Bossi, Berlusconi e gli immigrati:

le ragioni di una scelta involutiva

Edgar Serrano (*)

 

Chiunque abbia un minimo di sensibilità o di attenzione verso i temi della cooperazione, della solidarietà, della pace fra i popoli o della convivenza plurietnica e multiculturale non può non percepire nella proposta di Legge avanzata da Silvio Berlusconi e Umberto Bossi un segnale deliberatamente costruito per creare le condizioni emotive volte alla rassegnata accettazione, da parte dei cittadini italiani, di un’involutiva scelta culturale e, soprattutto, politica. Tale scelta involutiva, fortemente carica di disprezzo e di odio contro chiunque non la pensi "a destra", è stata sintetizzata nello slogan che il leader di Forza Italia ha coniato da qualche tempo: "una scelta di campo" . Quindi, o con me o contro di me…tertium non datur.

Dal punto di vista socio-culturale, la scelta involutiva promossa da Berlusconi e Bossi identifica nel fenomeno dell’immigrazione straniera l’argomento ideale su cui misurare la sua efficacia emotiva e propagandistica. Dal punto di vista politico, invece, l’attacco si concentra contro la Legge 40/98 sull’immigrazione, mediante la costruzione di un discorso cinico, strumentale e demagogico che fa leva su una fantomatica invasione extracomunitaria il cui unico scopo è quello di creare un ambiente di panico collettivo contro "i foresti" e, così, riuscire a conquistare qualche voto in più nelle elezioni regionali.

I primi annunci della scelta involutiva dell’asse Berlusconi-Bossi erano già stati fatti nel febbraio scorso dal segretario della Lega Nord della Regione Lombardia, Roberto Calderoni, il quale, lamentandosi per la bocciatura da parte della Consulta del loro referendum contro la Legge 40/98, anticipava in un’intervista che: "nei prossimi mesi, dopo l’accordo con il Polo, prenderemo le regioni del Nord e l’anno prossimo vinceremo le politiche e la cancellazione dell’attuale Legge sarà al primo punto del programma". Dunque, la "questione immigrati" costituiva, già da molto tempo, l’argomento forte portato da Bossi al tavolo delle trattative con Berlusconi e accettato subito da quest’ultimo pur di guadagnare un nuovo alleato alla sua crociata "contro i comunisti". Giulio Tremonti, l’artefice dell’accordo con Bossi, è anche il personaggio che ha avuto un ruolo di spicco nell’elaborazione della proposta di legge Polo-Lega sull’immigrazione. Tale proposta, ´impensabileª secondo la Chiesa e ´folleª secondo il governo, non è ancora sufficientemente dibattuta dai cittadini italiani ma neanche dagli organismi, gruppi e associazioni che, avendo come ragion d’essere la scelta a favore delle categorie sociali più deboli, includono nel loro raggio d’azione l’immigrazione straniera.

Provo a fare qui alcune considerazioni sui passaggi più inquietanti di quella ´impensabile e folleª proposta di legge.

La proposta, redatta in 15 pagine, si compone di 13 articoli più una relazione in cui sono spiegate le "ragioni" religiose (sic!), politiche, sociali e culturali della proposta stessa.

L’art. 1 della proposta sostiene la deducibilità del reddito imponibile, ai fini IRPEF e IRPEG, e del valore aggiunto, ai fini IRAP, di "erogazioni liberali senza limiti di importo" a favore delle iniziative missionarie ed umanitarie, religiose e laiche, sviluppate nei paesi non OCSE.

 

Il comma 1 dell’art. 2 propone l’abrogazione di "tutte le disposizioni vigenti in materia di immigrazione di stranieri provenienti da paesi non appartenenti all’OCSE" e loro sostituzione con "la presente legge". Il comma 2, invece, propone la "denunzia unilaterale", da parte del Governo, dei trattati e delle convenzioni "non conformi ai principi della presente legge" e stipulati con paesi non appartenenti all’OCSE. Al riguardo bisogna sottolineare che, mentre Berlusconi, Bossi e tutti i loro accoliti sostengono che lo spirito della loro proposta è contro l’immigrazione clandestina e non contro quella regolare, tali dichiarazioni sono smentite da ciò che loro stessi hanno scritto nella loro proposta. Infatti, la motivazione che l’articolo 2 offre per abrogare le "disposizioni vigenti in materia di immigrazione" riguarda l’immigrazione di stranieri provenienti da paesi non appartenenti all’OCSE. Quindi, anche se la richiesta di ingresso di uno straniero proveniente dall’area non OCSE dovesse rispettare tutte le procedure legali, esso non potrà mai entrare Italia. Il criterio di demarcazione della proposta Bossi-Berlusconi non è, dunque, ´ingresso legale versus ingresso clandestinoª come loro vogliono far credere bensì ´area OCSE versus area non OCSEª. In altre parole, Berlusconi e Bossi propongono la necessità di "blindare" l’Italia per impedire l’ingresso dei disperati del Sud del mondo che bussano alla porta del Bel Paese. Lo stesso vale per il comma 2 dello stesso articolo 2 che procede alla "denunzia unilaterale" dei trattati e delle convenzioni stipulati dal Governo italiano con i paesi non appartenenti all’OCSE e "non conformi ai principi della presente legge". Su questo specifico punto il liberista Antonio Martino, ex-ministro degli Esteri del governo Berlusconi, non ha potuto nascondere il suo imbarazzo. In una sua intervista, infatti, egli ha dovuto ammettere che non è possibile predicare la libera circolazione delle merci e del capitale e, al tempo stesso, impedire la libera circolazione delle persone. Un tale atteggiamento contraddittorio sarebbe quasi una bestemmia nei confronti dei "padri" del liberismo contemporaneo (von Mises, von Hayek, Friedmann, ecc.) che lui difende e diffonde.

L’articolo 3 della proposta di legge conferirebbe alle Regioni il potere di definire semestralmente "con delibera collegiale delle rispettive giunte i limiti numerici e le tipologie, distinte per categorie di impieghi, delle disponibilità alla accoglienza degli extracomunitari". Domando: Potrebbero Berlusconi e Bossi spiegare meglio cosa intendono con la frase "tipologie delle disponibilità alla accoglienza distinte per categorie di impiego"? A me sembra di capire che la disponibilità alla accoglienza sarà vincolata al particolare tipo di lavoro che dovrà svolgere l’immigrato. Si tratterebbe, in altre parole, di impedire la concorrenza tra i lavoratori stranieri, OCSE e non OCSE, e quelli autoctoni. Quindi, in ultima istanza potranno essere accolti soltanto quelli immigrati non OCSE disposti a svolgere unica ed esclusivamente quelle attività per la quale non è stato possibile reperire nessun autoctono, prima, e nessun immigrato OCSE, poi, disposto a farlo… Alla faccia della libertà di scegliere (da parte dei datori di lavoro) e del libero gioco dell’offerta e della domanda!

Il comma 2 dello stesso art. 3 propone che le delibere regionali dovranno essere adottate "sulla base delle richieste avviate presso ciascun Comune dalle famiglie e dalle imprese interessate". Supponiamo che le famiglie e gli imprenditori di un Comune "X" chiedano, in massa, di voler assumere stranieri di un paese non OCSE. Come conciliare questa richiesta con i commi 1 e 2 dell’art. 2 della proposta Polo-Lega? L’art. 5 offre una soluzione magica: "l’immigrazione in Italia da paese non OCSE è consentita solo previa iscrizione nel ruolo di immigrazione (cioè presso il servizio consolare) ed acquisizione del codice fiscale". A questo punto è chiaro che la proposta Bossi-Berlusconi intende istituzionalizzare una divisione delle persone in categorie ben precise: quelle di serie "A" (cittadini italiani), quelle di serie "B" (immigrati provenienti dai paesi OCSE) e quelle di serie "C" (immigrati provenienti da paesi non OCSE). Altrimenti, Come spiegano Berlusconi e Bossi il requisito del codice fiscale soltanto per gli immigrati provenienti dai paesi non OCSE, escludendo da tale requisito i provenienti dall’area OCSE? Il trattamento discriminatorio e di disprezzo nei confronti degli stranieri non OCSE non può essere più palese.

L’art. 6 della proposta Berlusconi-Bossi impone il finanziamento delle strutture locali di accoglienza con contributi specifici "a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori interessati, che possono beneficiare di speciali forme di rateazione". Lascio fare al lettore le proprie considerazioni al riguardo.

L’art. 7, invece, sostiene che "tutti gli immigrati da paesi non OCSE che, dopo 6 mesi dall’ingresso in Italia, sono ancora privi del codice fiscale e di un regolare rapporto di lavoro […] sono immediatamente rimpatriati" Si badi che tali provvedimento varrà soltanto per gli immigrati da paesi non OCSE.

L’art. 8 sostiene che il ricongiungimento dei familiari può essere chiesto al Comune di residenza dopo 3 anni dall’iscrizione nei ruoli di immigrazione. Naturalmente, il "corretto adempimento dei doveri fiscali" costituisce uno dei requisiti fondamentali per poter ottenere tale ricongiungimento. Un’assurdità del genere non si era mai sentita. Berlusconi e Bossi non vogliono rendersi conto che non è l’immigrazione in generale a stimolare il lavoro nero bensì la cultura del lavoro nero a stimolare l’immigrazione clandestina. Quindi, bisognerà, piuttosto, indirizzare i messaggi verso i datori di lavoro perché capiscano l’importanza sociale ed economica della cultura della legalità; insegnarli a mettere in regola gli immigrati e a non ricattarli o approfittare della loro debolezza perché bisognosi di lavorare. Ma, su questo aspetto concreto, la proposta Berlusconi-Bossi tace… Chissà perché.

 

(*) membro della Consulta nazionale per l’immigrazione