Il Ministero del Lavoro ridefinisce la fattispecie del "distacco"

(E’ favorito il comando di lavoratori extracomunitari in Italia se specializzati)

Con la circolare n. 82/2000, emessa dal Ministero del Lavoro il 23 novembre scorso, è stata rivista la regolamentazione del distacco in Italia di lavoratori residenti fuori dall’Unione Europea e che prestano la loro attività alle dipendenze di imprese che hanno sede in uno stato non membro.

La circolare segue il decreto legislativo n. 72/2000 del 25 febbraio 2000 che ha dato attuazione alla Direttiva comunitaria 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito della prestazione dei servizi e supera le restrizioni individuate da precedenti provvedimenti ministeriali.

Infatti, nonostante il dettato dell’articolo 27, primo comma, lettera i) della legge 286/98, in passato sussisteva l’impossibilità di rilasciare autorizzazioni al lavoro per l’ingresso di stranieri residenti nei paesi non UE ai fini dell’esecuzione in Italia di opere determinate o di prestazioni di servizi, poiché le circolari (n. 34 e 47 del 2000) che in concreto attuavano le norme vigenti limitavano fortemente l’ingresso delle categorie di lavoratori stranieri indicate dall’articolo citato.

Secondo la n. 82/2000, invece, le imprese straniere, in occasione di una prestazione transnazionale di servizi, possono finalmente effettuare il distacco dei propri lavoratori presso una azienda operante sul territorio italiano e con la quale collaborano; ciò quando l’esecuzione della prestazione avviene per conto e sotto la direzione dell’impresa "madre" oppure quando il "comando" del lavoratore extracomunitario avvenga presso una unità produttiva - operante in Italia - dell’impresa di provenienza o presso un’azienda appartenente allo stesso gruppo.

Ai fini della corretta esecuzione della prestazione oggetto del contratto di appalto, è sempre indispensabile che venga conservato, per tutto il periodo del distacco, il rapporto di lavoro sussistente tra l’operatore distaccato e l’impresa da cui esso proviene. Inoltre, la circolare sottolinea l’esigenza di rispettare un requisito già previsto dalla preesistente disciplina e che prevede che le richieste di autorizzazione al lavoro per questo tipo di attività siano relative a soggetti in possesso di una specializzazione (o alta specializzazione). Tuttavia accordi bilaterali possono diversamente regolamentare questo aspetto della vicenda, per cui il requisito di cui in commento non è da ritenersi vincolante.

Durante le procedure di rilascio dell’autorizzazione di cui si tratta, le competenti Direzioni del Lavoro dovranno verificare non solo l’esistenza della ditta estera distaccante e del rapporto di dipendenza del lavoratore che si intende dislocare in Italia, ma anche il possesso nel lavoratore "comandato" della specializzazione richiesta e della corrispondenza funzionale tra questa e l’attività da svolgere in virtù del contratto di appalto.

Sulle richieste di autorizzazione, le sedi provinciali delle Direzioni del Lavoro devono inoltre acquisire il parere della rappresentanza sindacale dell’azienda richiedente e delle organizzazioni sindacali di categoria più rappresentative a livello provinciale nel settore.

Articolo 27, primo comma, lettera i)

Al di fuori degli ingressi per lavoro di cui agli articoli precedenti, autorizzati nell'ambito delle quote di cui all'articolo 3, comma 4, il regolamento di attuazione disciplina particolari modalità e termini per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, per ognuna delle seguenti categorie di lavoratori stranieri:…i) lavoratori dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede all'estero e da questi direttamente retribuiti, i quali siano temporaneamente trasferiti dall'estero presso persone fisiche o giuridiche, italiane o straniere, residenti in Italia, al fine di effettuare nel territorio italiano determinate prestazioni oggetto di contratto di appalto stipulato tra le predette persone fisiche o giuridiche residenti o aventi sede in Italia e quelle residenti o aventi sede all'estero, nel rispetto delle disposizioni dell'art. 1655 del codice civile e della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, e delle norme internazionali e comunitarie.

Distacco

Secondo la giurisprudenza, tra i presupposti del distacco del lavoratore subordinato, sono la temporaneità e l'interesse del distacco da parte del datore di lavoro distaccante. L’interesse deve persistere per tutto il periodo di distacco (Pretore di Cosenza, 13 giugno 1991 n. 518) e deve ritenersi in contrasto con l'art. 1 della legge n. 1369 del 1960 il distacco (o comando) di lavoratori da una società ad un’altra nel caso di comando non temporaneo, avvenuto tra società "autonome" seppur collegate tra di loro e non determinato da un interesse della società distaccante: questo caso è

fatto rientrare nella fattispecie illecita della "interposizione nel lavoro".

Secondo l’articolo citato, è interposizione quella per cui l'imprenditore affida in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'appaltatore o dall'intermediario, qualunque sia la natura dell'opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono. E’ altresì vietato all'imprenditore di affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o società anche se cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere assunti e retribuiti da tali intermediari.

Si considera appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche di opere o di servizi, ove l'appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature, fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante.

Unità produttiva

L’unità produttiva è rappresentata da qualsiasi articolazione autonoma dell'impresa caratterizzata da indipendenza tecnica e amministrativa ed avente sotto il profilo funzionale l’idoneità ad esplicare,in tutto o in parte, l'attività di produzione dei beni o dei servizi dell'impresa costituendone elemento organizzativo. E’ unità produttiva quella nella quale si possa concludere una frazione dell'attività produttiva dell'azienda ma va escluso che possano qualificarsi come tali quegli organismi minori il risultato della cui attività sia meramente strumentale rispetto ai fini produttivi dell'impresa (Cass. civ., sez. lav., 6 agosto 1996, n. 7196 e Pretore di Milano, 15 aprile 1997 n. 24).Questa definizione corrisponde, nel dettato legislativo dell’articolo 35 dello Statuto dei Lavoratori, a ogni "sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti" ovvero cinque nel caso di imprese agricole.

 

Silvia Bucciarelli