umore e della conseguente tentazione dei singoli rappresentanti del popolo di negare la fiducia fino a quel momento accordata all'esecutivo. Non per nulla, il piu' stabile dei meccanismi e' rappresentato dall'elezione diretta del capo del governo, che, sulla base di questa investitura, non ha bisogno di ricorrere alla fiducia parlamentare. L'esempio piu' familiare di queto estremo e' dato dal presidenzialismo americano: il presidente eletto rimane a capo dell'esecutivo per tutti i quattro anni del mandato, anche quando le elezioni di medio termine dimostrino che il Paese gli ha voltato le spalle.

Se la stabilita' garantita da un sistema come quello presidenziale sia un bene o un male puo' essere materia di discussioni interminabili. La cosa che lascia sorpresi, in Italia, e' che, mentre si proclama l'esigenza imprescindibile di stabilita', si chiede da una parte - e si concede dall'altra - la caduta di un governo per il fatto che in un'elezione di medio termine - una delle tante - l'elettorato mostra di aver modificato il proprio umore. Circostanza che, in un contesto piu' marcatamente maggioritario, si vorrebbe mettere in non cale.

Il secondo fatto e' legato alla questione dell'immigrazione. Il governo D'Alema ha gestito - bene - l'avvio della politica dei flussi di immigrazione per lavoro. Non e' questa, ne' sara', la soluzione di tutti i problemi, ma lascia intravedere la possibilita', per gli immigrati, di percorrere vie di immigrazione legale, senza essere costretti ad affidarsi, da clandestini, a scafisti e trafficanti. Il percorso e' ancora pieno di ostacoli: mancano le liste di prenotazione nei consolati (o qualcosa di equivalente e centralizzato in Italia), la pubblica sicurezza e gli uffici provinciali del lavoro guardano con sospetto ogni tentativo di semplificazione amministrativa, i criteri fissati per l'ingresso legale di lavoratori stranieri sono ancora troppo restrittivi e difensivistici. C'e' pero' - ed e' la prima volta in tredici anni - uno sforzo di sperimentazione.

C'e' stato anche, su un versante complementare, un lavoro non trascurabile per dare risposta ai diritti fondamentali dei cittadini stranieri: oggi la tutela sanitaria e' garantita alla persona straniera, come a quella italiana, a prescindere dalla regolarita' del soggiorno. E questo e' a beneficio di tutti. Lo stesso vale per l'istruzione obbligatoria dei minori o per la protezione sociale di persone che vogliano salvarsi dallo sfruttamento criminale.

A fronte di questo - che non e' poco, e che e' molto di piu' di quanto non sia stato fatto negli anni scorsi - l'opposizione, patologicamente avversa al fenomeno migratorio - sa solo opporre banalita' sciatte e sgrammaticate come la proposta Bossi-Berlusconi (non e' un caso che Fini, che sa di non avere nulla da dire sull'immigrazione, ma che pure non e' un tonto, non abbia prestato il suo nome a questa operazione). E cosa fa la maggioranza parlamentare al cospetto di tanta pochezza? Indietreggia smarrita e biascica cifre irrilevanti di clandestini rispediti in patria. Invece, cioe', di rivendicare il merito di una politica che, se rafforzata, potrebbe rendere inutili, in gran parte, espulsioni e centri di detenzione, enfatizza il ricorso a questi strumenti - colpo di coda di un decennio di buio totale, auspicabilmente avviato a sepoltura.

Si perdono anche cosi' le elezioni, e si va a un nuovo governo. Si buttera' via, ora, dopo i risultati conseguiti, anche la capacita' di conseguirli? Si lascera' passare il bulldozer del riciclaggio delle nullita' sopra il lavoro di persone come Maritati, Bindi, Balbo e rispettivi staff? E tutto in nome della stabilita' di governo?

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